(La numerazione progressiva a margine senza formattazione è riportata dalla serie degli EV)

 

 

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Vostra grazia,

Le porgo i miei piú sinceri ringraziamenti per la sua lettera del 22 novembre 1985, sulla questione dell'ordinazione delle donne.

In particolare, la ringrazio per avere esposto con tanta chiarezza le ragioni con cui quelle province della Comunione anglicana che hanno proceduto all'ordinazione delle donne al sacerdozio ritengono di giustificare questo loro operato.

Riconosco che la sua lettera è frutto di approfondita riflessione personale e di consultazioni con i primati della Comunione anglicana. La serietà con cui è stato affrontato questo problema è un indice del clima di fiducia esistente tra noi e del progresso compiuto per il superamento delle divisioni tra anglicani e cattolici. La conoscenza delle ragioni teologiche per le quali alcuni, nella Comunione anglicana, considerano l'ordinazione delle donne giustificata e perfino necessaria sarà di particolare importanza per coloro che hanno il compito di proseguire il dialogo tra le nostre comunioni. È di pari importanza dire qualcosa circa il pensiero della Chiesa Cattolica in merito alle idee e agli argomenti esposti nella sua lettera.

Il mio scopo, in questa risposta, non è quello di entrare in una analisi esauriente delle questioni che tale problema solleva. Sono d'accordo con lei che questo argomento non potrà non figurare nell'agenda della seconda Commissione internazionale anglicano-cattolica a cui è affidato il compito di studiare tutti i problemi che impediscono il mutuo riconoscimento dei ministeri. In questo contesto e in questa prospettiva, riterrei anche io opportuni uno studio e una riflessione ulteriori su tale questione.

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Vorrei riferirmi ad alcuni punti specifici della sua lettera e sottolinearne anzitutto uno, contenuto nella parte finale di essa.

Lei dice di non essere personalmente convinto che gli anglicani debbano procedere alla ordinazione delle donne "finché non vi sia un piú ampio consenso nelle nostre chiese". Questa osservazione mi pare che esprima una profonda dimensione teologica di tale questione.

L'ordinazione dei soli uomini al presbiterato e all'episcopato costituisce una tradizione ininterrotta delle chiese Cattolica e Ortodossa.

Nessuna di queste due chiese si ritiene in grado di alterare questa tradizione.

Nel 1976, la Congregazione per la dottrina della fede, nella dichiarazione Inter insigniores, affermò chiaramente che "la Chiesa Cattolica non si ritiene autorizzata ad ammettere le donne all'ordinazione sacerdotale". La ragione principale indicata nella dichiarazione fu quella della tradizione (cf. Inter ins. I-IV). La costante tradizione delle chiese Cattolica e Ortodossa ha sempre considerato il comportamento di Cristo e degli apostoli come una norma da cui essa non poteva deviare. La pratica della Chiesa di ordinare soltanto gli uomini incarna la sua fedeltà, sotto la guida dello Spirito santo, a quello che fu consegnato da Cristo.

La dichiarazione (del dicastero vaticano), insieme alla precedente corrispondenza sull'argomento tra papa Paolo VI e l'arcivescovo Coggan, costituisce il luogo in cui i cattolici devono cercare la guida.

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Sono al corrente che alcuni di coloro che nella Comunione anglicana si oppongono all'ordinazione delle donne portano come argomento il fatto che, essendo la Comunione anglicana parte dell'intera Chiesa Cattolica, essa non può intraprendere un allontanamento tanto radicale dalla tradizione in modo indipendente dalla Chiesa Cattolica e Ortodossa.

La Comunione anglicana, in questa ottica, non può agire da sola e non può prescindere dalla pratica e dal pensiero della Chiesa piú ampia.

Io ritengo che questo punto di vista meriti una seria riflessione.

La Chiesa Cattolica considera con grande serietà il notevole progresso compiuto verso il nostro obiettivo finale della piena comunione della fede e della vita sacramentale. La nostra maggiore unità deve essere una preoccupazione fondamentale e va detto con franchezza che uno sviluppo come l'ordinazione delle donne non giova ad approfondire la comunione tra noi, anzi indebolisce la comunione già esistente. Le implicazioni di carattere ecclesiologico sono gravi.

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Ciò detto, prendo in grande considerazione il suo rilievo che quanti nella Comunione anglicana hanno proceduto all'ordinazione delle donne si sono sentiti in grado di farlo soltanto sulla base di una seria convinzione teologica.

È un punto che valuto con favore, poiché deve essere ben chiaro che questo è un tema teologico e non può venire risolto in chiave sociologica o culturale.

La questione del diritto delle donne a ricoprire cariche secolari è un fatto del tutto diverso e non può essere in alcun modo connesso o paragonato con la questione dell'ordinazione delle donne. Il contesto per tale discussione è quello della teologia sacramentale e della tradizione della Chiesa. Confido che i miei commenti possano illustrare questo punto.

Ho riflettuto attentamente sugli argomenti teologici, da lei riferiti, a sostegno dell'ordinazione delle donne. Come ho detto, non mi propongo di trattare in modo dettagliato di tale questione, ma desidero spiegare perché considero questi argomenti insoddisfacenti.

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Se comprendo correttamente, la forza dell'argomento è questa:

Cristo è il nostro sommo sacerdote. L'umanità che egli assunse per compiere la nostra redenzione è un'umanità che comprende sia i maschi che le femmine. Vale a dire che la sua umanità deve essere intesa come un'umanità completa, se l'intero genere umano deve essere in grado di godere i frutti della redenzione. Coloro che sono incaricati come sacerdoti nella Chiesa adempiono una duplice funzione rappresentativa: essi non solo rappresentano la natura sacerdotale dell'intero corpo della Chiesa, ma stanno anche in uno speciale rapporto sacramentale con il Cristo risorto. Specie nell'eucaristia, essi rappresentano Cristo. Poiché l'umanità di Cristo include i maschi e le femmine, coloro che rappresentano Cristo nella Chiesa potrebbero farlo piú perfettamente se ne facessero parte sia i maschi che le femmine.

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Come prima osservazione, vorrei notare che il linguaggio usato in questa argomentazione è il linguaggio del sacerdozio e del sacramento.

Ciò chiarisce che quello che è in discussione è precisamente la questione dell'ordinazione sacramentale delle donne al sacerdozio ministeriale.

È importante rivolgere l'attenzione su questo fatto, perché sia chiaro che questa discussione ha una rilevanza diretta solo per quei cristiani che condividono questa visione del ministero cristiano. Per le nostre due comunioni, lo stimolo alla nostra attuale corrispondenza è costituito dal Rapporto finale della Commissione internazionale anglicano-cattolica (ARCIC I).

Quella commissione sostenne di aver raggiunto un accordo sostanziale sulla dottrina del ministero. Noi stiamo pertanto trattando un problema che sorge nel contesto dell'effettivo progresso compiuto verso un pensiero comune sulla natura sacramentale del ministero. Nel trattare ora questo argomento, io scrivo come una persona per la quale la visione sacramentale del ministero fa parte della fede della Chiesa.

L'argomento dunque è l'ordinazione delle donne al sacerdozio e, stando cosí le cose, è chiaro che la questione di chi può o non può essere ordinato è inseparabile dal suo specifico contesto sacramentale, teologico ed ecclesiologico.

La pratica di ordinare al sacerdozio soltanto gli uomini deve essere vista nel contesto di una ecclesiologia in cui il sacerdozio costituisce un aspetto integrale ed essenziale della realtà della Chiesa. È nel ministero dei sacerdoti e attraverso di esso che il sacrificio di Cristo compiuto una volta per sempre diventa una realtà attuale. Vi è pertanto una reale continuità tra l'opera redentrice di Cristo e l'ufficio sacerdotale esercitato sia da coloro che sono nell'ordine episcopale sia dai loro collaboratori nell'ordine dei presbiteri.

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Riconosco e vedo con favore il fatto che gli argomenti per l'ordinazione delle donne da lei riferiti provengono chiaramente da persone che credono profondamente nell'importante ruolo del ministero ordinato nell'economia divina della salvezza.

Ciò che tuttavia devo mettere seriamente in questione è se essi costituiscono una visione adeguata ed esatta di quella economia della salvezza come è rivelata nelle Scritture e come è meditata e predicata nella Chiesa. Darò alcune indicazioni dei motivi di questa mia affermazione.

Il quadro della redenzione umana che ci viene presentato nelle Scritture è quello di un Dio che è potente nel salvare e di un popolo che riceve la salvezza come un dono gratuito.

Immagini femminili vengono usate per indicare il ruolo della famiglia umana nel piano divino della salvezza. Nell'Antico Testamento, il popolo d'Israele è descritto come la sposa di Yahweh. Nel Nuovo Testamento, san Paolo parla della Chiesa come della sposa di Cristo. Nella sua tradizione, la Chiesa ha interpretato se stessa nei termini di queste immagini e di questi simbolismi femminili, come il corpo che ha ricevuto la parola di Dio e che è fecondo in virtú di quello che ha ricevuto.

Maria Madre di Dio, nella sua risposta alla parola di Dio, è un tipo della Chiesa.

Cristo, d'altra parte, è il capo del corpo, ed è attraverso il capo che l'intero corpo viene redento.

È precisamente in questa prospettiva che il ruolo rappresentativo del sacerdozio ministeriale deve essere interpretato.

Cristo assunse la natura umana per compiere la redenzione di tutta l'umanità. Come dice la Inter insigniores, tuttavia, "non possiamo mai ignorare il fatto che Cristo è uomo". La sua identità maschile è una caratteristica inerente all'economia della salvezza, rivelata nelle Scritture e presente nella coscienza della Chiesa.

L'ordinazione dei soli uomini al sacerdozio deve essere interpretata nei termini dell'intimo rapporto tra Cristo redentore e coloro che, in maniera unica, cooperano all'opera redentrice di Cristo.

Il sacerdote rappresenta Cristo nel suo rapporto salvifico con il suo corpo, che è la Chiesa. Egli non rappresenta in modo primario il sacerdozio dell'intero popolo di Dio. Sebbene indegnamente, il sacerdote opera "in persona Christi".

Il sacrificio salvifico di Cristo è reso presente nel mondo come una realtà sacramentale nel ministero dei sacerdoti e attraverso di esso. Inoltre, l'ordinazione sacramentale degli uomini assume forza e significato precisamente in questo contesto costituito dall'esperienza della Chiesa della sua identità del potere e del significato della persona di Gesú Cristo, nel ruolo simbolico e iconico di coloro che lo rappresentano nell'eucaristia.

Ciò dicendo, desidero semplicemente rilevare che gli argomenti da lei riportati non possono costituire valide ragioni per la radicale innovazione di ordinare le donne al sacerdozio. Tali argomenti non risolvono i molteplici problemi teologici che questa materia solleva.

Le possibili conseguenze future dell'introduzione di una tale pratica richiedono poi in questo periodo di tempo una particolare attenzione.

Questo argomento continuerà, naturalmente, ad essere materia di discussione e nell'ambito del dialogo anglicano-cattolico il problema piú immediato riguarderà gli effetti che l'ordinazione delle donne in alcuni parti della Comunione anglicana potrà avere sul cammino verso la piena comunione tra noi.

Non possiamo dubitare che sotto la potenza e l'ispirazione di Dio, le cui vie non sono le nostre e i cui pensieri non sono i nostri, quelle deliberazioni contribuiranno al conseguimento dell'unità per la quale Cristo ha pregato.

Le porgo i miei rispettosi e fraterni saluti in Cristo, nostro Signore.

Città del Vaticano, 17 giugno 1986.

Card. Johannes Willebrands, presidente del Segretariato per l'unione dei cristiani

 

 

 

 

 

 

 

Cfr. Enchiridion Oecumenicum. Supplementi - Dialoghi ecumenici (1984-1989), 346-352.

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.