Linee evolutive della giurisprudenza rotale in tema di

defectus usus rationis et discretionis iudicii (can. 1095, nn. 1º- 2º)

 

 

 

 

 

Sommario:

1. Introduzione. 2. Decisione coram Jullien del 30 luglio 1932. 3. Decisione coram Grazioli del 1 luglio 1933. 4. Decisione coram Wynen del 25 febbraio 1941. 5. Decisione coram Canestri del 16 luglio 1943. 6. Decisione coram Heard del 4 dicembre 1943. 7. Decisione coram Felici del 22 maggio 1956. 8. Decisione coram Felici del 3 dicembre 1957. 9. Decisione coram Sabattani del 25 febbraio 1961. 10. Decisione coram Di Jorio del 19 dicembre 1961. 11. Decisione coram Mattioli del 4 aprile 1966. 12. Decisione coram Pinto del 4 febbraio 1974. 13. Decisione coram Pompedda del 3 luglio 1979. 14. Conclusioni.

 

 

 

1. Introduzione.

"Habemus indicationes iurisprudentiae et doctrinae quinquaginta annorum. Ex his indicationibus enucleare oportet normam aliquam quae novum caput nullitatis describat" (cfr. Communicationes, 7 (1975), pp. 43-44). Con queste parole il Preside del Coetus studiorum de matrimonio dichiarava espressamente di voler recepire in una formula legislativa ciò che, non trovando espressa esplicitazione in un dettato legislativo era stato lasciato, ai sensi del can. 20 CIC 1917, allo stylus Curiae Romanae, che nel caso finiva per identificarsi con la giurisprudenza rotale (cfr. Communicationes, 7 (1975), p. 42).

Quali però siano state le sentenze di questo Tribunale che abbiano poi avuto veramente influsso nella formulazione della nuova legge (can. 1095, nn. 1º-2º), obiettivamente, lo si può desumere dalla pubblicazione del Codex iuris canonici fontium annotatione...auctus, curato dalla Pontificia Commissione per l'Interpretazione Autentica del Codice di Diritto Canonico, che indica espressamente quali siano state queste fonti.

Questo dunque è il criterio che ci è sembrato corretto seguire in questo nostro breve lavoro. Vediamo dunque prima cosa ci dicono queste singole sentenze e poi cerchiamo di enucleare quelli che sono gli elementi comuni che hanno trovato collocazione nella nuova norma.

 

2. Decisione coram Jullien del 20 luglio 1932 (neg. Incapacità provocata da epilessia) (cfr. Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 24, pp. 364-382).

Le fonti: Si tratta di un matrimonio celebrato sotto la legge delle decretali, che vengono richiamate (cfr. X,IV,l, 24 "Dilectus") insieme alla Glossa, cosí come sono richiamati i cann. 1081, 1082 et 2201 CIC 1917 (la non imputabilità degli abitualmente amenti). Per la dottrina si richiama Gasparri.

La sentenza, premesso che "consensus praestari nequit ab eo qui, sui non compos, quid faciat intelligere nec libere velle potest", precisa che un valido consenso richiede "advertentiam seu sufficientem discretionem ad essentiales illas matrimonii proprietates intelligendas, saltem in confuso" (n. 2) per poi concludere nella parte "in facto", che il matrimonio è valido perché, per una parte "matrimoniale negotium non videtur fuisse actus aliquis caecus, impulsivus, automatico modo factus (n. 11), "absque conscientia peractus" (n. 12), per l'altra "obiectum dementiae non erat in casu res matrimonialis. Deinde matrimonium fuit actus meditatus... et diu praeparatus" (n. 11).

Ora, a parte l'inaccettabilità dell'ultima parte della motivazione, che sposta indietro (al momento della decisione di sposare e poi continuativamente fino alle nozze) il momento in cui va esaminata la capacità a consentire, che viceversa non può che essere quello della prestazione del consenso nel momento della celebrazione, già in questa prima decisione scelta dalla Commissione si possono vedere enucleati i primi due numeri dell'odierno can. 1095.

L'atto cieco, impulsivo, posto in essere in modo automatico, senza coscienza è l'atto posto in essere dal soggetto privo di usus rationis; il defectus discretionis iudicii riguarda invece l'obiectum dementiae e cioè l'incapacità di volere l'essenza e le proprietà del matrimonio.

 

3. Decisione coram Grazioli del 1 luglio 1933 (aff. Demenza precoce) (cfr. Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 25, pp. 405-419).

Le fonti: cann. 88, § 3, e 1082 CIC 1917; per la dottrina: S. Tommaso, Sanchez, Gasparri e Wernz-Vidal.

La sentenza, dopo aver distinto coloro che sono incapaci di intendere e volere "debita libertate" cosa sia l'essenza del matrimonio da coloro che "actum humanum eliciendi incapaces omnino sunt (qui) utpote enim rationis usu destituti infantibus assimilantur qui sui compotes non sunt" (n. 2), scende a cercare di determinare quale sia questa conoscenza minima sufficiente, affermando che se certamente non si richiede una "plenissima" conoscenza (can. 1082) , certo non è sufficiente quella del fanciullo che abbia compiuto i sette anni, che può peccare ma non contrarre un valido matrimonio (n. 2) e cioè un contratto destinato a durare tutta la vita (n. 3). La conseguenza è che, per la validità del matrimonio "non sufficit usus rationis simpliciter, sed requiritur discretio seu maturitas iudicii contractui proportionata" e perciò "pars usu rationis pollere debet, ita ut quid sit matrimonium eiusdemque essentiales proprietates satis intelligere valeat" (n. 3).

Nella parte "in facto" poi, dalle conclusioni peritali che la sentenza fa proprie, si ricava come l'incapacità possa esser provocata da quelle abnormità che colpiscono "i poteri intellettuali piú elevati rappresentati dal giudizio, dal ragionamento e dalla critica, i sentimenti e soprattutto il meccanismo intimo della determinazione volontaria" (n. 14).

Sarà soprattutto sotto questo profilo che la giurisprudenza successiva si evolverà, apportando il proprio contributo determinante per la formulazione della nuova legge.

 

4. Decisione coram Wynen del 25 febbraio 1941 (neg. Immoralità costituzionale provocata da abuso e spaccio di cocaina) (Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu sententiae, vol. 33, pp. 144-168).

È una delle sentenze che possono a giusto titolo considerarsi fondamentali.

Le fonti: can. 1082; S. Tommaso e la scolastica.

La sentenza comincia la propria argomentazione affermando che, per essere capaci di prestare un valido consenso occorre una "sufficiens cognitio obiecti formalis eiusdem consensus" (n. 3), non meramente teoretica, quale quella ricavabile dal can. 1081, bensí "practice necessariam de natura matrimonii", quale è quella che si evince dal can. 1082.

Quale sia questa conoscenza sufficiente, continua la sentenza, non può ricavarsi dalle elaborazioni della scuola deterministica (n. 27), che finiscono per negare l'esistenza del libero arbitrio, o da certe moderne concezioni della psicologia, che richiedono "appretiationem seu aestimationem obiecti", cosa che "in theologia morali et iure canonico hucusque penitus fere negligitur" (n. 4) bensí il "simplicem usum rationis et actum formalem voluntatis" (nn. 5 et 6).

La sentenza si addentra poi nella spiegazione dei due elementi costitutivi dell'atto umano, per precisare che "usum rationis, qui ad omnem actum humanum requiritur spectare tum cognitionem conceptualem tum cognitionem aestimativam atque exigere capacitatem tum exercitii rationis, tum dominii rationis seu capacitatem hominis disponendi de seipso et de sua actione secundum duplicem illam obiecti cognitionem" (n. 8). Di conseguenza "Qui vero non potest aestimare saltem substantiam rei agendae, is impeditur in naturali sua appretiandi facultate aut ex impedimento tantummodo actuali et transitorio... aut ex defectu habituali..." (n. 9).

Questa concezione, secondo la sentenza, è in piena sintonia con la dottrina di S. Tommaso e della Scolastica in genere, oltre che con la giurisprudenza della Rota Romana. Da esse infatti si può evincere chiaramente come "nullatenus sufficere merum usum rationis... sed insuper requiri discretionem et maturitatem iudicii quae contractui matrimoniali ineundo proportionata sit" (n. 11). Questa discretio o maturitas sufficiens consisterebbe nella "cognitio aestimativa de substantia ac substantiali valore matrimonii, non requiritur ponderatio exacta omnium iurium et obligationum cum matrimonio connexarum" (n. 12; cfr. n. 28).

Già in questi termini ci sembra chiaro il riconoscimento dell'autonomia di quelli che poi diverranno i nn. 1º-2º del can. 1095: l'usus rationis, la capacità conoscitiva è necessaria per poter porre in essere l'atto umano in genere; ma, per porre in essere l'atto umano in specie, il matrimonio, occorre qualcosa di piú, la discretio o maturitas iudicii.

Sarà compito della giurisprudenza successiva approfondire i singoli aspetti evidenziati da questa sentenza.

 

5. Decisione coram Canestri del 16 luglio 1943 (neg. Ignorata natura matrimonii) (cfr. Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 35, pp. 594-612).

Le fonti: cann. 1081 et 1082; la scolastica.

La sentenza, rigettati gli equivoci delle moderne scienze psicologiche, ancora la dottrina del positivo atto di volontà agli schemi della scolastica (n. 4), per concludere che "Intellectus... per comparationem duorum terminorum fit iudicium; qui demum termini, si uni tertio referantur, ad videndam ipsorum convenientiam aut discrepantiam, habetur ratiocinium" (n. 5). Non sarebbe perciò necessaria a porre in essere un atto umano una capacità aestimativa dei valori sociali, etici, giuridici dell'atto, reputandosi sufficiente la "aestimandi facultas... quoad substantiam" (n. 7), cioè quella "ordinariam aestimationem, quae habetur in re seria de futuro" (n. 11). La ragione? "Ita tenuit communis humani generis sensus, qui numquam iudicavit matrimonia incultorum et inferioris mentis hominum fuisse invalida. Hoc natura precipit: nam duo sunt principales viventium activitates: conservatio individui et conservatio speciei; haec postrema, quae a Providentia Dei et ab istinctu potentissimo reproductionis plerisque imponitur, certo simplicioribus mediis iniri et exequi debet. A quibus ideo exsulare necesse est tot normas et conditiones per saecula nec suspicata" (n. 11). Quest'ultima parte della motivazione, che troveremo ripetuta spessissimo nella giurisprudenza posteriore e fino al Codice del 1983 dalla parte della giurisprudenza che ha opposto maggiore resistenza alla concezione del matrimonio non piú e non solo ordinato agli atti per sé idonei alla generazione della prole, ma anche al bonum coniugum, sembra essere largamente superata.

"Voluntas vero tendit in rem sibi propositam ab intellectu ut bonam. Hinc... intentio seu libera voluntatis tendentia in bonum propter se amabile, ut illud per media assequatur; inde consensus proprie dictus, seu voluntas eligendi media; tandem electio quae est efficax volitio unius medii ad finem utilis prae aliis; data electione... Imperium est absolutum in corporis membra; non absolutum in intellectum, phantasiam et appetitum sensitivum" (n. 5).

Dunque, da una parte, la capacità intellettiva, dall'altra la volontà, la cui essenza consiste sostanzialmente in tre elementi: electio, libertas, imperium (o decisio, come altre sentenze diranno).

 

6. Decisione coram Heard del 4 dicembre 1943 (aff. Demenza precoce) (cfr. Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 35, pp. 885-903).

Le fonti: Gasparri.

La sentenza, distingue l'incapacità a prestare il consenso del furiosus da quella dei soggetti che si trovino in stato di umbratae quietis. La prima ipotesi riguarderebbe coloro che "actualiter mentis compotes non sunt ut ebrii vel infantes, vel habitualiter ut sunt amentes", la seconda coloro che "interne ob morbum mentis quo laborant nec recte ratiocinari neque libere velle possunt. Sunt etiam qui perpetuo amentes non sunt, necnon qui circa aliqua, sed non in omnibus insaniunt" (n. 5).

Mi sembra che la sentenza abbia un suo interesse, in relazione alla nuova normativa, solo per un aspetto e cioè perché riconosce l'incapacità a prestare un atto umano tout court, non solo sotto il profilo dell'intelletto ma anche della volontà, in coloro che siano abitualmente o in actu amenti e riferisce, sempre ad un difetto dell'intelletto e della volontà, ma in relazione all'essenza del matrimonio (per ciò che "non in omnibus insaniunt"), l'incapacità di coloro che sono "in statu umbratae quietis".

 

7. Decisione coram Felici del 22 maggio 1956 (neg. Frenastesia) (cfr. Tribunal Apostolicum Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 48, pp. 467-475).

Le fonti: le sopra citate sentenze del 1941 c. Wynen e del 1943 c. Canestri, oltre ad alcune decisioni c. Felici; la dottrina di S. Tommaso.

La sentenza, premesso che per prestare valido consenso secondo la dottrina tomista "maiorem requiri...discretionem quam pro peccato mortali" e che la discretio mentis necessaria a contrarre validamente è quella che "sinat peculiarem naturam et vim contractus matrimonialis percipere: atque id robur voluntatis, quod ad corrivantia iura obligationesque danda et acceptanda par sit" (n. 2), prosegue con l'affermare che questa discretio non richiede la percezione del valore etico, morale e giuridico del matrimonio, essendo sufficiente la "aestimationem, quae habetur de re seria de futuro" (ibidem), per poi concludere che questa discretio "praesumitur in iis, qui pubertatem egressi sunt" (ibidem).

In buona sostanza, questa sentenza - pur senza aggiungere elementi di novità consolida le conclusioni cui erano pervenute le precedenti sentenze c. Wynen e Canestri.

 

8. Decisione coram Felici del 3 dicembre 1957 (aff. Meningo-Encefalite) (cfr. Tribunal Apostolicum Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 49, pp. 787-796).

È una sentenza storica, punto di riferimento di tutta la giurisprudenza posteriore.

Le fonti: cann. 1067 e 1082; la dottrina di S. Tommaso.

La sentenza riprende le mosse da un'affermazione già fatta nella decisione del 22 maggio 1956 e cioè che, per contrarre validamente matrimonio "non sufficit quaelibet cognitio, sed merito ea quae tanto negotio par sit ab eoque parta iura obligationesque satis cognoscere sinat" (n. 2) per poi centrare l'argomentazione su intelletto e volontà come elementi necessari dell'atto umano.

"In intelligentia hominum rite distinguas facultatem cognoscitivam, quae sistit in operatione abstractiva rei universalis ex particulari seu in apprehensione simplici veri: et facultatem criticam, quae est vis iudicandi et ratiocinandi, seu affirmandi vel negandi aliquid de aliqua re, et iudicia una componendi ut novum iudicium inde deducatur" (n. 3) afferma la sentenza per poi concludere che "Ad propriorum actuum responsabilitatem habendam... non sane sufficit exercitium facultatis cognoscitivae, sed operari debet facultas critica" (n. 3), conclusione questa che, da questo momento in poi, diventa dato giurisprudenziale consolidato.

La motivazione giuridica termina poi col ribadire che "huiusmodi discretio pro suscipiendis peculiaribus officiis matrimonio inhaerentibus, et totam vitam, aliquando usque ad sacrificium, urgentibus" non può aversi nel fanciullo di sette anni, che pure può commettere peccato, mentre deve presumersi, ai sensi dei cann. 1067 et 1082, esistente dopo la pubertà, giacché "Docent in primis psychologi huiusmodi facultatem discretivam non ante decimum secundum aetatis annum evolvi" (n. 3).

Quest'ultima parte della sentenza sarà poi oggetto di ulteriori approfondimenti - anche alla luce dei piú recenti studi di psicologia - e verrà decisamente superata dalla giurisprudenza successiva, specialmente - come vedremo - per merito dei contributi che apporteranno le sentenze c. Sabattani, Pinto e Pompedda.

 

9. Decisione coram Sabattani del 24 febbraio 1961 (aff. Alcoolismo cronico) (cfr. Tribunal Apostolicum Sacrae Rotae Romanae, Decisiones seu Sententiae, vol. 53, pp. 116-132).

Le fonti: can. 2201 et 1082; sentenze c. Felici, Jullien, Lamas, Wynen, Heard; per la dottrina: Cappello, Sanchez, d'Avack, Michiels.

La sentenza, molto pregevole, fotografa molto bene la situazione della giurisprudenza dell'epoca e costituisce, a mio avviso, un notevole punto di riferimento, soprattutto "in negativo". Essa cioè dimostra come certe motivazioni addotte dalla giurisprudenza nel tentativo di puntualizzare la capacità sufficiente a consentire siano prive di fondamento. Di fatto, quelle argomentazioni, dopo la sentenza c. Sabattani, sono state progressivamente abbandonate.

La sentenza premette che la tricotomia contenuta nel can. 2201 (amentia habitualis, mentis exturbatio e mentis debilitas), che prevede vari gradi di imputabilità, non può applicarsi alla capacità a consentire al matrimonio, giacché "Hic non agitur de imputabilitate actus, sed de sufficientia consensus" (nn. 3, 6, 7, e 9) né la questione del defectus discretionis iudicii può ridursi "ad meram quaestionem ignorantiae" (n. 5) (can. 1082) e cioè alla c.d. scienza minima necessaria per consentire validamente, per poi concludere riallacciandosi alle sentenze c. Felici che "Unica mensura sufficientis consensus est discretio iudicii matrimonio proportionata" (n. 4).

 

10. Decisione coram De Jorio del 19 dicembre 1961 (aff. Oligofrenia-Frenastesia) (cfr. Tribunal Apostolicum Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 53, pp. 610-620).

Le fonti: diritto romano; diritto delle decretali; cann. 1082, 2201; per la dottrina: S. Tommaso, Sanchez.

La sentenza prende le mosse da quella parte di giurisprudenza che, in difetto di una norma espressa che definisca la capacità, prende come punto di riferimento il can. 2201, per rilevare che "haec ratio explendi lacunam haud est legitima, cum ius poenale canonicum quoque, peculiaribus regitur normis atque nitatur principiis" (n. 4).

Poiché saremmo in presenza di una lacuna iuris "norma deficiens sumenda est a legibus latis in similibus (can. 20), non in quam maxime diversis.

"Legitimum contra est normam deficientem sumere ex praescripto can. 88, § 3, quod tamen haud est definitum.

"Et ideo norma in casu sumenda est a generalibus iuris principiis cum aequitate canonica servatis, a praxi Curiae Romanae, seu N. S. O., et a communi constantique sententia doctorum, seu canonistarum magnae notae" (ibidem).

Dopo aver brevemente esposto le linee del diritto romano e di quello delle decretali, la sentenza elude il problema del defectus usus rationis, limitandosi pragmaticamente a dire che nessuno che non sia esso stesso amens celebrerebbe matrimonio con una persona habitualiter (vel in actu clare) amens, per concentrarsi sulla c.d. dementia.

"Optime quidem novimus afferma la sentenza intellectum esse radicem voluntatis... Tamen intellectus et voluntas sunt non modo diversae potentiae, sed etiam genere differunt...

"Potest itaque voluntas deficere vel notabiliter minui absque manifesta laesione intellectus...

"Et revera plures dementes probe sciunt «matrimonium esse societatem permanentem inter virum et mulierem ad filios procreandos» (can. 1082, § 1), atque desiderant eiusmodi societatem inire. Tamen quidam ex eis incapaces sunt tradendi et acceptandi ius in corpus, perpetuum et exclusivum, in ordine ad actus per se aptos ad prolis generationem (can. 1081, § 2)" (n. 6).

La sentenza si colloca cioè sulla linea tracciata da Sabattani e ne consolida le conclusioni anche alla luce della storia (romanistica e canonistica) dell'istituto: è irrilevante il ricorso al can. 2201 ed al can. 1082 (scienza minima); l'unico punto di riferimento legittimo è il can. 1081 (oggi 1055-1057 CIC 1983), l'essenza del matrimonio. La discretio iudicii deve essere proporzionata agli obblighi che si assumono col contratto.

 

11. Decisione coram Mattioli del 4 aprile 1966 (neg. Non è chiara l'abnormità invocata come causa dell'incapacità) (cfr. Tribunal Apostolicum Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 58, pp. 209-222).

Le fonti: sent. c. Grazioli; per la dottrina: S. Tommaso, Wernz.

La sentenza comincia la propria esposizione rilevando che l'amentia non è una malattia, ma "morborum nonnullorum consectarium: nec morborum tantum" ma anche di alcune condizioni abnormi (ipnosi, impeti di passione, odio, ira ecc. "aut quorumdam motuum, qui... auferant lumen rationis, et, generatim, earum omnium animi, mentis, nervorum excitationum, per quas intellectus obnubilari potest, aut frenorum inhibentium vis et robur, modo stabili vel ad actum tantummodo praepedita vel extenuata" (n. 2) che rendano l'uomo incapace del dominio delle proprie azioni.

Quando essa sia invece conseguenza di una qualche vera e propria malattia, bisogna determinare il grado di gravità di questa ed i tempi di insorgenza e soprattutto l'incidenza della stessa sulla "harmoniam, coordinationem, conspirationem mutuam" delle facoltà superiori, intelletto e volontà, tenendo presente che "plus nempe rationis ac discretionis iudicii requiri debere pro matrimonio valide ineundo quam pro lethaliter peccando" per poi però arrendersi di fronte alla possibilità di determinare quale sia questa discretio sufficiente. Se infatti, conclude la sentenza, anche ai piú rudi ed ai semi-fatui, nei quali "«vis aestimativa» conubii vel minima est, vel fere nulla", è consentito contrarre matrimonio "Nescimus... quaenam sit via percurrendi in eiusmodi vi aestimativa exigenda ac perpendenda: nescimus quodnam sit punctum discessus, quive itineris terminus..." (n. 2).

La sentenza sembra importante soprattutto per la prima parte, in cui prende forma con energia il concetto che l'incapacità è prima di tutto un concetto giuridico (in contrapposizione a quella parte di giurisprudenza, col passar del tempo forse prevalente, che sembra considerarla piuttosto principalmente come un fatto psichiatrico), si puntualizza come l'incapacità in actu consiste sempre in un difetto della conoscenza (e, solo per conseguenza, lo sarà anche della volontà), si pone in risalto come, non solo il difetto di conoscenza, ma anche quello dell'armonico coordinamento delle due facoltà superiori, produce incapacità (di volere).

 

12. Decisione coram Pinto del 4 febbraio 1974 (aff. Trauma cerebrale) (cfr. Tribunal Apostolicum Sacrae Romanae Rotae, Decisiones seu Sententiae, vol. 56, pp. 35-44).

Le fonti: decretali; cann. 88, 1982, e 2201; S. Tommaso, Sanchez, Pontius, Michiels, Gasparri, ma anche Gemelli, Ferrio, Zavalloni, e H. Thomae.

Già dalle stesse fonti indicate si comprende bene come mons. Pinto sia da considerare il massimo fra gli esponenti della corrente psichiatrica del concetto di incapacità; fine giurista e profondo conoscitore della dottrina psichiatrica a lui piú che a qualsiasi altro si attaglia il concetto di giudice quale "peritus peritorum".

Ovviamente non è che mons. Pinto neghi che l'incapacità sia un concetto giuridico; egli soltanto afferma e valorizza con forza il fatto che alla formulazione di questo concetto contribuiscono in modo decisivo anche altre scienze, dalla psichiatria all'antropologia.

Questa sentenza, che ha come suo logico complemento la successiva S.R.R. Tarvisina dell'8 luglio 1974, premesso (sulla base della dottrina di Gemelli) che, già dall'età di sette anni il fanciullo può formulare concetti e giudizi elementari, ma che solo dopo i 17 anni il fattore fisiologico e quello psichico si fondono, (e che quindi invalidamente, salvo prova contraria, le persone contrarrebbero matrimonio prima di quell'età), sulla base della dottrina di Zavalloni conclude "dum usus rationis respicit intellectus speculativam cognitionem, quatenus qui eo gaudet sit capax intelligendi quoad substantiam quid sit matrimonium eiusque proprietates essentiales, iudicii discretio matrimonio proportionata considerat voluntatis deliberatam decisionem quae motivorum aestimationem et intellectus practicum iudicium circa matrimonium hic et nunc contrahendum necessario supponit (quoad decisionis voluntatis processum)" (n. 4).

Dalle premesse psicologiche ed antropologiche, la sentenza tira le conclusioni giuridiche, sulla base della dottrina del Sanchez: perché il contraente possegga la discretio iudicii proportionata al matrimonio "sufficit collatio motivorum subiectivorum et obiectivorum quae ad matrimonium impellunt cum iis quae ab ipso avertunt" giacché senza questa valutazione non può esistere una vera electio e "ubi non est talis collatio, non est simpliciter et perfecta libertas" (ibidem).

In conclusione, ed anche qui sulla base di qualificata dottrina psichiatrica (Ferrio) "actus voluntarii processus potest perturbari: 1. In phasi praesentationis motivorum" per difetto della percettibilità o della memoria, che non permettono di prospettare tutti i fattori motivanti realmente esistenti oppure utili o necessari per quel determinato atto di volontà; "2. In phasi autem electionis «per difetto dell'istinto...; per difetto della critica, che non permette una valutazione corretta di ogni fattore motivante; per difetto dell'affettività, che non fornisce ai vari fattori motivanti un colorito adeguato per qualità e per intensità da cui indecisione»" (ibidem).

Sorge qui, come era stato insinuato in passato, il problema se l'atto umano, almeno quello con cui si dà vita al consenso, non consti di due (intelletto e volontà) bensí di tre elementi (l'affettività, oltre i primi due) o se almeno questo elemento l'affettività - debba esser considerato parte essenziale della volontà, sulla base di quanto già diceva il Vaticano II, e cioè che il consenso matrimoniale è "atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà" (G.S. n. 49), concetti questi che saranno successivamente valorizzati, anche se con circospezione, soprattutto dalla successiva giurisprudenza coram Bruno (cfr. soprattutto le cause Meliten. del 16 dicembre 1988 e Dallasen. del 19 luglio 1991, in Il Diritto Ecclesiastico, 1992, II, p. 231).

 

13. Decisione coram Pompedda del 3 luglio 1979 (aff. Nevrosi) (cfr. Apostolicum Rotae Romanae Tribunal, Decisiones seu Sententiae, vol. 71, pp. 379-399).

Le fonti: cann. 1082, 1083, e 1084; S. Tommaso.

È senz'ombra di dubbio la sentenza piú importante che la giurisprudenza rotale abbia fornito in tema di nevrosi e, per molti aspetti, costituisce la summa delle conclusioni cui la stessa giurisprudenza era pervenuta in settanta anni.

La sentenza prende le mosse da certe intuizioni delle decisioni c. Pinto e c. Mattioli per sottolineare che le attività psichiche possono dividersi in due classi, "activitates stricte intellectivas...; activitates vitae affectivae... illae duae classes activitatis reguntur aequilibio harmonico" (n. 2), equilibrio che può esser rotto da una malattia mentale e per rimarcare che "Nos aliquando falso arbitramur definite ac omnino scindere seu separare vitam intellectivam a vita affectiva" (n. 3).

Fatta una lunga esposizione circa l'influenza delle nevrosi sull'atto di volontà (nn. 4-13), la sentenza riprende poi le fila del proprio ragionamento iniziale, premettendo che è difficilissimo esprimere "phaenomenum volitivum... intra quantitatis aestimationem", ma che comunque non si può non prendere le mosse da quelli che sono i principi intrinseci con cui la filosofia del diritto (tomista) prende in esame l'atto umano, e cioè "intellectus et voluntas" (n. 14).

Partendo dalla formulazione dei cann. 296 et 297 dello Schema de matrimonio allora conosciuto (che poi sostanzialmente è divenuto il nuovo can. 1095), la sentenza spiega che è da considerare incapace di prestare un valido consenso chi "usu rationis habitualiter vel actualiter caret" (n. 17); ma incapace deve considerarsi anche chi "caret iudicii maturitate proportionata ad matrimonium contrahendum" e questa proporzionalità "procedit magis per exclusionem et negationem, quam per positivam definitionem rei formaliter contentae in illo consensu" (n. 17).

A questo punto la sentenza pone un chiarimento-chiave per l'interpretazione della nuova norma. "Dum rationis usus ad theoricam vel speculativam intellectus cognitionem pertinet", per la quale è sufficiente che il soggetto sia capace di intendere "in sua substantia" cosa è il matrimonio e le sue proprietà essenziali, "iudicii maturitas vel discretio proportionata matrimonio spectat ad deliberatam voluntatis decisionem", che presuppone una stima dei motivi ed un giudizio pratico dell'intelletto circa il matrimonio da contrarre. Tuttavia, non qualsiasi difetto di equilibrio o di maturità rende incapace il soggetto a consentire, bensí solo quello che renda incapace "liberae electionis" (n. 18).

Per quanto riguarda dunque l'aspetto meramente intellettivo, perché il soggetto non sia considerabile privo di uso di ragione, è sufficiente che goda di quella scienza minima che la legge indica nel can. 1082 CIC 1917 (oggi 1096) (n. 19); ma questa stessa scienza non è affatto necessaria perché si ritenga che il soggetto goda di una sufficiente discretio iudicii. Il diritto delle decretali ancorava il raggiungimento di questa discretio alla pubertà. "Sed communis canonistarum sententia tenet facultatem iudicandi contrahentium id est criticam non esse aestimandam ex eorundem aetate, potius ex psychologica maturitate. Et quamvis vigens C.I.C. aetatem 14 annorum in muliere et 16 annorum in viro ad matrimonium celebrandum exigat, hoc nullam habet rationem cum necessaria maturitate iudicii, cum aliis causis ethico-iuridicis nitatur" (n. 22).

L'ultima parte della sentenza (nn. 23-30) è tutta centrata sulla puntualizzazione degli elementi necessari perché si abbia una vera, sufficiente discretio iudicii.

La sentenza, premesso che "Cognitione aestimativa homo non tantum quid faciendum sit vel pondus alicuius rei theorice cognoscit: sed insuper sibimet applicat eiusmodi cognitionem, adeo ut valeat ipse concrete percipere et attente perpendere vim suorum actuum" (n. 23), spiega che la "deliberatio ad contrahendum matrimonium necessaria consistit in intellectus collatione inter rem perceptam et eiusdem contrariam... ubi deest eiusmodi comparatio libertas non adest, atque ideo deficit deliberatio" (n. 24).

Electio, libertas et deliberatio (qualche sentenza precedente parla di imperium, come si è visto) sono dunque elementi strettamente collegati fra loro; non esiste vera electio e deliberatio senza libertas. Questa può essere limitata da molti fattori, intrinseci ed estrinseci. "Itaque ed anche su questa puntualizzazione molto la giurisprudenza rotale deve a questa sentenza ad ostendendam causalitatem psychicam alicuius actus voluntarii... requiritur etenim ulterius quod perpendatur reactio affectiva ipsius subiecti... quamvis haud probemus thesim iuxta quam sentimentum constituit tertium genus supremum psychicum, una cum generibus cognitione et appetitione..." (n. 24).

Questa è l'ultima sentenza presa in considerazione dalla Commissione per la Revisione del Codice prima della stesura dell'ultimo schema.

 

14. Conclusioni.

A questo punto, possiamo quindi cercare di tirare le fila dell'evoluzione della giurisprudenza sul nostro tema ed indicare poi molto soggettivamente quali sono ragionevolmente gli orizzonti di sviluppo di questa giurisprudenza.

Ci sembra di poter dire che sia dato giurisprudenziale consolidato che il defectus usus rationis riguardi l'incapacità conoscitiva in atto (ubriaco, drogato...) o abituale. Questo non significa che non riguardi anche l'aspetto volontaristico; vuol dire soltanto che, se esiste già un difetto dell'intelletto, a fortiori ci sarà quello della volontà, che senza previa conoscenza è cieca.

Il defectus discretionis iudicii riguarda viceversa la maturità di giudizio necessaria a poter porre in essere un determinato contratto. Su di essa possono incidere i vizi delle facoltà superiori, intelletto e volontà.

Per parte dell'intelletto non si richiede che il contraente sia in grado di valutare, nella loro pienezza, tutti e singoli gli obblighi che col matrimonio dovrà assumere; è sufficiente che egli si renda conto dell'importanza dell'atto che intende porre in essere.

Per parte della volontà il contraente deve essere capace di porre in essere un atto umano, un atto di cui cioè egli possa considerarsi dominus e questo non potrà essere altro che un atto di libera scelta e determinazione, in sé ed in relazione all'essenza del matrimonio.

Libera scelta e determinazione in sé, in quanto il contraente sia in condizione di valutare i motivi che lo spingono a contrarre rispetto a quelli che dovrebbero distoglierlo; la decisione di un atto cosí importante come il matrimonio non può infatti essere frutto di una scelta assurda o di una non-scelta. Libera scelta e determinazione in ordine all'essenza del matrimonio, in quanto egli deve essere in grado (di conoscere e) di volere un rapporto eterosessuale, fedele ed indissolubile, aperto al bene dei coniugi ed alla procreazione della prole.

Quand'è che la parte ha questa capacità? La "corrente giuridica" come abbiamo visto finisce per dichiarare la propria impotenza (c. Mattioli) (cfr. ancora oggi, A.R.R.T. Pariesien-Melden 5.11.1992 c. Burke, sub prelo in Il Diritto Ecclesiastico 1993, II, una delle sentenze recenti piú notevoli su questo punto) o per ancorare le proprie conclusioni a delle fictio iuris (can. 1096). La "corrente psichiatrica (psicologica, antropologica)" è piú elastica e, a nostro avviso, piú aderente alla realtà, anche a quella che i codificatori hanno mostrato di voler far propria (c. Pompedda) (cfr. Communicationes 9 (1977), p. 360). Non si può cioè dare una risposta valida per ogni contesto geografico, culturale e temporale; nel nostro contesto occidentale di questo secolo la persona non è capace di volere una persona sola e per sempre se non dopo il diciannovesimo anno (cfr. Gemelli; c. Pinto e c. Pompedda). La discretio iudicii necessaria e sufficiente per contrarre validamente matrimonio sarà dunque quella posseduta normalmente dalle persone di questa età.

Tutti i difetti quindi che colpiscono l'intelletto e la volontà, in sé (c. Canestri, c. Pinto, c. Pompedda) e nel loro armonico coordinamento (c. Mattioli), riportando il soggetto ad una maturità psicologica inferiore a quell'età lo rendono incapace di contrarre un valido matrimonio.

Quali gli scenari futuri di progresso di questa giurisprudenza?

Mi sembra siano sostanzialmente due: a. da una parte l'approfondimento dell'ancoraggio dell'incapacità giuridica a quella psichica, con il definitivo superamento delle presunzioni e delle fictio iuris, ancoraggio che condiziona ancora il ragionamento e la decisione di sentenze post-codiciali, per altro verso anche pregevolissime; b. dall'altro, l'approfondimento del rapporto fra volontà e sentimento, sembrando quest'ultimo non un elemento che si aggiunge a intelletto e volontà (come giustamente rileva la c. Pompedda), bensí dell'atto volontaristico matrimoniale, appartenendo esso a quell'elemento essenziale del matrimonio che è il bonum coniugum.

Carlo Gullo