Giovanni da Capestrano, santo. Capestrano è una pittoresca cittadina d'Abruzzo, distante quarantadue km. da L'Aquila, già dominio dei conti di Celano, di cui Antonio, padre del nostro G., era feudatario. G. vi nacque il 24 giugno 1386. L'educazione pedagogica ed i primi elementi culturali del Trivio e del Quadrivio gli vennero impartiti in famiglia, giusta la prassi della nobiltà.

Sua madre, parimenti capestranese, forse del casato Amici, essendo egli l'ultimo dei figli, gli voleva un bene particolare. Suo padre morí prematuramente, e forse tragicamente, sul principio del Quattrocento. In diverse prediche tenute in Germania lo stesso G. riferisce di avere avuto in Capestrano cinque nemici principali che in due giorni trucidarono dodici persone della sua parentela, quattro fratelli, ed incendiarono le case paterna e materna.

Tra il 1405 e il 1406 si recò all'università di Perugia, detta Casa di S. Gregorio o Sapienza, fondata dal card. Niccolò Capocci verso il 1361 per studenti poveri, sottoposti a regolari statuti disciplinari, e vi scelse la facoltà giuridica, che durava sei anni. Il 7 febbraio 1411 figura tra i quattro studenti provetti, consiglieri del rettore Filippo di Petrucciolo.

Dopo tale data, finiti brillantemente gli studi, di G. non si trovano piú notizie negli archivi perugini per circa due anni. È probabile che nel frattempo sia tornato a Capestrano per concludere il suo matrimonio (mai consumato) con la figlia del conte di San Valentino, promesso fin dal 1403; oppure, come molti ritengono, che, invitato dal re Ladislao, sia andato a far parte della giuria nella Grande Vicaria di Napoli.

Il 14 aprile 1413 venne nominato nuovo podestà di Perugia Coluccio dei Grifi da Chieti, il quale, in base ai regolamenti, doveva eleggersi sei giudici per l'amministrazione della giustizia nei diversi rioni della città. Il quinto degli eletti fu precisamente il nostro G., cui venne assegnato il rione di Porta S. Susanna, il piú difficile a governarsi.

La sua condotta in detto ufficio fu irreprensibile; mai un sopruso, mai un'ingiustizia; non si lasciò corrompere né dalle minacce dei potenti, né dal danaro dei ricchi; donde, mentre i buoni lo coprivano di lodi, i colpevoli andavano maturando propositi di vendetta. Nel luglio 1415, Braccio da Montone con ribelli e fuorusciti, nemici del governo popolare di Perugia che parteggiava per il governo di Napoli, riuscí ad occupare la città. Vi furono stragi vendicative e retate di prigionieri, rinchiusi nel castello di Torgiano.

Narrano i suoi biografi che G. venne incarcerato nella torre di Brufa, da cui cercò di evadere. Il progetto fallí poiché, durante la discesa dalla finestra, cadde a terra fratturandosi una gamba, per cui fu facile riprenderlo e gettarlo in piú dura ed oscura prigione. Qui una notte ebbe la visione di s. Francesco d'Assisi, che lo invitò ad entrare nel suo Ordine; ed egli, dopo essersi riscattato con una forte somma, si diresse al convento di Monteripido presso Perugia, chiedendo d'esservi ammesso. Vestí l'abito francescano il 4 ottobre 1416, anno trentesimo di sua vita.

Saputo questo, la sua sposa si recò da lui, supplicandolo di non abbandonarla, ma egli la convinse a tornarsene in famiglia e a mantenersi vergine. Tormentavano il novizio forti tentazioni sensuali, i ricordi della brillante vita secolare, una lunga malattia, penitenze irragionevoli inflittegli dal maestro fra Onofrio per sperimentarne la pazienza, ecc. In questo nuovo mondo devoto, ma amarissimo, G., moltiplicando preghiere ed atti di virtú eroiche, giungeva alla professione il 4 ottobre 1417.

Non sappiamo dove egli espletò il curriculum degli studi teologici; forse rimase nello stesso convento anche perché la nascente Osservanza non aveva ancora scuole organizzate. Fin dall'inizio del suo apostolato si dimostrò profondo conoscitore dello scibile ecclesiastico: citava la Bibbia letteralmente, allegava testi patristici, sosteneva polemiche dichiarava di preferire s. Tommaso tra gli scolastici. Il 14 novembre 1418, essendo già diacono, dovette ottenere da Martino V, in Mantova, la dispensa per ascendere al sacerdozio, poiché nel secolo, quale giudice, aveva comminate talvolta delle pene corporali che avevano portato al decesso. Nella stessa circostanza il papa lo nominò inquisitore dei Fraticelli, ribelli ed anarchici contro l'ordine morale e sociale, specie nell'Italia centrale.

Da allora egli non ebbe piú residenza fissa, tante furono le mansioni affidategli dai ministri generali, dai pontefici e dai regnanti. Nel 1422 si trovava in Abruzzo per erigervi, con autorizzazione apostolica, alcuni conventi per l'Osservanza. Durante la Quaresima del 1426, con un drappello di aquilani, corse a Roma, dov'era stato condotto s. Bernardino da Siena accusato di idolatria perché faceva adorare il Nome di Gesú (JHS) siglato su tavolette. Egli difese l'amico senese con grande successo e tornato a L'Aquila perorò cosí bene la causa di lui e del S. Nome che da allora la sigla bernardiniana passò a far parte dello stemma cittadino.

Sull'inizio dell'anno seguente fu invitato a Lanciano per pacificare la città con quella di Ortona a Mare, in guerra tra loro a causa del conteso porto di S. Vito a Mare. Dopo molte prediche e negoziati la pace venne finalmente firmata il 17 febbraio 1427, ed a ricordo furono costruiti i conventi di S. Angelo della Pace in Lanciano e di S. Maria della Pace in Ortona. Si deve anche a G. la riconciliazione di Sulmona con i suoi fuorusciti ed esiliati politici, favorita dalla regina Giovanna II di Napoli e dalla contessa Cantelmi di Popoli. A L'Aquila si deve pure a lui l'associazione permanente "dei Pacieri".

Alla sua lotta contro i Fraticelli seguí quella contro gli ebrei. Stando a Napoli, informò la regina che essi, noncuranti delle disposizioni canoniche e forti dei privilegi dei principi, angariavano i cristiani. Giovanna col decreto del 3 maggio 1427 autorizzava G. a costringerli all'osservanza del diritto ecclesiastico e civile in tutto il regno. Essi, potentissimi, entro l'anno medesimo ottenevano che la regina moderasse il suo decreto e cosí fece anche Martino V che l'aveva approvato: peraltro il santo non omise mai di levare la voce contro gli abusi da essi commessi.

La predicazione di G. si potrebbe seguire quasi di giorno in giorno sulla scorta dei suoi sermoni e delle lettere. La fama della sua santità ed i miracoli che talvolta operava lo facevano accogliere ed ascoltare come un messo di Dio. La folla degli uditori era tanta che spesso, non bastando le chiese ad accoglierla, lo costringeva a parlare nelle piazze o nei campi; ma anche allora gli uditori per poterlo ascoltare e vedere, dovevano salire sui tetti e sugli alberi. Si afferma che la sua eloquenza superasse quella dei piú illustri contemporanei: Bernardino da Siena, Alberto da Sarteano, Giacomo della Marca, Roberto Caracciolo da Lecce. Per esser libero d'andare predicando dovunque rinunciò ai vescovati di Chieti e de L'Aquila. Nel 1434 predicò a Ferrara, dove inveí contro la nuova moda muliebre, e piú tardi vi ritornò per riformare le Clarisse di S. Guglielmo.

Nel 1435 si trovava nel napoletano per appoggiare il card. Vitelleschi nel tentativo di restaurare il dominio pontificio in quel regno, conteso tra Renato d'Angiò ed Alfonso d'Aragona. Nell'anno seguente era a Bologna, ove Eugenio IV aveva trasferito la sua sede, e presso di lui difese vigorosamente il Terz'Ordine Francescano. Nel 1437 a Venezia difese la causa dei Gesuati, ed il patriarca s. Lorenzo Giustiniani lo nominò inquisitore nella sua diocesi. Predicò la Quaresima del 1438 a Verona, trattando dell'interesse e dell'usura, donde l'origine del trattato De Cupiditate; quella del 1439 a Trento, pacificando il principe vescovo con la città e celebrando il sinodo diocesano, in cui svolse argomenti che leggiamo nello Speculum Clericorum. Durante l'estate del detto anno intervenne al concilio ecumenico di Firenze, e si schierò a favore del primato del vescovo di Roma, negato dal conciliabolo di Basilea, e della riunione dei Greci alla Chiesa latina. Portò poi sempre con sé la Bolla dell'unione sancita, e dettò il celebre trattato De auctoritate Papae et concilii. Nello stesso tempo venne mandato a Gerusalemme, dove, per riformare la Palestina francescana, elesse un nuovo custode e un nuovo sindaco apostolico.

Tornato in Italia, sostò due anni a Milano, predicandovi la Quaresima sulla base del suo Speculum conscientiae e persuadendo il duca Filippo Maria Visconti a non riconoscere l'antipapa Felice V (Amedeo di Savoia). Ebbe poi l'ordine di portarsi al nord della Francia per estendervi l'Osservanza e sconfiggere i partiti che tenevano ancora per l'antipapa. A Besançon raggiunse l'accordo con s. Coletta di Corbie sulla regola delle Clarisse, visitò i conventi della Borgogna, celebrò il Natale a Verdun. Nei Paesi Bassi riuscí a pacificare il duca Filippo con la città di Gand; per la visita a Parigi delegò il p. Giovanni Maubert e per le province tedesche p. Enrico da Werl, dovendo egli partecipare al capitolo generale di Padova del 9 giugno 1443, dopo il quale veniva eletto vicario generale degli Osservanti cismontani, carica che andò ad iniziare alla Verna, scrivendo la prima circolare, norma di vita per i suoi dipendenti.

Scrisse nove trattati di dogmatica, quattordici di morale, sei di diritto canonico, dieci di carattere francescano, compresa la Vita di s. Bernardino, molte lettere ed innumerevoli sermoni. Nel 1444 il magistrato aquilano lo mandò suo mediatore alla corte di Napoli per risparmiare alla capitale abruzzese una seconda distruzione minacciata da Alfonso d'Aragona perché, nella lotta intrapresa per la conquista della corona napoletana contro Renato d'Angiò, aveva sostenuto le parti di questo sino all'ultimo. L'ambasciata riuscí e L'Aquila fu salva. G. è pure benemerito della città per avervi fondato l'ospedale di S. Salvatore. Il 20 maggio moriva a L'Aquila, Bernardino da Siena. Il capestranese, che allora predicava la crociata contro i Turchi in Sicilia, accorse subito, predicò le sue glorie, registrò i miracoli che accadevano ed iniziò il processo per la sua canonizzazione. Superate tutte le difficoltà, il 24 maggio 1450, festa di Pentecoste, Bernardino fu iscritto nei fasti dei santi da Niccolò V. Tra i conventi e le chiese che G. fece costruire in onore del nuovo santo, primeggiano quelli de L'Aquila e di Verona.

Mentre predicava a Venezia la Quaresima del 1452, ricevette l'ordine da Niccolò V di portarsi negli stati tedeschi dove era desiderato dall'imperatore Federico III, su consiglio di Enea Silvio Piccolomini, poi Pio II. Il 28 aprile con dodici compagni iniziava il lungo viaggio verso Pontafel, riconciliando dissidenti, riformando religiosi, operando miracoli, dovunque accolto come un apostolo. Fu in Carinzia, Austria, Ungheria, Transilvania, Polonia, Turingia, Moravia, Boemia ecc. Ci sono pervenute le prediche tenute a Vienna, Ratisbona, Amberga, Norimberga, Bamberga, Breslavia, Erford, Hall, Lipsia, Bratislavia, polemiche sostenute contro gli Ussiti di Boemia e lettere spedite da altre regioni e paesi.

Nuovi avvenimenti nazionali trasformavano l'apostolo in soldato. L'esercito turco, dopo la conquista di Costantinopoli (23 maggio 1453), cercava, attraverso gli stati balcanici, di raggiungere l'Ungheria. I principi d'Europa, terrorizzati, divisarono di preparare una crociata. La sua organizzazione fu curata dal capitano G. Hunyadi, da G. da Capestrano e dal card. legato G. Carvajal, i quali, percorrendo città e castelli, poterono reclutare un discreto esercito, composto quasi interamente di popolani fervorosi, ma privi d'istruzione militare. Perciò l'Hunyadi e il Carvaial consigliavano di venir a patti col nemico, ma G. li indusse ad affrontarlo, pur col pericolo di disfatta. La battaglia di Belgrado, combattuta prima sulla fortezza detta Cittadella e poi sul Danubio dal 14 al 22 luglio 1456 si concludeva con la vittoria dei crociati. La notizia giunse a Roma il 6 agosto, e Callisto III istituí, in memoria, la festa della Trasfigurazione di Cristo, simbolo dell'Europa trasfigurata in letizia.

G. scontò con la vita la vittoria riportata. A causa dei grandi disagi della guerra, contrasse la penosa malattia che lo portò alla morte nel convento da lui fondato ad Ilok (Villaco) il 23 ottobre 1456. II suo decesso fu un vero lutto internazionale, ma anche glorioso per le continue visite di magnati e di pellegrini devoti presso la sua salma specialmente durante gli otto giorni in cui rimase insepolta. Il processo per la sua canonizzazione durò duecentotrentaquattro anni, nonostante i tanti miracoli, le continue lettere postulatorie di corporazioni, vescovi e regnanti, e la bravura dei postulatori della causa, a cominciare da s. Giacomo della Marca; il motivo si deve alle vecchie accuse di Enea Silvio che lo disse vanaglorioso, per avere attribuito solo a sé la vittoria di Belgrado (trascurando Hunyadi), e perché, a parere del card. Carvajal, durante i preparativi di guerra s'era dimostrato nervoso e poco arrendevole ai suoi ordini. Finalmente, in base a documenti coevi, si giunse a dimostrare che nelle lettere a Callisto III, G. aveva detto meno di quel che aveva fatto, che il suo nervosismo, se vero, era spiegabilissimo dato lo stato di guerra, e che se egli avesse obbedito ciecamente al Carvajal la vittoria di Belgrado non si sarebbe avuta.

Cosí Leone X il 31 dicembre 1514 permise alla diocesi di Sulmona di celebrare la festa del b. G. da Capestrano e l'indulto fu esteso a tutta la Chiesa da Gregorio XV il 10 settembre 1622. La canonizzazione fu celebrata da Alessandro VII il 16 ottobre 1690, e fissata la festa liturgica per l'Ordine Francescano al 23 ottobre. Il postulatore Giovanni Battista Barberio si adoperò perché il santo venisse proclamato apostolo dell'Europa, ma senza successo.

Con la canonizzazione crebbe il culto del santo specie nel paese natio e nell'Ungheria, dove una delle province francescane porta il suo nome. Nella ricorrenza del quinto centenario della nascita (ipotizzato al 1885), la sua festa liturgica venne estesa a tutta la Chiesa e fissata al 28 marzo. L'Aquila lo venera come suo comprotettore. Anche il quinto centenario della morte (1956) è stato celebrato con solenni manifestazioni religiose e civili e molte pubblicazioni. Monaco di Baviera gli ha eretto una Chiesa con monumento antistante; altra Chiesa gli è stata dedicata nel Giappone.

 

 

 

 

 

Cfr. CHIAPPINI A., Giovanni da Capestrano in Bibliotheca Sanctorum, VI, Roma 1965, col. 645-652.