Si ha l'impressione molto spesso, in Italia, che la vera sostanza del laicismo (cosa ben diversa dallo spirito laico) consista nella superficialità (talora assai rozza) con la quale esso è solito definire e/o interpretare la posizione cattolica. Lo si sta vedendo ancora una volta da qualche tempo a proposito della legge sulla fecondazione assistita e di tutte le questioni relative. Lo schieramento politico culturale laicista è infatti incline ad additare al pubblico disprezzo quanto sostiene la Chiesa e ricorrendo abitualmente ai graziosi epiteti di «oscurantista», «medievale», «nemico delle donne», «reazionario».

Ne parla come un punto di vista fuori dalla storia ma soprattutto privo della benché minima dignità culturale, intriso di pregiudizio antiscientifico e al servizio del puro e semplice desiderio della Chiesa e del clero di essere gli unici tribunali della coscienza. È difficile immaginare una delegittimazione piú radicale.

A me pare, invece, che non ci sia bisogno di essere dei cattolici osservanti né aderire alle posizioni della chiesa sulla questione specifica (personalmente io sono la prima cosa e aderisco seconde: in particolare mi lascia molto perplesso l'estensione il magistero fa del concetto «vita», inclusivo dell'embrione, fino a farlo coincidere fatto con «persona», conseguente diritti questa all'altro), c'è tutto ciò per capire al fondo degli orientamenti suoi ostracismi si agitano questioni decisive, futuro già santa sede bensí quello tutta'umanità.

 Questioni ineludibili che meritano ben altra attenzione di quella, per lo piú infastidita e sprezzante, che tanta parte della società italiana, in particolare del ceto dei colti, è solita riservargli. Voglio citarne solo due: quelle che tra tutte a me sembrano della massima importanza.

La prima è riassumibile in alcuni interrogativi: può esserci, è ammissibile o no che ci sia, un limite all'applicazione delle scoperte scientifiche alla realtà sociale? (Attenzione sto parlando non di un limite alla ricerca scientifica, ma di un limite, alla sua, per cosí dire, traduzione nel corpo sociale, nella vita quotidiana di uomini e donne)? Oppure è giusto - ecco l'altro corno del dilemma - acconsentire a tutto ciò che la scienza rende e renderà domani possibile, consentire che ogni possibilità diventi concreta, sia fatta transitare senza alcun vaglio nella trama dei rapporti umani di cui siamo in certo senso i depositari storici e gli eredi? Ancora: è giusto che domani ci si disfi di un embrione qualunque malattia gli sia diagnosticabile per il futuro? Oppure per alcune malattie ciò sarà ammissibile e per altre no? E come scegliere? In base a quale criterio?

In altre parole, e in generale: è lecita o no una discussione pubblica sulla scienza e sui suoi effetti sociali? E si può parlare della scienza a prescindere dal suo proprio punto di vista o di quello di coloro che, per essere addetti ai lavori, pretendono che la propria opinione abbia un valore superiore a quella dei profani? È permesso parlare ad esempio della fecondazione assistita e delle sue conseguenze sulla società umana infischiandosene del parere del celebre ginecologo o di quello della famosa astronoma? I quali, tra l'altro, non si vede quale titolo abbiano a pronunciarsi su cose che non conoscono o conoscono né meglio né peggio di chiunque altro? Oppure sulle conseguenze sociali delle scoperte scientifiche è lecito che prendano la parola solo gli esperti, e che la decisione in merito spetti esclusivamente alle singole volontà degli individui dal momento che ciò corrisponderebbe ad un loro «diritto», che domani potrà estendersi chissà a quali altri desideri?

Ecco alcune delle questioni di qualche peso che la posizione della Chiesa cattolica, con sua netta ostilità alla manipolazione artificiale riproduzione umana, contribuisce a porre e tenere aperte. ne sollevano una ulteriore: cosa si ridurrebbe mai sfera politica nel governo società, dopo essersi spogliata - come almeno in parte sta spogliando molte decisioni materia economica, spogliasse pure quelle applicazioni sociali scienza? seconda questione cattolica piú o meno direttamente sollevare ad agitare riguarda anch'essa chiunque noi, dal momento né natura degli umani. realtà, infatti, le accanite discussioni sull'inizio vita, sul concepimento,'embrione via dicendo, non riguardano tanto il mondo intrauterino quanto dei già nati, vivi ogni effetto, nostro, organizzazione i suoi principi.

Dalla notte dei tempi fino ad oggi infatti quella che chiamerei l'apparente casualità genetica è stato un elemento costitutivo della persona. Nessuno è in grado di conoscere le qualità e il destino di un essere umano che vede la luce: in esso si può nascondere un genio o un imbecille; cosí come di conseguenza nessuno è in grado di conoscere le sue potenzialità evolutive, sia fisiche che intellettuali. Ebbene, l'esistenza di questo vero e proprio velo di ignoranza intorno al progetto biologico nonché intorno alle capacità e al carattere del singolo individuo, è decisiva, nel legittimare la rivendicazione di una piena eguaglianza tra tutti gli esseri umani e la loro necessaria libertà.

Se quel velo d'ignoranza viene meno, infatti, se un'appropriata diagnosi genetica fosse in grado domani di farci conoscere qual è il destino biologico di questo o di quello, quali la sua speranza di vita, le sue possibilità di ammalarsi, quali, anche, la sua capacità di apprendere, di applicarsi al lavoro, e cosí via ipotizzando (ma la ricerca autorizza ormai quasi ogni genere d'ipotesi), ognuno capisce che diverrebbe in pratica difficilissimo mantener saldo quell'orientamento ideologico, oggi di gran lunga prevalente nella nostra società, che non solo reputa imprescindibile l'uguaglianza dei diritti, ma non rinuncia neppure ad augurarsi anche l'eguaglianza delle chances, dei punti di partenza. C'è bisogno di aggiungere che l'orientamento ideologico in questione si chiama democrazia? Ancora domande dunque, e sempre sullo stesso punto decisivo: il limite. C'è un limite? E dove lo si fissa? E chi lo fissa? E in base a quale criterio? Oppure, viceversa, è tutto mobile, si cambia di continuo tutto a seconda dell'avanzamento della ricerca scientifica, o magari in base al semplice desiderio di ognuno di noi, per l'occasione ribattezzato con il sacro nome di diritto.

 

 

 

 

 

Cfr. Corriere della Sera del 6 ottobre 2004.