1. Il ripetersi, a scadenza piú o meno ravvicinata, di «scelte» suicide tra i militari, pone alla coscienza cristiana ed alla Chiesa che vive nella realtà militare, interrogativi e problemi assillanti.

Il fenomeno non è presente solo nel mondo militare. Ma la larga e talvolta strumentale pubblicizzazione data a questi casi, ci obbliga ad una maggiore attenzione. I1 fatto poi delle reazioni certamente sofferte e problematiche dei nostri fedeli giovani, e perciò piú largamente influenzabili dal comportamento altrui, richiede alla nostra Chiesa un occhio sereno ma anche il coraggio di una proposta.

2. È nota la prassi della Chiesa cattolica. Poiché la vita è un dono di Dio e un talento da trafficare, essa va rispettata fino in fondo. Quanti con un gesto insano si tolgono la vita, si pongono fuori dalla comunione dei credenti. Pur lasciando a Dio il giudizio definitivo, la Chiesa ha praticato per secoli una disciplina di deterrenza: l’esecuzione cioè dei riti funebri e la sepoltura cristiana.

Una piú profonda conoscenza dei meccanismi psicologici, resa possibile dal progredire delle scienze umane, ha riportato ad una valutazione diversa. È sintomatico che il Codice 1983 non riprenda nemmeno uno dei canoni del Codice 1917. Si parla solo delle irregolarità dei tentati suicidi in funzione dell’ordinazione dell’esercizio dell’ordine sacro (can. 1041 e 1044).

3. Sarebbe deleterio però sottovalutare l’incidenza che un disarmo mentale rischia di avere in questo campo. Già si sta diffondendo in molti ambienti una autentica cultura di morte. Alla luce della retta ragione e piú ancora della Rivelazione, va riaffermato il valore primordiale della vita che non è una riserva individuale autogestibile, ma un dono per tutta la collettività.

In ragione di queste valutazioni globali diventa indispensabile per la nostra Chiesa, Cappellani e laici, un giudizio e, pur nelle diverse situazioni locali, una linea pastorale unitaria.

 

 Mons. Gaetano Bonicelli

Mons. Gaetano Bonicelli

 

 

 

 

Il cappellano di fronte alla realtà dei suicidi

4. Una delle prime persone coinvolte in caso di suicidio in un reparto militare non può che essere il Cappellano. Credenti e non credenti intuiscono il suo particolare collegamento con la vita proprio quando essa è venuta meno tragicamente.

Di solito, purtroppo, ci si trova improvvisamente davanti ad un gesto inconsulto, imprevedibile e per molti versi sconvolgente. Una volta sul posto è doveroso per il sacerdote porre un gesto di fede che può essere - a seconda della distanza di tempo tra il fatto e la presenza - l’amministrazione della Estrema Unzione o dell’Assoluzione (sub conditione) o un segno di croce in fronte e una preghiera almeno silenziosa. È dimostrazione di fede e di rispetto della persona, valida testimonianza nei confronti di quanti si sentono colpiti.

5. L’attenzione alle reazioni dei presenti e del Reparto di appartenenza, è un secondo momento difficile ed importantissimo. E il contesto piú opportuno per ascoltare giudizi, valutazioni, motivazioni, situazioni, problematiche, senza peraltro dare in alcun modo impressione di curiosità ed ancor meno manifestare giudizi personali che sarebbero prematuri.

Dinanzi ad un fatto di cosí grande gravità e risonanza, bisogna fare appello a tutta la prudenza e la saggezza possibili. Il dimostrare affanno, ansia, disperazione, recriminazioni o cose simili dimostrerebbe mancanza di quell’equilibrio e di quella saggezza che tutti hanno bisogno di trovare nel Cappellano.

6. Il primo contatto con i familiari (già avvisati dai Comandi competenti tramite il Parroco o i Carabinieri) costituisce un altro elemento cruciale che condiziona molte volte quanto si potrà fare in seguito. È un momento estremamente delicato. Ci si può trovare dinanzi alle reazioni piú diverse che sono, comunque, sempre comprensibili, anche se non condivisibili. A chi ha perduto un figlio, un fratello, un fidanzato, un padre o un vero amico, bisogna avere la pazienza di concedere sfogo e di perdonare anche qualche offesa, pur se ingiusta, nei nostri confronti.

Questo non significa ovviamente, assumerci delle colpe o delle responsabilità che obiettivamente non abbiamo; ma si tratta pur sempre di una persona che era affidata alle nostre cure pastorali.

 

Celebrazioni funebri

7. In mancanza di norme liturgiche ben definite e tenuto conto della «comprensione» che la Santa Madre Chiesa dimostra nei confronti di questi che sono pur essi suoi figli, non si possono proporre regole rigide per tutti i casi. L’amore ed il rispetto verso il corpo umano che fino a poco prima era persona; il fatto che quel corpo in vita era stato consacrato e santificato dai sacramenti della Chiesa; l’attenzione e l’affetto che la maggior parte dei familiari dimostra, ci debbono suggerire di essere attenti custodi e padri amorosi. È anche questo un segno di profonda umanità e di grande fede nella resurrezione.

Il Cappellano deve saper valutare quanto è possibile fare tenendo conto dei desideri dei familiari, dei suggerimenti dei Comandi e della prassi delle Chiese locali. In casi del genere va subito avvisato il Capo Servizio e, se restassero dubbi, si chieda telefonicamente l’avviso della Curia.

8. Circa il rito funebre si possono distinguere tre modalità di celebrazione:

a) in caserma o reparto;

b) in una chiesa esterna;

c) nella parrocchia di origine del militare.

La responsabilità del Cappellano è piena ed esclusiva nel primo caso; deve tener conto delle esigenze della Chiesa locale nel secondo e, se richiesto di celebrare e presiedere il rito funebre nel terzo caso, non può che conformarsi in toto alla prassi pastorale locale.

Questa attenzione alla piena comunione con il clero e le comunità locali non può minimamente rappresentare una dimissione dalle nostre competenze e responsabilità; ma in momenti drammatici come questi, ogni polemica rischia di aggravare un clima già di per sé pesante e piú ancora di annullare il beneficio dell’opera materna della Chiesa.

9. Il rito sia sobrio e modesto, conforme alle disposizioni liturgiche. Se le circostanze non lo sconsigliano, esso sia incentrato nella celebrazione della santa Messa con la formale richiesta di libera partecipazione da parte della comunità militare.

Nulla vieta che la celebrazione sia accompagnata da qualche canto che davvero aiuti la preghiera e il raccoglimento. Anche la preghiera del Corpo o della specialità, secondo la prassi in uso nelle nostre celebrazioni, può essere inserita cosí come il suono del silenzio ecc.

Qualora siano previsti invece onori militari, si faccia in modo da tener chiaramente distinti i due momenti.

10. Particolare importanza assume la scelta delle letture bibliche da proclamare con vigore. È la Parola di Dio che dà il giudizio definitivo sulle vicende umane. L’angoscia del momento può aprire spiragli insospettati ad una autentica evangelizzazione.

Regolarmente si tenga una breve omelia, che va preparata accuratamente e possibilmente scritta, sia per esigenze di tempo, ma piú ancora di precisione nei concetti e nelle parole.

Non si tratta tanto di giudicare o tanto meno di approvare gesti cosí assurdi quanto, piuttosto, di dimostrare rispetto verso una persona che non c’è piú e verso una «scelta» che il mistero della libertà umana rende possibile e che solo Dio può giudicare, con una bontà e misericordia certamente piú larghe delle nostre vedute umane.

Nel mistero della morte, di queste morti soprattutto, c’è il richiamo al trascendente e all’Assoluto senza di cui la vita diventa un carcere e un assurdo.

 

Disposizioni complementari

11. Oltre alla segnalazione immediata alla Curia dell’Ordinariato, diretta o attraverso il Capo Servizio, il Cappellano si premuri di raccogliere elementi e di formulare il suo giudizio morale su ogni singolo caso di suicidio e di trasmetterlo in via riservata all’Arcivescovo.

Anche se obiettivamente aberrante, si tratta pur sempre di una sofferta e preziosa esperienza che può rifluire a vantaggio comune attraverso una responsabile riflessione collegiale.

12. Si sa dalle statistiche che per un suicidio realizzatosi ci sono molti piú tentativi di suicidio, a scopo dimostrativo o semplicemente per debolezza psichica. Conosciamo quanto incida, in una psiche fragile, l’amplificazione dei media che ingenera una spirale depressiva e una perversa mania di imitazione.

Al Cappellano che ne viene a conoscenza il compito, prima che di richiamare o rimproverare, di rasserenare l’ambiente perché piú facilmente si percepisca quello che è il culmine e la base di tutta l’educazione: il valore della vita come occasione unica di realizzare se stessi secondo il disegno di Dio.

13. In ogni grande Unità, dove è appena possibile, è diventata lodevole prassi che un Cappellano piú degli altri segua i problemi del supporto psicologico dei militari anche con qualche approfondimento dottrinale. Sarà bene che lo stesso, o un altro, abbia ad acquisire una qualche competenza maggiore anche in questa direzione.

L’Ufficio Studi della Curia potrà volta a volta, segnalare testi e documenti utili.

14. Ministri della vita nella sua pienezza, umana e divina, i Cappellani si devono sentire profondamente interpellati da questo fenomeno dove confluiscono tante frustrazioni del nostro tempo. Pregare e far pregare per gli indecisi, è una forma di collaborazione preziosa per vincere il veleno del male che si insinua nella vita.

Memori che il precetto dell’amore del prossimo è il segno piú alto del nostro amore a Dio, i militari cristiani, quelli piú impegnati nei movimenti ecclesiali soprattutto, vengano spesso richiamati alla vigilanza e alla attenzione perché nessuno dei loro commilitoni ed amici manchi o venga lasciato nell’abbandono e nella indifferenza proprio quando ha piú bisogno di appoggio e incoraggiamento.

 

7 giugno 1987

Solennità di Pentecoste

 

+ Gaetano Bonicelli

 

 

 

 

 

Cfr. BONICELLI G., Valorizziamo la vita. Nota pastorale per l’Ordinariato Militare, in Bonus Miles Christi, 4 (1987), 239-242.