Il tema della sorte dei bambini che muoiono senza aver ricevuto il Battesimo è stato affrontato, tenendo conto del principio della gerarchia delle verità, nel contesto del disegno salvifico universale di Dio, dell'unicità e della insuperabilità della mediazione di Cristo, della sacramentalità della Chiesa in ordine alla salvezza e della realtà del peccato originale. Nell'odierna stagione di relativismo culturale e di pluralismo religioso, il numero dei bambini non battezzati aumenta considerevolmente. In tale situazione, appare piú urgente la riflessione sulla possibilità di salvezza anche per questi bambini. La Chiesa è consapevole che essa è unicamente raggiungibile in Cristo per mezzo dello Spirito. Ma non può rinunciare a riflettere, in quanto madre e maestra, sulla sorte di tutti gli esseri umani creati a immagine di Dio, e in modo particolare dei piú deboli e di coloro che non sono ancora in possesso dell'uso della ragione e della libertà.

È noto che l'insegnamento tradizionale ricorreva alla teoria del limbo, inteso come stato in cui le anime dei bambini che muoiono senza Battesimo non meritano il premio della visione beatifica, a causa del peccato originale, ma non subiscono nessuna punizione, poiché non hanno commesso peccati personali. Questa teoria, elaborata da teologi a partire dal Medioevo, non è mai entrata nelle definizioni dogmatiche del Magistero, anche se lo stesso Magistero l'ha menzionata nel suo insegnamento fino al Concilio Vaticano II. Essa rimane quindi un'ipotesi teologica possibile. Tuttavia nel Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) la teoria del limbo non viene menzionata, ed è invece insegnato che, quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito specifico dei funerali per loro. Il principio che Dio vuole la salvezza di tutti gli esseri umani consente di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo (cfr. CCC 1261). Tale affermazione invita la riflessione teologica a trovare una connessione logica e coerente tra i diversi enunciati della fede cattolica: la volontà salvifica universale di Dio / l'unicità della mediazione di Cristo / la necessità del Battesimo per la salvezza / l'azione universale della grazia in rapporto ai sacramenti / il legame tra peccato originale e privazione della visione beatifica / la creazione dell'essere umano «in Cristo».

La conclusione dello studio è che vi sono ragioni teologiche e liturgiche per motivare la speranza che i bambini morti senza Battesimo possano essere salvati e introdotti nella beatitudine eterna, sebbene su questo problema non ci sia un insegnamento esplicito della Rivelazione. Nessuna delle considerazioni che il testo propone per motivare un nuovo approccio alla questione, può essere addotta per negare la necessità del Battesimo né per ritardare il rito della sua amministrazione. Piuttosto vi sono ragioni per sperare che Dio salverà questi bambini, poiché non si è potuto fare ciò che si sarebbe desiderato fare per loro, cioè battezzarli nella fede della Chiesa e inserirli visibilmente nel Corpo di Cristo.

Infine un'osservazione di carattere metodologico. La trattazione di questo tema ben si giustifica all'interno di quello sviluppo della storia dell'intelligenza della fede, di cui parla la Dei Verbum (n. 8), e i cui fattori sono la riflessione e lo studio dei credenti, l'esperienza delle cose spirituali e la predicazione del Magistero. Quando nella storia del pensiero cristiano si è cominciato a percepire la domanda sulla sorte dei bambini morti senza Battesimo, forse non si conosceva esattamente la natura e tutta la portata dottrinale implicita in questa domanda. Soltanto nello sviluppo storico e teologico avvenuto nel corso dei secoli e fino al Concilio Vaticano II, ci si è resi conto che tale specifica domanda meritava di essere considerata in un orizzonte sempre piú ampio delle dottrine di fede, e che il problema può essere ripensato, mettendo in rapporto esplicito il punto in questione nel contesto globale della fede cattolica e osservando il principio della gerarchia delle verità, menzionato nel decreto del Concilio Vaticano II Unitatis redintegratio. Il Documento, sia dal punto di vista teologico speculativo sia dal punto di vista pratico-spirituale, costituisce uno strumento esplicativo utile ed efficace per la comprensione e l'approfondimento di questa problematica, che non è soltanto dottrinale, ma incontra urgenze pastorali di non poco rilievo.

 

 

 

 

 

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* NOTA PRELIMINARE

 

Il tema «La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza Battesimo» è stato sottoposto allo studio della Commissione Teologica Internazionale. Per preparare questo studio venne formata una Sottocommissione composta dagli ecc.mi mons. Ignazio Sanna e mons. Basil Kyu-Man Cho, dai rev.mi professori Peter Damian Akpunonu, Adalbert Denaux, p. Gilles Emery O.P., mons. Ricardo Ferrara, István Ivancsó, Paul McPartlan, don Dominic Veliath S.D.B. (presidente della Sottocommissione) e dalla prof.ssa sr. Sara Butler M.S.B.T., con la collaborazione di p. Luis Ladaria S.I., segretario generale, e di mons. Guido Pozzo, segretario aggiunto della suddetta Commissione Teologica, nonché con i contributi degli altri suoi Membri. La discussione generale si è svolta in occasione delle Sessioni Plenarie della stessa CTI, tenutesi a Roma nel dicembre 2005 e nell'ottobre 2006. Il presente testo è stato approvato in forma specifica dalla Commissione, ed è stato poi sottoposto al suo presidente, il cardinale William J. Levada, il quale, ricevuto il consenso del Santo Padre nell'Udienza concessa il 19 gennaio 2007, ha dato la sua approvazione per la pubblicazione.

 

 

 

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Introduzione

1. San Pietro esorta i cristiani ad essere sempre pronti a dare ragione della speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3,15-16) [1]. Questo documento affronta il tema della speranza che i cristiani possono avere circa la salvezza dei bambini che muoiono senza avere ricevuto il Battesimo. Illustra come si è sviluppata questa speranza negli ultimi decenni, e su quali basi poggia, in modo che di tale speranza si possa dare ragione. Nonostante che a prima vista questo tema possa sembrare marginale rispetto ad altre questioni teologiche, una sua giusta soluzione, resa oggi necessaria da pressanti motivi di ordine pastorale, solleva invece interrogativi di grande spessore e profondità.

2. In questi nostri tempi sta crescendo sensibilmente il numero di bambini che muoiono senza essere stati battezzati. Spesso i genitori, influenzati dal relativismo culturale e dal pluralismo religioso, non sono praticanti, ma questo fenomeno è anche in parte conseguenza della fecondazione in vitro e dell'aborto. Alla luce di questi sviluppi si ripropone con nuova urgenza l'interrogativo sulla sorte di questi bambini. In una situazione del genere le vie attraverso le quali può essere conseguita la salvezza appaiono ancora piú complesse e problematiche. La Chiesa, custode fedele della via della salvezza, sa che questa può essere conseguita soltanto in Cristo, per mezzo dello Spirito Santo. Ma essa non può rinunciare a riflettere, in quanto madre e maestra, sulla sorte di tutti gli esseri umani creati a immagine di Dio [2], in particolare dei piú deboli. Gli adulti, essendo stati dotati di ragione, coscienza e libertà, sono responsabili del proprio destino, nella misura in cui accolgono o respingono la grazia di Dio. I bambini tuttavia, non avendo ancora l'uso della ragione, della coscienza e della libertà, non possono decidere per se stessi. I genitori provano un grande dolore e un senso di colpa quando non hanno la certezza morale della salvezza dei loro figli, e le persone trovano sempre piú difficile accettare che Dio sia giusto e misericordioso se poi esclude dalla felicità eterna i bambini, siano essi cristiani o meno, che non hanno peccati personali. Da un punto di vista teologico, lo sviluppo di una teologia della speranza e di una ecclesiologia della comunione, insieme al riconoscimento della grandezza della misericordia divina, mettono in discussione un'interpretazione eccessivamente restrittiva della salvezza. Di fatto la volontà salvifica universale di Dio e l'altrettanto universale mediazione di Cristo fanno ritenere inadeguata qualsiasi concezione teologica che in ultima analisi metta in dubbio l'onnipotenza stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia.

3. La teoria del limbo, cui ha fatto ricorso per molti secoli la Chiesa per indicare la sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo, non trova nessun fondamento esplicito nella rivelazione, nonostante sia entrata da lungo tempo nell'insegnamento teologico tradizionale. Inoltre il concetto che i bambini che muoiono senza Battesimo sono privati della visione beatifica, concetto che cosí a lungo è stato considerato come dottrina comune della Chiesa, solleva numerosi problemi pastorali, a tal punto che molti pastori di anime hanno chiesto una riflessione piú approfondita sulle vie della salvezza. La doverosa riconsiderazione di tali questioni teologiche non può ignorare le tragiche conseguenze del peccato originale. Il peccato originale comporta uno stato di separazione da Cristo, il che esclude la possibilità della visione di Dio per coloro che muoiono in questo stato.

4. Riflettendo sul tema della sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo, la comunità ecclesiale deve sempre ricordare che Dio è, a rigor di termini, il soggetto, piú che l'oggetto, della teologia. Primo compito della teologia è quindi l'ascolto della Parola di Dio. La teologia ascolta la Parola di Dio espressa nelle Scritture, al fine di trasmetterla amorevolmente a ogni persona. Tuttavia sulla salvezza di coloro che muoiono senza Battesimo, la Parola di Dio dice poco o niente. È quindi necessario interpretare la reticenza della Scrittura su questo tema alla luce dei testi che trattano del piano universale di salvezza e delle vie della salvezza. In breve, il problema, sia per la teologia sia per la cura pastorale, è come salvaguardare e riconciliare due gruppi di affermazioni bibliche: quelle che si riferiscono alla volontà salvifica universale di Dio (cfr. 1Tm 2,4) e quelle che identificano nel Battesimo il mezzo necessario per essere liberati dal peccato ed essere resi conformi a Cristo (cfr. Mc 16,16; Mt 28,18-19).

5. In secondo luogo, e in considerazione del principio lex orandi lex credendi, la comunità cristiana prende nota del fatto che nella liturgia non si fa alcun riferimento al limbo. In effetti la liturgia comprende la festa dei Santi Innocenti, che vengono venerati come martiri, nonostante non siano stati battezzati, perché sono stati uccisi «per Cristo» [3]. Si è inoltre avuto un importante sviluppo liturgico con l'introduzione dei funerali per i bambini morti senza Battesimo. Non preghiamo per coloro che sono dannati. Il Messale Romano del 1970 ha introdotto una messa funebre per i bambini non battezzati, i cui genitori avrebbero desiderato presentarli per il Battesimo. La Chiesa affida alla misericordia di Dio quei bambini che muoiono senza Battesimo. Nell'Istruzione sul Battesimo dei bambini del 1980 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito che, «quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali per loro» [4]. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) aggiunge che «la grande misericordia di Dio che vuole salvi tutti gli uomini (1Tm 2,4), e la tenerezza di Gesú verso i bambini, che gli ha fatto dire "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite" (Mc 10,14), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo» [5].

6. In terzo luogo, la Chiesa non può fare a meno di incoraggiare la speranza della salvezza per i bambini morti senza Battesimo per il fatto stesso che «essa prega perché nessuno si perda» [6], e prega nella speranza che «tutti gli uomini siano salvati» [7]. Alla luce di un'antropologia della solidarietà [8], rafforzata da una concezione ecclesiale della personalità corporativa, la Chiesa ben conosce l'aiuto che può essere dato dalla fede dei credenti. Il Vangelo di Marco descrive proprio un episodio dove la fede di alcuni è stata efficace per la salvezza di un altro (cfr. Mc 2,5). Pur consapevole che il mezzo normale per conseguire la salvezza è il Battesimo in re, la Chiesa spera quindi che esistano altre vie per conseguire il medesimo fine. Poiché, per mezzo della sua Incarnazione, il Figlio di Dio «si è unito in certo modo» a ogni essere umano, e poiché Cristo è morto per tutti e «la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina», la Chiesa ritiene che «lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associato, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (Gaudium et spes 22) [9].

7. Infine, nel riflettere teologicamente sulla salvezza dei bambini che muoiono senza Battesimo, la Chiesa rispetta la gerarchia delle verità e quindi comincia col riaffermare chiaramente il primato di Cristo e della sua grazia, che ha priorità su Adamo e il peccato. Cristo, nella sua esistenza per noi e nel potere redentore del suo sacrificio, è morto e risorto per tutti. Con tutta la sua vita e il suo insegnamento ha rivelato la paternità di Dio e il suo amore universale. Se la necessità del Battesimo è de fide, devono invece essere interpretati la tradizione e i documenti del Magistero che ne hanno riaffermato la necessità. È vero che la volontà salvifica universale di Dio non si oppone alla necessità del Battesimo, ma è anche vero che i bambini, da parte loro, non frappongono alcun ostacolo personale all'azione della grazia redentrice. D'altra parte il Battesimo viene amministrato ai bambini, che non hanno peccati personali, non solo per liberarli dal peccato originale, ma anche per inserirli nella comunione di salvezza che è la Chiesa, per mezzo della comunione nella morte e resurrezione di Cristo (cfr. Rm 6,1-7). La grazia è totalmente gratuita, in quanto è sempre puro dono di Dio. La dannazione, invece, è meritata, perché è conseguenza della libera scelta umana [10]. Il bambino che muore dopo essere stato battezzato è salvato dalla grazia di Dio e mediante l'intercessione della Chiesa, con o senza la sua cooperazione. Ci si può chiedere se il bambino che muore senza Battesimo, ma per il quale la Chiesa nella sua preghiera esprime il desiderio di salvezza, possa essere privato della visione di Dio anche senza la sua cooperazione.

 

 

1. «Historia quaestionis».

Storia ed ermeneutica dell'insegnamento cattolico

1.1. Fondamenti biblici

8. Una indagine teologica rigorosa dovrebbe partire da uno studio dei fondamenti biblici di qualsiasi dottrina o prassi ecclesiale. Quindi, per quanto attiene al nostro tema, dovremmo chiederci se la Sacra Scrittura affronta in un modo o nell'altro la questione della sorte dei bambini non battezzati. Appare tuttavia evidente, anche a un rapido esame del Nuovo Testamento, che le prime comunità cristiane non avevano ancora affrontato l'interrogativo della possibilità o meno di ottenere la salvezza di Dio per i neonati o i bambini morti senza Battesimo. Quando nel Nuovo Testamento si fa menzione della prassi del Battesimo, in genere ci si riferisce al Battesimo degli adulti. Le evidenze neotestamentarie, tuttavia, non escludono la possibilità che anche i bambini vengano battezzati. Quando negli Atti degli Apostoli 16,15 e 33 (cfr. 18,8) e in 1Cor 1,16 si parla di famiglie (oikos) che ricevono il Battesimo, è possibile che i bambini siano stati battezzati insieme agli adulti. L'assenza di riferimenti espliciti può spiegarsi con il fatto che gli scritti del Nuovo Testamento si preoccupavano essenzialmente della diffusione iniziale del cristianesimo nel mondo.

9. L'assenza, nel Nuovo Testamento, di un insegnamento esplicito sulla sorte dei bambini morti senza Battesimo non significa che la discussione teologica di questo tema non sia informata da diverse dottrine bibliche fondamentali. Tra queste possiamo citare:

I) la volontà di Dio di salvare ogni persona (cfr. Gn 3,15; 22,18; 1Tm 2,3-6) attraverso la vittoria di Gesú Cristo sul peccato e sulla morte (cfr. Ef 1,20-22; Fil 2,7-11; Rm 14,9; 1Cor 15,20-28);

II) la peccaminosità universale degli esseri umani (cfr. Gn 6,5-6; 8,21; 1Re 8,46; Sal 130,3), il fatto che a partire da Adamo sono nati nel peccato (cfr. Sal 51,7; Sir 25,24) e che sono quindi destinati alla morte (cfr. Rm 5,12; 1Cor 15,22);

III) la necessità, ai fini della salvezza, da un lato della fede del credente (cfr. Rm 1,16) e dall'altro del Battesimo (cfr. Mc 16,16; Mt 28,19; At 2,40-41; 16,30-33) e dell'Eucaristia (cfr. Gv 6,53), amministrati dalla Chiesa;

IV) la speranza cristiana supera completamente la speranza umana (cfr. Rm 4,18-21); la speranza cristiana è che il Dio vivente, il Salvatore dell'intera umanità (cfr. 1Tm 4,10), farà partecipare tutti alla sua gloria e che tutti vivranno con Cristo (cfr. 1Ts 5,9-11; Rm 8,2-5.23-25), e i cristiani devono essere pronti a dare ragione della speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3,15);

V) la Chiesa deve fare «suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini» (1Tm 2,1-8), avendo fede che alla potenza creatrice di Dio «nulla è impossibile» (Gb 42,2; Mc 10,27; 12,24.27; Lc 1,37), e nella speranza che l'intera creazione parteciperà infine alla gloria di Dio (cfr. Rm 8,22-27).

10. Sembra esserci una tensione tra due delle dottrine bibliche appena citate: da un lato, la volontà salvifica universale di Dio e, dall'altro, la necessità del Battesimo sacramentale. Quest'ultima sembrerebbe limitare l'estensione della volontà salvifica universale di Dio. Risulta quindi necessaria una riflessione ermeneutica su come i testimoni della Tradizione (i Padri della Chiesa, il Magistero, i teologi) hanno letto e utilizzato i testi e le dottrine della Bibbia con riferimento al tema qui trattato. In modo piú specifico, occorre chiarire di quale tipo sia la «necessità» del sacramento del Battesimo, per evitare interpretazioni errate. La necessità del Battesimo sacramentale è una necessità di secondo ordine rispetto alla necessità assoluta, per la salvezza finale di ogni essere umano, dell'azione salvifica di Dio per mezzo di Gesú Cristo. Il Battesimo sacramentale è necessario in quanto mezzo ordinario attraverso il quale una persona partecipa agli effetti benèfici della morte e risurrezione di Gesú. Nella nostra analisi valuteremo attentamente come sono state utilizzate nella Tradizione le testimonianze bibliche. Inoltre, nell'affrontare i princípi teologici (capitolo 2) e le ragioni della nostra speranza (capitolo 3), approfondiremo maggiormente le corrispettive dottrine e i testi biblici.

 

 

1.2 I Padri greci

11. Soltanto pochissimi tra i Padri greci hanno affrontato il problema della sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo, in quanto su questo tema in Oriente non c'era alcuna controversia. Avevano inoltre una concezione diversa della condizione attuale dell'umanità. Per i Padri greci, in seguito al peccato di Adamo, gli esseri umani avevano ereditato la corruzione, l'emotività e la mortalità, da cui potevano essere risollevati grazie a un processo di divinizzazione reso possibile dall'opera redentrice di Cristo. Il concetto di un'eredità del peccato o della colpa, comune nella tradizione occidentale, era estraneo a tale prospettiva, poiché secondo loro il peccato poteva essere soltanto un atto libero e personale [11]. Per questo motivo non sono stati molti i Padri greci ad avere affrontato esplicitamente il problema della salvezza dei bambini non battezzati. Hanno tuttavia trattato lo stato o condizione - ma non il luogo - di questi bambini dopo la morte. A questo riguardo, il problema principale con cui devono confrontarsi è la tensione tra la volontà salvifica universale di Dio e l'insegnamento del Vangelo sulla necessità del Battesimo. Lo Pseudo-Atanasio afferma chiaramente che una persona non battezzata non può entrare nel regno di Dio. Sostiene inoltre che i bambini non battezzati non entrano nel Regno, ma che neppure si perdono, poiché non hanno peccato [12]. Anastasio del Sinai si esprime in modo ancora piú chiaro: secondo lui, i bambini non battezzati non vanno nella Geenna. Ma non è in grado di dire di piú; non esprime un'opinione su dove effettivamente vadano, ma lascia la loro sorte al giudizio di Dio [13].

12. Unico tra i Padri greci, Gregorio di Nissa ha scritto un'opera che verte specificamente sulla sorte dei bambini che muoiono, il De infantibus praemature abreptis libellum [14]. L'angoscia della Chiesa traspare dagli interrogativi che si pone Gregorio: la sorte di questi bambini è un mistero, «qualcosa di molto piú ampio di quanto possa essere compreso dalla mente umana» [15]. Gregorio esprime la sua opinione circa la virtú e il suo premio; secondo lui, Dio non ha nessun motivo di concedere come premio ciò che si spera. La virtú non ha nessun valore se coloro che lasciano questa vita prematuramente senza avere praticato la virtú vengono immediatamente accolti nella beatitudine. Proseguendo lungo questo ragionamento, Gregorio si domanda: «Che cosa accadrà a coloro la cui vita si conclude in tenera età, e che non hanno compiuto né il bene né il male? Sono meritevoli di un premio?» [16]. E risponde: «La beatitudine sperata appartiene agli esseri umani per natura, e soltanto in un certo senso è chiamata premio» [17]. Il godimento della vera vita (zoe e non bios) corrisponde alla natura umana e viene conseguito in proporzione alla virtú praticata. Poiché il bambino innocente non ha bisogno di essere purificato da peccati personali, partecipa a questa vita in modo corrispondente alla sua natura, in una sorta di progresso regolare, secondo la sua capacità. Gregorio di Nissa fa una distinzione tra la sorte dei bambini e quella degli adulti che hanno vissuto un'esistenza virtuosa: «La morte prematura dei bambini appena nati non costituisce motivo per presupporre che essi soffriranno tormenti o che saranno nel medesimo stato di coloro che in questa vita sono stati purificati grazie a tutte le virtú» [18]. Infine offre questa prospettiva alla riflessione della Chiesa: «La contemplazione apostolica fortifica la nostra indagine, poiché Colui che ha fatto bene tutte le cose, con sapienza (Sal 104,24), sa trarre il bene dal male» [19].

13. Gregorio Nazianzeno non scrive nulla in merito al luogo e allo stato dei bambini che muoiono senza Battesimo, ma amplia questo tema aggiungendo un'altra riflessione. Scrive cioè che questi bambini non ricevono né lode né punizione dal Giusto Giudice, in quanto hanno subíto un danno piú che arrecarlo. «Chi non merita castigo non è per questo fatto meritevole di lode, e chi non merita lode non è per questo fatto meritevole di castigo» [20]. L'insegnamento profondo dei Padri greci può essere riassunto nelle parole di Anastasio del Sinai: «Non è conveniente che l'uomo scavi con le proprie mani nei giudizi di Dio» [21].

14. Da una parte questi Padri greci insegnano che i bambini che muoiono senza Battesimo non patiscono la dannazione eterna, pur non conseguendo il medesimo stato di coloro che sono stati battezzati. D'altra parte non spiegano quale sia lo stato di questi bambini, o in quale luogo si trovino. Su questo tema, i Padri greci mostrano la loro tipica sensibilità apofatica.

 

 

1.3 I Padri latini

15. La sorte dei bambini non battezzati è stata per la prima volta oggetto di una valida riflessione teologica in Occidente durante le controversie antipelagiane all'inizio del V secolo. Sant'Agostino ha affrontato la questione in risposta a Pelagio, il quale insegnava che i bambini potevano essere salvati senza essere battezzati. Pelagio metteva in discussione che la Lettera di Paolo ai Romani insegnasse veramente che tutti gli esseri umani hanno peccato «in Adamo» (Rm 5,12) e che la concupiscenza, la sofferenza e la morte fossero conseguenza della caduta [22]. Poiché negava che il peccato di Adamo fosse stato trasmesso ai suoi discendenti, considerava innocenti i bambini appena nati. Ai bambini morti senza Battesimo Pelagio prometteva l'ingresso nella «vita eterna» (non però nel «regno di Dio» [Gv 3,5]), affermando che Dio non avrebbe condannato all'inferno chi non fosse personalmente colpevole di peccato [23].

16. Nel ribattere a Pelagio, Agostino fu indotto ad affermare che i bambini che muoiono senza Battesimo sono consegnati all'inferno [24], appellandosi al precetto dato dal Signore, in Giovanni 3,5, e alla prassi liturgica della Chiesa. Perché portare al fonte battesimale i bambini in tenera età, soprattutto i neonati in pericolo di morte, se non per assicurare loro l'ingresso nel regno di Dio? Perché sottoporli ai riti dell'esorcismo e dell'insufflazione se non devono essere liberati dal diavolo [25]? Perché rinascono se non hanno bisogno di essere rinnovati? La prassi liturgica conferma la fede della Chiesa che tutti ereditano il peccato di Adamo e devono essere trasferiti dal potere delle tenebre al regno della luce (Col 1,13) [26]. C'è un solo Battesimo, che è identico per adulti e bambini, ed è per la remissione dei peccati [27]. Se anche i bambini in tenera età vengono battezzati, quindi, è perché sono peccatori. Nonostante che evidentemente non siano colpevoli di un peccato personale, secondo Romani 5,12 (nella traduzione latina allora disponibile ad Agostino) hanno peccato «in Adamo» [28]. «Perché dunque Cristo è morto per essi, se non sono colpevoli?» [29]. Tutti hanno bisogno di Cristo come loro Salvatore.

17. Secondo Agostino, Pelagio intaccava la fede in Gesú Cristo, unico Mediatore (1Tm 2,5), e nella necessità della grazia salvifica che egli ci ha ottenuto sulla croce. Cristo è venuto per salvare i peccatori. È il «Grande Medico» che offre persino ai neonati la medicina del Battesimo per salvarli dal peccato ereditato da Adamo [30]. Unico rimedio al peccato di Adamo, trasmesso a tutti attraverso la generazione, è il Battesimo. Coloro che non sono battezzati non possono entrare nel Regno di Dio. Nel giorno del giudizio coloro che non entrano nel Regno (Mt 25,34) saranno condannati all'inferno (Mt 25,41). Non esiste uno «stato intermedio» tra paradiso e inferno. «Non è rimasto alcun luogo intermedio in cui tu possa situare i bambini» [31]. «Non può essere se non con il diavolo chi non è con il Cristo» [32].

18. Dio è giusto. Se condanna all'inferno i bambini non battezzati è perché sono peccatori. Nonostante che questi bambini siano puniti nell'inferno, patiranno soltanto una «condanna mitissima» (mitissima poena) [33], «la pena piú lieve di tutte» [34], in quanto esistono pene diverse in proporzione alla colpa del peccatore [35]. Questi bambini non erano responsabili, ma non c'è ingiustizia nella loro condanna, poiché tutti appartengono alla «medesima massa», la massa destinata alla perdizione. Dio non fa nessuna ingiustizia a coloro che non sono eletti, perché tutti meritano l'inferno [36]. Perché alcuni sono vasi di collera e altri vasi di misericordia? Agostino ammette di non riuscire a trovare «una ragione che soddisfi adeguatamente». Può soltanto esclamare con san Paolo: «Quanto sono imperscrutabili i giudizi [di Dio] e inaccessibili le sue vie!» [37]. Piuttosto che condannare l'autorità divina, dà una interpretazione restrittiva della volontà salvifica universale di Dio [38]. La Chiesa crede che se qualcuno è redento, è soltanto grazie alla misericordia immeritata di Dio, ma se qualcuno è condannato, è per un giudizio ben meritato. Scopriremo nell'altro mondo la giustizia della volontà di Dio [39].

19. Il Concilio di Cartagine del 418 ha respinto l'insegnamento di Pelagio. Ha condannato l'opinione che i bambini «non contraggano da Adamo il peccato originale che viene espiato dal lavacro della rigenerazione che conduce alla vita eterna». Il Concilio ha invece affermato che «anche i bambini, che non abbiano potuto ancora commettere alcun peccato in se stessi, tuttavia vengono veramente battezzati per la remissione dei peccati, affinché mediante la rigenerazione venga in essi purificato quanto essi attraverso la generazione hanno contratto» [40]. Ha inoltre aggiunto che non esiste «un qualche luogo posto nel mezzo o un luogo altrove, dove vivono come beati gli infanti che trapassarono da questa vita senza il Battesimo, senza il quale non possono entrare nel regno dei cieli, che è la vita eterna» [41]. Il Concilio, tuttavia, non ha appoggiato esplicitamente tutti gli aspetti della severa dottrina di Agostino concernente la sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo.

20. Era tale tuttavia l'autorità di Agostino in Occidente che i Padri latini (come, ad esempio, Girolamo, Fulgenzio, Avito di Vienna e Gregorio Magno) hanno di fatto adottato la sua opinione. Gregorio Magno afferma che Dio condanna anche coloro le cui anime sono macchiate anche soltanto dal peccato originale; persino i bambini che non hanno mai peccato di loro volontà devono andare incontro ai «tormenti eterni». A proposito della nostra condizione alla nascita di figli dell'ira cita Gb 14, 4-5 (LXX), Gv 3,5 ed Ef 2,3 [42].

 

 

1.4 La Scolastica medioevale

21. Per tutto il Medioevo Agostino è stato su questo tema il punto di riferimento per i teologi latini. Anselmo di Canterbury è un buon esempio: ritiene che i bambini in tenera età che muoiono senza Battesimo siano dannati a causa del peccato originale e conformemente alla giustizia di Dio [43]. La dottrina comune è cosí riassunta da Ugo di San Vittore: i bambini che muoiono senza Battesimo non possono essere salvati perché

1) non hanno ricevuto il sacramento, e

2) non possono fare un atto di fede personale in sostituzione del sacramento [44]. Secondo questa dottrina sarebbe necessario essere giustificati nel corso della propria esistenza terrena per entrare nella vita eterna dopo la morte. Questa mette fine alla possibilità di scegliere se accogliere o respingere la grazia, ossia se aderire a Dio o allontanarsene; dopo la morte le disposizioni fondamentali di una persona rispetto a Dio non possono piú essere modificate.

22. Tuttavia la maggior parte degli autori medioevali successivi, da Pietro Abelardo in poi, hanno invece messo in risalto la bontà di Dio, interpretando la «condanna mitissima» di Agostino come la privazione della visione di Dio (carentia visionis Dei), senza la speranza di poterla ottenere, ma senza alcuna pena aggiuntiva [45]. Questo insegnamento, che modificava la severa opinione di sant'Agostino, è stato diffuso da Pietro Lombardo: i bambini in tenera età non soffrono alcuna pena, tranne la privazione della visione di Dio [46]. Questa posizione condusse la riflessione teologica del XIII secolo a riservare ai bambini non battezzati una sorte essenzialmente differente da quella dei santi in cielo, ma anche parzialmente diversa da quella dei reprobi, a cui sono tuttavia associati. Ciò non ha impedito ai teologi medioevali di sostenere l'esistenza di due (e non tre) possibili esiti per l'esistenza umana: la felicità del cielo per i santi, e la privazione di questa felicità celeste per i dannati e per i bambini che muoiono senza Battesimo. Negli sviluppi della dottrina medioevale, la perdita della visione beatifica (poena damni) era vista come la giusta punizione per il peccato originale, mentre i «tormenti dell'inferno in perpetuo» rappresentavano la pena per i peccati mortali effettivamente commessi [47]. Nel Medioevo, il Magistero ecclesiastico affermò piú di una volta che coloro «che muoiono in peccato mortale» e coloro che muoiono «col solo peccato originale» ricevono «pene differenti» [48].

23. Poiché i bambini che non hanno raggiunto l'età della ragione non hanno commesso peccati attuali, i teologi sono giunti a una opinione comune secondo la quale i bambini non battezzati non provano alcun dolore, o addirittura conoscono una piena felicità naturale attraverso la loro unione con Dio in tutti i beni naturali (Tommaso d'Aquino, Duns Scoto) [49]. Il contributo di quest'ultima tesi teologica consiste soprattutto nel riconoscimento di una gioia autentica nei bambini che muoiono senza il Battesimo sacramentale: possiedono una vera unione con Dio proporzionalmente alla loro condizione. Questa tesi poggia su un certo modo di concettualizzare la relazione tra gli ordini naturale e soprannaturale e, in particolare, l'orientamento al soprannaturale; non deve essere tuttavia confusa con lo sviluppo successivo del concetto di «natura pura». Tommaso d'Aquino, ad esempio, insisteva che soltanto la fede ci permette di conoscere che il fine soprannaturale della vita umana consiste nella gloria dei santi, ossia nella partecipazione alla vita del Dio Uno e Trino attraverso la visione beatifica. Poiché tale fine soprannaturale trascende la conoscenza umana naturale, e dato che ai bambini non battezzati manca il sacramento che avrebbe dato loro il germe di questa conoscenza soprannaturale, l'Aquinate ne concluse che i bambini che muoiono senza Battesimo non conoscono ciò di cui sono privati, e quindi non soffrono della privazione della visione beatifica [50]. Anche quando hanno accolto questa opinione, i teologi hanno considerato la privazione della visione beatifica un'afflizione («pena») nell'economia divina. La dottrina teologica di una «beatitudine naturale» (e l'assenza di qualsiasi sofferenza) può essere vista come un tentativo di rendere conto della giustizia e della misericordia di Dio riguardo ai bambini che non hanno commesso alcun peccato attuale, dando quindi, rispetto ad Agostino, un maggior peso alla misericordia di Dio. I teologi che hanno sostenuto questa tesi di una felicità naturale per i bambini morti senza Battesimo manifestano un senso molto vivo della gratuità della salvezza e del mistero della volontà di Dio che il pensiero umano non è in grado di comprendere appieno.

24. I teologi che hanno insegnato, in una forma o nell'altra, che i bambini non battezzati sono privati della visione di Dio, hanno di norma sostenuto una duplice affermazione:

a) Dio vuole che tutti siano salvi, e

b) Dio, il quale vuole che tutti siano salvi, vuole ugualmente i doni e i mezzi che egli stesso ha disposto per questa salvezza, e che egli ci ha reso noti attraverso la sua rivelazione. La seconda affermazione, di per sé, non esclude altre disposizioni della divina economia (come è evidente, ad esempio, nella testimonianza dei Santi Innocenti). L'espressione «limbo dei bambini» poi venne coniata a cavallo tra il XII e il XIII secolo per designare il «luogo di riposo» di questi bambini (il «lembo» della regione inferiore). I teologi, tuttavia, potevano dibattere tale questione senza usare il termine «limbo». Le loro dottrine non dovrebbero essere confuse con l'uso della parola «limbo».

25. La principale affermazione di queste dottrine è che coloro che non erano capaci di un atto libero col quale consentire alla grazia, e che sono morti senza essere stati rigenerati dal sacramento del Battesimo, sono privati della visione di Dio a causa del peccato originale ereditato per generazione umana.

 

 

1.5 L'era moderna/post-tridentina

26. Il pensiero di Agostino è stato oggetto di un rinnovato interesse nel XVI secolo, e con esso la sua teoria sulla sorte dei bambini non battezzati, come testimoniato, ad esempio, da Roberto Bellarmino [51]. Una delle conseguenze di questo risveglio dell'agostinismo è stato il giansenismo. Insieme ai teologi cattolici della scuola agostiniana, i giansenisti erano fieramente contrari alla teoria del limbo. Durante questo periodo i Pontefici (Paolo III, Benedetto XIV, Clemente XIII) [52] hanno difeso il diritto dei cattolici di insegnare la severa teoria di Agostino, secondo la quale i bambini che morivano col solo peccato originale erano dannati e venivano puniti con il tormento perpetuo delle fiamme dell'inferno, per quanto con «pena mitissima» (Agostino) in confronto alle sofferenze degli adulti puniti per i loro peccati mortali. D'altra parte, quando il sinodo giansenista di Pistoia (1786) denunciò la teoria medioevale del «limbo», Pio VI difese il diritto delle scuole cattoliche di insegnare che coloro che sono morti col solo peccato originale vengono puniti con l'assenza della visione beatifica (pena della privazione) ma non con sofferenze sensibili (pena del «fuoco»). Nella bolla Auctorem fidei (1794) il Papa condannò come «falsa, temeraria, offensiva per le scuole cattoliche» la dottrina «che rigetta come favola pelagiana [fabula pelagiana] quel luogo degli inferi (che i fedeli ovunque chiamano con il nome di limbo dei bambini) nel quale le anime di coloro che sono morti con il solo peccato originale sono punite con la pena della privazione senza la pena del fuoco; come se, in questo modo, coloro che escludono la pena del fuoco introducessero quel luogo e stato intermedio privo di colpa e di pena, fra il regno di Dio e la dannazione eterna, di cui favoleggiavano i pelagiani» [53]. Gli interventi pontifici in questo periodo hanno quindi tutelato la libertà delle scuole cattoliche di affrontare questo tema. Non hanno adottato la teoria del limbo come dottrina di fede. Il limbo, tuttavia, ha rappresentato la dottrina cattolica comune fino alla metà del XX secolo.

 

 

1.6 Dal Vaticano I al Vaticano II

27. Nel periodo precedente al Concilio Vaticano I, e di nuovo prima del Concilio Vaticano II, da certi ambienti è emerso un forte interesse a definire la dottrina cattolica su questo tema. Tale interesse è apparso evidente nello schema riformulato della costituzione dogmatica De doctrina catholica, preparata per il Concilio Vaticano I (ma non sottoposta al voto del Concilio), che presentava la sorte dei bambini morti senza Battesimo come uno stato a metà strada tra quello dei dannati, da un lato, e quello delle anime del purgatorio e dei beati, dall'altro: «Etiam qui cum solo originali peccato mortem obeunt, beata Dei visione in perpetuum carebunt» [54]. Nel XX secolo, tuttavia, i teologi chiesero di poter immaginare nuove soluzioni, inclusa la possibilità che questi bambini venissero raggiunti dalla piena salvezza di Cristo [55].

28. Nella fase preparatoria del Concilio Vaticano II, c'era chi desiderava che il Concilio affermasse la dottrina comune secondo la quale i bambini non battezzati non possono ottenere la visione beatifica, chiudendo cosí la questione. La Commissione Centrale Preparatoria si oppose a tale richiesta, consapevole delle molte argomentazioni a sfavore della dottrina tradizionale e della necessità di proporre una soluzione che meglio si accordasse con lo sviluppo del sensus fidelium. Ritenendo che la riflessione teologica su questo punto non fosse sufficientemente matura, il tema non fu incluso nel programma dei lavori; non entrò nelle deliberazioni del Concilio e fu lasciato aperto a ulteriori indagini [56]. La questione sollevava tutta una serie di problemi la cui soluzione era oggetto di dibattito tra i teologi, e in particolare: il valore dell'insegnamento tradizionale della Chiesa sui bambini che muoiono senza Battesimo; l'assenza, nella Sacra Scrittura, di indicazioni esplicite al riguardo; la connessione tra ordine naturale e vocazione soprannaturale degli esseri umani; il peccato originale e la volontà salvifica universale di Dio; e i «succedanei» del Battesimo sacramentale che possono essere invocati sui bambini in tenera età.

29. La convinzione della Chiesa Cattolica in merito alla necessità del Battesimo per la salvezza era stata espressa con forza nel decreto per i Giacobiti al Concilio di Firenze nel 1442: i bambini «non possono essere aiutati se non col sacramento del Battesimo, che li libera dal dominio del demonio e li rende figli adottivi di Dio» [57]. Questo insegnamento presuppone una percezione molto netta del favore divino dimostrato nell'economia sacramentale istituita da Cristo; la Chiesa non conosce nessun altro mezzo che possa assicurare ai bambini l'accesso alla vita eterna. La Chiesa, tuttavia, ha anche tradizionalmente riconosciuto dei succedanei del Battesimo d'acqua (che è l'incorporazione sacramentale nel mistero di Cristo morto e risorto), e cioè il Battesimo di sangue (incorporazione in Cristo attraverso la testimonianza del martirio per Cristo) e il Battesimo di desiderio (incorporazione in Cristo attraverso il desiderio o l'anelito al Battesimo sacramentale). Nel corso del XX secolo alcuni teologi, sviluppando alcune tesi piú antiche, hanno proposto di riconoscere per i bambini o una qualche forma di Battesimo di sangue (in considerazione della sofferenza e della morte di questi bambini), o una qualche forma di Battesimo di desiderio, invocando un «desiderio inconscio» in questi bambini orientati verso la giustificazione, o il desiderio della Chiesa [58]. Queste proposte si scontravano tuttavia con alcune difficoltà. Da un lato è difficile attribuire a un bambino l'atto di desiderio del Battesimo che può avere un adulto. Il bambino difficilmente è in grado di compiere quell'atto personale pienamente libero e responsabile che potrebbe sostituire il Battesimo sacramentale; un tale atto pienamente libero e responsabile si fonda su un giudizio di ragione, e non può essere compiutamente espresso se la persona non ha raggiunto un uso di ragione (aetas discretionis: «età del giudizio») sufficiente o appropriato. È d'altra parte difficile comprendere come la Chiesa possa «supplire» ai bambini non battezzati. Completamente diverso è invece il caso del Battesimo sacramentale, in quanto quest'ultimo, amministrato ai bambini, ottiene la grazia in virtú di ciò che è specificatamente proprio del sacramento in quanto tale, ossia il dono certo della rigenerazione per mezzo della potenza di Cristo stesso. Per questo motivo Pio XII, richiamando l'importanza del Battesimo sacramentale, si è cosí espresso nella sua allocuzione alle ostetriche italiane nel 1951: «E tuttavia lo stato di grazia nel momento della morte è assolutamente necessario per la salvezza; senza di esso non è possibile giungere alla felicità soprannaturale, alla visione beatifica di Dio. Un atto di amore può bastare all'adulto per conseguire la grazia santificante e supplire al difetto del Battesimo: al non ancora nato o al neonato bambino questa via non è aperta» [59]. Queste parole hanno dato luogo a una nuova riflessione da parte dei teologi sulle disposizioni dei bambini circa la recezione della grazia divina, sulla possibilità di una configurazione extrasacramentale a Cristo e sulla materna mediazione della Chiesa.

30. Tra le questioni discusse che hanno attinenza con questo tema è anche opportuno citare quella della gratuità dell'ordine soprannaturale. Prima del Concilio Vaticano II, in altre circostanze e riferendosi ad altre questioni, Pio XII aveva portato con decisione questo tema all'attenzione della Chiesa affermando che se si sostiene che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica viene snaturato il concetto della gratuità dell'ordine sovrannaturale [60]. La bontà e la giustizia di Dio non significano che la grazia venga donata necessariamente o «automaticamente». Tra i teologi, quindi, la riflessione sulla sorte dei bambini non battezzati ha comportato, da quel momento in poi, una considerazione rinnovata dell'assoluta gratuità della grazia e dell'ordinazione di tutti gli esseri umani a Cristo e alla redenzione che egli ha ottenuto per noi.

31. Senza rispondere direttamente all'interrogativo sulla sorte dei bambini non battezzati, il Concilio Vaticano II ha indicato numerosi percorsi che potevano guidare la riflessione teologica. Il Concilio ha richiamato piú volte l'universalità della volontà salvifica di Dio che si estende a tutte le persone (1Tm 2,4) [61]. Tutti «hanno un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti» (Nostra aetate 1; cfr. Lumen gentium 16). Seguendo un'impostazione piú particolare, in cui si presenta una concezione della vita umana fondata sulla dignità dell'essere umano creato a immagine di Dio, la costituzione Gaudium et spes ricorda che «la ragione piú alta della dignità dell'essere umano consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio», precisando che «fin dal suo nascere l'essere umano è invitato al dialogo con Dio» (Gaudium et spes 19). La medesima costituzione proclama con forza che solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Ricordiamo inoltre la celebre affermazione del Concilio: «Cristo, infatti, è morto per tutti, e la vocazione ultima dell'essere umano è effettivamente una sola, quella divina: perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (Gaudium et spes 22). Nonostante che il Concilio non abbia espressamente applicato questo insegnamento ai bambini che muoiono senza Battesimo, questi testi aprono una strada per dare ragione della speranza in loro favore [62].

 

 

1.7 Problemi di natura ermeneutica

32. All'analisi storica appaiono evidenti una evoluzione e uno sviluppo dell'insegnamento cattolico relativo alla sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo. Questa progressione chiama in causa alcuni princípi dottrinali fondamentali che rimangono permanenti, e alcuni elementi secondari di diverso valore. Infatti la rivelazione non comunica in modo diretto ed esplicito la conoscenza del piano di Dio per i bambini non battezzati, ma illumina la Chiesa quanto ai princípi di fede che devono guidarne il pensiero e la prassi. Una lettura teologica della storia del Magistero cattolico fino al Concilio Vaticano II mostra in particolare che sono tre le principali affermazioni appartenenti alla fede della Chiesa che sembrano essere al cuore del problema della sorte dei bambini non battezzati.

I) Dio vuole che tutti gli esseri umani siano salvati.

II) Questa salvezza viene data soltanto per mezzo della partecipazione al mistero pasquale di Cristo, ossia per mezzo del Battesimo per la remissione dei peccati, o sacramentale o avente altra forma. Gli esseri umani, inclusi i bambini, non possono essere salvati separatamente dalla grazia di Dio riversata dallo Spirito Santo.

III) I bambini non entreranno nel regno di Dio se non sono stati liberati dal peccato originale attraverso la grazia redentrice.

33. La storia della teologia e del Magistero mostra in particolare un'evoluzione del modo in cui viene compresa la volontà salvifica universale di Dio. La tradizione teologica del passato (antichità, Medioevo, inizio dei tempi moderni), e in particolare la tradizione agostiniana, spesso presenta quella che, in confronto ai moderni sviluppi teologici, potrebbe apparire come una concezione «restrittiva» dell'universalità della volontà salvifica di Dio [63]. Nella ricerca teologica, soltanto in tempi relativamente recenti la volontà divina di salvare viene percepita come «quantitativamente» universale. A livello del Magistero, questa piú ampia percezione è stata affermata progressivamente. Senza cercare di fissare date precise, possiamo osservare che è apparsa in modo netto nel XIX secolo, soprattutto nel magistero di Pio IX sulla possibile salvezza di coloro che, senza loro colpa, sono nell'ignoranza della fede cattolica: coloro che «conducono una vita onesta e retta possono con l'aiuto della luce e grazia divina conseguire la vita eterna, giacché Dio, il quale perfettamente vede, scruta e conosce le menti, gli animi, i pensieri e il comportamento di tutti, non permette per sua somma bontà e clemenza che sia punito con gli eterni supplizi chi non è reo di colpa volontaria» [64]. Una tale integrazione e maturazione della dottrina cattolica aveva nel frattempo suscitato una nuova riflessione sulle possibili vie di salvezza per i bambini non battezzati.

34. Nella tradizione della Chiesa, l'affermazione che i bambini morti senza Battesimo sono privati della visione beatifica è stata per lungo tempo «dottrina comune». Essa era fondata su un certo modo di riconciliare i princípi recepiti della rivelazione, ma non possedeva la certezza di un'affermazione di fede, o la medesima certezza di altre affermazioni che non avrebbero potuto essere respinte senza negare un dogma divinamente rivelato o un insegnamento proclamato da un atto definitivo del Magistero. Lo studio della storia della riflessione della Chiesa su questo tema mette in evidenza la necessità di fare alcune distinzioni. In questa ricapitolazione distinguiamo innanzitutto le affermazioni di fede e ciò che attiene alla fede; in secondo luogo, la dottrina comune; e in terzo luogo, l'opinione teologica.

35. a) L'argomentazione dei pelagiani secondo la quale i bambini non battezzati hanno accesso alla «vita eterna» deve essere considerata contraria alla fede cattolica.

36. b) L'affermazione che «la pena del peccato originale è la mancanza della visione beatifica», formulata da Innocenzo III [65], attiene alla fede: il peccato originale è di per sé un impedimento alla visione beatifica. È necessaria la grazia per essere purificati dal peccato originale e per essere elevati alla comunione con Dio, cosí da poter entrare nella vita eterna e godere della visione di Dio. Storicamente, la dottrina comune ha applicato questa affermazione alla sorte dei bambini non battezzati e ha concluso che essi sono privi della visione beatifica. Tuttavia l'insegnamento di Papa Innocenzo III, nel suo contenuto di fede, non significa necessariamente che i bambini che muoiono senza il Battesimo sacramentale sono privati della grazia e condannati alla perdita della visione beatifica; ci consente di sperare che Dio, che vuole che tutti siano salvi, offra qualche rimedio misericordioso affinché possano essere purificati dal peccato originale e accedere alla visione beatifica.

37. c) Nei documenti del Magistero del Medioevo, il riferimento all'esistenza di «pene diverse» per coloro che muoiono in peccato mortale attuale o col solo peccato originale («Le anime di coloro che muoiono in peccato mortale, o con il solo peccato originale, subito discendono all'inferno, anche se punite con pene differenti») [66] deve essere interpretato alla luce dell'insegnamento comune dell'epoca. Storicamente queste affermazioni sono state certamente applicate ai bambini non battezzati, con la conclusione che essi subiscono una pena per il peccato originale. Occorre osservare, tuttavia, che, in linea generale, questi pronunciamenti della Chiesa non vertevano tanto sull'assenza di salvezza per i bambini non battezzati, quanto piuttosto sull'immediatezza del giudizio particolare dopo la morte e l'assegnazione delle anime al cielo o all'inferno. Queste affermazioni magisteriali non ci obbligano a pensare che questi bambini muoiano necessariamente col peccato originale e che, quindi, per loro non esista alcuna via di salvezza.

38. d) La bolla Auctorem fidei di Papa Pio VI non è una definizione dogmatica dell'esistenza del limbo: si limita a respingere l'accusa giansenista secondo la quale il «limbo» insegnato dai teologi scolastici era identico alla «vita eterna» promessa dagli antichi pelagiani ai bambini non battezzati. Pio VI non ha condannato i giansenisti perché negavano il limbo, ma perché sostenevano che i difensori del limbo erano colpevoli dell'eresia pelagiana. Sostenendo la libertà da parte delle scuole cattoliche di proporre soluzioni diverse al problema della sorte dei bambini non battezzati, la Santa Sede difendeva l'insegnamento comune in quanto opzione accettabile e legittima, senza farlo proprio.

39. e) L'«Allocuzione alle ostetriche italiane» di Pio XII [67], in cui si afferma che «non c'è altro mezzo per comunicare questa vita [soprannaturale] al bambino, che non ha ancora l'uso della ragione», ha espresso la fede della Chiesa in merito alla necessità della grazia per conseguire la visione beatifica e la necessità del Battesimo come mezzo per ricevere tale grazia [68]. La precisazione che i bambini in tenera età (al contrario degli adulti) non sono in grado di agire per proprio conto, sono cioè incapaci di un atto di ragione e di libertà che potrebbe «supplire» al Battesimo, non ha costituito un pronunciamento sul contenuto delle teorie teologiche dell'epoca e non ha precluso la ricerca teologica di altre vie di salvezza. Pio XII ha piuttosto ricordato i confini entro i quali doveva collocarsi il dibattito e ha riaffermato con fermezza l'obbligo morale di amministrare il Battesimo ai bambini in pericolo di morte.

40. In sintesi: l'affermazione che i bambini che muoiono senza Battesimo subiscono la privazione della visione beatifica è stata per molto tempo dottrina comune della Chiesa, che è cosa distinta dalla fede della Chiesa. Quanto alla teoria che la privazione della visione beatifica è l'unica pena di questi bambini, a esclusione di qualsiasi altro patimento, questa è un'opinione teologica, nonostante la sua lunga diffusione in Occidente. La particolare tesi teologica concernente una «felicità naturale» talora attribuita a questi bambini costituisce analogamente un'opinione teologica.

41. Ne consegue dunque che, oltre alla teoria del limbo (che rimane un'opinione teologica possibile), possono esserci altre vie che integrano e salvaguardano i princípi di fede fondati nella Scrittura: la creazione dell'essere umano in Cristo e la sua vocazione alla comunione con Dio; la volontà salvifica universale di Dio; la trasmissione e le conseguenze del peccato originale; la necessità della grazia per entrare nel regno di Dio e conseguire la visione di Dio; l'unicità e universalità della mediazione salvifica di Gesú Cristo; e la necessità del Battesimo per la salvezza. Queste altre vie non si raggiungono modificando i princípi di fede, o elaborando teorie ipotetiche; piuttosto cercano un'integrazione e una riconciliazione coerente dei princípi della fede sotto la guida del Magistero ecclesiale, attribuendo un maggior peso alla volontà salvifica universale di Dio e alla solidarietà in Cristo (cfr. Gaudium et spes 22), per motivare la speranza che i bambini che muoiono senza Battesimo possano godere della vita eterna nella visione beatifica. Seguendo un principio metodologico per cui ciò che è meno noto deve essere studiato alla luce di ciò che è meglio conosciuto, il punto di partenza di un'indagine sulla sorte di questi bambini sembrerebbe essere la volontà salvifica di Dio, la mediazione di Cristo e il dono dello Spirito Santo, nonché la considerazione della condizione dei bambini che ricevono il Battesimo e sono salvati mediante l'azione della Chiesa in nome di Cristo. La sorte dei bambini non battezzati resta comunque un caso limite nella ricerca teologica: i teologi dovrebbero tenere presente la prospettiva apofatica dei Padri greci.

 

 

2. «Inquirere vias Domini»: Indagare le vie di Dio.

Princípi teologici

42. Poiché sul tema oggetto del nostro studio nessuna risposta esplicita proviene dalla Rivelazione cosí com'è contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, i credenti devono ricorrere ad alcuni princípi teologici soggiacenti che la Chiesa, e specificamente il Magistero, custode del deposito della fede, ha articolato con l'assistenza dello Spirito Santo. Come afferma il Concilio Vaticano II: «Esiste un ordine o "gerarchia" nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana» (Unitatis redintegratio 11). In definitiva nessun essere umano può salvare se stesso. La salvezza proviene soltanto da Dio Padre per mezzo di Gesú Cristo nello Spirito Santo. Questa verità fondamentale (della «necessità assoluta» dell'atto salvifico di Dio verso gli esseri umani) si dipana nella storia attraverso la mediazione della Chiesa e il suo ministero sacramentale. L'ordo tractandi che adotteremo qui segue l'ordo salutis, con un'unica eccezione: abbiamo posto la dimensione antropologica tra quella trinitaria e quella ecclesiologico-sacramentale.

 

 

2.1 La volontà salvifica universale di Dio realizzata attraverso l'unica mediazione di Gesú Cristo nello Spirito Santo

43. Nel contesto della discussione sulla sorte di quei bambini che muoiono senza Battesimo, il mistero della volontà salvifica universale di Dio è un principio centrale e fondamentale. La profondità di questo mistero si rispecchia nel paradosso dell'amore divino che è manifestato in modo sia universale sia preferenziale.

44. Nell'Antico Testamento, Dio viene chiamato il salvatore del popolo di Israele (cfr. Es 6,6; Dt 7,8; 13,5; 32,15; 33,29; Is 41,14; 43,14; 44,24; Sal 78; 1Mac 4,30). Tuttavia il suo amore preferenziale per Israele ha una portata universale, che si estende alle singole persone (cfr. 2 Sam 22,18.44.49; Sal 25,5; 27,1) e a tutti gli esseri umani: «Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata» (Sap 11,24). Attraverso Israele troveranno la salvezza le nazioni pagane (cfr. Is 2,1-4; 42,1; 60,1-14). «Ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino alle estremità della terra» (Is 49,6).

45. Questo amore preferenziale e universale di Dio è intimamente connesso con Gesú Cristo; si realizza in Lui, che è l'unico Salvatore di tutti (cfr. At 4,12), ma in particolare di chiunque si faccia piccolo o umile (tapeinōsei) come i «piccoli». Effettivamente Gesú, egli stesso mite e umile di cuore (cfr. Mt 11,29), ha con loro una misteriosa affinità e solidarietà (cfr. Mt 18,3-5; 10,40-42; 25,40.45). Gesú afferma che la cura di questi piccoli è affidata agli angeli di Dio (cfr. Mt 18,10). «Cosí il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14). Questo mistero della sua volontà, secondo il beneplacito del Padre [69], è rivelato attraverso il Figlio [70] ed elargito per mezzo del dono dello Spirito Santo [71].

46. L'universalità della grazia salvifica di Dio Padre, cosí com'è realizzata per mezzo della mediazione unica e universale di suo Figlio Gesú Cristo, viene espressa con forza nella Prima Lettera a Timoteo: «Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole (thelei) che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesú, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti» (1Tm 2,3-6). La ripetizione enfatica di «tutti» (vv. 1, 4, 6) e la giustificazione di questa universalità sulla base dell'unicità di Dio e del suo mediatore che è Egli stesso uomo fanno ritenere che nessuno sia escluso da questa volontà salvifica. Nella misura in cui è oggetto della preghiera (cfr. 1Tm 2,1), questa volontà salvifica (thelema) si riferisce a una volontà che è sincera da parte di Dio, ma a cui, talvolta, gli esseri umani resistono [72]. Dobbiamo quindi pregare il nostro Padre celeste che si faccia la sua volontà (thelema) cosí in cielo come in terra (cfr. Mt 6,10).

47. Il mistero di questa volontà, rivelato a Paolo «l'infimo fra tutti i santi» (Ef 3,8), ha le sue radici nel progetto del Padre di rendere il suo Figlio non solo «il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), ma anche «generato prima di ogni creatura [...] e il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (Col 1,15.18). Questa rivelazione ci permette di scoprire nella mediazione del Figlio le dimensioni universale e cosmica, che superano ogni divisione (cfr. Gaudium et spes 13). Con riferimento alla universalità del genere umano, la mediazione del Figlio supera

I) le varie divisioni culturali, sociali e di genere: «Non c'è piú giudeo né greco; non [...] piú schiavo né libero; non [...] piú uomo né donna» (Gal 3,28); e

II) le divisioni causate dal peccato, sia interne (cfr. Rm 7) sia interpersonali (cfr. Ef 2,14): «Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, cosí anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19). Con riferimento alle divisioni cosmiche, Paolo spiega: «Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,19-20). Troviamo riunite entrambe queste dimensioni nella Lettera agli Efesini (1,7-10): «Abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati [...] secondo quanto aveva in lui prestabilito [...]: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra».

48. Certamente non vediamo ancora la realizzazione di questo mistero di salvezza, «poiché nella speranza noi siamo stati salvati» (Rm 8,24). Questa è infatti la testimonianza dello Spirito Santo, il quale al tempo stesso incoraggia i cristiani a pregare e a sperare nella risurrezione finale: «Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. [...] Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,22-23.26). Quindi i gemiti dello Spirito non solo aiutano le nostre preghiere, ma racchiudono, per cosí dire, le sofferenze di tutti gli adulti, di tutti i bambini e della creazione intera [73].

49. Il Sinodo di Quiercy (853) afferma: «Dio onnipotente "vuole che tutti gli esseri umani" senza eccezione "siano salvati" [1Tm 2,4]; tuttavia non tutti vengono salvati. Che alcuni vengano salvati è dono di Colui che salva; che alcuni invece si perdano, è colpa di coloro che si perdono» [74]. Mettendo in evidenza le implicazioni positive di questa dichiarazione circa la solidarietà universale di tutti nel mistero di Gesú Cristo, il Sinodo afferma inoltre: «Come non c'è, c'è stato o ci sarà uomo alcuno, la cui natura non sia stata assunta da Gesú Cristo, Signore nostro, cosí non c'è uomo alcuno, non c'è stato e non ci sarà, per il quale Egli non abbia sofferto; tuttavia non tutti vengono redenti dal mistero del suo patire» [75].

50. Questa convinzione cristocentrica ha trovato espressione in tutta la tradizione cattolica. Sant'Ireneo, ad esempio, cita il testo paolino, affermando che Cristo verrà di nuovo per «ricapitolare in lui tutte le cose» (Ef 1,10), perché ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesú Cristo è il Signore [76]. Da parte sua san Tommaso d'Aquino, basandosi ancora una volta sul testo paolino, afferma: «Cristo è il mediatore perfetto tra Dio e gli esseri umani, poiché ha riconciliato per mezzo della sua morte il genere umano con Dio» [77].

51. I documenti del Vaticano II non solo citano il testo paolino nella sua interezza (cfr. Lumen gentium 60; Ad gentes 7), ma vi si riferiscono (cfr. Lumen gentium 49) e inoltre utilizzano ripetutamente la designazione Unicus Mediator Christus (Lumen gentium 8, 14, 62). Questa affermazione chiave della fede cristologica trova anche espressione nel Magistero pontificio post-conciliare: «"In nessun altro c'è salvezza: non c'è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12). Questa affermazione [...] ha un valore universale, poiché per tutti [...] la salvezza non può venire che da Gesú Cristo» [78].

52. La dichiarazione Dominus Iesus riporta in breve la convinzione e l'atteggiamento della Chiesa Cattolica: «Deve essere, quindi, fermamente creduto come verità di fede cattolica che la volontà salvifica universale di Dio Uno e Trino è offerta e compiuta una volta per sempre nel mistero dell'Incarnazione, Morte e Risurrezione del Figlio di Dio» [79].

 

 

2.2 L'universalità del peccato e la necessità universale della salvezza

53. La volontà salvifica universale di Dio attraverso la mediazione di Gesú Cristo, in un misterioso rapporto con la Chiesa, è rivolta a tutti gli esseri umani, i quali, secondo la fede della Chiesa, sono peccatori bisognosi di salvezza. Già nell'Antico Testamento in quasi ogni libro viene menzionata la natura pervasiva del peccato umano. Il libro della Genesi afferma che il peccato non ha avuto origine da Dio, ma dagli esseri umani, perché Dio ha creato ogni cosa e ha visto che era buona (cfr. Gn 1,31). Dal momento in cui il genere umano ha cominciato a moltiplicarsi sulla terra, Dio ha dovuto fare i conti con la peccaminosità degli esseri umani: «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male». Persino «si pentí di aver fatto l'uomo sulla terra» e ordinò un diluvio che distruggesse ogni essere vivente, con l'eccezione di Noè, che aveva trovato grazia ai suoi occhi (cfr. Gn 6,5-7). Ma nemmeno il diluvio modificò l'inclinazione umana al peccato: «Non maledirò piú il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza» (Gn 8,21). Gli autori dell'Antico Testamento erano convinti che il peccato fosse profondamente radicato e diffuso nell'umanità (cfr. Pr 20,9; Qo 7,20.29). Sono dunque frequenti le suppliche per ottenere l'indulgenza di Dio, come nel Salmo 143,2: «Non chiamare in giudizio il tuo servo: nessun vivente davanti a te è giusto», o nella preghiera di Salomone: «Quando peccheranno contro di te, poiché non c'è nessuno che non pecchi, [...] se torneranno a te con tutto il cuore e tutta l'anima [...], tu ascolta dal cielo, luogo della tua dimora, la loro preghiera [...] e perdona al tuo popolo che ha peccato contro di te» (1Re 8,46.48-50). In alcuni testi l'uomo è dichiarato peccatore sin dalla nascita. Dichiara il salmista: «Ecco nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre» (Sal 51,7). E l'affermazione di Elifaz: «Che cos'è l'uomo perché si ritenga puro, perché si dica giusto un nato di donna?» (Gb 15,14; cfr. 25,4) è in accordo con le convinzioni dello stesso Giobbe (cfr. Gb 14,1.4) e degli altri autori biblici (cfr. Sal 58,3; Is 48,8). Nella letteratura sapienziale c'è persino un inizio di riflessione sugli effetti del peccato dei progenitori, Adamo e Eva, su tutto il genere umano: «Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono» (Sap 2,24); «Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo» (Sir 25,24) [80].

54. Per Paolo l'universalità della redenzione operata da Gesú Cristo trova il suo corrispettivo nell'universalità del peccato. Quando Paolo afferma nella sua Lettera ai Romani «che Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato» (Rm 3,9) [81] e che nessuno può essere escluso da questa sentenza universale, naturalmente si basa sulla Scrittura: «Come sta scritto: "Non c'è nessun giusto, nemmeno uno, non c'è sapiente, non c'è chi cerchi Dio! Tutti hanno traviato e si sono pervertiti; non c'è chi compia il bene, non ce n'è neppure uno"» (Rm 3,10-12, che cita Qo 7,20 e Sal 14,1-3, che è identico a Sal 53,1-3). Da una parte, tutti gli esseri umani sono peccatori e bisognosi di essere liberati mediante la morte e la risurrezione redentrici di Gesú Cristo, nuovo Adamo; non le opere della legge, ma soltanto la fede in Gesú Cristo può salvare gli uomini, siano essi Ebrei o Gentili. D'altra parte, la condizione di peccato dell'umanità è legata al peccato del primo uomo, Adamo. Questa solidarietà con il primo uomo, Adamo, è enunciata in due testi paolini: 1Cor 15,21 e in particolare Rm 5,12: «Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, cosí anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché [gr. eph'hō: altre possibili traduzioni "per il fatto che" o "col risultato che"] [82] tutti hanno peccato...». In questo anacoluto, la causalità primordiale della condizione di peccato e di morte dell'umanità viene attribuita a Adamo, comunque venga interpretata l'espressione eph'hō. La causalità universale del peccato di Adamo è presupposta in Rm 5,5a, 16a, 17a, 18a, ed esplicitata in 5,19a: «per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori». Paolo, tuttavia, non spiega mai come venga trasmesso il peccato di Adamo. Contro Pelagio, che pensava che Adamo avesse influenzato l'umanità dandole un cattivo esempio, Agostino obiettava che il peccato di Adamo veniva trasmesso per propagazione o eredità, portando cosí alla sua espressione classica la dottrina del «peccato originale» [83]. Sotto l'influenza di Agostino, la Chiesa d'Occidente ha quasi unanimemente interpretato Rm 5,12 nel senso di una ereditarietà del «peccato» [84].

55. In seguito a ciò il Concilio di Trento, nella sua V Sessione, ha definito: «Se qualcuno afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perse soltanto per sé, e non anche per noi, la santità e la giustizia ricevute da Dio; o che egli, corrotto dal peccato di disobbedienza, trasmise a tutto il genere umano "solo la morte" e le pene del corpo, e non anche il peccato, che è la morte dell'anima: sia anatema. Contraddice infatti all'apostolo, che afferma: "A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, cosí anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché in lui tutti hanno peccato" [Rm 5,12 Vulg.]» [85].

56. Come leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «La dottrina del peccato originale è, per cosí dire, il "rovescio" della Buona Novella che Gesú è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo» [86].

 

 

2.3 La necessità della Chiesa

57. La tradizione cattolica ha costantemente affermato che la Chiesa è necessaria alla salvezza in quanto mediazione storica dell'opera redentrice di Gesú Cristo. Questa convinzione ha trovato la sua espressione classica nell'adagio di san Cipriano: «Salus extra Ecclesiam non est» [87]. Il Concilio Vaticano II ha ribadito questa affermazione di fede: «Appoggiandosi sulla sacra Scrittura e sulla Tradizione, [il Concilio] insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Soltanto il Cristo, infatti, presente per noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli, inculcando espressamente la necessità della fede e del Battesimo (cfr. Mc 16,16; Gv 3,5), ha insieme confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il Battesimo come per la porta. Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesú Cristo come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare» (Lumen gentium 14). Il Concilio si è piú volte soffermato sul mistero della Chiesa: «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima comunione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium 1); «Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, cosí pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza» (Lumen gentium 8). «Risorgendo dai morti (cfr. Rm 6,9) [Cristo] immise negli apostoli il suo Spirito vivificatore, per mezzo del quale costituí il suo corpo, che è la Chiesa, come un sacramento universale di salvezza» (Lumen gentium 48). Ciò che colpisce in queste citazioni è la portata universale del ruolo di mediazione che svolge la Chiesa nel dispensare la salvezza di Dio: «l'unità di tutto il genere umano», «salvezza di [tutti] gli uomini», «sacramento universale di salvezza».

58. Di fronte a nuovi problemi e situazioni e ad una interpretazione esclusiva dell'adagio: «salus extra ecclesiam non est» [88], negli ultimi tempi il Magistero ha articolato una comprensione piú sfumata del modo in cui può essere realizzata una relazione salvifica con la Chiesa. L'allocuzione di Papa Pio IX, Singulari Quadam (1854), espone con chiarezza questa problematica: «A motivo della fede si deve, è vero, tenere saldo che al di fuori della Chiesa apostolica romana nessuno può essere salvato, in quanto essa è l'unica arca della salvezza; chi non entrerà in essa perirà nel diluvio; tuttavia però si deve ugualmente ritenere per certo che coloro che soggiacciono a mancanza di conoscenza della vera religione, se questa non può essere superata, essi davanti agli occhi del Signore non vengono implicati in colpa alcuna per questa cosa» [89].

59. Ulteriori chiarimenti ci provengono dalla Lettera del Sant'Uffizio all'Arcivescovo di Boston (1949): «Poiché non si richiede sempre, affinché uno ottenga l'eterna salvezza, che sia realmente incorporato come un membro della Chiesa, ma questo almeno è richiesto, che egli aderisca alla stessa con il voto e con il desiderio. Questo voto, poi, non è necessario che sia sempre esplicito, come accade per i catecumeni, ma dove l'uomo soffre di ignoranza invincibile, Dio accetta pure un voto implicito, chiamato con tale nome, perché è contenuto in quella buona disposizione dell'animo con la quale l'uomo vuole la sua volontà conforme alla volontà di Dio» [90].

60. La volontà salvifica universale di Dio, realizzata per mezzo di Gesú Cristo nello Spirito Santo e comprendente la Chiesa in quanto sacramento universale di salvezza, trova espressione nel Vaticano II: «Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; e alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, che dalla grazia di Dio sono chiamati alla salvezza» (Lumen gentium 13). Che la mediazione unica e universale di Gesú Cristo si realizza nel contesto di una relazione con la Chiesa è ulteriormente ribadito dal Magistero pontificio postconciliare. A proposito di coloro che non hanno avuto l'opportunità di arrivare a conoscere o accogliere la rivelazione del Vangelo, persino nel loro caso l'enciclica Redemptoris missio ha questo da dire: «La salvezza di Cristo è accessibile in virtú di una grazia che [ha] una misteriosa relazione con la Chiesa» [91].

 

 

2.4 La necessità del Battesimo sacramentale

61. Dio Padre vuole configurare tutti gli esseri umani a Cristo mediante lo Spirito Santo, che con la sua grazia li trasforma e li rafforza. Di norma questa configurazione a Gesú Cristo avviene per mezzo del Battesimo sacramentale, attraverso il quale l'essere umano è conformato a Cristo, riceve lo Spirito Santo, è liberato dal peccato e diviene membro della Chiesa.

62. Le numerose affermazioni battesimali del Nuovo Testamento, nella loro varietà, articolano le diverse dimensioni del significato del Battesimo cosí com'era compreso dalle prime comunità cristiane. In primo luogo il Battesimo viene designato come remissione dei peccati, come lavacro (cfr. Ef 5,26), o come un'aspersione che purifica il cuore da una cattiva coscienza (cfr. Eb 10,22; 1Pt 3,21). «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesú Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38; cfr. At 22,16). I battezzati vengono cosí configurati a Gesú Cristo: «Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, cosí anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).

63. Viene inoltre ripetutamente menzionata l'azione dello Spirito Santo in relazione al Battesimo (cfr. Tt 3,5). È convinzione della Chiesa che lo Spirito Santo viene impartito con il Battesimo (cfr. 1Cor 6,11; Tt 3,5). Cristo risorto agisce mediante il suo Spirito, che ci rende figli di Dio (cfr. Rm 8,14), fiduciosi di chiamare Dio Padre (cfr. Gal 4,6).

64. Abbiamo infine quelle affermazioni per cui con il Battesimo si entra a far parte del popolo di Dio, si va a formare «un solo corpo» (At 2,41). Il Battesimo produce l'incorporazione dell'essere umano nel popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio spirituale. Paolo parla di essere «battezzati per formare un solo corpo» (1Cor 12,13), Luca invece di «unirsi» alla Chiesa per mezzo del Battesimo (At 2,41). Mediante il Battesimo il credente non è soltanto un individuo, ma diventa membro del popolo di Dio. Entra a far parte della Chiesa, che Pietro chiama «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1Pt 2,9).

65. La tradizione del conferimento del Battesimo sacramentale è estesa a tutti, anche ai bambini in tenera età. Tra le testimonianze neotestamentarie del Battesimo cristiano, nel libro degli Atti vengono citati casi di battesimi di intere famiglie (cfr. At 16,15; 16,33; 18,8), in cui erano forse compresi anche i bambini. L'antica prassi del Battesimo dei bambini [92], sostenuta dai Padri e dal Magistero della Chiesa, è accettata come parte essenziale della comprensione della fede della Chiesa Cattolica. Il Concilio di Trento afferma: «Secondo la tradizione apostolica "anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere da sé alcun peccato, vengono veramente battezzati per la remissione dei peccati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione". "Se, infatti, uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio" [Gv 3,5]» [93].

66. La necessità del sacramento del Battesimo è proclamata e professata come parte integrante della comprensione cristiana della fede. Basandosi sul mandato che troviamo in Mt 28,19 ss. e Mc 16,15 e sulla prescrizione esposta in Gv 3,5 [94], sin dai primissimi tempi la comunità cristiana ha creduto nella necessità del Battesimo per la salvezza. Pur considerando il Battesimo sacramentale necessario in quanto mezzo ordinario stabilito da Gesú Cristo per configurare a se stesso gli esseri umani, la Chiesa non ha mai insegnato la «necessità assoluta» del Battesimo per la salvezza; esistono altre strade per cui può essere realizzata la configurazione a Cristo. Già nella prima comunità cristiana era accettato che il martirio, il «Battesimo di sangue», fosse un sostituto del Battesimo sacramentale. Era inoltre riconosciuto il Battesimo di desiderio. A questo proposito sono pertinenti le parole di Tommaso d'Aquino: «Il sacramento del Battesimo può mancare a qualcuno in due modi. Primo, sia in re sia in voto; questo accade in coloro che non sono battezzati né vogliono essere battezzati [...]. Secondo, il sacramento del Battesimo può mancare a qualcuno in re, ma non in voto [...]. Costui poi può conseguire la salvezza senza essere di fatto battezzato per il desiderio [in voto] del Battesimo [...]» [95]. Il Concilio di Trento riconosce il «Battesimo di desiderio» come mezzo per essere giustificati senza avere effettivamente ricevuto il sacramento del Battesimo: «Questo passaggio [dal peccato allo stato di grazia], dopo l'annuncio del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di ciò, come sta scritto: "Se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio [Gv 3,5]"» [96].

67. L'affermazione della fede cristiana circa la necessità del Battesimo sacramentale per la salvezza non può essere svuotata della sua significatività esistenziale riducendola a un'affermazione meramente teorica. D'altra parte deve essere parimenti rispettata la libertà di Dio riguardo ai mezzi di salvezza da Lui dati. Occorre quindi evitare qualsiasi tentativo di opporre tra di loro il Battesimo sacramentale, il Battesimo di desiderio e il Battesimo di sangue come se fossero antitetici. Non sono altro che espressioni delle polarità creative nell'ambito della realizzazione della volontà salvifica di Dio a favore dell'umanità, che comprende sia una reale possibilità di salvezza, sia un dialogo salvifico nella libertà con la persona umana. Proprio questo dinamismo spinge la Chiesa, sacramento universale di salvezza, a chiamare tutti al pentimento, alla fede e al Battesimo sacramentale. Questo dialogo nella grazia ha inizio soltanto quando la persona umana è esistenzialmente capace di una risposta nel concreto; cosa che non può dirsi dei bambini. Da qui la necessità che genitori e padrini parlino a nome del bambino che viene battezzato. Ma che cosa dire dei bambini che muoiono senza Battesimo?

 

 

2.5 Speranza e preghiera per la salvezza universale

68. I cristiani sono uomini e donne di speranza. Hanno riposto la loro speranza «nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono» (1Tm 4,10). Desiderano ardentemente che tutti gli esseri umani, compresi i bambini non battezzati, possano partecipare alla gloria di Dio e vivere insieme con Cristo (cfr. 1Ts 5,9-11; Rm 8,2-5.23-35), conformemente alla raccomandazione di Teofilatto: «Se Egli [il nostro Dio] vuole che tutti gli esseri umani siano salvi, anche tu devi volerlo e imitare Dio» [97]. Questa speranza cristiana è una speranza «contro ogni speranza» (Rm 4,18) e va ben oltre qualsiasi forma di speranza umana. Prende esempio da Abramo, nostro padre nella fede. Abramo ha riposto grande fiducia nelle promesse che Dio gli aveva fatto. Egli confidò («sperò») in Dio contro ogni umana aspettativa o evidenza («contro ogni speranza»). Cosí i cristiani, anche quando non riescono a vedere come possano essere salvati i bambini non battezzati, osano tuttavia sperare che Dio li stringerà a sé nella sua misericordia salvifica. Sono anche pronti a rispondere a chiunque chieda loro di dare ragione della speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3,15). Nell'incontrare genitori addolorati perché i loro bambini sono morti prima o dopo la nascita senza essere battezzati, si sentono spinti a spiegare per quali motivi la speranza che nutrono per la loro stessa salvezza può estendersi anche a questi neonati o bambini [98].

69. I cristiani sono uomini e donne di preghiera. Prendono a cuore l'esortazione di Paolo: «Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini» (1Tm 2,1). Questa preghiera universale è ben accetta a Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4), e alla cui potenza creativa «nulla è impossibile» (Gb 42,2; Mc 10,27; 12,24-27; Lc 1,37). Essa poggia sulla speranza che l'intera creazione parteciperà infine alla gloria di Dio (cfr. Rm 8,22-27). Una tale preghiera è in linea con l'esortazione di san Giovanni Crisostomo: «Imita Dio. Se Egli vuole che tutti siano salvi, allora è ragionevole che uno debba pregare per tutti» [99].

 

 

3. «Spes orans». Ragioni di speranza

3.1 Il nuovo contesto

70. I due capitoli precedenti, in cui si è tracciata la storia della riflessione cristiana sulla sorte dei bambini non battezzati [100] e sono stati esposti i princípi teologici attinenti a questo tema [101], hanno presentato una situazione di chiaroscuro. Da una parte, per molti aspetti, i soggiacenti princípi teologici cristiani sembrano favorire la tesi di una salvezza dei bambini non battezzati in accordo con la volontà salvifica universale di Dio. D'altra parte, tuttavia, non si può negare che per un tempo abbastanza lungo si è avuta una tradizione dottrinale (il cui valore teologico non è però definitivo) che, nell'intento di salvaguardare e di non compromettere altre verità dell'edificio teologico cristiano, ha invece espresso una certa reticenza o, addirittura, il netto rifiuto di prevedere la salvezza per questi bambini. C'è una continuità fondamentale nella riflessione della Chiesa sul mistero della salvezza di generazione in generazione sotto la guida dello Spirito Santo. In questo mistero la questione della sorte eterna dei bambini che muoiono senza Battesimo è «una delle piú difficili da risolvere nella sintesi teologica» [102]. È un «caso limite» dove facilmente potrebbe sembrare che esista una tensione tra alcuni princípi vitali della fede, in particolar modo la necessità del Battesimo per la salvezza, e la volontà salvifica universale di Dio. Con pieno rispetto per la sapienza e la fedeltà di coloro che hanno studiato in passato questa difficile questione, ma anche ben consapevoli che in certi momenti chiave della storia della dottrina [103] il Magistero della Chiesa ha optato specificatamente e forse provvidenzialmente di non dare per definito che questi bambini sono privati della visione beatifica, ma di lasciare aperta la questione, abbiamo considerato come lo Spirito sta forse guidando la Chiesa nell'attuale momento storico per riflettere nuovamente su questo tema particolarmente delicato (cfr. Dei Verbum 8).

71. Il Concilio Vaticano II ha chiamato la Chiesa a leggere i segni dei tempi e ad interpretarli alla luce del Vangelo (cfr. Gaudium et spes 4 e 11), «perché la verità rivelata sia capita sempre piú a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma piú adatta» (Gaudium et spes 44). In altre parole, la Chiesa, che è il corpo di Cristo, trova sempre nel coinvolgimento con questo mondo, per il quale Cristo ha sofferto, è morto ed è risorto, l'occasione per una conoscenza piú approfondita del Signore stesso e del suo amore, e anche di se stessa, l'occasione di una maggiore comprensione del messaggio di salvezza ad essa affidato. È possibile individuare diversi segni dei nostri tempi moderni che spingono a una rinnovata consapevolezza di alcuni aspetti del Vangelo che hanno particolare rilevanza per il nostro tema. Per certi versi ci viene cosí offerto un nuovo contesto in cui tale tema può essere riesaminato all'inizio del XXI secolo.

72. a) La guerra e i disordini del XX secolo, e l'anelito dell'umanità alla pace e all'unità, dimostrato dalla istituzione, ad esempio, dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e dell'Unione Africana, hanno aiutato la Chiesa a capire meglio l'importanza del tema della comunione nel messaggio evangelico e quindi a elaborare una ecclesiologia di comunione (cfr. Lumen gentium 4 e 9; Unitatis redintegratio 2; Gaudium et spes 12 e 24).

73. b) Molte persone si trovano oggi a combattere contro la tentazione della disperazione. Questa crisi di speranza nel mondo contemporaneo conduce la Chiesa a un maggiore apprezzamento della speranza che è nel cuore del Vangelo cristiano: «Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione» (Ef 4,4). I cristiani sono oggi particolarmente chiamati ad essere testimoni e ministri della speranza nel mondo (cfr. Lumen gentium 48-49; Gaudium et spes 1). La Chiesa nella sua universalità e cattolicità è portatrice di una speranza che si estende all'umanità intera, e i cristiani hanno la missione di offrire a tutti questa speranza.

74. c) Lo sviluppo delle comunicazioni su scala globale, che ci rappresentano in tutta la loro drammaticità le sofferenze del mondo, ha costituito per la Chiesa un'occasione per comprendere piú profondamente l'amore, la misericordia e la compassione di Cristo, e per un apprezzamento del primato della carità. Dio è misericordioso e, di fronte all'immensità del dolore del mondo, impariamo a confidare in Dio e a glorificare «Colui che in tutto ha potere di fare molto piú di quanto possiamo domandare o pensare» (Ef 3,20).

75. d) Ovunque le persone sono scandalizzate dalle sofferenze dei bambini e vogliono che ai bambini venga data la possibilità di realizzare pienamente le loro potenzialità [104]. In tale contesto la Chiesa naturalmente richiama e nuovamente riflette sui diversi testi neotestamentari che esprimono l'amore preferenziale di Gesú: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli» (Mt 19,14; cfr. Lc 18,15-16); «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me» (Mc 9,37); «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3); «Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il piú grande nel regno dei cieli» (Mt 18,4); «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina [...] e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt 18,6); «Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10). La Chiesa rinnova dunque il proprio impegno a dimostrare l'amore e la sollecitudine che Cristo stesso ha avuto per i bambini (cfr. Lumen gentium 11; Gaudium et spes 48 e 50).

76. e) La diffusione dei viaggi e i piú frequenti contatti tra persone di fede diversa, nonché il notevole sviluppo del dialogo interreligioso, hanno incoraggiato la Chiesa a elaborare una maggiore consapevolezza delle molteplici e misteriose vie di Dio (cfr. Nostra aetate 1-2), e della sua stessa missione in questo ambito.

77. Lo sviluppo di una ecclesiologia di comunione e di una teologia della speranza, l'apprezzamento della misericordia divina, insieme a un rinnovato interessamento al benessere dei bambini e ad una crescente consapevolezza di come lo Spirito Santo operi nell'esistenza di ognuno «nel modo che Dio conosce» (Gaudium et spes 22), tutti questi elementi che caratterizzano l'epoca moderna concorrono a formare un nuovo contesto per lo studio del nostro tema. Questo potrebbe essere un momento provvidenziale per un tale riesame. Mediante la grazia dello Spirito Santo, la Chiesa, impegnandosi nel mondo di oggi, ha acquisito una piú profonda comprensione della rivelazione di Dio, in modo che la questione può ricevere oggi nuova luce.

78. La speranza è il terreno dove si collocano le nostre riflessioni e il nostro documento. La Chiesa di oggi risponde ai segni dei nostri tempi con una rinnovata speranza per il mondo in generale e, con particolare riferimento al nostro tema, per i bambini che muoiono senza Battesimo [105]. Dobbiamo qui e ora dare ragione di questa speranza (cfr. 1Pt 3,15). Negli ultimi cinquant'anni, il Magistero della Chiesa ha mostrato un'apertura crescente alla possibilità della salvezza per i bambini non battezzati, e il sensus fidelium sembra essersi sviluppato nella medesima direzione. I cristiani sperimentano costantemente, e in modo particolarmente forte nella liturgia, la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte [106], l'infinita misericordia di Dio e la comunione d'amore dei santi in cielo, e tutto ciò rafforza la nostra speranza. Nella liturgia viene continuamente rinnovata la speranza che è in noi, e che dobbiamo proclamare e spiegare; e, partendo da questa esperienza di speranza, si possono ora offrire diverse considerazioni.

79. Occorre riconoscere chiaramente che la Chiesa non ha una conoscenza certa della salvezza dei bambini che muoiono senza Battesimo. Conosce e celebra la gloria dei Santi Innocenti, ma in generale la sorte dei bambini non battezzati non ci è stata rivelata, e la Chiesa insegna e giudica soltanto in relazione a ciò che è stato rivelato. Ciò che invece sappiamo di Dio, di Cristo e della Chiesa ci dà motivo di sperare nella loro salvezza, come è necessario adesso spiegare.

 

 

3.2 La filantropia misericordiosa di Dio

80. Dio è ricco di misericordia, dives in misericordia (Ef 2,4). La liturgia bizantina rende spesso lode alla filantropia di Dio; Dio è «amante degli uomini» [107]. Inoltre il progetto dell'amore di Dio, adesso rivelato per mezzo dello Spirito, va oltre la nostra immaginazione: ciò che «ha preparato Dio per coloro che lo amano» sono «cose che occhio non vide, né orecchio udí, né mai entrarono in cuore di uomo» (1Cor 2,9-10, che cita Is 64,4). Coloro che piangono sulla sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo, soprattutto i loro genitori, sono spesso essi stessi persone che amano Dio, persone che da queste parole dovrebbero essere consolate. In particolare si possono fare le seguenti osservazioni:

81. a) La grazia di Dio raggiunge ogni essere umano e la sua provvidenza abbraccia tutti. Il Concilio Vaticano II insegna che Dio non nega «gli aiuti necessari alla salvezza» a coloro che, senza loro colpa, non sono ancora giunti a una conoscenza esplicita di Dio, ma che, con l'aiuto della grazia, «si sforzano di condurre una vita retta». Dio illumina ogni uomo «affinché abbia finalmente la vita» (cfr. Lumen gentium 16). Viene poi nuovamente affermato che la grazia «lavora invisibilmente» nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà (Gaudium et spes 22). Queste parole si applicano direttamente a coloro che hanno raggiunto l'età della ragione, e che prendono decisioni responsabili, ma difficilmente si potrà affermare che non valgono anche per i bambini. La seguente affermazione, in particolare, sembra avere una portata veramente universale: «Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina [cumque vocatio hominis ultima revera una sit, scilicet divina], perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (Gaudium et spes 22). Questa affermazione cosí profonda del Concilio Vaticano II ci porta al cuore del progetto d'amore della Santissima Trinità e sottolinea come il progetto di Dio superi l'umana comprensione.

82. b) Dio non ci chiede cose impossibili [108]. Inoltre la potenza di Dio non è limitata ai sacramenti: «Deus virtutem suam non alligavit sacramentis quin possit sine sacramentis effectum sacramentorum conferre» (Dio non lega la sua potenza ai sacramenti, cosí che può conferire l'effetto dei sacramenti senza sacramenti) [109]. Dio può quindi dare la grazia del Battesimo senza che venga amministrato il sacramento, un fatto, questo, che dovrebbe essere ricordato particolarmente quando il conferimento del Battesimo risultasse impossibile. La necessità del sacramento non è assoluta. Ciò che è assoluto è la necessità per l'umanità dell'Ursakrament che è Cristo stesso. Ogni salvezza ci viene da lui e quindi, in qualche modo, attraverso la Chiesa [110].

83. c) In ogni momento e in ogni circostanza Dio offre un rimedio di salvezza per l'umanità [111]. Cosí ha insegnato Tommaso d'Aquino [112], e prima di lui Agostino [113] e Leone Magno [114]. Troviamo questo medesimo insegnamento anche nel Caietano [115]. Papa Innocenzo III si è particolarmente soffermato sulla situazione dei bambini: «Non è pensabile infatti che vadano perduti tutti i bambini piccoli, di cui muore ogni giorno una cosí grande moltitudine, senza che Dio misericordioso, che non vuole che alcuno perisca, non abbia procurato anche per loro un qualche rimedio per la salvezza. [...] Noi diciamo, operando una distinzione, che c'è un duplice peccato, quello originale cioè e quello attuale: il peccato originale che è contratto senza il consenso, e quello attuale che è commesso in virtú del consenso. Il peccato originale quindi, che è contratto senza il consenso, senza il consenso è rimesso in forza del sacramento» [116]. Innocenzo difendeva il Battesimo dei bambini in quanto mezzo dato da Dio per i molti bambini che muoiono ogni giorno. Possiamo tuttavia domandarci, alla luce di un'applicazione piú attenta di questo medesimo concetto, se Dio non offre anche qualche rimedio per quei bambini che muoiono senza Battesimo. Non si tratta assolutamente di mettere in discussione l'insegnamento di Innocenzo, secondo il quale i bambini che muoiono nel peccato originale sono privati della visione beatifica [117]. Possiamo però domandarci, come di fatto stiamo facendo, se i bambini che muoiono senza Battesimo muoiono necessariamente nel peccato originale, senza un rimedio divino.

84. Animati dalla fiducia che in ogni circostanza Dio provvede, come potremmo immaginare un tale rimedio? Presentiamo qui di seguito alcune vie attraverso le quali i bambini che muoiono senza Battesimo possono forse essere uniti a Cristo.

85. a) In generale possiamo discernere, in quei bambini che soffrono e muoiono, una salvifica conformità a Cristo nella sua stessa morte e una intimità con Lui. Cristo stesso ha portato sulla croce il peso del peccato e della morte dell'umanità intera, e da allora in poi ogni morte e sofferenza è un combattimento contro il suo stesso nemico (cfr. 1Cor 15,26), una partecipazione alla sua battaglia, in mezzo alla quale possiamo trovarlo accanto a noi (cfr. Dn 3,24-25 [91-92]; Rm 8,31-39; 2Tm 4,17). La sua Risurrezione è la fonte della speranza dell'umanità (cfr. 1Cor 15,20); soltanto in Lui si trova la vita in abbondanza (cfr. Gv 10,10); e lo Spirito Santo offre a tutti la partecipazione al suo mistero pasquale (cfr. Gaudium et spes 22).

86. b) Alcuni dei bambini che soffrono e muoiono sono vittime della violenza. Nel loro caso, avendo come riferimento l'esempio dei Santi Innocenti, possiamo ravvisare una analogia con il Battesimo di sangue che reca la salvezza. Anche se inconsapevolmente, i Santi Innocenti hanno sofferto e sono morti per Cristo; i loro carnefici erano mossi dall'intento di uccidere il Bambino Gesú. Proprio come coloro che hanno tolto la vita ai Santi Innocenti erano spinti dalla paura e dall'egoismo, cosí la vita dei bambini di oggi, in particolar modo quelli ancora nel grembo materno, è spesso messa in pericolo dalla paura e dall'egoismo altrui. In questo senso si trovano in una condizione di solidarietà con i Santi Innocenti. Non solo, sono anche in una situazione di solidarietà con il Cristo che ha detto: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli piú piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). È vitale che la Chiesa proclami la speranza e la generosità che sono intrinseche al Vangelo ed essenziali per la tutela della vita.

87. c) È anche possibile che Dio semplicemente agisca per dare il dono della salvezza ai bambini non battezzati in analogia al dono della salvezza dato sacramentalmente ai bambini battezzati [118]. Possiamo forse paragonare un caso del genere al dono immeritato che Dio fa a Maria nel momento della sua Immacolata Concezione, attraverso la quale Egli semplicemente agisce per donarle anticipatamente la grazia della salvezza in Cristo.

 

 

3.3 Solidarietà con Cristo

88. Esiste una fondamentale unità e solidarietà tra Cristo e l'intero genere umano. Con la sua Incarnazione, il Figlio di Dio si è unito, in certo modo (quodammodo), a ogni essere umano (Gaudium et spes 22) [119]. Non esiste quindi nessuno che non sia toccato dal mistero del Verbo fatto carne. L'umanità, e persino l'intera creazione, sono state oggettivamente cambiate per il fatto stesso dell'Incarnazione, e oggettivamente salvate per mezzo della sofferenza, della morte e della risurrezione di Cristo [120]. Tuttavia di questa salvezza oggettiva occorre appropriarsi soggettivamente (cfr. At 2,37-38; 3,19), di norma tramite l'esercizio personale del libero arbitrio a favore della grazia negli adulti, con o senza il Battesimo sacramentale, o ricevendo il Battesimo sacramentale nel caso dei bambini. La situazione dei bambini non battezzati è problematica proprio perché si presume che manchi in loro il libero arbitrio [121]. Si pone quindi l'interrogativo della relazione tra la salvezza oggettiva ottenuta da Cristo e il peccato originale, e anche quale portata abbia esattamente il termine conciliare quodammodo.

89. Cristo è vissuto, è morto ed è risorto per tutti. L'insegnamento di Paolo è che «nel nome di Gesú ogni ginocchio si pieghi [...] e ogni lingua proclami che Gesú Cristo è il Signore» (Fil 2,10-11); «Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi»; «Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio» (Rm 14,9-11). Similmente l'insegnamento di Giovanni sottolinea che «il Padre non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre» (Gv 5,22-23); «Tutte le creature della terra e del cielo, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano "A Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli!"» (Ap 5,13).

90. La Scrittura mette in relazione l'umanità intera senza eccezioni a Cristo. Uno dei principali punti di debolezza della teoria tradizionale del limbo è che non è chiaro se le anime abbiano o meno un rapporto con Cristo; sembra carente il cristocentrismo di questa dottrina. Secondo alcune versioni, le anime del limbo sembrano possedere una felicità naturale che è di ordine diverso rispetto all'ordine soprannaturale nel quale le persone hanno scelto a favore o contro Cristo. Parrebbe che sia questo il caso della dottrina di Tommaso d'Aquino, anche se Suárez e gli scolastici successivi hanno sottolineato che Cristo restaura la natura umana (la sua è una gratia sanans, che risana la natura umana), rendendo cosí possibile la felicità molto naturale che l'Aquinate attribuiva alle anime del limbo. La grazia di Cristo era quindi implicita nella dottrina di Tommaso d'Aquino, anche se non sviluppata. Gli scolastici successivi hanno quindi ravvisato tre possibili esiti (quanto meno in pratica, anche se di per sé avrebbero potuto accettare soltanto due destini possibili: l'inferno e il paradiso) e hanno compreso, a differenza di Agostino, che era per la grazia di Cristo che i numerosi bambini del limbo risiedevano lí e non all'inferno!

91. Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia! Cosí proclama la Scrittura, ma il concetto di limbo sembra limitare questa sovrabbondanza. «Il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di piú la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesú Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini»; «Come per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, cosí anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita»; «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,15.18.20). «Come tutti muoiono in Adamo, cosí tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22). È vero che la Scrittura ci parla della nostra solidarietà nel peccato con Adamo, ma questo è lo sfondo sul quale si colloca l'insegnamento della nostra solidarietà salvifica in Cristo. «La dottrina del peccato originale è, per cosí dire, "il rovescio" della Buona Novella che Gesú è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo» [122]. In molte interpretazioni tradizionali del peccato e della salvezza (e del limbo) si è posto l'accento piú sulla solidarietà con Adamo che non con Cristo, o quanto meno si è presentata una concezione restrittiva delle vie attraverso le quali gli esseri umani beneficiano della solidarietà con Cristo. Questa sembra essere stata una caratteristica, in particolare, del pensiero di Agostino [123]: Cristo salva pochi eletti dalla massa dei dannati in Adamo. L'insegnamento di san Paolo ci spinge a riequilibrare questa posizione e a mettere al centro l'umanità in Cristo salvatore, a cui tutti, in qualche modo, sono uniti [124]. «Egli è "l'immagine del Dio invisibile" [125], è l'uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime» (Gaudium et spes 22). Desideriamo sottolineare che la solidarietà dell'umanità con Cristo (o piú precisamente la solidarietà di Cristo con l'umanità) deve avere priorità sulla solidarietà con Adamo, ed è in tale ottica che deve essere affrontato il tema della sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo.

92. «Egli è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili [...]. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose» (Col 1,15-18). Il piano di Dio è di «ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10). C'è oggi un nuovo apprezzamento del grande mistero cosmico della comunione in Cristo, che rappresenta in effetti il contesto fondamentale in cui collocare il nostro tema.

93. Ciò nonostante gli esseri umani hanno ricevuto il dono della libertà, e la libera accettazione di Cristo è il mezzo ordinario di salvezza; non possiamo essere salvati senza una nostra adesione e certamente non contro la nostra volontà. Ogni essere umano adulto, in modo esplicito o implicito, prende una decisione rispetto a Cristo, che a lui si è unito (cfr. Gaudium et spes 22). Secondo alcuni teologi il decidersi a favore o contro Cristo è implicito in ogni scelta umana. Ma proprio l'assenza di libero arbitrio e di capacità di scelta responsabile nei bambini fa sorgere l'interrogativo di come si pongano di fronte a Cristo nel caso in cui muoiano senza Battesimo. Il fatto che i bambini possano godere della visione di Dio è riconosciuto nella prassi del loro Battesimo. La posizione tradizionale è che soltanto per mezzo del Battesimo sacramentale i bambini possono essere in una condizione di solidarietà con Cristo e quindi accedere alla visione di Dio; in assenza del Battesimo prevarrebbe la solidarietà con Adamo. Possiamo tuttavia domandarci come verrebbe modificata una tale teoria se fosse ristabilita la priorità della nostra solidarietà con Cristo (ossia della solidarietà di Cristo con noi).

94. Il Battesimo per la salvezza può essere ricevuto in re oppure in voto. Tradizionalmente si ritiene che la scelta implicita a favore di Cristo che può essere fatta da un adulto non battezzato costituisce un votum, un desiderio del Battesimo, ed è salvifica. Secondo l'interpretazione tradizionale, questa possibilità non può essere esercitata dai bambini che non hanno raggiunto l'uso del libero arbitrio. La presunta impossibilità del Battesimo in voto per i bambini è un elemento chiave dell'intera questione. Negli ultimi tempi sono stati compiuti quindi numerosissimi tentativi per valutare la possibilità di un votum nel caso di un bambino non battezzato, che potrebbe essere o un votum espresso a nome del bambino dai suoi genitori o dalla Chiesa [126], oppure forse un votum esercitato in qualche modo dallo stesso bambino [127]. La Chiesa non ha mai escluso una tale possibilità, e a nulla sono valsi i tentativi fatti per indurre il Concilio Vaticano II a pronunciarsi contro questa ipotesi, proprio perché era diffusa la consapevolezza che le indagini su questo tema non erano ancora state portate a conclusione, come era diffuso il desiderio di affidare questi bambini alla misericordia di Dio.

95. È importante riconoscere che esiste una «doppia gratuità» che ci chiama all'esistenza e, al tempo stesso, ci chiama alla vita eterna. Nonostante che sia concepibile un ordine puramente naturale, di fatto nessuna esistenza umana viene mai vissuta in un tale ordine. L'ordine attuale è soprannaturale; dal primissimo momento in cui ha inizio ogni vita umana ci vengono aperti canali di grazia. Tutti sono nati con quella umanità assunta da Cristo stesso e tutti, in ogni momento, vivono in una qualche relazione con Lui, in forma piú o meno esplicita (cfr. Lumen gentium 16) e con gradi diversi di adesione. In un tale ordine sono due gli esiti possibili di un'esistenza umana: o la visione di Dio o l'inferno (cfr. Gaudium et spes 22). Nonostante che alcuni teologi medioevali abbiano sostenuto la possibilità di un destino intermedio e naturale, guadagnatoci dalla grazia di Cristo (gratia sanans), ossia il limbo [128], noi riteniamo problematica una tale teoria e desideriamo indicare come siano possibili altre soluzioni, fondate sulla speranza di una grazia redentrice data ai bambini che muoiono senza il Battesimo e che apre loro la strada al cielo. Riteniamo che, con lo sviluppo della dottrina, la soluzione del limbo possa considerarsi superata alla luce di una maggiore speranza teologica.

 

 

3.4 La Chiesa e la comunione dei santi

96. Poiché tutti vivono in una qualche forma di relazione a Cristo (cfr. Gaudium et spes 22), e la Chiesa è il corpo di Cristo, ne consegue che in ogni momento tutti vivono in una qualche forma di relazione alla Chiesa. La Chiesa è in una profonda solidarietà o comunione con l'umanità intera (cfr. Gaudium et spes 1). Essa vive in un orientamento dinamico alla pienezza di vita con Dio in Cristo (cfr. Lumen gentium cap. 7) e vuole attirare tutti in tale pienezza di vita. La Chiesa è, in effetti, «sacramento universale di salvezza» (Lumen gentium 48; cfr. 1 e 9). La salvezza è sociale (cfr. Gaudium et spes 12), e la Chiesa già sperimenta la vita di grazia della comunione dei santi a cui tutti sono chiamati, e nella preghiera abbraccia ciascuna persona in ogni circostanza, in modo particolare nella celebrazione dell'Eucaristia. La Chiesa comprende nella propria preghiera anche i defunti adulti non cristiani e i bambini che muoiono senza Battesimo. È significativo che, successivamente al Vaticano II, si sia posto rimedio all'assenza, prima del Concilio, di preghiere liturgiche per i bambini che muoiono senza Battesimo [129]. Unita da un comune sensus fidei (cfr. Lumen gentium 12), la Chiesa si protende verso ogni persona, sapendo che tutti sono amati da Dio. Uno dei motivi per cui il Concilio Vaticano II non ha voluto insegnare che i bambini non battezzati sono definitivamente privati della visione di Dio [130] è stato che i vescovi hanno testimoniato che non era questa la fede del loro popolo; non corrispondeva al sensus fidelium.

97. San Paolo insegna che il coniuge non credente di un cristiano viene «reso santo» dal marito o dalla moglie credente, e che inoltre anche i loro figli sono «santi» (1Cor 7,14). Viene cosí illustrato mirabilmente come la santità che risiede nella Chiesa si estende alle persone che sono fuori dai suoi confini visibili, per il tramite dei legami della comunione umana, in questo caso i vincoli familiari tra marito e moglie nel matrimonio, e tra genitori e figli. San Paolo sottintende che il coniuge e il figlio di un cristiano credente hanno, in virtú del legame familiare, un qualche contatto con l'appartenenza alla Chiesa e la salvezza; la loro situazione familiare «comporta una certa introduzione nell'Alleanza» [131]. Le parole di Paolo non danno alcuna assicurazione di salvezza per il coniuge (cfr. 1Cor 7,16) o per i figli non battezzati, ma certamente, ancora una volta, offrono motivi di speranza.

98. Quando un bambino viene battezzato, non può fare personalmente una professione di fede. In quel momento sono invece i genitori e la Chiesa nel suo insieme a dare un contesto di fede all'azione sacramentale. In effetti sant'Agostino insegna che è la Chiesa a presentare il bambino per il Battesimo [132]. La Chiesa professa la sua fede e intercede con potenza per il bambino, compiendo quell'atto di fede di cui è incapace il bambino; ancora una volta sono operativi e manifesti i vincoli di comunione, sia naturali sia soprannaturali. Se un bambino non battezzato è incapace di un votum baptismi, allora, in virtú dei medesimi vincoli di comunione, la Chiesa può forse intercedere per il bambino ed esprimere a suo nome un votum baptismi efficace davanti a Dio. Inoltre la Chiesa di fatto esprime proprio un tale votum nella liturgia, per quella stessa carità verso tutti rinnovata in ogni celebrazione eucaristica.

99. Gesú ha insegnato: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5); da ciò comprendiamo la necessità del Battesimo sacramentale [133]. Similmente ha detto: «Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita» (Gv 6,53); dal che comprendiamo la necessità (strettamente correlata) dell'Eucaristia. Tuttavia, come questo secondo testo non ci conduce ad affermare che non può essere salvato chi non ha ricevuto il sacramento dell'Eucaristia, cosí non si dovrebbe dedurre dal primo testo che non può essere salvato chi non ha ricevuto il sacramento del Battesimo. Dovremmo invece arrivare alla conclusione che nessuno è salvato senza una qualche relazione al Battesimo e all'Eucaristia, e quindi alla Chiesa, che da questi sacramenti è definita. Ogni salvezza ha una qualche relazione con il Battesimo, l'Eucaristia e la Chiesa. Il principio per cui «fuori dalla Chiesa non c'è salvezza» significa che non c'è salvezza che non provenga da Cristo e che non sia ecclesiale per sua stessa natura. Analogamente, l'insegnamento della Scrittura che «senza la fede è impossibile essere graditi [a Dio]» (Eb 11,6) indica il ruolo intrinseco della Chiesa, la comunione di fede, nell'opera di salvezza. Soprattutto nella liturgia della Chiesa appare manifesto questo ruolo, in quanto la Chiesa prega e intercede per tutti, inclusi i bambini che muoiono senza Battesimo.

 

 

3.5 Lex orandi, lex credendi

100. Prima del Vaticano II, nella Chiesa latina non esisteva un rito funebre per i bambini non battezzati, che venivano sepolti in terra non consacrata. A rigore non esisteva nemmeno un rito funebre per i bambini battezzati, ma nel loro caso veniva celebrata una Messa degli Angeli, e naturalmente veniva data loro sepoltura cristiana. Grazie alla riforma liturgica successiva al Concilio, il Messale Romano dispone adesso di una Messa funebre per i bambini che muoiono senza Battesimo, e ci sono inoltre preghiere speciali nell'Ordo exsequiarum per un caso del genere. Nonostante che in entrambi i casi il tono delle preghiere sia chiaramente improntato a una grande cautela, di fatto oggi la Chiesa esprime liturgicamente la speranza nella misericordia di Dio, alla cui cura amorosa è affidato il bambino. La preghiera liturgica rispecchia e al tempo stesso dà forma al sensus fidei della Chiesa latina in relazione alla sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo: lex orandi, lex credendi. È significativo che nella Chiesa ortodossa greca sia previsto un unico rito funebre per i bambini, battezzati o meno, e la Chiesa prega per tutti i bambini defunti, affinché possano essere accolti nel seno di Abramo, dove non c'è dolore o angoscia ma soltanto la vita eterna.

101. «Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali per loro. Infatti, la grande misericordia di Dio che vuole salvi tutti gli uomini e la tenerezza di Gesú verso i bambini, che gli ha fatto dire "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite" (Mc 10,4; cfr. 1Tm 2,4), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo. Tanto piú pressante è perciò l'invito della Chiesa a non impedire che i bambini vengano a Cristo mediante il dono del santo Battesimo» [134].

 

 

3.6 Speranza

102. Nella speranza di cui la Chiesa è portatrice per l'umanità intera e che desidera nuovamente proclamare al mondo di oggi, esiste una speranza per la salvezza dei bambini che muoiono senza Battesimo? Abbiamo attentamente riesaminato questa complessa questione, con gratitudine e rispetto per le risposte date nel corso della storia della Chiesa, ma anche con la consapevolezza che spetta a noi dare una risposta coerente per il momento odierno. Riflettendo all'interno dell'unica tradizione di fede che unisce la Chiesa in tutte le epoche, e affidandoci completamente alla guida dello Spirito Santo che secondo la promessa di Gesú guida i suoi seguaci «alla verità tutta intera» (Gv 16,13), abbiamo cercato di leggere i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo. La nostra conclusione è che i molti fattori che abbiamo sopra considerato offrono seri motivi teologici e liturgici per sperare che i bambini che muoiono senza Battesimo saranno salvati e potranno godere della visione beatifica. Sottolineiamo che si tratta qui di motivi di speranza nella preghiera, e non di elementi di certezza. Vi sono molte cose che semplicemente non ci sono state rivelate (cfr. Gv 16,12). Viviamo nella fede e nella speranza nel Dio di misericordia e di amore che ci è stato rivelato in Cristo, e lo Spirito ci spinge a pregare in gratitudine e letizia incessante (cfr. 1Ts 5,18).

 

103. Ciò che ci è stato rivelato è che la via di salvezza ordinaria passa attraverso il sacramento del Battesimo. Nessuna delle considerazioni sopra esposte può essere addotta per minimizzare la necessità del Battesimo né per ritardare il rito della sua amministrazione [135]. Piuttosto, come vogliamo qui in conclusione ribadire, esistono forti ragioni per sperare che Dio salverà questi bambini, poiché non si è potuto fare ciò che si sarebbe desiderato di fare per loro, cioè battezzarli nella fede e nella vita della Chiesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

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[1] I testi biblici riportati nel documento sono tratti da La Sacra Bibbia della CEI, «editio princeps» 1971.

[2] Cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio, Città del Vaticano, 2005 [e in Civ. Catt. 2004 IV 254-286].

[3] «Betlemme, non essere triste, ma sta' di buon animo per l'uccisione dei santi bambini: poiché essi, come vittime perfette, sono stati offerti al Cristo Sovrano: per lui immolati, con lui regneranno»: Exapostilarion dell'Orthros (Mattutino) nella liturgia bizantina del 29 dicembre (Memoria dei santi bambini uccisi da Erode), in Anthologion di tutto l'anno, vol. 1, Roma, 1999, 1.199.

[4] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Pastoralis actio, n. 13, in AAS 72 (1980) 1.144.

[5] Catechismo della Chiesa Cattolica (d'ora in poi CCC), 1261.

[6] CCC 1058.

[7] CCC 1821.

[8] Cfr. Gn 22,18; Sap 8,1; At 14,17; Rm 2,6-7; 1Tm 2,4; Sinodo di Quiercy, in H. DENZINGER - A. SCHÖNMETZER (eds), Enchiridion Symbolorum Definitionum et Declarationum de rebus fidei et morum (d'ora in poi DS), Roma, 1976, 623 [la traduzione italiana è tratta sempre da H. DENZINGER, Enchiridion Symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, a cura di P. Hünermann, Bologna, 1995]; anche Nostra aetate 1.

[9] Il testo italiano dei documenti del Vaticano II è tratto da Enchiridion Vaticanum. 1. Documenti del Concilio Vaticano II. Testo ufficiale e versione italiana, Bologna, Edb, 1990.

[10] Cfr. Sinodo di Quiercy [DS 623].

[11] Cfr. D. WEAVER, «The Exegesis of Romans 5:12 among the Greek Fathers and its Implication for the Doctrine of Original Sin: The 5th - 12th Centuries», in St. Vladimir's Theological Quarterly 29 (1985) 133-159; 231-257.

[12] (PSEUDO-) ATANASIO, Quaestiones ad Antiochum ducem, qn. 101 [PG 28, 660 C]. Analogamente qn. 115 [PG 28, 672 A].

[13] ANASTASIO DEL SINAI, Quaestiones et responsiones, qn. 81 [PG 89, 709 C].

[14] Cfr. GREGORIO DI NISSA, De infantibus praemature abreptis libellum, ab H. Polack ad editionem praeparatum in Colloquio Leidensi testimoniis instructum renovatis curis recensitum edendum curavit H. Hörner, in J. K. DOWNING - J. A. MCDONOUGH - H. HÖRNER (ed. cur.), Gregorii Nysseni opera dogmatica minora, Pars II, W. JAEGER - H. LANGERBECK - H. HÖRNER (eds), Gregorii Nysseni opera, volumen III, Pars II, Leiden - New York - København - Köln, 1987, 65-97.

[15] Ivi, 70.

[16] Ivi, 81-82.

[17] Ivi, 83.

[18] Ivi, 96.

[19] Ivi, 97.

[20] GREGORIO NAZIANZENO, Oratio XL: In sanctum baptisma, 23 [PG 36, 389 B-C].

[21] ANASTASIO DEL SINAI, Quaestiones et responsiones, qn. 81 [PG 89, 709 C].

[22] Cfr. PELAGIUS, Expositio in epistolam ad Romanos, in Expositiones XIII epistolarum Pauli, A. Souter (ed.), Cambridge, 1926.

[23] Cfr. AGOSTINO, Epistula 156 [Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum (d'ora in poi CSEL), 44, 448 s.; 175.6 (CSEL 44, 660-662); 176.3 (CSEL 44, 666 s.)]; De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum 1.20.26; 3.5.11-6.12 [CSEL 60, 25 s. e 137-139]; De gestis Pelagii 11, 23-24 [CSEL 42, 76-78].

[24] Cfr. De pecc. mer. 1.16.21 [CSEL 60, 20 s]; Sermo 294.3 [PL 38, 1337]; Contra Iulianum 5.11.44 [PL 44, 809].

[25] Cfr. De pecc. mer. 1.34.63 [CSEL 60, 63 s.].

[26] Cfr. De gratia Christi et de peccato originali 2.40.45 [CSEL 42, 202 s.]; De nuptiis et concupiscentia 2.18.33 [CSEL 42, 286 s.].

[27] Cfr. Sermo 293.11 [PL 38, 1334].

[28] Cfr. De pecc. mer. 1.9-15.20 [CSEL 60, 10-20].

[29] «Cur ergo pro illis Christus mortuus est si non sunt rei?», in De nupt. et conc. 2,33.56 [CSEL 42, 513].

[30] Cfr. Sermo 293.8-11 [PL 38, 1333 s.].

[31] Sermo 294.3 [PL 38, 1337].

[32] De pecc. mer. 1.28.55 [CSEL 60, 54].

[33] Enchiridion ad Laurentium 93 [PL 40, 275]; cfr. De pecc. mer. 1.16.21 [CSEL 60, 20 s.].

[34] C. Iul. 5.11.44 [PL 44, 809].

[35] Cfr. Contra Iulianum opus imperfectum 4.122 [CSEL 85, 141-142].

[36] Contra duas Epistulas Pelagianorum 2.7.13 [CSEL 60, 474].

[37] Sermo 294.7.7 [PL 38, 1339].

[38] Dopo avere insegnato la volontà salvifica di Dio fino all'inizio della controversia pelagiana (De Spiritu et littera 33.57-58 [CSEL 60, 215 s.]), Agostino ha successivamente limitato in diversi modi l'universalità del «tutti» in 1Tm 2,4: tutti coloro (e soltanto coloro) che saranno effettivamente salvati; tutte le classi (ebrei e gentili), non tutte le singole persone; molti, ossia non tutti (Enchir. 103 [PL 40, 280]; C. Iul. 4.8.44 [PL 44, 760]). A differenza del giansenismo, tuttavia, Agostino ha sempre insegnato che Cristo è morto per tutti, inclusi i bambini («Numquid [parvuli] aut homines non sunt ut non pertineant ad id quod dictum est, omnes homines [1Tm 2:4]?»: C. Iul. 4.8.42 [PL 44, 759]; cfr. C. Iul. 3.25.58 [PL 44, 732]; Sermo 293.8 [PL 38, 1333]) e che Dio non comanda cose impossibili (De civitate Dei 22.2 [CSEL 40, 583-585]; De natura et gratia 43.50 [CSEL 60, 270]; Retractationes 1.10.2 [PL 32, 599]). Per un'analisi piú approfondita di questo tema, vedi F. MORIONES (ed.), Enchiridion theologicum Sancti Augustini, Madrid, 1961, 327 s. e 474-481.

[39] Cfr. Enchir. 94-95 [PL 40, 275 s.]; De nat. et grat. 3.3-5.5 [PL 44, 249 s.].

[40] DS 223. Questo insegnamento è stato adottato dal Concilio di Trento: CONCILIO DI TRENTO. Quinta Sessione, Decreto sul peccato originale [DS 1514]; J. NEUNER - J. DUPUIS (eds), The Christian Faith in the Doctrinal Document of the Catholic Church (Theological Publications in India), Bangalore, 2004, 511.

[41] DS 224: «Item placuit, ut si quis dicit, ideo dixisse Dominum: "In domo Patris mei mansiones multae sunt" (Io 14,2), ut intelligatur, quia in regno caelorum erit aliquis medius aut ullus alicubi locus, ubi beati vivant parvuli, qui sine baptismo ex hac vita migrarunt, sine quo in regno caelorum, quod est vita aeterna, intrare non possunt, anathema sit». Cfr. C. MUNIER (ed.), Concilia Africae A. 345 - A. 525, Turnhout, 1974, 70. Questo canone è presente in alcuni manoscritti, ma non in altri. Non è stato ripreso dall'Indiculus. Cfr. DS 238-249.

[42] GREGORIO MAGNO, Moralia, 9.21, nel commento a Giobbe 9,17 [PL 75, 877]. Vedi anche Moralia, 12.9 [PL 75, 992-993] e 13.44 [PL 75, 1038].

[43] Cfr. ANSELMO DI CANTERBURY, De conceptu virginali et de originali peccato, F. S. Schmitt (ed.), t. II, cap. 28, 170-171.

[44] Cfr. UGO DI SAN VITTORE, Summa Sententiarum, tract. V, cap. 6 [PL 176, 132].

[45] Cfr. P. ABELARDO, Commentaria in Epistolam Pauli ad Romanos, Liber II [5,19] [Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis 11], 169-170.

[46] Cfr. P. LOMBARDO, Sententiae, Lib. II, dist. 33, cap. 2, I. Brady (ed.), t. I/2, Grottaferrata (Rm), 1971, 520.

[47] Cfr. INNOCENZO III, Lettera a Imberto, arcivescovo di Arles, Maiores Ecclesiae causas [DS 780]: «Poena originalis peccati est carentia visionis Dei, actualis vero poena peccati est gehennae perpetuae cruciatus [...]» («La pena del peccato originale è la mancanza della visione di Dio, mentre la pena del peccato attuale è il tormento dell'inferno eterno»). Questa tradizione teologica identificava nei «tormenti dell'inferno» le pene afflittive, sia sensibili sia spirituali; cfr. Tommaso d'Aquino, IV Sent., dist. 44, q. 3, a. 3, qla 3; dist. 50, q. 2, a. 3.

[48] CONCILIO DI LIONE II, Professione di Fede di Michele Paleologo [DS 858]; GIOVANNI XXII, Lettera agli armeni Nequaquam sine dolore [DS 926]; CONCILIO DI FIRENZE, Decreto Laetentur Caeli [DS 1306].

[49] TOMMASO D'AQUINO, II Sent., dist. 33, q. 2, a. 2; De malo, q. 5, a. 3; J. DUNS SCOTO, Lectura II, dist. 33, q. un.; Ordinatio II, dist. 33, q. un.

[50] TOMMASO D'AQUINO, De malo, q. 5, a. 3: «Anime puerorum [...] carent supernaturali cognitione que hic in nobis per fidem plantatur, eo quod nec hic fidem habuerunt in actu, nec sacramentum fidei susceperunt [...]. Et ideo se privari tali bono anime puerorum non cognoscunt, et propter hoc non dolent». Cfr. ivi, ad 4, edizione Leonina, vol. 23, 136.

[51] Cfr. R. BELLARMINO, De amissione gratiae VI, c. 2 e c. 6, in Opera, vol. 5, Paris, 1873, 458, 470.

[52] Cfr. PAOLO III, Alias cum felicitate (23 settembre 1535), in J. LAURENTII BERTI FIORENTINI, Opus de theologicis disciplinis, vol. V, Venetiis, Ex Typographia Remondiniana, 1760, 36; PAOLO III, Cum alias quorumdam (11 marzo 1538), vol. I, ivi, 167-168; BENEDETTO XIV, Dum praeterito mense (31 luglio 1748), Non sine magno (30 dicembre 1750), Sotto il 15 di luglio (12 maggio 1751), in Benedicti XIV Acta sive nondum sive sparsim edita nunc autem primum collecta cura Raphaelis de Martinis, Neapoli, 1894, vol. I, 554-557; vol. II, 74 e 412-413. Per altri testi e riferimenti, vedi G. J. DYER, The Denial of Limbo and the Jansenist Controversy, Mundelein (Illinois), 1955, 139-159; in particolare vedi, alle pp. 139-142, il resoconto delle discussioni sotto Clemente XIII nel 1758-1759, secondo il manoscritto 1485 della Biblioteca Corsiniana, Roma, 41.C.15 («Cause trattate nella S. C. del Sant'Uffizio di Roma dal 1733 al 1761»).

[53] PIO VI, Bolla Auctorem fidei [DS 2626]. Su questo tema, vedi G. J. DYER, The Denial of Limbo and the Jansenist Controversy, cit., 159-170.

[54] Schema reformatum constitutionis dogmaticae de doctrina catholica, cap. V, n. 6, in Acta et Decreta Sacrorum Conciliorum Recentiorum, Collectio Lacensis, t. 7, Friburgi Brisgoviae, 1890, 565.

[55] Per una rassegna del dibattito e di alcune nuove soluzioni proposte prima del Concilio Vaticano II, vedi Y. CONGAR, «Morts avant l'aurore de la raison», in Vaste monde ma paroisse: Vérité et dimensions du Salut, Paris, 1959, 174-183; G. J. DYER, Limbo: Unsettled Question, New York, 1964, 93-182 (con un'ampia bibliografia alle pp. 192-196); W. A. VAN ROO, «Infants Dying without Baptism: A Survey of Recent Literature and Determination of the State of the Question», in Gregorianum 35 (1954) 406-473; A. MICHEL, Enfants morts sans baptême, Paris, 1954; C. JOURNET, La volonté divine salvifique sur les petits enfants, Paris, 1958; L. RENWART, «Le baptême des enfants et les limbes"», in Nouvelle Revue Théologique 80 (1958) 449-467; H. DE LAVALETTE, «Autour de la question des enfants morts sans baptême», ivi, 82 (1960) 56-69; P. GUMPEL, «Unbaptized Infants: May They be Saved?», in The Downside Review 72 (1954) 342-458; Id., «Unbaptized Infants: A Further Report», ivi, 73 (1955) 317-346; V. WILKIN, From Limbo to Heaven: An Essay on the Economy of Redemption, New York, 1961. Dopo il Vaticano II: E. BOISSARD, Réflexions sur le sort des enfants morts sans baptême, Paris, 1974.

[56] Per tutti i riferimenti vedi G. ALBERIGO (dir.), Storia del Concilio Vaticano II, vol. I: A. MELLONI (ed.), Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L'annuncio e la preparazione: gennaio 1959-settembre 1962, Bologna, 1995, 236-262; 329-332.

[57] DS 1349.

[58] Su queste proposte e sugli interrogativi da esse sollevate, vedi G. J. DYER, The Denial of Limbo, cit., 102-122.

[59] PIO XII, «Allocuzione al Congresso dell'Unione Cattolica Italiana delle Ostetriche», in AAS 43 (1951) 841.

[60] Cfr. PIO XII, Lettera enciclica Humani generis, ivi, 42 (1950) 570: «Alii veram "gratuitatem" ordinis supernaturalis corrumpunt, cum autument Deum entia intellectu praedita condere non posse, quin eadem ad beatificam visionem ordinet et vocet» [e in Civ. Catt. 1950 III 466: «Altri poi snaturano il concetto della gratuità dell'ordine soprannaturale, quando sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica»].

[61] Cfr. Lumen gentium 15-16; Nostra aetate 1; Dignitatis humanae 11; Ad gentes 7.

[62] Vedi ad esempio, fra gli altri, le osservazioni di K. RAHNER, «Die bleibende Bedeutung des II Vatikanischen Konzils», in Id., Schriften zur Theologie, B. XIV, Zürich - Köln - Einsiedeln, 1980, 314-316. Con sfumature diverse: J.-H. NICOLAS, Synthèse dogmatique. De la Trinité à la Trinité, Fribourg - Paris, 1985, 848-853. Vedi anche le osservazioni di J. Ratzinger che da teologo privato ha espresso le sue considerazioni in V. Messori a colloquio con il cardinale J. RATZINGER, Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo (MI), 1985, 154-155.

[63] Vedi sopra, nota 38.

[64] PIO IX, Lettera enciclica Quanto conficiamur, 10 settembre 1863 [DS 2866]: «[...] qui [...] honestam rectamque vitam agunt, posse, divinae lucis et gratiae operante virtute, aeternam consequi vitam, cum Deus, qui omnium mentes, animos, cogitationes habitusque plane intuetur, scrutatur et noscit, pro summa sua bonitate et clementia minime patiatur, quempiam aeternis puniri suppliciis, qui voluntarie culpae reatum non habeat».

[65] Cfr. INNOCENZO III, Lettera a Imberto, arcivescovo di Arles, Maiores Ecclesiae causas [DS 780].

[66] CONCILIO DI LIONE II, Professione di Fede di Michele Paleologo [DS 858]; vedi sopra, nota 48.

[67] In AAS 43 (1951) 841.

[68] Vedi sopra 1.6 e oltre 2.4.

[69] Cfr. Ef 1,6.9: «il beneplacito (eudokía) della sua volontà».

[70] Cfr. Lc 10,22: «e colui al quale il Figlio lo voglia (bouletai) rivelare».

[71] Cfr. 1Cor 12,11: «distribuendole a ciascuno come vuole (bouletai)».

[72] Cfr. ad esempio, Mt 23,37.

[73] Cfr. CCC 307.

[74] DS 623.

[75] DS 624.

[76] Vedi IRENEO, Adv. Haer., I, 10, 1 [PG 7, 550].

[77] TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae III, q. 26, art. 1, corpus.

[78] GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris missio, 5.

[79] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione Dominus Iesus, 14.

[80] Altre attestazioni delle credenze giudaiche circa l'influenza di Adamo ai tempi di Paolo sono: 2 Apoc. Bar. 17,3; 23,4; 48,42; 54,15; 4 Esdra 3,7; 7,118; «O Adamo, che cosa hai fatto? Nonostante sia stato tu a peccare, la caduta non è stata soltanto tua, ma anche nostra che siamo i tuoi discendenti».

[81] Cfr. Rm 3,23: «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio».

[82] Nella Chiesa occidentale, la frase greca eph'hō era intesa come una clausola relativa con un pronome maschile che si riferiva a Adamo o un pronome neutro che si riferiva al peccato (peccatum) (cfr. Vetus Latina e Vulgata in quo). Inizialmente Agostino accettò entrambe le interpretazioni, ma rendendosi conto che la parola greca per peccato era femminile optò poi per la prima interpretazione, che indicherebbe l'incorporazione di tutti gli esseri umani in Adamo. Agostino fu seguito da molti teologi latini, o «sive in Adamo, sive in peccato», o «in Adamo». Quest'ultima interpretazione non era conosciuta nella Chiesa d'Oriente prima di Giovanni Damasceno. Diversi Padri greci intesero eph'hō come «a causa del quale», ossia di Adamo, «tutti hanno peccato». La frase è stata anche interpretata come una congiunzione e tradotta «poiché, per il fatto che», «a condizione che» o «a causa di ciò». J. Fitzmyer (Romans [AB, 33], New York, 1992, 413-416) esamina undici possibili interpretazioni e propende per un significato di tipo consecutivo: «Eph'hō significherebbe quindi che Paolo sta esprimendo un risultato, la conseguenza della triste influenza di Adamo sull'umanità attraverso la ratifica del suo peccato nei peccati di tutti gli esseri umani» (p. 416).

[83] De nuptiis et concupiscentia II, 12, 15 [PL 44, 450]: «Non ego finxi originale peccatum quod catholica fides credit antiquitus».

[84] Il Catechismo della Chiesa Cattolica, 404 parla di «un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali». E aggiunge: «Per questo il peccato originale è chiamato "peccato" in modo analogico: è un peccato "contratto" e non "commesso", uno stato e non un atto».

[85] CONCILIO DI TRENTO, Quinta Sessione, Decreto sul peccato originale [DS 1512]. Il decreto di Trento riprende il canone secondo del Secondo Concilio di Orange (529).

[86] CCC 389.

[87] CIPRIANO, Epistola ad Iubaianum 73, 21 [PL 3, 1123]; vedi anche CONCILIO DI FIRENZE, Bolla Cantate Domino [DS 1351]: «La Chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che "nessuno di quelli che sono fuori della Chiesa cattolica, non solo i pagani", ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno, "preparato per il diavolo e per i suoi angeli" [Mt 25,41], se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti [...]. "Nessuno, per quante elemosine abbia fatto e persino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo, può essere salvo, se non rimane nel grembo e nell'unità della Chiesa cattolica» (FULGENZIO DI RUSPE, Liber De fide, ad Petrum liber unus, 38, 79 e 39, 80).

[88] Cfr. BONIFACIO VIII, Bolla Unam Sanctam: «Porro subesse Romano Pontifici omni humanae creaturae declaramus, dicimus, diffinimus omnino esse de necessitate salutis» [DS 875; cfr. DS 1351] («E dichiariamo, affermiamo, stabiliamo che l'essere sottomessi al Romano Pontefice è, per ogni creatura, necessario per la salvezza»).

[89] PIO IX, Allocuzione Singulari quadam [DS 2865i].

[90] Lettera del Sant'Uffizio all'Arcivescovo di Boston [DS 3870].

[91] GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris missio, 10.

[92] Policarpo potrebbe esserne un testimone indiretto, poiché dichiara al proconsole: «Da 86 anni servo [il Cristo]», in Martyrium Polycarpi 9,3. Il martirio di Policarpo probabilmente risale agli ultimi anni del regno di Antonino Pio (156-160).

[93] CONCILIO DI TRENTO, Quinta Sessione, Decreto sul peccato originale [DS 1514]. Il canone riprende il canone secondo del Concilio di Cartagine (418) [DS 223].

[94] Alla luce dei testi dell'Antico Testamento che si riferiscono all'effusione dello Spirito di Dio, il concetto principale di Gv 3,5 sembra riferirsi al dono dello Spirito da parte di Dio. Se la vita naturale è attribuibile al fatto che Dio dona lo spirito agli esseri umani, alla stessa stregua la vita eterna ha inizio con il dono dello Spirito Santo. Cfr. R. E. BROWN, The Gospel according to John (1-XII) [The Anchor Bible, vol. 29], New York, 1966, 140. A questo proposito Brown osserva: «Il motivo battesimale che è intrecciato nel testo dell'intero episodio è secondario; la frase "da acqua", in cui il motivo battesimale si esprime piú chiaramente, può aver fatto sempre parte dell'episodio pur non avendo originariamente un riferimento specifico al battesimo cristiano; oppure la frase può essere stata aggiunta posteriormente per mettere in evidenza il motivo battesimale» (ivi, 143). Il Signore sottolinea la necessità di nascere «da acqua e da Spirito» per entrare nel regno di Dio. Nella tradizione cristiana questo è stato sempre visto come un riferimento al «sacramento del Battesimo», anche se una tale lettura «sacramentale» è limitativa del significato pneumatologico. Letto in tale ottica, ci si può domandare se il testo esprima qui un principio generale senza eccezioni. Dovremmo essere consapevoli di questa lieve differenza d'interpretazione.

[95] TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae III, q. 68, art. 2, corpus.

[96] CONCILIO DI TRENTO, Sesta Sessione, Decreto sulla giustificazione [DS 1524].

[97] TEOFILATTO, In 1 Tim 2,4 [PG 125, 32]: Ei pantas anthrōpous thelē sōthēnai ekeinos, thele kai su, kai mimou ton theon.

[98] È degno di nota che l'editio typica dell'enciclica di papa Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, abbia sostituito il testo del numero 99: «Vi accorgerete che nulla è perduto e potrete chiedere perdono anche al vostro bambino, che ora vive nel Signore» (una formulazione che poteva prestarsi a una interpretazione errata), con questo testo definitivo: «Infantem autem vestrum potestis Eidem Patri Eiusque misericordiae cum spe committere» (cfr. AAS 87 [1995] 515), che viene cosí reso: «A questo stesso Padre e alla sua misericordia voi potete affidare con speranza il vostro bambino».

[99] GIOVANNI CRISOSTOMO, In I Tim. homil. 7, 2 [PG 62, 536]: Mimou ton Theon. Ei pantas anthrōpous thelei sōthēnai, eikotōs huper hapantōn dei euchesthai.

[100] Vedi sopra, capitolo 1.

[101] Vedi sopra, capitolo 2.

[102] Y. CONGAR, Vaste monde ma paroisse: Vérité et dimensions du Salut, Paris, 1968, 169: «Un de ceux dont la solution est la plus difficile en synthèse théologique».

[103] Vedi sopra, capitolo 1.5 e 1.6.

[104] Cfr. eventi come il Live Aid (1985) e il Live 8 (2005).

[105] Cfr. CCC 1261.

[106] «Cristo è risorto dai morti, ha calpestato la morte con la sua morte, e ai morti nei sepolcri ha donato la vita» (tropario di Pasqua della liturgia bizantina). Nella tradizione bizantina questo verso pasquale viene cantato numerose volte in ognuno dei quaranta giorni del tempo di Pasqua. È quindi il principale inno pasquale.

[107] In tutte le sue celebrazioni e cerimonie, la liturgia bizantina rende lode per l'amore misericordioso di Dio: «Poiché tu sei un Dio misericordioso e amante degli uomini, noi ti glorifichiamo, Padre, Figlio, Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli».

[108] Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia 43, 50 [PL 44, 271].

[109] TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae III, 64, 7; cfr. III, 64, 3; III, 66, 6; III, 68, 2.

[110] Vedi oltre, 3.4. e 3.5.

[111] Cfr. TOMMASO D'AQUINO, In IV Sent., Dist.1, q. 2, a. 4, q. 1, a. 2: «In quolibet statu post peccatum fuit aliquod remedium per quod originale peccatum ex virtute passionis Christi tolleretur».

[112] Cfr. anche nota 109, sopra.

[113] Cfr. AGOSTINO, Ep. 102, 2, 12.

[114] Cfr. LEONE MAGNO, In nat. Domini 4, 1 [PL 54, 203]: «Sacramentum salutis humanae nulla umquam antiquitate cessavit [...]. Semper quidem, dilectissimi, diversis modis multisque mensuris humano generi bonitas divina consuluit. Et plurima providentiae suae munera omnibus retro saeculis clementer impertuit».

[115] Cfr. CAIETANO, In IIIam Part., q. 68, a.11: «Rationabile esse ut divina misericordia provideret homini in quocumque naturali statu de aliquo rimedio salutis» (È ragionevole che la provvidenza di Dio offra all'essere umano, in qualunque stato naturale [egli possa trovarsi], qualche rimedio di salvezza). Caietano si riferisce ai tempi prima di Cristo, quando esisteva un tipo di sacramentum naturae, ad esempio l'offerta di un sacrificio, che era l'occasione (ma non la causa ) della grazia. Nella sua interpretazione, prima di Cristo gli esseri umani si trovavano nel «tempo della legge di natura» e analoga era la situazione dei bambini non battezzati. Ha quindi applicato il suo principio a favore della teoria del limbo come destino di questi bambini. Ma il punto fondamentale del suo ragionamento - ossia che in ogni epoca storica e in ogni circostanza Dio si prende cura della situazione dell'umanità e offre le giuste occasioni per la salvezza - è molto importante e non conduce necessariamente alla conclusione del limbo.

[116] INNOCENZO III, Lettera a Imberto, arcivescovo di Arles [DS 780]: «Absit enim, ut universi parvuli pereant, quorum quotidie tanta multitudo moritur, quin et ipse misericors Deus, qui neminem vult perire, aliquod remedium procuraverit ad salutem [...]. Dicimus distinguendum, quod peccatum est duplex: originale scilicet et actuale: originale, quod absque consensu contrahitur, et actuale, quod committitur cum consensu. Originale igitur, quod sine consensu contrahitur, sine consensu per vim remittitur sacramenti; [...]».

[117] Cfr. DS 780.

[118] La situazione dei bambini non battezzati può essere considerata per analogia a quella dei bambini battezzati, come viene fatto qui. In modo piú problematico può essere forse considerata per analogia con quella degli adulti non battezzati, vedi oltre, nota 127.

[119] I Padri della Chiesa si compiacciono di riflettere sull'assunzione da parte di Cristo dell'umanità intera; ad esempio, IRENEO, Adv. Haer. 3, 19, 3 [SCh 211, 380], Epideixis 33 [SCh 406, 130-131]; ILARIO DI POITIERS, In Mt. 4, 8 [SCh 254, 130]; 18, 6 [SCh 258, 80]; Trin. II, 24 [CCL 62, 60]; Tr. Ps. 51, 17; 54, 9 [CCL 61, 104; 146] ecc.; GREGORIO DI NISSA, In Cant. Or. II (Opera, ed. Jaeger, VI, 61); Adv. Apoll. (Opera III/1, 152); CIRILLO DI ALESSANDRIA, In Joh. Evang. I, 9 [PG 73, 161-164]; LEONE MAGNO, Tract. 64, 3; 72, 2 [CCL 138 A, 392; 442 s.].

[120] Alcuni Padri davano un'interpretazione salvifica all'Incarnazione stessa, ad esempio CIRILLO DI ALESSANDRIA, Comm. in Joh. 5 [PG 73, 753].

[121] Vedi oltre, nota 127.

[122] CCC 389.

[123] Ad esempio, AGOSTINO, Enarr. in Ps. 70, II, 1 [PL 36, 891]: «Omnis autem homo Adam; sicut in his qui crediderunt, omnis homo Christus, quia membra sunt Christi». Questo testo mette in evidenza la difficoltà che ha Agostino a considerare la solidarietà con Cristo altrettanto universale quanto la solidarietà con Adamo. Tutti sono in una condizione di solidarietà con Adamo; soltanto coloro che credono sono in una condizione di solidarietà con Cristo. Ireneo è piú equilibrato nella sua dottrina della ricapitolazione; cfr. Adv. Haer. 3, 21, 10; 5, 12, 3; 5, 14, 2; 5, 15, 4; 5, 34, 2.

[124] Con l'Incarnazione, cfr. Gaudium et spes 22.

[125] Col 1,15; cfr. 2 Cor 4,4.

[126] Vedi oltre, 3.4.

[127] Riguardo alla possibilità di un votum da parte del bambino, lo sviluppo verso il libero arbitrio potrebbe forse essere concepito come un divenire progressivo, che parte dal primo momento dell'esistenza e che arriva fino alla maturità, piú che un repentino salto qualitativo che conduce all'esercizio di una decisione matura e responsabile. L'esistenza del bambino nel grembo materno è un continuum di crescita e di vita umana; non diventa improvvisamente umano in un dato momento. Ne consegue che i bambini potrebbero essere effettivamente capaci di esercitare una qualche forma di votum rudimentale per analogia a quello degli adulti non battezzati. Secondo alcuni teologi il sorriso della madre medierebbe l'amore di Dio verso il bambino, per cui si è visto nella risposta del bambino a quel sorriso una risposta a Dio stesso. Alcuni psicologi e neurologi moderni sono convinti che il bambino nel grembo materno è già in qualche modo conscio e dispone di una certa misura di libertà. Cfr. V. FRANKL, Der unbewusste Gott. Psychotherapie und Religion, München, 1973; D. AMEN, Healing the Hardware of the Soul, New York, 2002.

[128] Vedi sopra, n. 90.

[129] Vedi oltre, 3.5.

[130] Vedi sopra, capitolo 1,6.

[131] Y. CONGAR, Vaste monde ma paroisse, cit., 171.

[132] Cfr. AGOSTINO, Prima Lettera a Bonifacio, 22, 40 [PL 44, 570].

[133] Cfr. sopra, nota 94.

[134] CCC 1261.

[135] Cfr. CCC 1257.

 

 

 

 

 

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