Introduzione

 

 

 

 

Nell'autunno 1994 si svolgerà la nona assemblea generale ordinarla del sinodo dei vescovi, che avrà come oggetto della propria riflessione «La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo». I Lineamenta di detto sinodo, che furono presentati al pubblico il 20.11.1992, dedicano la prima parte del testo alla «natura e identità della vita consacrata».

La scelta del tema non è casuale, né deve far pensare a una crisi particolarmente grave della vita consacrata da esigere un immediato intervento ecclesiale cosi qualificato. Esso, piuttosto, segna semplicemente uno sviluppo coerente rispetto ai temi sinodali precedenti, dedicati rispettivamente al laicato (1987) e al sacerdozio (1990). Questo fatto è comunque provvidenziale, perché, se l'evento del concilio Vaticano II ha fatto prendere coscienza a livello ecclesiale della crisi che la vita consacrata stava attraversando da alcuni decenne, ove in modo piú avvertito ove meno, il fenomeno non si è ovviamente risolto negli anni postconciliari, giacché, come vedremo, esso scaturisce, oltre che dalla stessa evoluzione storica che la vita consacrata ha subito nelle proprie forme, soprattutto da determinati mutamenti culturali intervenuti sia nella società civile che all'interno della Chiesa stessa.

In questa situazione pensiamo che l'evento sinodale rappresenti un autentico richiamo dello Spirito. Infatti, abbiamo l'impressione che in questi ultimi anni si sia verificata una certa stasi nella riflessione e soprattutto nella vita di vari istituti, frenate, l'una e l'altra, dalle innegabili difficoltà che l'attuazione delle indicazioni conciliare comportavano, stasi a volte velatamente motivata con l'esigenza di uscire dalle sabbie mobili delle sperimentazioni o, comunque, delle fuoriuscite pericolosamente innovative. Forse si è pensato che il Vaticano II avesse detto tutto sulla vita consacrata, dimenticando, invece, che esso ha solo avviato il discorso del necessario rinnovamento al fine di riscoprire la propria identità di consacrati in seno al popolo di Dio. Allo scopo il Concilio ne indicò le giuste piste in modo qualificato e autorevole, prima fra tutte quella del ritorno alle fonti, date innanzi tutto dalla parola del Vangelo e poi dal carisma proprio di ogni istituto.

Il presente lavoro vorrebbe inserirsi quale voce in questo dialogo di riflessione. Restando nell'ambito della nostra competenza specifica, quella biblica, ci limitiamo a riconsiderare quali siano i fondamenti oggettivi che la vita consacrata ha nella parola di Dio, specialmente in quella evangelica, e in che senso essa possa pretendere di fondarsi su questa Parola. Diciamo subito che il discorso non è affatto accademico e astratto. Esso, al contrario, ha dei risvolti incredibilmente concreti, perché è proprio dal confronto con la divina Parola che si riesce a cogliere ciò che nel vissuto attuale della vita consacrata è essenziale ad essa e ciò che, invece, appartiene alle sue espressioni storiche e che è, quindi, passibile di mutamento, di sostituzione o di abbandono. Solo dalla parola di Dio ci viene perciò il giusto criterio di discernimento su un dato tanto delicato e fondamentale. Essa sola, infatti, mentre offre la luce necessaria, dà pure il doveroso coraggio per passare all'azione.

Come si vede, l'interrogativo sul problema dell'identità della vita consacrata e la sua rispettiva soluzione può avvenire a due livelli.

La vita consacrata può ricercare la sua identità mediante il ritorno alle fonti, proprie d'ogni singola famiglia religiosa. ci s'interroga, allora, sul carisma del fondatore per sapere come situarsi a lato di istituzioni analoghe nella Chiesa. Questo lavoro viene compiuto nei singoli istituti soprattutto mediante i propri organi e le assemblee legislative (capitoli generali, consigli generali, ecc.).

Ma, specialmente a partire dal Vaticano II, la vita consacrata, al di là della legislazione particolare e del carisma di fondazione, ricerca sempre piú la propria identità chiedendosi se essa abbia o no un radicamento nella Scrittura, specialmente nel NT e nei Vangeli, allo scopo di riscoprire il suo posto specifico in seno al popolo di Dio. È quanto, in parte, già fece il Concilio. Esso, infatti, ebbe la costante preoccupazione, parlando della vita consacrata, di tenersi costantemente ancorato al dato biblico. Però si limitò a presentare la teologia biblica degli elementi fondamentali che oggi strutturano la vita consacrata, dichiarando globalmente che «il raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici trae origine dalla dottrina e dagli esempi del divin Maestro» [1] e che «i consigli evangelici della castità consacrata a Dio, della povertà e dell'obbedienza [sono] fondati sulle parole e sugli esempi del Signore» [2].

Il discorso, invece, del fondamento biblico della vita consacrata vista nel suo dato essenziale di progetto di vita cristiana, a prescindere dagli elementi nei quali storicamente ha trovato la propria concretizzazione, è posteriore al Concilio e non lo troviamo quindi in esso. Infatti, i contributi teologici o esegetici che trattano del fondamento biblico della vita consacrata secondo quest'ottica sono quasi tutti, ad eccezione di pochissimi, successivi al Vaticano II [3].

Facciamo notare che non sempre gli studi, che dichiarano di perseguire la ricerca sui «fondamenti biblici della vita consacrata», trattano in realtà l'argomento secondo questa prospettiva. Sovente, infatti, si limitano a presentare la teologia biblica degli elementi che oggi storicamente strutturano la vita religiosa, senza interrogarsi sul grado del loro radicamento nella Scrittura proprio in quanto «elementi di vita consacrata».

La nostra indagine abbraccerà le due precedenti prospettive, privilegiando, però, nettamente la prima. Partiremo, cioè, dall'interrogativo se la vita consacrata, vista nel suo nucleo essenziale, nella sua anima, abbia una effettiva giustificazione evangelica. Ciò supporrà che si prenda una visione sommaria dell'evoluzione che storicamente i suoi attuali elementi componenti subirono («stato di perfezione», «via dei consigli evangelici», «via dei tre consigli evangelici»...) allo scopo di vedere come lungo la storia essi furono biblicamente giustificati, se e quando lo furono, e come oggi vengono visti in relazione alla Scrittura in base ai dati seri della recente esegesi. Ciò fatto, avremo il giusto spazio entro il quale collocare il discorso sulla teologia biblica degli elementi costitutivi della vita consacrata (castità, povertà, obbedienza, vita comune), perché allora si avrà già ottenuto implicitamente la risposta circa il suo esatto collocamento in seno al popolo di Dio e perciò si saprà già globalmente come si situa l'ideale del consacrato all'interno del progetto evangelico.

Parliamo volutamente del progetto di vita evangelica della vita consacrata come oggetto immediato e principale della nostra analisi. Assumiamo il termine «progetto» secondo il ricco significato del latino propositum, termine divenuto classico e specifico nella tradizione ecclesiastica, liturgica e religioso-monastica per indicare «il disegno di donare la propria vita a Dio nella verginità, nella vita monastica o in qualche sua forma affine, ma anche la promessa pubblica che suggella questo disegno e la regola di vita che l'incarna» [4]. Il «progetto» della vita consacrata, dunque, dice globalmente sia il proposito personale di entrare in un determinato tipo di esistenza sia la struttura oggettiva di quest'ultimo e ambedue gli aspetti sono visti come un qualcosa di essenzialmente dinamico: come «uno scopo dell'esistenza offerto alla creatività della fede: un compito» [5].

Conseguentemente a questa prospettiva, assumiamo l'espressione «vita consacrata» come esprimente in sé l'ideale della radicale sequela evangelica di Cristo, distinta, perciò, dalla concreta forma storica in cui oggi questo ideale è attuato, distinta, cioè, dalla «vita consacrata» come istituzione ecclesiale, normabile e di fatto normata dal diritto canonico.

 

 

1. La vita consacrata alla riscoperta della propria identità.

Abbiamo accennato ai motivi della crisi che ha colto la vita consacrata nella seconda metà di questo secolo, motivi dovuti a specifici mutamenti culturali avvenuti sia nella società civile che all'interno della Chiesa. I Lineamenta del prossimo sinodo dei vescovi contengono solo un discreto accenno a questa situazione, non essendo loro scopo specifico darne un'esposizione esaustiva [1]. Il fatto in se stesso è, comunque, sintomatico. Ciò sta a dire che l'attuale disagio sofferto dalla vita consacrata ha delle motivazioni oggettive, le quali vanno ben al di là di uno sbrigativo discorso di rilassatezza o meno da parte di quanti hanno assunto il progetto di consacrazione. Infatti, sono proprio queste motivazioni che hanno determinato la serietà con cui i consacrati s'interrogano sulla propria identità, fenomeno che storicamente non è mai avvenuto con tanta crudezza e radicalità quanto al presente. Crediamo quindi che sia necessario partire dall'esame di questa situazione, perché essa farà luce sui criteri con cui affrontare il necessario discorso riguardo al collocamento del progetto di vita dei consacrati all'interno della parola di Dio.

 

 

I. Motivazioni del moderno ripensamento della vita consacrata

1. MUTAMENTI ALL'INTERNO DELLA VITA CONSACRATA

In Occidente la vita consacrata ha vissuto una dinamica di concretizzazione piú varia lungo la propria storia che non in Oriente, dove essa non ha avuto, invece, alcun mutamento veramente degno di rilievo, che abbia potuto influire in modo determinante sulla sua autocomprensione. Ivi, infatti, si è avuto e si ha tuttora la sola forma del monachesimo, che nel tempo e nelle varie chiese ha sempre mantenuto inalterate le sue costanti di fondo.

Non vogliamo qui anticipare quanto diremo nel capitolo successivo. Accenniamo solo ad alcuni mutamenti nelle forme istituzionali della vita consacrata, che hanno indubbiamente inciso sui forti interrogativi che essa si pone oggi sulla propria identità in quanto hanno prodotto dei successivi cambiamenti di prospettiva nella sua autocomprensione.

Crediamo che uno dei fatti piú notevoli in questo senso sia stato la progressiva clericalizzazione del monachesimo, che ebbe il suo avvio a partire dai secoli VIII-IX con l'incremento della dimensione cultuale dell'ideale monastico e raggiunse la sua massima espressione con la riforma di Cluny (1000-1100) [2], fatto che culturizzò l'ideale monastico della ricerca di Dio, il quale, invece, alla propria origine era in sé neutro rispetto alla cultura [3]. Il fenomeno è degno di nota, perché non si limitò al mondo monastico benedettino, ma influenzò in seguito tutto l'ambito della vita religiosa. Prova ne sia il fatto che all'epoca della nascita degli ordini mendicanti esso aveva già talmente coinvolto la mentalità ecclesiastica, che questi, sorti prevalentemente come ordini laicali, furono ben presto clericalizzati per volontà della stessa autorità della Chiesa. Nel mondo monastico, poi, il monaco fu a tal punto identificato con il sacerdozio che i cosiddetti «fratelli conversi» erano di fatto considerati monaci solo in parte o di seconda categoria, con diritti e doveri parziali e diversi rispetto a quelli dei monaci sacerdoti, situazione che durò fino al Vaticano II [4].

Ma oltre a ciò la clericalizzazione, accentuando inevitabilmente la dimensione ministeriale del consacrato, portò a una concezione sempre piú funzionale della vita consacrata stessa. Il fatto acquista corpo soprattutto nell'epoca moderna con il sorgere delle congregazioni religiose, favorito pure quale motivazione immediata dai nuovi bisogni sociali emergenti. In questo periodo, infatti, i nuovi istituti hanno quasi sempre come causa prossima del loro nascere l'urgenza di venire incontro a delle necessità sociali ed ecclesiali dell'ambiente e sono per lo piú, fatte poche eccezioni, clericali. Entriamo cosi nell'epoca degli istituti operativi specializzati (gesuiti, camilliani...). Questo processo si acutizza con il nascere delle numerose società missionarie, degli istituti per la gioventú abbandonata e per le scuole. Come si vede, il fatto della clericalizzazione è un fenomeno che sottende tutta la vita consacrata maschile, segnandone profondamente la sua regressione storica e di conseguenza pure la sua comprensione.

Ma le cose non vanno diversamente per la vita consacrata femminile. Anzi, per questa, nell'epoca moderna, il fatto śi fa ancora piú evidente. In quest'epoca, infatti, comincia a cadere parzialmente il clichè medievale del ruolo sociale della donna. Questo fatto, unito alle impellenti necessità di provvedere ai bisogni piú svariati della società piú povera, in un tempo in cui lo stato non se ne faceva ancora carico in modo risolutivo, portò a capire che la consacrazione speciale della donna non poteva identificarsi con la forma della vita contemplativa claustrale. Si arriva cosi al sorgere delle moderne congregazioni religiose femminili, nelle quali la finalità operativa immediata è piú evidente e a volte sembra costituire lo scopo fondamentale della loro esistenza. C'è da osservare, in proposito, che molte associazioni sorgono in origine unicamente come gruppi operativa ed è solo in un secondo momento che entrano nei quadri della vita religiosa e ne assumono l'ideale, al fine di poter meglio attuare lo scopo specifico dell'opera.

Ma, sempre per quanto riguarda la vita consacrata femminile, c'è ancora un altro dato. Vari istituti nacquero come efflorescenza dal robusto tronco di antichi ordini religiosi, ricchi d'una forte spiritualità. È il caso soprattutto delle varie congregazioni terziarie francescane, domenicane, carmelitane, ecc.., che non avrebbe creato alcun problema se si avesse avuto sola o poche derivanti da queste Ma fatto sorsero poi molteplici istituti a strutture e finalità piú meno uguali con le medesime ascendenze spirituali fondo.

Questo fenomeno storico pose il problema sull'identità specifica di non pochi istituti per un duplice motivo. 1) Da una parte questa situazione di fatto portò ad accentuare negli ultimi secoli il valore del carattere funzionale di ogni famiglia religiosa, della sua finalità operativa, al punto che questa, in certi momenti o ambienti ecclesiali, riuscí a primeggiare sulla stessa consacrazione quale specifico principale della vita consacrata. Il fenomeno ha la propria motivazione storica nel fatto sopra accennato che nell'epoca moderna sovente semplici gruppi operativi in campo sociale avevano assunto lo statuto della vita consacrata per poter meglio operare a motivo delle condizioni ambientali socio-ecclesiali. 2) D'altro canto, l'esistenza d'istituti con forme di vita e finalità piú o meno simili accentuò inevitabilmente il problema della loro identità, li portò cioè a interrogarsi sul significato specifico del proprio posto accanto ad altri istituti similari nella Chiesa, problema che indirettamente si ribaltò su quello dell'identità stessa della vita consacrata in quanto tale, vale a dire, sfociò nell'interrogativo riguardante il proprio posto in seno al popolo di Dio.

 

 

2. MUTAMENTI ALL'INTERNO DELLA REALTÀ ECCLESIALE

Ma pure alcuni mutamenti di rilievo avvenuti in questo secolo nella vita ecclesiale hanno posto alla vita consacrata dei seri interrogativi. All'interno della Chiesa si sono avuti, infatti, nei decenni successivi all'ultima guerra mondiale, due fenomeni degni di rilievo in fatto di ripensamento della vita cristiana vista in se stessa e nella sua dimensione ecclesiale. E emersa, innanzi tutto, la riscoperta del posto e del ruolo del laicato all'interno del popolo di Dio come valore e dignità ecclesiale specifica [5]. La spinta a questo recupero è venuta soprattutto da parte della riflessione teologica di Y. Congar con il volume Jalons pour une théologie du laicat, [6] che costituí un vero «manifesto teologico» sull'argomento e determinò poi in merito il lavoro del concilio Vaticano II.

In effetti il Concilio nel c. 4 della Lumen gentium [7], intitolato «Dei laici» (De Laicis), non solo prende atto della presenza dei laici nella Chiesa (n. 30), ma analizza e afferma la loro «natura» e la loro «missione» (n. 31), la loro «dignità» (n. 32), il loro «apostolato» (n. 33), nonché la «loro funzione sacerdotale e cultuale» (n. 34), infine, la «funzione profetica e testimoniale» (n. 35) e la «funzione regale» (n. 36). Abbiamo poi l'Apostolicam actuositatem [8], che è tutto un decreto conciliare sull'apostolato specifico dei laici.

Alla precedente s'accompagna la riscoperta della universale vocazione alla santità nella Chiesa [9], pure proclamata dal concilio Vaticano II [10]. E stato cosí risolto il secolare e spinoso problema, dibattuto in teologia ed espresso nelle varie scuole di spiritualità sotto la formulazione della «chiamata universale o meno alla contemplazione infusa». Erano per l'affermativa le scuole francescana, domenicana, benedettina. Erano, invece, per la negativa la scuola ignaziana e altri [11]. Questa nuova situazione ecclesiale ha posto la vita consacrata di fronte a profondi interrogativi [12]. Da una parte essa si rese conto che certe funzioni, che pensava di possedere in esclusiva all'interno del popolo di Dio, in realtà non sono tali: cosi la funzione apostolica, quella testimoniale e profetica, che appartengono a tutti i battezzati. Ci si rese conto, inoltre, che la vita consacrata non è l'unica via che conduce alla perfezione e alla santità. Si fu allora portati a chiedersi in che senso essa sia uno «stato di perfezione», anzi se lo sia realmente, almeno cosí come era concepita da una certa teologia della vita consacrata [13].

 

 

3. MUTAMENTI NELLA SOCIETÀ CIVILE [14]

La vita consacrata negli ultimi decenni s'è pure trovata a dover fare i conti con un nuovo tipo di società, che sta gradualmente sorgendo, sebbene con fatica e attraverso veloci e continui cambiamenti [15]. Il presente contesto storico di crisi culturale profonda, che caratterizza il momento attuale come epoca di passaggio o di transculturalizzazione, è il risultato di una lenta evoluzione, le cui radici affondano nel passato. Esse sono sostanzialmente due: 1) l'orientamento antropocentrico della riflessione umana, che segna il passaggio dalla fine del medioevo all'inizio dell'epoca moderna e che ebbe la sua prima piena espressione nel fenomeno dell'illuminismo, e 2) il sorgere dell'era scientifica con la nascita delle scienze moderne di tipo tecnico, che portò a un indirizzo fondamentalmente positivista del pensiero.

I caratteri specifici dell'attuale società sono dati soprattutto dai fenomeni derivanti dalla seconda radice, quella delle scienze o della tecnica. Il processo tecnologico ha portato al fatto crescente dell'urbanizzazione con la conseguente massificazione anonima delle persone. Nel campo del lavoro ha preso piede l'automazione industriale, che ha trasformato ove piú ove meno l'individuo da artefice nel proprio operare a un robot che ripete meccanicamente determinate azioni. È innegabile che tutto ciò ha elevato rapidamente il livello materiale di vita della società, almeno nel primo mondo, nel contempo ha fatto però entrare l'uomo nella morsa fatale della dialettica produzione-consumazione, rendendolo cosi schiavo del consumismo.

Tutto ciò ha prodotto dei profondi mutamenti di mentalità, che hanno dato origine alla nascita di un nuovo tipo di uomo e di società [16]. L'uomo d'oggi è fortemente condizionato nel concepire e sentire la realtà dall'ambito della propria esperienza vissuta, dominato dai criteri delle scienze esatte, per le quali e valido ciò che è controllabile dalla programmаzione umana ed è quindi sperimentabile grazie all'azione dell'individuo. Ne deriva che egli come suo orientamento mentale rifiuta istintivamente il mondo dei concetti astratti e dei principi oggettivi e assoluti a favore del concreto, del soggettivo e del relativo.

Questa nuova sensibilità di fondo porta a un modo nuovo e diverso nel situarsi vitalmente di fronte alle varie dimensioni della propria esistenza, soprattutto a quella del rapporto dell'uomo con il mondo del trascendente, che si esprime nel fatto religioso.

Sul piano etico, anziché ancorarsi a principi trascendenti e perciò oggettivi della morale, preferisce partire dalle situazioni di fatto e da esse dedurne di volta in volta i criteri del proprio agire. Sul piano dei rapporto sociali c'è il rifiuto della gerarchia e dell'autorità che ne consegue, perché esse suppongono un ordine statico e in sé già pienamente costituito. La nuova concezione, al contrario, vede la società In un'ottica dinamica, dove l'ordine sociale e l'autorità nascono dalla democrazia, frutto della partecipazione responsabile e della libertà di tutti i singoli componenti la compagine comunitaria.

Ma è soprattutto il nuovo atteggiamento che l'uomo assume nei confronti della trascendenza a fare da comune denominatore e a essere quindi la causa profonda dei mutamenti elencati or ora. Esso si concretizza sostanzialmente nel fenomeno della secolarizzazione con tutte le varie conseguenze che ne derivano [17].

Questa, come categoria sociologico-culturale, dice fondamentalmente e in modo generale quel processo che ha portato la società e la cultura contemporanea, specialmente quella occidentale, a situarsi in modo diverso rispetto a quello passato di fronte alla religione in genere e al cristianesimo in particolare. Questo nuovo atteggiamento si specifica come progressiva presa di coscienza, da parte dell'uomo, della propria autonomia e responsabilità nei confronti della costruzione del mondo e della storia e quindi come critica e protesta contro il monopolio religioso, sociale, politico e culturale esercitato dalla Chiesa, quale espressione istituzionalizzata della religione.

Come si vede, la secolarizzazione, quale fenomeno sociale e culturale, è caratterizzata dal cambiamento radicale della relazione dell'uomo con il mondo, di cui egli pensa di essere sempre piú il costruttore autonomo e responsabile. Ciò implica un mutamento dell'immagine che l'uomo ha di sé stesso, del mondo e di Dio. Una seconda nota distintiva e data dalla critica e dall'abbandono di ogni ideologia assolutista, cosa che implica una relativizzazione di ogni realtà, istituzione e struttura dell'ordine creato, il rifiuto di ogni falsa divinizzazione di qualsiasi concezione, creazione o attività semplicemente umane. Da questo punto di vista si deve ammettere che, se il processo della secolarizzazione è legato allo sviluppo della scienza e della tecnica, cioè alla rivoluzione industriale quale sua causa immediata, la vera radice del fenomeno è da cercarsi però remotamente nella Chiesa stessa, che paradossalmente ha una funzione secolarizzante. In virtú, infatti, della parola di Dio, essa deve esercitare un'azione critica nei confronti dello stato e di ogni ideologia che si presenti come un assoluto e sia quindi integrista e monopolizzatrice. Sul piano piú stréttamente religioso, la secolarizzazione è caratterizzata dal fenomeno della desacralizzazione [18]. Questa, quando è positiva, Si esprime nel rifiuto del «falso sacro», del sacro numinoso, cosmologico, cosmo-vitale e mitico, che si manifesta generalmente nelle esperienze del tabú, della magia e di altre forme superstiziose. Qui la trascendenza del Divino è concepita come immanente e attiva nella natura e nella realtà umana. Cose, riti e persone sacre servono allora per proteggere l'uomo dalla paura di fronte all'ignoto e al tremendo e per propiziarselo. Questo spiega il dominio e il monopolio della religione su tutta la vita sociale, morale, politica, culturale, tutta pervasa di sacralità. Invece l'esperienza autenticamente religiosa del sacro, cioè il «sacro autenticamente religioso», vive il rapporto mondo-Dio come una relazione di vera trascendenza del divino sulle realtà terrestri. La mediazione socioculturale non esaurisce, nel caso, la religione autentica, perché essa si mantiene sempre relativamente indipendente dal contesto sociale in cui si realizza.

Oggi il mondo appare sempre piú ominizzato, cioè in mano all'uomo, e perciò sempre piú desacralizzato. La scienza e la tecnica hanno disincantato la natura fisica, i misteri della vita e della fecondità. Le sue forze sono note e dominabili dall'uomo. Si restringe il campo del miracolo, della preghiera, dello scongiuro. D'altra parte la vita sociale, col moltiplicarsi delle professioni e delle specializzazioni, si è sganciata dal dominio della religione; la professione è sempre meno un'istituzione d'origine sacra e sempre piú un complesso di relazioni funzionali, orientate verso il futuro piuttosto che verso il passato. L'autorità, familiare e politica, non è piú vista come un'emanazione diretta da Dio e perciò sacra, ma è colta come un servizio indispensabile alla società, da cui viene controllata e anche cambiata. I valori morali che reggono la vita sociale sono condizionati dai cambiamenti socioculturali e non sono piú concepiti come il riflesso di un ordine eterno, sacro, e quindi garantiti dalla religione [19].

Questo complesso fenomeno porta con sé la desacralizzazione del sacro cosmologico, cioè l'annullamento delle false forme di religiosità, che nascono da una falsa concezione di Dio, consistente di volta in volta nel deus ex machina, nel dio tappabuchi, nel dio terapeuta e consolatore, nel dio ripiego e paternalista, nel dio soluzione misteriosa dei problemi o solidale con determinati gruppi sociali, ecc.

In conclusione, se la desacralizzazione esige la scomparsa del sacro falso, dovrebbe di per sé servire alla promozione della vera religione e quindi della fede cristiana autentica, la quale è critica e superamento della forma socioculturale cosmocentrica, nella linea antropocentrica del Vangelo (ciò non significa opposto a teocentrico!) e questo fatto esige uno sforzo continuo di conversione e di rinnovamento a tutti i livelli. Inoltre, la desacralizzazione rettamente intesa è riconoscimento e promozione dell'autonomia propria dell'ordine temporale e accetta la necessaria emancipazione e il legittimo distanziamento di quest'ultimo dalla Chiesa. In tal modo la Chiesa diventa piú libera e critica nei suoi riguardi. Perciò, di per sé, la desacralizzazione è purificazione e non annientamento della fede cristiana.

Ma c'è pure una seconda forma di secolarizzazione, non piú in sé positiva come la precedente, bensí negativa in rapporto al fatto religioso, perché lo mette radicalmente in discussione come valore oggettivo. In base a quest'orientamento mentale si afferma «che l'uomo ha nella sua ragione e nella sua libertà la norma suprema ed unica del suo pensiero e del suo agire ed è, perciò, pienamente autonomo nel suo pensiero, nella sua vita e nei suoi progetti, da Dio e dalla Chiesa, o piú in generale, da un Essere o da una Norma trascendenti» [20]. Si pensa «che il mondo è radicalmente "profano", e che l'uomo ne è il solo padrone ed ha la responsabilità totale del suo destino e di quello del mondo: egli ha forze sufficienti per realizzare se stesso e migliorare il mondo, cosicché non ha bisogno di ricorrere all'aiuto di Dio, per il quale non c'è posto nel mondo, ma gli basta far ricorso alle sue capacità scientifico-tecniche per trovare la soluzione a tutti i suoi problemi» [21]. Infine si è convinti «che i valori mondani sono gli unici e i supremi valori dell'esistenza umana, cosicché "questo" mondo costituisce, fino ad esaurirla in se stessa, "tutta" la realtà» [22].

«Queste tre affermazioni - conclude il p. G. De Rosa - ... hanno come risvolto la negazione di Dio e della religione come "valori": non si nega, cioè, che Dio esista, ma si nega che Dio e la religione abbiano un valore, un senso, una qualsiasi importanza. In realtà, per la secolarizzazione, Dio e la religione sono "irrilevanti", non contano, non interessano, anzi, sono forze "alienanti" dell'uomo, dalle quali questi deve liberarsi» [23].

I mutamеnti, culturali, che derivano da questa situazione e che interessano direttamente la vita consacrata, sono notevoli [24]. Infatti in questo stato di cose non è solo piú l'apprezzamento sui valori che muta, ma sono gli stessi valori a cambiare, come conseguenza del predetto profondo mutamento di situazioni [25]. Offriamo qui solo alcune esemplificazioni a scopo illustrativo, che non vogliono essere esaustive. Emerge innanzi tutto nell'uomo moderno il profondo senso della libertà come autodeterminazione nelle proprie scelte. Ciò è un'immediata conseguenza sia della presa di coscienza della legittima autonomia della realtà mondana, di cui l'uomo fa parte, nei confronti di Dio, sia della tendenza al rifiuto di un ordine oggettivo di valori per i motivi esposti piú sopra. Ne consegue che l'uomo d'oggi, rispetto a quello del passato, è piú ancorato al valore del рrogetto, dell'avvenire che non a quello della tradizione e della storia. E ciò è comprensibile anche per il fatto che egli non ha ancora né una tradizione né una storia a cui fare riferimento. Il suo criterio di giudizio, perciò, è la novità e non piú la fedeltà.

Di riflesso, si riscontra un rifiuto quasi istintivo dell'autorità, vista come un valore che provenga da Dio. Essa colta piuttosto come un servizio indispensabile allа ѕосietà da cui viene controllata o anche cambiata secondo i bisogni, perché, nel caso, scaturisce dalla libera determinazione degli uomini. Vien dato cosi un nuovo e piú ampio spazio all'uomo, mentre indietreggia quello che prima era riconosciuto a Dio. Di qui il valore dell'impegno per l'uomo, visto come scelta di condivisione, che prescinde dalla «consacrazione» verticale a Dio. Questa e colta come estranea se non a volte contraria al fatto dell'impegno per l'uomo.

Ciò porta alla diffusa diffidenza verso l'istituzione in genere, maggiormente ancora verso l'istituzionalizzazione dell'ideale, diffidenza che è sentita come anelito e tentativo di liberazione dal processo sempre piú massificante dell'attuale società e come freno non giustificabile alla legittima espressione delle possibilità e aspirazioni personali. A ciò si aggiunga la rivalorizzazione del matrimonio quale rapporto interpersonale piú che come esercizio retto e disciplinato della sessualità. In questa prospettiva sorge spontanea la domanda sul perché «consacrarsi» a Dio rinunciando a dei valori della vita in sé immensamente positivi. Non è un rinunciare indebitamente a un valore autentico e profondo dell'uomo? Infine, pure il nuovo modo di concepire i fini e le motivazioni profonde dell'esistenza umana suscita la precedente domanda: perché «consacrarsi» a Dio per «realizzare pienamente» la propria esistenza?

In questa situazione è tutta la realtà ecclesiale a essere in situazione di diaspora, cioè fuori del suo mondo, in un mondo che non è piú il «suo», trascinando nella medesima esperienza anche la vita consacrata [26]. Ma se questa nuova situazione pone dei seri problemi a quest'ultima, al tempo stesso rappresenta un energico richiamo a essere piú consapevole di se stessa e a vigilare sulla propria autenticità. In questo senso gli stessi elementi positivi della secolarizzazione costituiscono per i consacrati una seria provocazione a capire con maggior lucidità il proprio compito all'interno della società attuale. La funzione del consacrato sarà essenzialmente quella di animare in senso cristiano l'ambito del cosiddetto «profano», d'illuminare con la luce del Vangelo il mondo e di porsi come voce critica in rapporto al peccato del mondo. La sua presenza nel momento attuale, come sempre del resto, deve fare da correttivo all'ottimismo a volte ingenuo e illusorio, che l'uomo moderno nutre verso le possibilità e i valore umani, criticandone le eventuali assolutizzazioni [27]. La vita consacrata ha quindi, oggi piú che mai, la sua piena ragion d'essere proprio per il bisogno di profezia a favore della trascendenza, di cui l'umanità al momento attuale necessita e che i consacrati per la loro stessa vocazione possono e sono chiamati a dare.

 

 

4. COME RISPONDERE A QUESTE SFIDE? [28]

Perché queste legittime attese possano essere soddisfatte occorrerà saper leggere secondo un'ottica critica e al tempo stesso di fede i «segni dei tempi» per evitare di assumere di fronte alla nuova realtà atteggiamenti inadeguati o, peggio, sbagliati, che comprometterebbero non solo la credibilità della vita consacrata, ma addirittura la sua stessa esistenza.

Innanzi tutto l'attuale congiuntura è troppo seria, perché ci si possa prendere il lusso d'ignorare che le cose sono cambiate, mutamento che ha portato con sé una crisi reale e oggettiva, la quale non è solo una voga del momento. Né ci si può accontentare, perciò, di accomodamenti accidentali e marginali; sarebbero rattoppi insufficienti, anzi dannosi, perché illusori. Neppure è pensabile un illogico irrigidimento e una chiusura assoluta di fronte ai cambiamenti sociali ed ecclesiali avvenuti. Ciò significherebbe volersi ridurre a una setta esoterica e rifiutare la realtà oggettiva. Sono ugualmente errati quei «sapienti dosaggi tra la fedeltà al passato e l'apertura al mondo, che assomigliano piú a dei rabberciamenti che a nuove creazioni del soffio evangelico» [29]. Tutte queste varie soluzioni significano una rinuncia autentica a vivere la storia, riducono la vita consacrata a una caricatura o a un costume storico del passato e rivelano che si vive la propria esistenza non come una scelta cosciente e costantemente ratificata, ma come un qualcosa che si subisce o come un puro ritualismo della vita, privo d'ogni contenuto.

Ugualmente perniciosa sarebbe la soluzione di ammorbidire e attutire le esigenze limpide e severe di una vita che voglia essere autentica sequela evangelica di Cristo, pensando che tale sacrificio alla rovescia faccia parte del processo irreversibile della storia e quindi sia l'unica lettura giusta del Vangelo esigita dall'oggi di Dio.

Un altro errore non meno grave sarebbe quello di accettare acriticamente come vangelo ogni voce contestatrice che venga dal di fuori e imboccare indiscriminatamente e massicciamente la via della secolarizzazione negativa, riducendo il motivo di fondo del nostro tipo di vita solo alla dimensione orizzontale. Sarebbe un mettere in cassa integrazione il necessario riferimento a Dio e voler legittimare i propri valori religiosi in termini puramente profani e secolari. E questo proprio in un'epoca in cui sta esplodendo un grande bisogno e una insospettata sete di Dio, specie nei giovani! Il risultato di questi atteggiamenti è evidente: si perde la propria ragion d'essere nel momento stesso in cui la si vuol fare accettare con questi espedienti, ma soprattutto viene annullata la forza significante della vita consacrata, ottenendo l'effetto contrario a quello che si vuole perseguire.

I consacrati, quindi, evitati gli errori visti or ora, devono avere il coraggio di spingersi fino in fondo nell'interrogativo sulla propria identità, sul perché della propria esistenza, sul proprio posto nella Chiesa e nel mondo. Per questo non devono aver paura di mettere in luce l'essenziale del proprio progetto e di giudicarlo alla luce del Vangelo.

«La situazione presente osserva acutamente J. M. R. Tillard parlando della vita consacrata nell'attuale congiuntura la scrosta alla maniera di un acido, per metterne a nudo il nucleo e scartare le motivazioni secondarie. Se le sembrerà che tale nucleo è conforme al Vangelo, che lungi dallo sviarla le conferisce il suo pieno rilievo, allora dovrà mettersi d'impegno a tradurlo in funzione della cultura del cristiano d'oggi. Diciamo tradurre: nell'adattamento l'attenzione è rivolta soprattutto a ciò cui ci si adatta, nella traduzione a ciò che si traduce. Traduzione coraggiosa, certo, ma che si guarda bene da ogni perdita di senso... Se nella sua motivazione essenziale la vita consacrata è essenzialmente conforme al Vangelo e se questo rimane la norma ultima per il cristiano, non si vede in nome di che la vita consacrata dovrebbe accettare di autoaffondarsi. Una cosa del genere significherebbe in definitiva tradire il Vangelo stesso. In tal modo siamo rinviati al Vangelo e la questione in cui si sfocia non è altro che quella del valore di quest'ultimo per il giorno d'oggi.

L'autocritica della vita consacrata di fronte alla sfida del mondo deve dedicarsi all'approfondimento di queste due domande: la vita consacrata è autenticamente evangelica? II Vangelo ha ancora un senso? Nel pronunciare questo giudizio bisogna evidentemente rimanere critici (cosa che non equivale a essere negativi) nei confronti dei dati della cultura contemporanea di cui si deve tener conto. Una confidenza ingenua in questi ultimi aprirebbe le porte al caos... Il profetismo reale accetta raramente di acconsentire a priori alle corrente dominanti. Esso è per natura critico e se pecca per eccesso nel suo giudizio dei "tempi e dei momenti", eccede piuttosto nel senso d'una troppo grande severità a riguardo di ciò che potrebbe sembrare uno sprofondamento nell'immediato. Esso reagisce d'istinto contro la perpetua avventura del vitello d'oro, che non fa che cambiar di nome. Ora il giudizio che la Chiesa dà sul mondo si ispira al profetismo.

Ciò equivale a dire che l'esame del senso del Vangelo e del nucleo essenziale della vita consacrata esigono come condizione di base che il pensiero e l'intelligenza critica conservino i loro diritti. La stessa facoltà di giudizio, che interdirà l'adorazione dei nuovi idoli, eviterà di cadere nella condanna senza appello del mondo contemporaneo. Quest'ultimo infatti non è l'opera dell'anticristo. In esso si mescolano e crescono assieme il bene e il male. Gerusalemme città di Dio e Babilonia sono frammiste fino alla fine. La situazione attuale, con la sua recessione del religioso e l'ascesa del secolare che modellano un tipo nuovo d'umanità, non va canonizzata senza sfumature, cosi come non va condannata al patibolo. Non va considerata come terra promessa, in cui bisognerebbe entrare a testa bassa benedicendo Dio, cosi come non va vista con disprezzo quasi fosse una cloaca, da cui non si può che distogliere lo sguardo. Per quel che la riguarda, e se essa si giustifica di fronte al Vangelo, la vita consacrata non può dunque rassegnarsi né alla secolarizzazione pura e semplice del suo nucleo essenziale, (sarebbe un suicidio), né all'ignoranza pura e semplice di quanto la secolarizzazione implica di positivo e di imperativo (sarebbe un morire d'asfissia). In tutto questo essa deve vedere una questione da affrontare in maniera vera, quindi aperta, lucida» [30].

 

 

II. La risposta qualificata del concilio Vaticano II. Situazione dei testi e loro prospettive dottrinali [31]

Il concilio Vaticano II ha segnato indubbiamente una svolta storica importante nella riflessione teologica sulla vita consacrata. Infatti esso è stato il primo concilio ecumenico ad averne parlato in una prospettiva eminentemente dottrinale, delineandone l'identità in riferimento al suo collocamento all'interno del mistero della Chiesa quale popolo di Dio. I dati conciliari in proposito costituirono perciò il punto di partenza da cui di fatto prese l'avvio la ricca riflessione, che portò al sorgere della moderna teologia della vita consacrata. Ma tra questi il dato che ci sembra essere stato il piú indicativo fu soprattutto quello del costante aggancio alla parola di Dio, in quanto fu esso che concretamente tracciò uno degli orientamenti piú significativi per la giusta prospettiva secondo cui avviare la riflessione teologica. E in base a questo fatto che pensiamo sia doveroso tener presente le affermazioni conciliari maggiori sul discorso della vita consacrata: esse faranno vedere la fondatezza degli interrogativi che emergeranno in seguito nella nostra indagine e la legittimità delle risposte che a loro daremo.

 

 

1. I TESTI CHE C'INTERESSANO

I principali testi conciliari, che parlano della vita consacrata nel suo aspetto teologico, sono il c. 6 della costituzione dogmatica Lumen gentium [32] e il decreto Perfectae caritatis[33] sul rinnovamento della vita consacrata. All'interno poi della Lumen gentium si ha un accenno ai religiosi al n. 13 parlando dell'universalità dell'unico popolo di Dio, al n. 31 trattando della natura e della missione dei laici, al n. 39 nel discorso sulla santità nella Chiesa e al n. 42 presentando la verginità consacrata come una tra le vie alla santità [34].

Infine, altri accenni li troviamo nel «decreto su l'ufficio pastorale dei vescovi nella Chiesa», Christus Dominus, al n. 33 (i religiosi e le opere d'apostolato), al n. 34 (i religiosi, cooperatori dei vescovi nell'apostolato) e al n. 35 (principi su l'apostolato dei religiosi nella diocesi) [35].

 

 

2. LA LORO GENESI

a. I capitoli 5 e 6 della Lumen gentium [36]

Per quanto riguarda la Lumen gentium, ci limitiamo alle parti attinenti piú direttamente i religiosi, cioè, all'elaborazione del testo del c. 5 («Universale vocazione alla santità nella Chiesa») e del c. 6 («I religiosi»).

La prima formulazione del testo non giunse mai in aula conciliare. Essa comprendeva un capitolo solo, il quinto, dal titolo «De statibus evangelicae acquirendae perfectionis» («Gli stati che tendono all'acquisto della perfezione evangelica»). Essa non era priva di qualità dottrinali, tuttavia era troppo impregnata di giuridismo e non metteva abbastanza in luce la natura profonda della vita consacrata.

Il testo presentato ai padri nella seconda sessione ebbe una stesura veloce e misteriosa. Infatti, non fu sottoposto né alla commissione teologica né a quella dei religiosi. Il nuovo capitolo, divenuto «Capo 4º», aveva come titolo «La vocazione alla santità nella Chiesa» e trattava due distinti argomenti: 1) quello della vocazione universale alla santità e 2) quello dello stato religioso. Era stato dunque eliminato il capitolo speciale sui religiosi.

La reazione all'unificazione della materia in un solo capitolo fu vivace. Un documento, sottoscritto da 680 padri, compresi diciassette cardinali, chiedeva due distinti capitoli, uno sull'universale chiamata alla santità e l'altro sulla vita consacrata, adducendo tre motivi: 1) il posto speciale che i religiosi occupano nella Chiesa, 2) l'importanza e la funzione tipica della loro presenza in essa, 3) la possibilità di esporre in un capitolo a parte le varie forme di professione dei consigli evangelici. La sottocommissione mista, incaricata della revisione del testo, adottò una soluzione di compromesso, approvata nel marzo 1964 dalla sessione della commissione plenaria. Il capitolo fu diviso in due parti, che potevano essere assunte sia come due capitoli separati, sia come due sezioni di uno stesso capitolo. La scelta fu lasciata all'assemblea conciliare, che il 30.9.1964 votò per un capitolo speciale sui religiosi con 1.505 voti favorevoli su 2.210 votanti. Lo stesso giorno il nuovo capitolo, il c. VI, fu approvato nel suo insieme con 1.739 voti favorevoli su 2.189 e 12 voti contrari. Il 21.11.1964, nella seduta plenaria conclusiva della terza sessione conciliare, si ebbe la solenne votazione dell'intera costituzione contenente il testo attuale.

 

 

b. Il decreto Perfectae caritatis [37]

Il testo del decreto Perfectae caritatis ebbe una gestazione ancora piú lunga e travagliata, passando attraverso l'elaborazione di sei stesure. La prima stesura fu approntata dalla Commissione preparatoria, che allestí uno schema di 110 pagine in undici capitoli dal titolo «De statibus perfections adquirendae» («Degli stati che tendono all'acquisto della perfezione»).

Nel 1962 il testo venne rifuso dalla Commissione centrale preparatoria in forma piú omogenea con ritocchi, aggiunte e abbreviazioni. Ne risultò, comunque, un documento che comprendeva ancora trenta capitoli e ben 202 paragrafi! Questo testo non giunse in aula conciliare, perché fu giudicato ancora troppo lungo e dovette essere abbreviato in ossequio all'ordine emanato dal Consiglio di presidenza il 5.12.1962. La nuova rifusione risultò un fascicolo di 34 pagine in 9 capitoli e 52 paragrafi con il titolo della prima stesura. Le osservazioni dei padri al testo riempirono due volumi di complessive 243 pagine ciclostilate, esaminate all'inizio del secondo periodo del Concilio. Il materiale, tuttavia, era ancora vasto e necessitava di un'ulteriore sintesi.

Si arrivò cosi alla quarta stesura e il 27.4.1964 nacque uno schema di poco meno di 4 pagine in 19 proposizioni dal titolo «De Religiosis» («Sui Religiosi»). Questa volta esso era senz'altro troppo breve! Le osservazioni dei padri, inviate per iscritto, consentirono una nuova rifusione, ampliata nelle parti riguardanti l'obbedienza e la castità. II documento venne intitolato «De accomodata renovationis vitae religiosae» («Sul rinnovamento adattato della vita consacrata»). Fu questo il testo presentato alla discussione dell'aula conciliare nella terza sessione (14 sett. - 21 nov. 1964). Il dibattito fu vivace e nutrito; intervennero 26 oratori e giunse una valanga di modi o di proposte di emendamento al testo. Essi, presi singolarmente, furono oltre 14.000, ma, per l'affinità della materia, poterono essere ridotti a 500. Tutto questo ricchissimo materiale conciliare fu assai prezioso e validamente orientativo per l'ulteriore elaborazione del testo, che risultò di nuovo ampliato (10 pagine e 25 paragrafi), conservò il titolo precedente e si presentò con la qualifica di «decreto». Esso fu proposto al giudizio dell'aula conciliare nella quarta sessione (14 sett. - 8 dic. 1965). L'11 ottobre 1965 si ebbe la votazione conclusiva dell'intero schema del decreto: i votanti erano 2.142, i placet furono 2.126, i non placet 13, e i voti nulli 3. Nella sessione pubblica del 28 ottobre 1965 ci fu la votazione finale per la sua promulgazione: i votanti erano 2.325, i placet furono 2.321, e i non placet solo 4.

 

 

3. ORIENTAMENTI DOTTRINALI GENERALI [38]

Il dato conciliare nuovo non fu solo che il Vaticano II avesse parlato dei religiosi; ciò avvenne in precedenza anche in altri concili. La novità consisté piuttosto nel modo con cui il Concilio trattò della vita consacrata. Infatti, come dicemmo in precedenza, per la prima volta nella storia della Chiesa un concilio ecumenico l'accostò nei suoi aspetti dottrinali piú profondi, facendo delle chiare formulazioni sui suoi elementi costitutivi essenziali e soprattutto indicando le giuste prospettive secondo cui considerarla in ciò che essa ha di perennemente valido. Evidentemente l'aula conciliare prescindette volutamente e doverosamente da un discorso di scuole teologiche, né intese dare una trattazione esaustiva sulla vita consacrata presa in se stessa. Tuttavia, i padri conciliari posero le basi autorevoli e indicarono il clima e gli orientamenti adeguati per il sorgere di un'autentica teologia della vita consacrata. Non a caso, è proprio in seguito al Concilio che assistiamo al fenomeno nuovo della nascita di una riflessione teologica di ampio respiro su questo dato basilare della Chiesa quale popolo di Dio.

 

 

a. Lumen gentium [39]

Come fa giustamente osservare J. Galot [40], mentre la costituzione nel suo insieme fa costantemente riferimento alla Bibbia, nel c. 6 essa ne contiene uno solo [41] e, a nostro avviso, abbastanza marginale rispetto al tema centrale del capitolo. Ora questo fatto ha una motivazione molto semplice: esso è dovuto alla divisione del materiale in due capitoli, quando invece, in origine, esso era stato pensato per uno solo. Tuttavia il clima biblico permane ugualmente per due motivi. Innanzi tutto il legame esplicito tra la vita secondo i consigli e la Scrittura è presente al termine del capo precedente [42], e con un'insolita ricchezza, e inoltre nel capitolo è nettamente affermata la sostanziale conformità a Cristo della vita consacrata.

Questo fatto sottolinea la dimensione cristocentrica della vita consacrata, dato che nel testo emerge da vari elementi. Nel n. 43 vien detto che la vita secondo i consigli trae origine da Cristo [43]. Nel n. 44 si afferma che la consacrazione religiosa è una partecipazione dell'unione di Cristo con la sua Chiesa e quindi la rappresenta [44]. Perciò essa promuove il regno di Cristo nel mondo, manifesta la vita nuova da lui acquistataci e testimonia la forma di vita vissuta da Gesú in terra. Secondo, poi il n. 46 la vita consacrata è nella Chiesa una multiforme espressione dei vari aspetti e delle varie funzioni della persona di Cristo [45]. Infine, nel n. 47 si ricorda che la santità deriva ai consacrati «in Cristo e per mezzo di Cristo», che «è la fonte e l'origine di ogni santità» [46].

L'intenso riferimento alla persona di Cristo porta con sé la prospettiva mistica della vita consacrata, la quale risulta, inoltre, dall'esplicita affermazione della sua origine divina: essa deriva da Cristo ed è un dono divino [47]. Essa affiora pure quando, insistendo sulla natura della vita consacrata, si accentua l'aspetto di consacrazione [48], vista nella linea di quella battesimale.

La prospettiva ecclesiale, poi, è una conseguenza della consacrazione «a Dio solo». La realtà vera, autentica e reale di Dio, infatti, si fa cogliere dal credente primariamente e sacramentalmente nella comunità ecclesiale. È quindi il tipo di consacrazione che segna il religioso a specificare il suo rapporto con la Chiesa. Trattandosi d'una consacrazione interiore e personale, il rapporto ecclesiale che ne deriva sarà fatto soprattutto di intima disponibilità, per mezzo della quale si vive con tutto il proprio essere per la Chiesa. La consacrazione, inoltre, specifica pure il valore di segno e di testimonianza della vita consacrata. Questo dato non si attua sul piano puramente o prevalentemente operativo e funzionale, bensí su quello entitativo ed esistenziale. È il proprio modo di essere che rende sacramentalmente presenti quelle realtà di cui si è segno e perciò testimonianza. In tal modo la vita consacrata appartiene alla struttura intima della Chiesa, alla sua vita e santità, «alla vita plenaria e alla struttura carismatica della Chiesa» (card. J. Döpfner) [49].

 

 

b. Il decreto Perfectae caritatis [50]

Il documento è dominato da un triplice clima. Innanzi tutto lo spirito ecclesiale è intensissimo e domina tutto il decreto. All'inizio viene detto espressamente che il bene della Chiesa costituisce la ragione d'essere del documento ed è pure la regola suprema della vita consacrata [51]. Lungo tutto il testo appare poi come quest'inserzione nella Chiesa sia intrinseca alla vita consacrata stessa e ciò allo scopo di togliere delle tendenze o vedute troppo individualistiche d'istituto, fatto che storicamente in qualche zona della vita ecclesiale si è purtroppo verificato.

Ma il forte accento cristocentrico è forse l'elemento piú evidente di tutto il decreto e ciò si spiega facilmente. Il Perfectae caritatis è il decreto del rinnovamento della vita consacrata. Ora questo si effettua mediante il ritorno alle sorgenti, che nel nostro caso sono il Vangelo, anzi la stessa persona di Cristo. Di qui la visuale costante della vita consacrata come di un'autentica sequela di Cristo, dato che emerge soprattutto nella presentazione dei tre voti [52]. Della vita comune, poi, viene detto che essa assicura la presenza del Signore in mezzo alla comunità [53].

Infine, vi si coglie uno spirito di larghissima apertura. Il decreto, infatti, è preoccupato di servire ogni forma e ogni realtà di vita consacrata nella Chiesa, senza recare danno o disturbo a nessuna. Il processo di rinnovamento viene poi prospettato con ampio respiro. Basti pensare alla trattazione sui tre voti e sulla vita comune, cioè sugli stessi elementi costitutivi della vita consacrata: pur non sacrificando nessun valore della tradizione, si coglie un'insospettata apertura sul mondo d'oggi, manifestando al tempo stesso un notevole ottimismo e una fiducia sincera verso i consacrati a cui si rivolge.

 

 

4. LE TITOLATURE DEI DOCUMENTI

Anche i titoli dei documenti conciliari, con le vicissitudini che essi subirono prima di giungere alla loro attuale formulazione, sono indicativi e portatori di un loro messaggio dottrinale. Essi, infatti, aiutano a capire lo spessore teologico che testi come quelli conciliari naturalmente contengono, ė sono spie accreditate per cogliere le prospettive teologiche dei testi stessi.

 

 

Lumen gentium, c. 6: «De religiosis» («Sui religiosi»)

Nel primo schema si aveva «Gli stati che tendono all'acquisto della perfezione evangelica», espressione che fu presa dalla Somma teologica di s. Tommaso. Parecchi padri si opposero a questa formulazione col motivo che Cristo chiama tutti alla perfezione e non solo alcuni. Inoltre, la rivendicazione di uno stato di perfezione potrebbe generare nei religiosi orgoglio e fariseismo. Proposta che fu accettata e si decise per il titolo attuale solo per motivi pratici, per non entrare, cioè, nelle controversie teologiche sulla natura dello stato religioso. Esso, infatti, è inadeguato, perché limita il discorso, non potendo essere applicato in senso proprio agli istituti secolari, mentre in realtà essi pure sono inclusi dal Concilio in questo capitolo.

 

 

Perfectae caritatis. «Decreto sul rinnovamento della vita consacrata»

Inizialmente, s'è visto, il titolo era piú generale: «Gli stati che tendono all'acquisto della perfezione». Il titolo attuale, invece, specifica bene l'oggetto del testo, si tratta di un rinnovamento e di un adattamento. Nel binomio è l'adattamento che viene specificato e acquista significato dal rinnovamento; s'intende, cioè, un adattamento, che non sia solo un piegarsi supinamente e in modo acritico all'oggi, ma che si attui attraverso la riscoperta e la riassunzione della propria specifica ed essenziale identità. In altre parole, il rinnovamento è il dovere fondamentale, di cui l'adattamento è solo un aspetto. Il titolo, inoltre, mette in evidenza come il rinnovamento si realizzi tornando alle fonti e adattandosi alle circostanze attuali con l'aiuto di quell'energia e di quella luce che derivano dal ritorno alle sorgenti. Si tratta della legge del rinnovamento costante, che storicamente esprime e attua l'esigenza della continua conversione, insita nella vocazione evangelica. L'espressione, poi, Perfectae caritatis, con cui il decreto inizia, intende richiamare l'attenzione sulla natura intima della vita consacrata, in sintonia con la dottrina espressa nella Lumen gentium: lo sviluppo dell'amore perfetto quale scopo essenziale della perfezione e quale maturazione naturale della santità a cui tende la vita consacrata.

 

 

5. ANALISI DEI CONTENUTI

 a. Nella costituzione dogmatica Lumen gentium [54]

La ricca dottrina del c. 6 si articola su tre traiettorie: quella riguardante l'origine della vita consacrata, quella circa la sua stessa natura e quella del suo rapporto con la Chiesa.

Circa l'origine della vita consacrata il Concilio distingue tra il piano storico e quello teologico. Quanto all'origine storica esso afferma che «í consigli evangelici della castità consacrata a Dio, della povertà e dell'obbedienza [sono] fondati sulle parole e sugli esempi del Signore e raccomandati dagli apostoli...» [55]. La formulazione è volutamente espressa in modo generico tramite l'uso del termine «fondati» per evitare di toccare la questione se la vita consacrata nella sua forma istituzionale, poiché di questo si tratta con l'enunciazione dei tre consigli evangelici, sia o meno nella sua origine di diritto divino immediato. Su questo punto, perciò, rimane libero spazio alla riflessione teologica. Sul piano teologico il Concilio è, invece, piú esplicito, dicendo che i sopraddetti consigli evangelici «sono un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore», uno «speciale dono» e che la vita consacrata è nella Chiesa come «un albero piantato da Dio» [56].

Quanto alla natura della vita consacrata, il Concilio, dicendo che essa è un «dono divino» e uno «speciale dono», sottolinea il suo carattere di carisma stabile, che struttura tutta l'esistenza del chiamato [57]. Inoltre, al n. 44 afferma che la consacrazione religiosa è nella linea di quella battesimale in quanto essa è una specificazione di quest'ultima [58]. Infatti, il consacrato «si dona totalmente a Dio sommamente amato, cosi da essere con nuovo e speciale titolo destinato al servizio e all'onore di Dio. Col battesimo è morto al peccato e consacrato a Dio; ma per poter raccogliere un frutto piú copioso della grazia battesimale, con la professione dei consigli evangelici nella Chiesa intende liberarsi dagli impedimenti, che potrebbero ritardarlo nel fervore della carità e nella perfezione del culto divino, e si consacra piú intimamente al servizio divino» [59].

In questo passo è da ritenere soprattutto l'espressione «si dona totalmente a Dio sommamente amato», perché in essa è contenuto il radicalismo teocentrico della consacrazione religiosa e la fede come suo atteggiamento dominante. Il passivo del testo latino (mancipatur) indica che si tratta di un atto con cui Dio consacra a sé la creatura. Questo passivo è volutamente inteso, perché, nell'usare la frase di s. Tommaso, essa viene qui intenzionalmente mutata [60]. Perciò da parte dell'uomo la consacrazione religiosa esprime «la scelta di una disponibilità piú radicale all'iniziativa dell'amore di Dio che cerca d'investire, santificare, consacrare la totalità della vita di un uomo» [61]. Si tratta di una riproduzione piú fedele della «forma di vita» di Cristo e quindi «unisce in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero». Perciò ancora è «segno» della presenza dei beni celesti, a «testimonianza della vita nuova, a preannunzio della futura risurrezione e della gloria del regno celeste...».

Al n. 45 è degna di nota la «presentazione» liturgica a Dio della consacrazione religiosa da parte della Chiesa [62]. Il testo è sorto per soddisfare la richiesta di p. J. Prou, abate benedettino di Solesmes. L'enunciato va inteso nel senso che l'azione liturgica della Chiesa non «fa», ma «presenta» la professione religiosa «come stato consacrato a Dio». Cioè, l'azione liturgica né crea né dà origine allo stato di consacrazione, perché la consacrazione viene da Dio, ma semplicemente lo rende manifesto.

Infine, nel n. 46 il Concilio insiste sulla dimensione cristiforme della vita consacrata [63], affermando che i consigli evangelici «hanno soprattutto la forza di maggiormente conformare il cristiano al genere di vita verginale e povera, che Cristo Signore si scelse per sé e che la vergine Madre sua abbracciò». Perciò esorta i consacrati, «affinché per mezzo loro la Chiesa ogni giorno meglio presenti Cristo ai fedeli e agli infedeli, o mentre egli contempla sul monte, o annunzia il regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato». Sul rapporto, infine, della vita consacrata con la Chiesa, ai nn. 43 e 45 [64] si dice che essa è «un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e che con la sua grazia sempre conserva». La Chiesa, «sotto la guida dello Spirito Santo» e «docilmente seguendo gli impulsi dello Spirito Santo», amministra e custodisce questo dono, lo «erige a stato canonico» e media liturgicamente la consacrazione a Dio.

 

 

b. Nel decreto Perfectae caritatis [65]

Il decreto, per la sua stessa natura, non offre una presentazione dottrinale organica sulla vita consacrata, cosa già avvenuta nella Lumen gentium, ma vi fa degli accenni preziosi in funzione delle direttive pratiche per l'attuazione del suo rinnovamento e adattamento alle situazioni attuali.

Dal punto di vista strutturale nell'introduzione, parlando dell'origine e dello sviluppo storico della vita consacrata, accenna al legame che esso ha con la Lumen gentium (n. 1). Nei nn. 2-4 enuncia i principi che ne devono normare il rinnovamento e l'adattamento. Ai nn. 5-6 ripropone la natura della vita consacrata e le esigenze generali che ne derivano. Nei nn. 7-15 espone le diverse forme di vita consacrata (nn. 7-11) e i suoi elementi costitutivi (nn. 12-15). Infine, i nn. 16-24 trattano una serie di questioni particolari.

Sul piano dottrinale abbiamo alcune formulazioni sull'origine della vita consacrata. In proposito al n. 1 non si afferma che la sua istituzione ci fu già fin dai primi tempi della Chiesa, ma solo che «vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici intesero seguire Cristo con maggiore libertà e imitarlo piú da vicino...» [66]. Quindi s'insinua che non vi fu uno iato storico fra la vita consacrata di Cristo e quella presente nella Chiesa: l'origine divina della vita consacrata s'incarna in una continuità umana.

Infine, per quanto riguarda la natura della vita consacrata, si dice che essa costituisce una «consacrazione del tutto speciale», che implica la totale donazione di se stessi al Signore [67], la quale si condensa essenzialmente nella sequela di Cristo (nn. 1, 2a, 5, 8, 13, 14c) [68].

 

 

Conclusione

Al termine di questo capitolo, soprattutto dopo aver letto quanto è stato detto nella prima parte, si può essere colti da un'impressione negativa e può sorgere spontaneo e accorato l'interrogativo: in una situazione cosi drammatica, c'è per la vita consacrata il conforto di una sicura via d'uscita e, in particolare, è possibile realizzare le provvidenziali e autorevoli indicazioni del concilio Vaticano II? Pensiamo che la risposta migliore a questa legittima domanda ci venga proprio dalla storia stessa. Lungo i secoli, infatti, la vita consacrata ha conosciuto e affrontato difficoltà forse non meno gravi, anche se di natura diversa dalle attuali perché la storia mai si ripete, e puntualmente sono stati sempre questi momenti di crisi ad averla ringiovanita, perché, allora come oggi, l'hanno stimolata a ripensare il proprio progetto di vita, a ritornare quindi alla sua autenticità, e a trovare nuove forme per realizzarsi secondo le esigenze dei tempi, seguendo in ciò la voce e l'impulso dello Spirito Santo.

Nel capitolo seguente seguiremo quindi questo suo travagliato ed esaltante cammino bimillenario. Ne ricaveremo come insegnamento che la vita consacrata è una realtà viva, la quale non può mai essere calata in schemi mentali e forme storiche fisse e immutabili, anche se ciò acquieterebbe lo spirito umano, sotto pena del suo totale fraintendimento. Quest'acquisizione ci indicherà al tempo stesso che in essa dobbiamo sempre cercare e cogliere ciò che costituisce la sua anima, il suo nucleo essenziale per avere poi la sufficiente libertà di spirito ad accettare che cada o muti quanto rappresenta, invece, soltanto le modalità delle sue espressioni storiche. Si parla con insistenza di crisi della vita consacrata. Nella prospettiva del prossimo Sinodo che verterà sul tema, l'autore si è proposto di individuare le radici della vita consacrata e la direzione di un mutamento che pori a riscoprire la forza propulsiva di questa scelta: il posto specifico della vita religiosa in seno al popolo di Dio.

Tra le due strade possibili tracciate già dal Vaticano II (il ritorno di ciascuna famiglia religiosa al carisma del fondatore e la ricerca della propria identità nella Scrittura), l'autore concentra su quest'ultima la propria competenza di biblista, lasciando la prima all'iniziativa dei singoli istituti.

È dal confronto con la divina Parola, specialmente quella evangelica, che si riesce a cogliere ciò che nel vissuto attuale della vita consacrata è essenziale e ciò che, invece, appartiene alle sue espressioni storiche ed è quindi passibile di mutamento, di sostituzione o di abbandono.

II volume offre una sintesi dell'evoluzione che storicamente hanno subíto gli attuali elementi della vita consacrata («stato di perfezione», «via dei consigli evangelici», «via dei tre consigli evangelici»...) chiarendone la relazione con la Scrittura in base ai dati della recente esegesi. Ciò fatto, affronta il discorso sulla teologia biblica degli elementi costitutivi della vita consacrata (castità, povertà, obbedienza, vita comune).

Emerge un progetto di vita distinto dalla concreta forma storica in cui si è attuato, cioè dalla vita consacrata come istituzione ecclesiale regolata dal diritto canonico. Una vita consacrata segnata dalla creatività della fede, che tende all'ideale della sequela evangelica: un tipo di esistenza che è sempre stato, sin dagli inizi, un dono inestimabile di Dio alla Chiesa.

 

 

 

 

 

Nota biografica

 

Anselmo Dalbesio (Parigi, 1934 - [Torino?] 1996), OFMCap., ha conseguito la licenza in Sacra Scrittura a Roma e il dottorato in Teologia biblica a Gerusalemme. Attualmente insegna Spiritualità del Nuovo Testamento presso l'Istituto francescano di spiritualità dei Pontificio ateneo «Antonianum» in Roma; Esegesi di san Giovanni presso la Facoltà teologica dell'UPS, a Torino; Teologia biblica presso lo Studio teologico OFMCap. di Milano.

Tra le sue principali pubblicazioni: II Vangelo. Storia di un libro e di un'esperienza di fede (1979); Turchia. I luoghi delle origini cristiane (1987); Quello che abbiamo udito e veduto. L'esperienza cristiana nella Prima Lettera di Giovanni (1990); Alle sorgenti dell'esperienza cristiana. II messaggio spirituale della Prima Lettera di Giovanni (1993). Ha collaborato al manuale di studi biblici II messaggio della salvezza (1976) e alla Bibbia TOB. Antico Testamento (1978).

 

 

 

 

Per l'apparato critico consultare il testo originale: DALBESIO A., E lasciato tutto lo seguirono. I fondamenti biblici della vita consacrata, (Collana Problemi di vita religiosa) EDB, Bologna 1994, 15-45.