Ogni anno, nell'anniversario della morte di Padre Felice Cappello, la liturgia ci fa leggere una pagina stupenda del Vangelo, che ha commosso generazioni di persone e che ci porta lontano nel tempo e nello spazio: ci porta in Palestina. Era un giorno come tanti altri. In nulla dissimile dagli altri. La vita nel villaggio di Nazaret scorreva tranquilla e monotona. Nel disegno di Dio, che congiunge tempo ed eternità, quel giorno segnava quella che San Paolo chiamerà la "pienezza del tempo". In quel giorno l'Angelo Gabriele fu mandato da Dio nella città di Nazaret, ad una Vergine di nome Maria... per chiederle di diventare la madre del Redentore. Trentadue anni fa, alla prima ora del giorno in cui la Chiesa ci invita a meditare sul mistero dell'Annunciazione e, quindi, dell'incarnazione e della Redenzione, il Signore chiamava a sé Padre Felice Cappello, all'età di 83 anni. Fu un tramonto rapido, perché fino al giorno prima Padre Cappello aveva condotto la sua vita normale. Solo nel pomeriggio di sabato 24 marzo fu portato in infermeria, dove si preparò all'incontro con Cristo in grande pace e serenità, spegnendosi senza una vera e propria agonia.

Chi era Padre Felice Cappello? Chi era questo uomo esile e non alto di statura, che fu un giurista di fama internazionale, autore di numerose opere, che per 40 anni fu in questa Chiesa di S. Ignazio il "confessore di Roma"? Chi era questa dolce e cara figura di Padre gesuita, che era tanto stimato da Padre Pio, dai Beati Don Orione, Don Calabria e Padre Leopoldo Mandic? Ho avuto la fortuna di averlo come Professore all'Università Gregoriana l'ultimo anno in cui insegnò come docente ordinario (1957-58) e poi per tre anni l'ho avuto come confessore. Come alunno mi colpí la sua chiarezza e la sua memoria prodigiosa. Durante la lezione non apriva mai il libro e citava a memoria canoni, interi brani di decretali senza modificare i testi di una virgola. Aveva soprattutto il dono di essere semplice, preciso e profondo al tempo stesso. In pari tempo era sempre affabile, paterno e sorridente. Era uno dei professori che piú si imponeva per prestigio e per autorità, ed in pari tempo era il professore che noi alunni avvicinavamo con piú facilità e che sentivamo piú vicino a noi. Quando terminava la lezione, mentre usciva lo circondavamo per fargli domande che non avevano nulla a che vedere con la lezione da lui tenuta, ma che riguardavano avvenimenti del giorno o problemi che ci incuriosivano, ed egli rispondeva all'accavallarsi delle domande. Era un uomo che colpiva per l'animo buono che aveva e per la bontà che irradiava.

Come confessore aveva il dono di dare serenità e tranquillità. Era sempre molto breve, ma sapeva centrare l'essenziale. Sapeva incoraggiare e dare sicurezza. Fedelissimo agli insegnamenti della Chiesa, non era un rigorista. Padre Cappello era un grande professore, ma anche un grande uomo di Dio e di preghiera. Vedendo pregare Padre Cappello, si era anche invogliati a pregare e raccomandarsi alle sue preghiere. Una delle caratteristiche della devozione di Padre Cappello fu il culto al Sacro Cuore, espresso in modo particolare mediante la riparazione". In una conferenza cosí egli si esprimeva: "Amare il Signore in parole è facile, ma il vero amore sta nella sofferenza accettata con rassegnazione; anche noi, se vogliamo riparare nel modo migliore, dobbiamo offrire le nostre tribolazioni fisiche e morali, esterne ed interne; offrire le nostre croci accettate con pazienza..." (1º gennaio 1937).

Di qui si comprende come la preghiera, e cioè il fervore spirituale di Padre Cappello, era unita all'austerità di vita, alla penitenza, all'esercizio costante della pazienza, ad un profondo senso di umiltà. Ciò che sintetizza meglio di tutto lo spirito e la pratica della sua devozione si trova in un "atto" programmatico, teologicamente perfetto, che qualifica la sua personalità e potrebbe essere anche il suo messaggio definitivo per tutti: "Devo essere vittima di riparazione.. Gesú soffre tante ingiurie, riceve tante offese, patisce tanti oltraggi. Posso io rimanere indifferente ed insensibile? No! Gesú vuole che io ripari, che io conforti e consoli. Lo farò volentieri. Devo essere vittima di espiazione. Gesú vuole la conversione dei peccatori. Egli è morto per tutti. Li chiama dolcemente. Ed essi non ascoltano. Voglio perorare la loro cause presso il cuore dolcissimo di Gesú, ottenere la loro conversione. Devo essere vittima di amore. Amare Gesú: ecco lo scopo delta mia vita. Ogni parola, ogni passo, ogni pensiero, ogni sentimento, ogni respiro deve essere un atto di purissimo amore. Vivere e morire di amore per Gesú: ecco il mio ideale!" (Domenico Mondrone, Padre Felice Cappello, pp. 177-178).

Padre Cappello, maestro nella dottrina giuridica, le cui sentenze facevano testo anche presso i Dicasteri romani, prima di tutto fu un maestro ed esempio di preghiera. Inoltre, Padre Cappello fu costantemente spinto dall'ansia pastorale. Il suo confessionale - che è tuttora venerato come una preziosa reliquia - è il segno visibile e concreto del suo ministero sacerdotale. Padre Cappello conosceva il dramma misterioso della Creazione e della Redenzione: Dio ha voluto creare l'uomo e la donna intelligenti e liberi, per farli collaboratori sulla terra e poi partecipi della sua eterna gloria e felicità. La liberta, perciò, è il dono prezioso che fa l'uomo abile e degno di conoscere, amare, servire e godere Dio; ma ha anche la tragica possibilità della ribellione a Dio e del rifiuto del suo Amore. Il Verbo Divino si è incarnato proprio per riparare il "peccato" commesso dai Primogenitori, che ha travolto la stessa "natura umana" e per perdonare coloro che si sono allontanati dalla "grazia di Dio". "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati - diceva il Divin Maestro ai farisei critici della sua bontà e della sua compassione -. Andate, dunque, e imparate che cosa significa: "Misericordia io voglio e non sacrificio". Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mt 9,12-13). Si può dire che fu questo l'assillo continuo di Padre Cappello: dare la luce della verità a chi ne era privo e ne era lontano; dare la grazia santificante a chi l'aveva persa con il peccato; dare il conforto e la consolazione a chi si sentiva dubbioso e smarrito.

Al suo confessionale si sarebbero potute scrivere le parole del Divin Maestro: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò!" (Mt 11,28). Sembra davvero che le sue lunghe e faticose ore di confessionale fossero all'insegna delle altre parole di Gesú: "Ci sarà piú gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione!" (Lc 15,7). Egli donava quella pace interiore che possedeva e che attingeva dallo studio e dalla preghiera. Come allora si diceva, il "Doctor resolutus" nello sciogliere con autorità tante intricate questioni, era anche il "Doctor serenissimus" che metteva gli animi in pace, usando con paterna bontà, con discrezione, con comprensione. Ad un confratello gesuita Padre Cappello raccomandava: "Nei suoi pareri e decisioni non usi mai la severità. II Signore non la vuole. Giusto sempre, severo mai. Dia sempre la soluzione che permetta alle anime di respirare. Non si stanchi di insistere sulla confidenza. Si persuada che le anime hanno soprattutto bisogno di essere incoraggiate e di credere sempre piú nell'amore di Dio, che è immenso" (cfr. Domenico Mondrone, S.J., Padre Felice Cappello, S.J., Ed. Pro Sanctitate, p. 96). Ed in altra occasione soggiungeva: "I principi sono principi. Restano fermi e vanno sempre difesi. Ma le coscienze non sono tutte uguali. Nell'applicare i principi alle coscienze ci vuole tanta prudenza, tanto buon senso, tanta bontà..." (cfr. Domenico Mondrone, S.J., Esortazione ai Padri della Civiltà Cattolica, 24 febbraio 1984).

Insieme con il ministero del confessionale dobbiamo pure ricordare la visita ai malati e la cura dei moribondi. Quante anime Padre Cappello salvò all'estremo della loro vita terrena! Rimasero celebri alcuni casi (Curzio Malaparte, Concetto Marchesi... Padre Cappello ebbe, inoltre, grande devozione alla Madonna. E mi è caro sottolinearlo in questo giorno dedicato dalla liturgia alla Vergine Santissima. Si può dire, senza esagerare, che Padre Cappello è stato un dono della Madonna alla Chiesa di Roma e alla Curia Romana. Noi sappiamo che dopo 11 anni di sacerdozio nella sua Diocesi di Belluno, come Vice-Parroco e poi come insegnante nel Seminario, Padre Cappello nel 1913 venne a Roma per prendere parte a concorsi indetti prima dalla Congregazione Concistoriale e poi dal Santo Uffizio; ma non venne assunto. Aveva però nel frattempo contratto un'intima amicizia con Padre Enrico Rosa, Direttore della "Civiltà Cattolica", e con altri Padri Gesuiti, recensori dei suoi libri. Volle recarsi in pellegrinaggio a Lourdes per chiedere a Maria Santissima la grazia della illuminazione circa il futuro della propria vita e le decisioni da prendere. A Lourdes fu la notte decisiva per lui: passò una notte intera in preghiera inginocchiato là dove Bernardetta aveva visto la "Bianca Signora". Alla mattina, quando i primi pellegrini giungevano alla Grotta, Padre Cappello si recò all'Ufficio telegrafico per spedire al Padre Ottavio Turchi, Provinciale dei Gesuiti di Roma, un telegramma con il quale chiedeva di essere accettato nella Compagnia di Gesú. Fatto questo, andò a celebrare la Santa Messa per ringraziare della nuova vocazione che era spuntata nel suo cuore, dono di Maria Santissima.

Mons. Giovanni Battista Re