(La numerazione progressiva a margine senza formattazione è riportata dalla serie degli EV)

 

 

 

INTRODUZIONE

 

 

1826

"Promozione umana e cristiana", "salute", "urgenze" sono tre settori sui quali il Pontificio consiglio «Cor unum» incentra attualmente la propria riflessione per rendere un miglior servizio alle chiese locali e alle organizzazioni cattoliche di aiuto e di condivisione. Dal 21 al 23 maggio 1980, un gruppo di lavoro comprendente 14 persone competenti ha studiato un tema davvero attuale: "i disastri di lunga durata". Dopo aver precisato alcuni tipi di catastrofi e le loro cause, i partecipanti hanno parlato delle conseguenze che esse hanno sulla popolazione e sulla pastorale della Chiesa, e in particolare sulla necessità di un coordinamento locale; il ruolo delle organizzazioni cattoliche al servizio di una Chiesa che deve affrontare una catastrofe di lunga durata è stato oggetto di un ampio scambio di vedute che ha permesso di mettere a fuoco speranze e orientamenti. Parlare di una calamità che si protrae per un lungo periodo ha inoltre permesso di ricordare gli interventi d'urgenza da realizzare immediatamente e a medio termine.

 

 

 

1 - DIVERSI TIPI DI CATASTROFI

1.1 - Due cause principali

1827

Si è soliti semplificare e suddividere i disastri secondo due cause principali, ma ad essi vanno tuttavia aggiunti quei disastri in cui queste due cause si combinano.

 

 

 

1.1.1. Le catastrofi naturali

1828

Le catastrofi naturali colpiscono, ogni anno, numerosi paesi: terremoti e maremoti, cicloni e tifoni, inondazioni e siccità, ecc. È utile notare che, nelle regioni "sensibili" ai movimenti sismici o a condizioni climatiche ricorrenti, l'uomo può diminuire gli effetti di queste catastrofi previste provvedendo ad alcuni interventi: costruzioni anti-sismiche, dighe e sistemi di irrigazione, rimboschimento, ecc.

 

 

1.1.2. Le catastrofi dovute all'uomo

1829

Le catastrofi dovute all'uomo consistono soprattutto nelle guerre civili e nei conflitti armati di breve o lunga durata, ma i cui effetti materiali e psicologici si ripercuotono su lunghi periodi; troppi esempi contemporanei lo provano. Le loro cause e le eventuali prevenzioni meriterebbero uno studio approfondito al quale Cor unum potrebbe collaborare. Si devono tuttavia attribuire all'uomo anche alcuni disastri ecologici, dovuti alla mancanza di una piena padronanza del progresso scientifico; possiamo citare le catastrofi petrolifere o il degassamento delle petroliere in prossimità delle coste (marea nera) con le loro gravi conseguenze sulla fauna e la flora marina, e quindi sulle popolazioni che vivono di pesca; si può aggiungere ancora lo squilibrio di un intero ecosistema dovuto all'uso massiccio di D.D.T. per combattere la malaria.

 

 

 

1.1.3. Le catastrofi dovute a cause miste

1830

Le catastrofi dovute a cause miste sono gravissime per le popolazioni che ne sono vittime; prendiamo solo l'esempio di quelle vittime della guerra nelle province etiopiche dove infierisce anche una terribile siccità; il conflitto impedisce di fornire alla popolazione sinistrata gli aiuti alimentari assolutamente necessari alla sopravvivenza, e impedisce anche di intraprendere elementari lavori di perforazione di pozzi o di conduzione d'acqua.

 

 

1.2 - Tipi diversi: tentativi di descrizione

1831

Quando una determinata catastrofe a lunga durata viene studiata piú da vicino, ci si accorge presto che una definizione attraverso le cause (naturali o/e dovute all'uomo) non basta, poiché tali cause generano delle conseguenze che, a loro volta, diventano cause di altri effetti: soltanto una descrizione può allora testimoniare l'insieme della situazione.

 

 

1.2.1. Siccità

1832

Prendiamo in esame una situazione di siccità che riguardi vari paesi vicini e perduri per un certo numero di anni:

- la causa principale può essere un cambiamento climatico a lungo termine o un fenomeno ricorrente; se, per il Sahel, gli archivi non sembrano permettere di valutare la durata di tali cicli, in Etiopia si parla di 44 grandi siccità registrate tra il 1252 e il 1973;

- un disboscamento sconsiderato dovuto alle necessità delle comunità umane e a quelle di una civiltà pastorale può contribuire ad alcuni cambiamenti climatici;

- la siccità provoca spesso la carestia, dal momento che le colture producono meno o nulla; questa mancanza di prodotti alimentari può essere aggravata da un sistema feudale di proprietà della terra che impedisce qualsiasi miglioramento dei metodi di coltivazione; il bestiame muore di sete e di denutrizione o viene abbattuto per sopperire ai bisogni della popolazione, e questo non resta senza conseguenze per il futuro;

- fuggendo dalle zone piú colpite dalla siccità, gli abitanti emigrano, sia all'interno del proprio paese sia verso i paesi limitrofi, per raggiungere altre terre anch'esse povere o destinate a diventarlo rapidamente in seguito ad uno sfruttamento eccessivo;

- queste migrazioni possono scatenare conflitti o provocare sconvolgimenti politici, ecc. Una tale situazione non è chimerica, si verifica sotto i nostri occhi in numerose regioni.

 

 

 

1.2.2. Altre catastrofi

1833

Si potrebbero descrivere altre catastrofi nelle quali le cause e gli effetti si mescolano (inondazioni, ecc.). A volte l'inesperienza e l'incoerenza dell'uomo possono prolungare le conseguenze di un cataclisma la cui causa è stata rapida e passeggera:

- conosciamo il caso di soccorsi urgenti organizzati vicino alle città dopo una inondazione che aveva colpito una vasta regione; invece di decentrare i centri di distribuzione di cibo e vestiti, fu la popolazione a doversi spostare verso tali centri, e la grande maggioranza vi rimase, creando quartieri miserabili e prolungando cosí gli effetti di qualche settimana di pioggia di anni addietro;

- viene citato il caso di un paese industrializzato in cui la mancanza di coordinamento e di pianificazione fa sí che, dopo un terremoto, la popolazione abiti ancora in baracche nelle vicinanze di ampie autostrade che sostituiscono le vie di comunicazione distrutte dal sisma;

- in caso di catastrofi (siccità, inondazioni), procrastinare la proclamazione dello stato di allerta può prolungarne la durata, aumentare il numero delle vittime e ritardare gravemente gli aiuti e i rimedi.

 

 

 

1.3 - Responsabilità

1834

Queste descrizioni, per quanto rapide, ci stimolano ad essere prudenti nella fuga o nell'attribuzione delle responsabilità. Ci insegnano ad essere vigilanti sulle nostre attività che possono provocare, aggravare o prolungare catastrofi. Il nostro modo di organizzare i soccorsi, siano essi di sopravvivenza o a medio termine, può avere gravi o benefiche conseguenze; un gruppo di lavoro di "Cor unum" ha già studiato, nel 1977, "la prospettiva dello sviluppo negli interventi d'urgenza". In questo come in altri settori raramente ci si sbaglia se, nei soccorsi, la priorità è data all'uomo nella sua indigenza attuale e già nella prospettiva della sua promozione integrale e solidale.

 

 

 

2 - CONSEGUENZE SULLA POPOLAZIONE

 2.1 - Conseguenze negative

1835

La popolazione civile soffre sempre, nelle persone e nelle comunità, di una catastrofe, specialmente se a lunga durata, perché in questo caso le conseguenze incidono in profondità e nelle loro diverse dimensioni.

 

 

 

2.1.1 Conseguenze negative economiche

1836

Le conseguenze economiche sono raramente superficiali e possono arrivare fino alla rovina completa del paese: in Libano si parla di una agricoltura colpita al 40% e di una industria al 60% con quanto ciò rappresenta per l'alimentazione della popolazione e le finanze pubbliche; il commercio può essere in gran parte paralizzato, come pure il turismo se il paese non può offrire un certo grado di sicurezza agli ospiti. Il gran problema diventa allora quello della disoccupazione e dell'impoverimento delle famiglie; la mano d'opera, soprattutto la piú competente, emigra e fa gravemente sentire la sua mancanza per la ricostruzione del paese.

 

 

 

2.1.2. Conseguenze negative sociali e umane

1837

Le conseguenze sociali e umane sono dunque dovute alle cause economiche, sopra evocate; bisogna aggiungere ancora la mendicità provocata dalla pauperizzazione di una parte, piú o meno importante, della popolazione senza dimenticare, d'altronde, la nascita di una nuova classe di "approfittatori" di questa situazione. Alcuni gruppi umani sono disintegrati dalla disoccupazione, dalle migrazioni interne o all'estero; la società può subire uno squilibrio se dei gruppi di nomadi devono sedentarizzarsi. I feriti, gli handicappati e quanti sono colpiti in forma grave nella salute, le vedove e gli orfani sono le vittime piú provate delle catastrofi. L'interruzione della frequenza scolastica per vari anni compromette a volte gravemente l'avvenire dei giovani, e dunque del paese.

 

 

 

2.1.3. Conseguenze negative morali

1838

Le conseguenze morali sono praticamente inevitabili nel corso di questi lunghi periodi di smarrimento e di destabilizzazione sociale. Le situazioni di conflitti armati mantengono le passioni e la violenza, specialmente nei giovani che vi partecipano e a volte vi esercitano delle responsabilità; essi incontrano molte difficoltà a ritrovare una vita stabile e pacifica dove hanno un ruolo ben diverso da svolgere. Il riassorbimento degli odi e dei sentimenti di vendetta generati dai conflitti sociali, armati o non, è lento: la Chiesa, come vedremo, non può rimanere fuori da questa fase di riconciliazione. A questi turbamenti morali, aggiungiamo i traumi psichici estremamente gravi di cui possono essere vittime persone di ogni età, testimoni di atrocità.

 

 

 

2.1.4. Conseguenze negative politiche

1839

Le conseguenze politiche dei conflitti sociali arrivano a volte a ostacolare o perfino a paralizzare totalmente lo stato e le sue strutture di intervento (esercito, soccorsi di ogni tipo, misure economiche, ecc.), provocando cosí il prolungarsi nel tempo di tutte le altre conseguenze di una calamità. Un'altra categoria di rifugiati può inoltre avere origine in tali circostanze, quella dei rifugiati politici.

 

 

 

2.2 - Conseguenze positive

1840

Come vedremo piú avanti, non bisognerebbe trascurare di cogliere le" occasioni" che certe catastrofi a lunga durata possono offrire per tentare non solo di ristabilire una situazione globale soprattutto se, agendo nel breve o medio termine, si è cercato non solo di pensare al futuro, ma anche di migliorarlo con vari mezzi o in diversi settori: maggiore presa di coscienza da parte della popolazione delle sue responsabilità nel proprio sviluppo, rinnovamento delle relazioni sociali, migliori condizioni di alloggio, riforma agraria, ecc.

 

 

 

3 - CONSEGUENZE PASTORALI PER LA CHIESA

1841

La Chiesa, nella sua pastorale, si occupa dei suoi fedeli e vive "nel mondo di questo tempo" dove essa ha delle responsabilità; tutto questo insieme è inevitabilmente intaccato, in modo positivo o negativo, in caso di catastrofe, soprattutto se questa si prolunga nei suoi effetti. Questi diversi aspetti della pastorale non sono sempre separabili gli uni dagli altri; tuttavia, tentiamo di discernerli per meglio individuarne e registrarne le conseguenze. È necessario precisare che quando parliamo di "Chiesa" o di "Chiesa locale", lo facciamo nello spirito della Lumen gentium? Specificheremo quando si tratta di responsabilità specifiche della gerarchia.

 

 

 

3.1 - Conseguenze sulla vita interna della Chiesa

3.1.1. Conseguenze negative

1842

Sono stati evocati numerosi esempi di conseguenze che potremmo definire "negative"; ne citeremo alcuni:

- la distruzione di edifici religiosi può essere gravemente risentita dalla comunità cristiana che può chiederne il restauro con priorità, soprattutto quando sono considerati come "il" luogo di riunione che aiuta la popolazione a incontrarsi e a costituirsi in comunità; la distruzione delle loro case, la perdita di oggetti liturgici e di libri di spiritualità causano un grave danno al clero, ai religiosi e alle religiose che bisogna rapidamente aiutare a ritrovare il minimo perché possano vivere secondo la loro vocazione spirituale;

- alcune parrocchie spariscono a volte del tutto, svuotate dei loro abitanti che si disperdono e partono verso altri luoghi, mentre altre parrocchie, al contrario, vedono la loro popolazione aumentare in proporzioni considerevoli; può capitare lo stesso per alcune diocesi; in altre circostanze, i pastori sono impediti di esercitare il loro ministero; in altre regioni dove la Chiesa è già minoritaria, è tutta la gioventú cristiana che parte;

- nella Chiesa sorgono divisioni, specialmente nelle situazioni in cui interviene la politica (conflitti, guerra civile, ecc.): i vescovi divergono sulle scelte, anche pastorali, da prendere; alcuni religiosi agiscono al di fuori della gerarchia, critiche acerbe vengono rivolte ai vescovi e agli altri responsabili della Chiesa sui loro impegni o sul loro rifiuto a fare l'una o l'altra opzione.

 

 

 

3.1.2. Effetti positivi

1843

Ma sono stati sottolineati numerosi effetti positivi o che possono diventare tali; a loro proposito si è detto che presentano delle "occasioni" per la pastorale della Chiesa; eccone alcuni esempi che evidentemente non si possono generalizzare:

- il pericolo, soprattutto dov'è permanente, conduce a volte ad un risveglio della fede, della preghiera, della pratica religiosa e della pietà popolare; non si tratta solo di un riflesso di paura o di un bisogno di sicurezza e di protezione divina, poiché questo "risveglio", in certe circostanze, si manifesta anche, specialmente nei giovani, attraverso una sete di approfondire la loro fede, e una generosità rinnovata provata dall'aumento del numero di vocazioni sacerdotali e religiose;

- il fatto che la Chiesa sia essa stessa provata dal disastro la avvicina alla popolazione alla quale spontaneamente essa offre il rifugio degli edifici del culto o scolastici; è una nuova occasione che essa ha per mettersi direttamente a contatto con tutti e in particolare i non cristiani;

1844

- molti laici optano per un impegno religioso e sociale, per un aiuto ai giovani e alla ricostruzione; il che permette alla Chiesa, come vedremo piú avanti, di meglio realizzare il suo ruolo tra la popolazione. Per la Chiesa stessa ciò può rappresentare un'occasione da cogliere per ricostituire il popolo di Dio in modo tale che ognuno vi eserciti le proprie responsabilità e che le critiche non vengano sempre rivolte ai vescovi come se solo loro costituissero tutta la Chiesa;

- la durata di alcuni cataclismi può offrire alla Chiesa l'occasione di ripensare la sua pastorale scolastica, di disfarsi di alcuni metodi (scuole per privilegiati?) e di rinnovarsi per una politica educativa al servizio dei poveri e conforme ai veri interessi del paese e del suo avvenire;

- il dolore subito ugualmente da tutti avvicina chi ne è vittima e dà la possibilità di eliminare i sospetti reciproci e di sopprimere i ghetti; possono crearsi nuove solidarietà, avvicinando i cristiani tra loro per mezzo di un comune impegno e facendo che cristiani e non cristiani si scoprano fratelli chiamati a ricostruire la stessa patria.

 

 

 

3.1.3. Occasioni da non perdere

1845

Tutti questi effetti positivi non si producono dappertutto né insieme, ma richiamano la nostra attenzione sull'aspetto positivo delle situazioni dolorose e ci stimolano a scoprire occasioni che dobbiamo cogliere.

 

 

 

3.2 - Conseguenze sulla missione della Chiesa presso la popolazione sinistrata

3.2.1. Ruolo specifico della Chiesa

1846

È necessario evitare di sottovalutare e di limitare questo ruolo, sia prima che durante o dopo il disastro, e questo a diversi livelli e in vari ambiti; noi possiamo menzionare solo alcuni punti.

1847

- Possiamo interrogarci sull'estensione di tale ruolo: i cristiani in quanto cittadini, hanno il diritto e il dovere di intervenire e di offrire assistenza presso tutte le vittime di una catastrofe; gli organismi e le istituzioni della Chiesa offrono i loro servizi valutando attentamente le forme di questo impegno che non deve nuocere ad altri obblighi il cui compimento è pure necessario alla popolazione. La Chiesa agisce in modo complementare con gli altri servizi, pubblici e privati, e non cerca affatto di sostituirli o di acquisire un monopolio del quale, d'altronde, non avrebbe i mezzi per assumere tutti gli oneri.

1848

- La Chiesa vede a volte la sua libertà d'azione limitata dalla politica di uno stato o dall'opposizione di ideologie che vogliono escluderla dall'azione sociale per timore che essa conquisti la simpatia della popolazione. Al contrario, dove lo stato è disorganizzato e non ha possibilità di agire o è contestato dalla popolazione, il ruolo della Chiesa può acquistare importanza, specialmente se ciò viene auspicato dall'insieme dei sinistrati che, in caso di conflitti politici o di guerra civile, la considerano come imparziale e disinteressata nell'assistenza che fornisce e nell'aiuto che distribuisce.

1849

- I problemi umani connessi alle catastrofi di lunga durata hanno spesso in comune il fatto di mettere in causa la giustizia; pensiamo al miliardo di uomini malnutriti del nostro tempo, a quei milioni di bambini che ogni anno diventano ciechi. Non tentare di rimediare a queste catastrofi è un'ingiustizia a motivo della mancanza di solidarietà umana nella lotta contro le loro cause. La Chiesa è o dov'essere sempre con i poveri e gli oppressi per soccorrerli e difendere i loro diritti; i suoi modi di intervenire sono molteplici secondo le circostanze e le proprie possibilità nel suo paese, ma essa non può tacere; da lei - e questo fa parte della sua missione e del suo ruolo specifico - tutti si aspettano che sia "la voce di chi non ha voce" e che, senza partito preso, chiami i responsabili a prendere coscienza delle situazioni di ingiustizia per trovare i mezzi atti a porvi fine.

1850

- È la carità che in modo eminente caratterizza i l ruolo e l'intervento della Chiesa e dei cristiani. Imparziale, la Chiesa che è inviata ai poveri per annunciare la buona novella, dev'essere prudente e libera, discreta e efficace; i suoi interventi mirano a ricostruire l'unità tra coloro che dagli avvenimenti sono stati divisi e straziati; la sua azione non è quella di un'opera filantropica, è pastorale, dev'essere una testimonianza evangelica dell'amore di Dio verso tutti e singoli gli uomini soprattutto verso quanti soffrono; il modo di rivolgersi all'uomo che soffre è piú importante che i soccorsi materiali da offrire. La carità non fa concorrenza agli altri movimenti umanitari, ma è inventiva e concepisce soluzioni nuove per le nuove povertà.

 

 

 

3.2.2. Azioni concrete della Chiesa

1851

Per agire in caso di catastrofi e contribuire, soprattutto per un tempo lungo, non solo a prevenire e ad attenuare le conseguenze, ma soprattutto ad assicurare la riabilitazione e la promozione umana delle vittime, la Chiesa si dota di istituzioni (ne parleremo piú avanti); ma è opportuno citare alcuni orientamenti della sua azione:

- nelle zone sottoposte a ricorrenti cataclismi, le organizzazioni cristiane dovrebbero preparare i loro responsabili alle funzioni che sono chiamati ad assolvere, formare personale competente (ad esempio per le cure d'urgenza);

- nelle situazioni di conflitti di cui sia impossibile prevedere il termine, tentare di fare una seria analisi della situazione per valutarne i possibili effetti e prevedere i vari tipi di soccorso di cui la popolazione avrà bisogno;

1852

- durante ogni catastrofe, far prendere coscienza alla popolazione della reale situazione per attenuarne l'impatto traumatizzante e perché ciascuno si senta responsabile di se stesso e degli altri e partecipi alle attività di ricostruzione presente e di preparazione di un avvenire migliore; è infatti importantissimo che, nella maggior misura possibile, le vittime stesse prendano in mano la propria riabilitazione;

- l'accoglienza dei rifugiati chiede di essere preparata materialmente, ma soprattutto psicologicamente e spiritualmente affinché non diventi un puro "alloggiare", ma un'"accoglienza" fraterna e cristiana. Non insistiamo su questa accoglienza dei rifugiati che Cor unum ha già studiato in altri gruppi di lavoro.

 

 

 

3.3 - Solidarietà internazionale delle chiese locali

1853

Come vedremo, in particolare nella quinta parte del presente rapporto, sia che si tratti di azioni di sviluppo che di situazioni d'urgenza, esiste, a livello internazionale, una grande collaborazione tra le chiese locali. Questa corresponsabilità può a volte consigliare a delle chiese locali di intervenire, secondo forme variabili, presso i propri governi o l'opinione pubblica perché prendano eventualmente coscienza delle loro responsabilità nelle catastrofi che colpiscono altri paesi (conflitti armati, situazioni di ingiustizia) e quasi sempre, del loro dovere di solidarietà per affrettarne il termine e attenuare le circostanze. L'esempio piú recente di questa solidarietà ecclesiale e universale è stato offerto dal papa Giovanni Paolo II nella sua omelia di Ouagadougou (10 maggio 1980) dove egli ha lanciato un appello al mondo e a tutte le categorie di responsabili a proposito della siccità e del problema della desertificazione nel Sahel. Nel giugno 1979, Giovanni Paolo II aveva sensibilizzato tutte le chiese locali del mondo, sulla situazione dei rifugiati del sud-est asiatico e la loro accoglienza.

 

 

4 - NECESSITÀ DI UN COORDINAMENTO

1854

Il coordinamento a livello di Chiesa locale è un tema spesso affrontato nelle diverse riunioni organizzate da "Cor unum"; qui, dunque, citeremo solo alcune riflessioni; pur essendo di ordine generale, esse vanno prese in considerazione quando si tratta di una catastrofe di lunga durata.

 

 

 

4.1 - Perché?

1855

Coordinarsi è un bisogno sentito da tutti i veri responsabili nell'ambito della pastorale sociale; ciò è pure una necessità, comprovata dall'esperienza delle chiese locali alle prese con una catastrofe. Non solo i primi soccorsi d'urgenza sono meglio organizzati, ma il piano a lungo termine per la riabilitazione e la promozione umana è pensato piú a fondo. Il coordinamento si organizza e si struttura secondo l'originalità di ogni Chiesa, la sua esperienza pastorale e la realtà formata dai diversi organismi che partecipano a questo concerto, in modo da offrire una testimonianza comunitaria dell'unità della Chiesa. Senza questo coordinamento vi è il rischio di anarchia nelle iniziative e negli aiuti: alcuni settori vengono dimenticati, progetti simili entrano in concorrenza, si sciupa denaro, i poveri sono mal serviti o dimenticati.

 

 

 

4.2 - La sua missione

1856

Un primo compito affidato ai responsabili del coordinamento è la riflessione: - vegliare che tutta l'azione della Chiesa sia ispirata dalla carità e da una grande preoccupazione di giustizia sociale - evitando di fare del coordinamento un semplice fatto di strutture, porre attenzione alla dimensione evangelica dell'azione della Chiesa - tendere a far sí che tutti i responsabili partecipino all'elaborazione di un piano comune, alla valutazione degli effetti positivi o negativi dell'aiuto, all'educazione della popolazione ecc.

1857

Un altro aspetto di questa missione è di armonizzare e coordinare le attività di tutte le organizzazioni cattoliche locali, evitando certe rivalità, certe rivendicazioni monopolistiche e superando progressivamente le resistenze alla concertazione; respingere ogni pretesa di voler fare tutto nel paese, il che equivarrebbe a misconoscere il ruolo e le capacità d'azione della Chiesa e a dimenticare le responsabilità dei pubblici poteri e delle altre comunità e organizzazioni.

 

 

 

4.3 - Relazioni

1858

La struttura di coordinamento deve diventare un "centro" dalle molteplici relazioni:

- esso deve ottenere riconoscimento o mandato da parte del vescovo, a livello diocesano, e della conferenza episcopale a livello nazionale; si auspica un decentramento attraverso centri diocesani di coordinamento;

- la dimensione ecumenica nelle relazioni con le chiese e le comunità cristiane va cercata senza tregua; le relazioni con i non cristiani vanno intensificate al servizio di un'azione comune;

- il "centro" è il portavoce della Chiesa locale nelle relazioni con gli organismi governativi e con le organizzazioni non governative rappresentati sul luogo;

- questo centro di coordinamento è il primo interlocutore delle organizzazioni cattoliche esterne alle quali è chiesto di concedergli fiducia e di rispettarne il mandato;

- nel corso del nostro gruppo di lavoro, si è auspicato di organizzare relazioni di coordinamento a livello regionale (Africa anglofona, Africa francofona, ecc.) che si rivelano necessarie per una migliore efficacia nelle nostre attività a servizio dell'uomo; sviluppo, salute, rifugiati, ecc.

1859

Ancora una volta, il coordinamento non è un affare di strutture, di prestigio o di potere, ma una necessità per il miglior servizio che la Chiesa deve ai poveri e specialmente alle vittime delle catastrofi di diversi tipi.

 

 

 

5 - LE ORGANIZZAZIONI CATTOLICHE

1860

Definire un'"organizzazione cattolica di aiuto e di condivisione", descrivere i suoi criteri e le sue responsabilità, analizzarne le possibili difficoltà richiederebbe molto tempo; il presente rapporto vorrebbe limitarsi ad alcuni punti che sembrano piú importanti trattandosi di disastri che si prolungano nel tempo. Notiamo che la maggior parte di queste organizzazioni sono ancora situate nel mondo industrializzato e che le chiese locali che ad esse si appoggiano hanno delle domande precise da presentar loro.

 

 

 

5.1 - Definizione

1861

Un'organizzazione per essere "cattolica" deve soddisfare a vari criteri molto importanti per le chiese locali con le quali entrano in rapporto; citiamone alcuni:

- essere riconosciuta dalla gerarchia, poiché una spiritualità (e a maggior ragione un'ideologia) non basta per essere un'organizzazione di Chiesa e nella Chiesa.

- uno scopo e un programma determinati per evitare le rimostranze e i conflitti con altre organizzazioni nel proprio paese o nei paesi in cui interviene; i compiti devono essere conformi alla vocazione primaria e non variare o calpestarsi con quelli di altri;

1862

- la motivazione nell'azione dev'essere e rimanere cristiana e non venire alterata da considerazioni ideologiche o d'altro tipo;

- non sono l'organizzazione in quanto tale o i suoi responsabili che allacciano delle relazioni con una Chiesa locale, ma dovrebbe essere chiaro che si tratta di relazioni intraecclesiali, che sono auspicate tra due chiese locali. Ciò evita difficoltà alla Chiesa locale nel proprio paese ("le organizzazioni passano, le chiese rimangono") e garantisce che la dimensione evangelica dei programmi sarà meglio assicurata.

 

 

 

5.2 - Relazioni con le chiese locali

1863

In questo ambito sono citati e conosciuti ottimi risultati; vengono segnalate anche alcune difficoltà; ecco alcuni auspici espressi:

- che l'organizzazione di coordinamento locale sia rispettata e che venga instaurato un reale dialogo fraterno per una migliore conoscenza reciproca e un'armonia fra i compiti di tutti: ognuno ne uscirà rafforzato e piú fiducioso;

- che venga rispettato il principio di sussidiarietà nella formazione e nella realizzazione dei programmi; che ogni cosa si svolga con duttilità.

 

 

 

5.3 - Rischi e difficoltà

1864

- Scegliersi degli interlocutori senza mettersi d'accordo con la Chiesa locale che viene emarginata; l'unione dei vescovi e dei cristiani locali può venire disintegrata dalla nascita di gerarchie parallele, cosa tanto piú spiacevole in quanto il paese è già vittima di una catastrofe;

- arrivare con programmi prestabiliti che schiacciano la Chiesa locale e la conducono a procurarsi strutture troppo pesanti in personale e spese di funzionamento, le quali nuocciono al volto che la Chiesa vuole avere nel suo proprio paese;

1865

- la "secolarizzazione" o "desacralizzazione" è una "catastrofe a lungo termine" di cui soffrono i paesi industrializzati. Le organizzazioni cattoliche devono far bene attenzione a non esportarla verso paesi che hanno un profondo senso del sacro, sia mediante le motivazioni che mediante i programmi, sia mediante il personale che li rappresenta;

- l'ignoranza della realtà socio-culturale del paese è un ostacolo che può essere superato grazie alle relazioni con la Chiesa locale che informa, consiglia, introduce in relazioni umane fraterne, come pure il carattere troppo straniero dell'ospite, che non è un turista di passaggio, ma vuole lavorare nel paese, nuoce agli scambi.

 

 

 

CONCLUSIONE

1866

Il valore degli esposti presentati da cinque dei partecipanti a questo gruppo di lavoro e la ricchezza degli scambi che li hanno seguiti non possono manifestarsi pienamente in questo rapporto che è solo una sintesi. Durante questo convegno alcune idee-forza sono state dominanti:

1867

1. Trattando del ruolo della Chiesa al servizio delle vittime delle catastrofi, sembra difficile parlare separatamente delle sue responsabilità quando il disastro si prolunga per molto tempo: infatti l'avvenire è già predisposto nei suoi interventi nel periodo di pronto soccorso. Cosí, per essere pronta a intervenire, essa deve procurarsi i mezzi, in particolare i tre che nominiamo qui di seguito.

1868

2. La Chiesa locale è la prima responsabile in questa azione; le sarà quindi necessaria una riflessione sulla pastorale sociale e di promozione umana e sulla dimensione evangelica della sua azione, poiché, qualsiasi siano le circostanze o gli aiuti portati, l'azione della Chiesa è pastorale.

1869

3. Un'autentica preparazione a far fronte ad eventuali catastrofi di diversi tipi e a instaurare un efficace coordinamento diocesano e nazionale che armonizzi gli sforzi di tutti e assicuri le relazioni con le organizzazioni cattoliche esterne per una cooperazione tra le chiese locali.

1870

4. Un clima ecumenico è non solo da cercarsi in ogni momento, ma fa parte di una reale preparazione ad un'azione comune e complementare che sia, in caso di catastrofi, una testimonianza evangelica di carità e di unità.

 

 

 

 

 

 

 

 

EV 7

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.