Atteso che in qualche nazione un gruppo di fedeli, appellandosi al prescritto can. 1335, seconda parte, delCodice di diritto canonico, ha richiesto la celebrazione della Santa Messa a sacerdoti che hanno attentato il matrimonio, è stato domandato a questo Pontificio Consiglio se sia lecito a un fedele o comunità di fedeli chiedere per una giusta causa la celebrazione dei sacramenti o dei sacramentali a un chierico che, avendo attentato il matrimonio, sia incorso nella pena della sospensione "latae sententiae" (cf. can. 1394 § 1 CIC), la quale però non sia stata dichiarata.

Questo Pontificio Consiglio, dopo attento e ponderato studio della questione, dichiara che tale modo di agire è del tutto illegittimo e fa notare quanto segue:

1) L'attentato matrimonio da parte di un soggetto insignito dell'ordine sacro costituisce una grave violazione di un obbligo proprio dello stato clericale (cf. can. 1087 del Codice di diritto canonico e can. 804 del Codice dei canoni delle chiese orientali) e perciò determina una situazione di aggettiva inidoneità per lo svolgimento del ministero pastorale seconda le esigenze disciplinari della comunione ecclesiale. Tale azione, oltre a costituire un delitto canonico la cui commissione fa incorrere il chierico nelle pene recensite nel can. 1394 § 1 CIC e can. 1453 § 2 CCEO, comporta automaticamente l'irregolarità a esercitare gli ordini sacri ai sensi del con. 1044 § 13º CIC e can. 763 2º CCEO. Questa irregolarità ha natura perpetua, ed è quindi indipendente anche dalla remissione delle eventuali pene.

Di conseguenza, al di fuori dell'amministrazione del sacramento della penitenza ad un fedele che versi in pericolo di morte (cf. can. 976 CIC e can. 725 CCEO), al chierico che abbia attentato il matrimonio, non è lecito in alcun modo esercitare, i sacri ordini, e segnatamente celebrare l'eucaristia; ne i fedeli possono legittimamente richiederne per qualsiasi motivo, tranne il pericolo di morte, il ministero.

2) Inoltre, anche se non sia stata dichiarata la pena - cosa che peraltro il bene delle anime consiglia in questa fattispecie, eventualmente attraverso la procedura abbreviata stabilita per i delitti certi (cf. can. 1720 3º CIC) - nel caso ipotizzato non esiste la giusta e ragionevole causa che legittima il fedele a chiedere il ministero sacerdotale. In effetti, tenuto conto della natura di questo delitto che, indipendentemente dalle sue conseguenze penali, comporta un'oggettiva inidoneità a svolgere il ministero pastorale, e atteso anche che nella fattispecie è ben conosciuta la situazione irregolare e delittuosa del chierico, vengono a mancare le condizioni per ravvisare la giusta causa di cui al can. 1335 CIC. Il diritto dei fedeli ai beni spirituali della chiesa (cf. can. 213 CIC e 16 CCEO) non può essere concepito in modo da giustificare una simile pretesa dal momento che tali diritti debbono essere esercitati entro i limiti e nel rispetto della normativa canonica.

3) Quanto ai chierici che sono stati dimessi dallo stato clericale a norma del can. 290 CIC e can. 394 CCEO e che abbiano o meno contratto matrimonio in seguito a una dispensa dal celibato concessa dal Romano Pontefice, è noto che viene loro proibito l'esercizio della potestà di ordine (cf. can. 292 CIC e can. 395 CCEO). Pertanto, e salva sempre l'eccezione del sacramento della penitenza in pericolo di morte, nessun fedele può legittimamente domandare a essi un sacramento.

Il Santo Padre ha approvato in data 15 maggio 1997 la presente dichiarazione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dal Vaticano, 19 maggio 1997.

+ Juliàn Herranz, Arciv. tit. di Vertara, presidente

+ Bruno Bertagna, Vesc. tit. di Drivasto, segretario

 

 

 

 

 

 

Cfr. AAS 90 (1998), p. 63 ss.; Communicationes, 29 (1997), 17-18 ; Notitiae, 34 (1998), 190 - 191.

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.