PRESENTAZIONE

 

 

(La numerazione progressiva a margine senza formattazione è riportata dalla serie degli EV)

 

 

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Dal 1977, molti membri della Commissione teologica internazionale desideravano incentrare i loro lavori e le loro ricerche sulla cristologia. Ovviamente, non si trattava di presentare una sintesi completa, ma la si poteva preparare studiando alcune questioni scelte a motivo della loro attualità e difficoltà. Dovevano essere usati anche metodi diversi: da un lato, il redattore si sarebbe posto sul piano storico-critico per fare il punto sulle difficoltà avanzate; d'altro lato, il biblista, lo storico, il teologo avrebbero esaminato i problemi nella prospettiva loro propria. Altri ancora, particolarmente sensibili alle obiezioni e alle difficoltà oggi piú comuni, si sarebbero impegnati nel mostrare come i dogmi cristologici possono essere presentati in una forma attuale, senza che per questo debbano perdere il loro significato originario.

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Perciò, sua eminenza il card. Seper, presidente della commissione, riuní in una sottocommissione i membri che desideravano intraprendere questo lavoro: Urs von Balthasar, Cantalamessa, Congar, Dhanis, Gonzalez de Cardedal, Le Guillou, Lehmann, Martelet, Ratzinger, Schumann, Semmelroth e Walgrave. Durante questi lavori preparatori, il Signore ha chiamato a sé due membri della sottocommissione: i pp. Dhanis e Semmelroth. Mi sia qui permesso di esprimere la perennità del nostro commosso ricordo e la stima che abbiamo conservato per un lavoro portato sino all'estremo delle forze, come per una disponibilità alla collaborazione a tutta prova. La direzione del gruppo inizialmente fu affidata a mons. Ratzinger, divenuto poco dopo cardinale arcivescovo di Monaco e Frisinga, in seguito al padre Semmelroth, e infine a mons. Lehmann, il quale aveva già diretto con successo due imprese del genere.

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Si riscontra sempre una grande differenza tra un dossier allo stadio in cui è frutto di circa dieci ricerche personali e allo stadio definitivo in cui si trova dopo una settimana di discussioni vivaci e tenaci, benché cordiali (21-27 ottobre 1979). Sorgono nuove questioni; si intravedono nuove e migliori espressioni. I professori di teologia potranno prendere conoscenza di alcune relazioni preparatorie nel libro che H. Urs von Balthasar pubblica presso le edizioni Johannes Verlag (Einsiedeln). Qui, invece, essi troveranno le conclusioni dei lavori della Commissione teologica internazionale che come tali vengono approvate in forma specifica dalla maggioranza dei membri della commissione. Perciò, essa rende pubblica questa relazione conclusiva come presa di posizione collettiva.

Roma, 20 ottobre 1980.

 

 

 

Philippe Delhaye, Segretario generale della commissione

 

 

 

 

 

INTRODUZIONE

 

 

 

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 Il problema di Gesú Cristo s'è posto con acutezza nuova nei nostri tempi, sia sul piano della pietà, sia su quello della teologia. Numerosi elementi nuovi vengono apportati dallo studio della sacra Scrittura e dalle ricerche storiche sui grandi concili cristologici. Con nuova insistenza gli uomini pongono l'interrogativo: "Chi è quest'uomo?" (cf. Lc 7,49), e "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?" (Mc 6,2). Chiaramente, non basta una risposta che resti sul piano dello studio generale della scienza delle religioni. Nel corso di questi lavori si sono manifestate aperture preziose. Ma sono apparse anche tensioni, non soltanto tra gli specialisti della teologia, ma anche tra alcuni di essi e il magistero della Chiesa. Tale situazione ha spinto la Commissione teologica internazionale a partecipare a questo vasto scambio di idee. Essa spera di poter portare alcune precisazioni opportune. La commissione non ha concepito il progetto ambizioso di esporre una cristologia completa. Essa ha creduto piú saggio dedicare l'attenzione ad alcuni punti di particolare importanza, o dei quali le discussioni attuali avevano messo in luce la difficoltà.

 

 

 

I. COME ACCEDERE ALLA CONOSCENZA DELLA PERSONA

E DELL'OPERA DI GESU' CRISTO

 

A. Le ricerche storiche

 

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 1. Gesú Cristo, che è l'oggetto della fede della Chiesa, non è né un mito né una qualsivoglia idea astratta. Egli è un uomo che ha vissuto in un contesto storico, che è morto dopo aver condotto la propria esistenza nell'evoluzione della storia. Una ricerca storica su di lui è quindi un'esigenza della stessa fede cristiana. Del resto, questa ricerca non manca di difficoltà, come appare dai problemi che essa ha conosciuto nel corso dei tempi.

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 1.1. Il Nuovo Testamento non ha lo scopo di presentare un'informazione puramente storica su Gesú. Esso intende innanzitutto trasmettere la testimonianza della fede ecclesiale su Gesú e presentarlo nel suo pieno significato di "Cristo" e di "Kyrios". Questa testimonianza è l'espressione di una fede e cerca di suscitare una fede. Una "biografia" di Gesú, nel senso moderno del termine, intesa cioè come un racconto preciso e dettagliato, non può quindi essere composta. Ma la stessa cosa vale per numerosi personaggi dell'antichità e del medioevo. Da ciò non bisognerebbe tuttavia trarre conclusioni improntate ad un pessimismo esagerato circa la possibilità di conoscere la vita storica di Gesú. L'esegesi odierna lo mostra chiaramente.

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 1.2. Nel corso degli ultimi secoli, la ricerca storica su Gesú è stata piú volte diretta contro il dogma cristologico. Tuttavia, quest'atteggiamento antidogmatico, in sé, non è un postulato necessario per il buon uso del metodo storico-critico. Nei limiti della ricerca esegetica, è certamente legittimo ricostruire un'immagine puramente storica di Gesú o - per dirla in modo piú realistico - mettere in evidenza e verificare fatti che concernono l'esistenza storica di Gesú. Al contrario, alcuni hanno voluto presentare delle immagini di Gesú scartando le testimonianze delle comunità primitive. Cosí facendo, essi hanno creduto di attenersi ad una visione storica completa e rigorosa. Ma, in modo esplicito o implicito, questi ricercatori si basano su dei pregiudizi filosofici, piú o meno diffusi, a proposito di ciò che i tempi moderni si attendono dall'uomo ideale. Altri sono guidati da supposizioni psicologiche concernenti la coscienza di Gesú.

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 1.3. Le moderne cristologie devono evitare di cadere in questi errori. Il pericolo è particolarmente grande per le "cristologie dal basso", nella misura in cui esse vogliono appoggiarsi su ricerche puramente storiche. Certo, è legittimo tener conto delle piú recenti ricerche esegetiche, ma bisogna stare altresí attenti a non ricadere in quei pregiudizi dei quali abbiamo appena parlato.

 

 

 

B. L'unità del Gesú terrestre e del Cristo glorificato

 

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 2. Le ricerche scientifiche sul Gesú della storia hanno certamente un grande valore. Ciò è vero in modo del tutto particolare per la teologia fondamentale e per gli incontri con i non credenti. Ma una conoscenza veramente cristiana di Gesú non può restare in queste prospettive limitate. Non si può raggiungere pienamente la persona e l'opera di Gesú Cristo, se non si evita di dissociare il Gesú della storia ed il Cristo quale è stato predicato. Una conoscenza piena di Gesú Cristo non può ottenersi senza tener conto della fede viva della comunità cristiana che sottostà a questa visione dei fatti. Ciò vale per la conoscenza storica di Gesú e per la genesi del Nuovo Testamento come per la riflessione cristologica odierna.

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 2.1. Gli stessi testi del Nuovo Testamento hanno di mira una conoscenza sempre piú profonda e l'accettazione della fede. Quindi essi non considerano Gesú Cristo nella prospettiva del genere letterario della storia pura o della biografia in un orizzonte quasi retrospettivo. Il significato universale ed escatologico del messaggio e della persona di Gesú Cristo esige che si oltrepassi la semplice evocazione storica, come anche le interpretazioni unicamente funzionali. La nozione moderna della storia, avanzata da alcuni in opposizione alla fede ed esibita addirittura come la presentazione nuda ed obiettiva d'una realtà passata, è diversa dalla storia quale la concepivano gli antichi.

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2.2. L'identità sostanziale e radicale di Gesú nella sua realtà terrena col Cristo glorioso appartiene all'essenza stessa del messaggio evangelico. Una ricerca cristologica che pretendesse di limitarsi al solo Gesú "della storia" sarebbe incompatibile con l'essenza e la struttura del Nuovo Testamento, ancor prima di essere rifiutata da un'autorità religiosa esterna.

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 2.3. La teologia può cogliere il senso e la portata della risurrezione di Gesú soltanto alla luce dell'evento della sua morte. Parimente, essa non può comprendere il senso di questa morte che alla luce della vita di Gesú, della sua azione, del suo messaggio. La totalità e l'unità dell'evento di salvezza, che è Gesú Cristo, implicano la vita, la morte e la risurrezione di lui.

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 2.4. La sintesi originale e primitiva del Gesú terrestre e del Cristo risuscitato si trova in diverse "formule di confessione di fede" e "omologie" che parlano nello stesso tempo e con speciale insistenza della morte e della risurrezione (Rm 1,3 ss.; 1 Cor 15,3-4). Questi testi realizzano una connessione autentica tra una storia individuale e il significato di Gesú Cristo che resterà per l'eternità. Essi presentano in sintesi "la storia dell'essenza" di Gesú Cristo. Tale sintesi resta un esempio e un modello per ogni cristologia autentica.

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 2.5. Questa sintesi cristologica non soltanto suppone la confessione di fede della comunità cristiana come un elemento della storia, essa mostra anche che la Chiesa, presente nelle epoche differenti, resta il luogo della vera conoscenza della persona e dell'opera di Gesú Cristo. Senza la mediazione dell'aiuto della fede ecclesiale, la conoscenza del Cristo non è possibile oggi come non lo era all'epoca del Nuovo Testamento. Non ci sono leve di Archimede al di fuori del contesto ecclesiale, anche se ontologicamente nostro Signore conserva sempre la priorità ed il primato sulla Chiesa.

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 2.6. All'interno di questo quadro piú largo, un ritorno verso il Gesú terreno è oggi fruttuoso e necessario nel campo della teologia dogmatica. È necessario mettere in evidenza le ricchezze innumerevoli dell'umanità di Gesú Cristo meglio di quanto non abbiano fatto le cristologie del passato. Gesú Cristo illustra e rischiara nel piú alto grado la misura ultima e l'essenza concreta dell'uomo (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 8, 10). In questa ottica, la fraternità e la solidarietà di Gesú con noi non offuscano in alcun modo la sua divinità. Come si vedrà da quanto segue, il dogma cristologico, preso nella sua autenticità, vieta ogni falsa opposizione tra l'umanità e la divinità di Gesú.

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 2.7. Lo Spirito santo, che ha rivelato Gesú come Cristo, comunica ai fedeli la vita dello stesso Dio trinitario. Egli suscita e vivifica la fede in Gesú come Figlio di Dio esaltato nella gloria e presente nella storia umana. Questa è la fede cattolica. Questa è anche la fede di tutti i cristiani nella misura in cui essi, oltre il Nuovo Testamento, conservano fedelmente i dogmi cristologici dei padri della Chiesa, li predicano, li insegnano e rendono loro testimonianza nella profondità della loro vita.

 

 

 

II. LA FEDE CRISTOLOGICA DEI PRIMI CONCILI

A. La divinità di Cristo dal Nuovo Testamento al concilio di Nicea

 

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 1. I teologi che oggi mettono in dubbio la divinità del Cristo ricorrono spesso a quest'argomentazione: un tale dogma non può provenire dall'autentica rivelazione biblica; la sua origine si trova nell'ellenismo. Ricerche storiche piú profonde dimostrano, al contrario, che la maniera di pensare dei greci è totalmente estranea a questo dogma e lo rifiuta con tutte le sue forze. Alla fede dei cristiani, che proclamavano la divinità di Cristo, l'ellenismo ha opposto il suo dogma sulla trascendenza divina, che esso riteneva inconciliabile con la contingenza e l'esistenza nella storia umana di Gesú di Nazaret. Era particolarmente difficile per i filosofi greci accettare l'idea di una incarnazione divina. I platonici la ritenevano impensabile a motivo della loro dottrina sulla divinità; gli stoici non potevano farla coincidere con il loro insegnamento sul cosmo.

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 2. Per rispondere a queste difficoltà molti teologi cristiani hanno preso a prestito piú o meno apertamente dall'ellenismo l'idea di "deuteros theos" (un Dio secondario o intermediario, oppure un demiurgo). Evidentemente si apriva cosí la porta al pericolo del subordinazionismo. Questo era latente presso alcuni apologeti e presso Origene. Ario ne fece una eresia formale; egli insegnò che il Figlio occupa un posto intermedio tra il Padre e le creature. L'eresia ariana mostra bene come si presenterebbe il dogma della divinità di Cristo se esso fosse dovuto veramente all'ellenismo filosofico e non alla rivelazione divina. Nel concilio di Nicea (325) la Chiesa ha definito che il Figlio è "consustanziale" ("homoousios") al Padre. Essa ha cosí rigettato il compromesso ariano con l'ellenismo, modificando allo stesso tempo profondamente lo schema metafisico greco, soprattutto quello dei platonici e dei neoplatonici. Di fatto, in certo senso, la Chiesa ha demitizzato l'ellenismo e ne ha operato una purificazione cristiana, riconoscendo soltanto due modi di essere: quello dell'essere increato ("non fatto") e quello dell'essere creato; veniva infatti bandita l'idea d'un essere intermedio. Certo, il termine "homoousios" utilizzato dal concilio di Nicea è filosofico e non biblico. Tuttavia appare chiaro che l'intenzione ultima dei padri del concilio è stata soltanto di esprimere il senso autentico delle affermazioni del Nuovo Testamento sul Cristo, in maniera univoca e senza alcuna ambiguità. Definendo in tal modo la divinità del Cristo, la Chiesa si è appoggiata anche sulla esperienza della salvezza e sulla divinizzazione dell'uomo nel Cristo. E d'altra parte, la definizione dogmatica ha determinato ed ha segnato l'esperienza della salvezza. Perciò si può riconoscere che c'è stata una interazione profonda tra l'esperienza vitale ed il processo della chiarificazione teologica.

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 3. Le riflessioni teologiche dei padri della Chiesa non sono rimaste estranee al particolare problema della preesistenza divina nel Cristo. Si pensi in particolare a Ippolito di Roma, a Marcello d'Ancira e a Fotino. I loro sforzi miravano a presentare la preesistenza del Cristo non sul piano della realtà ontologica, ma soltanto a livello della intenzionalità. Il Cristo sarebbe preesistito in tanto in quanto egli era previsto ("kata prognosin"). La Chiesa Cattolica ha considerato queste presentazioni della preesistenza del Cristo come insufficienti; le ha condannate. Essa esprimeva cosí la propria fede in una preesistenza ontologica del Cristo. Si basava sulla generazione eterna del Verbo a partire dal Padre. La Chiesa si riferiva pure a ciò che il Nuovo Testamento afferma molto nettamente sul ruolo attivo del Verbo di Dio nella creazione del mondo. È chiaro che colui che ancora non esiste, oppure colui che esiste soltanto intenzionalmente non può esercitare un'azione reale.

 

 

 

B. Il Cristo, Dio e uomo, nel concilio di Calcedonia

 

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 4. L'insieme della teologia cristologica patristica si occupa dell'identità metafisica e salvifica del Cristo. Essa vuole rispondere a questi interrogativi: "Che cosa è Gesú?", "Chi è Gesú?", "Come egli ci salva?". La si può considerare come una comprensione progressiva ed una formulazione teologica dinamica del mistero della perfetta trascendenza e della immanenza di Dio nel Cristo. Questa ricerca del significato è, in effetti, condizionata dalla convergenza di due dati. Da una parte, la fede dell'Antico Testamento proclama una trascendenza assoluta di Dio. Dall'altra, c'è "l'evento Gesú Cristo": questi è considerato come un intervento personale ed escatologico di Dio stesso nel mondo. Si tratta d'una immanenza superiore, di tutt'altra qualità da quella dell'inabitazione dello Spirito di Dio nei profeti. Non si può transigere sull'affermazione della trascendenza: essa è postulata dall'affermazione della piena ed autentica divinità del Cristo. Essa è assolutamente necessaria per superare le cristologie dette "riduttrici": l'ebionismo, l'adozionismo, l'arianesimo. Allo stesso tempo essa permette di rifiutare la tesi di ispirazione monofisita sulla mescolanza di Dio e dell'uomo in Gesú, la quale finisce con abolire l'immutabilità e l'impassibilità di Dio. D'altro canto, l'idea di immanenza, che è legata alla fede nell'incarnazione del Verbo, permette di affermare l'umanità del Cristo, reale ed autentica, contro il docetismo degli gnostici.

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 5. Durante le controversie tra la scuola d'Antiochia e quella di Alessandria, non si vedeva come conciliare la trascendenza, cioè la distinzione delle nature, con l'immanenza, cioè l'unione ipostatica. Il concilio di Calcedonia (cf. DS 301 ss.) ha voluto mostrare come era possibile una sintesi dei due punti di vista ricorrendo simultaneamente a due espressioni: "senza confusione" (asygkytos), "senza divisione" (adiairetos): qui si può vedere l'equivalente apofatico della formula che afferma "le due nature e l'unica ipostasi" del Cristo. "Senza confusione" si riferisce evidentemente alle due nature ed afferma l'autentica umanità del Cristo. Nello stesso tempo, la formula rende testimonianza alla trascendenza di Dio secondo il desiderio degli antiariani, poiché viene affermato che Dio resta Dio, mentre l'uomo resta uomo. Questa formula esclude qualsiasi stadio intermedio tra la divinità e l'umanità. "Senza divisione" proclama l'unione profondissima ed irreversibile di Dio e dell'uomo nella persona del Verbo. Nello stesso tempo viene affermata la piena immanenza di Dio nel mondo: è essa che fonda la salvezza cristiana e la divinizzazione dell'uomo. Con queste affermazioni i padri conciliari hanno raggiunto un livello nuovo nella percezione della trascendenza. Questa non è soltanto "teologica", ma anche "cristologica". Non si tratta piú soltanto di affermare la trascendenza infinita di Dio rispetto all'uomo. Questa volta si tratta della trascendenza infinita del Cristo, Dio e uomo, rispetto alla universalità degli uomini e della storia. Secondo i padri conciliari, il carattere assoluto della fede cristiana risiede in questo secondo aspetto della trascendenza, che è nello stesso tempo escatologico ed ontologico.

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 6. Che cosa rappresenta dunque il concilio di Calcedonia nella storia della cristologia? La definizione dogmatica di Calcedonia non pretende di dare una risposta esaustiva alla questione: "Come, nel Cristo, possono coesistere Dio e uomo?". Il mistero dell'incarnazione sta infatti esattamente qui. Nessuna definizione ne può esaurire le ricchezze per mezzo di formule affermative. Conviene piuttosto procedere per via negativa e tracciare uno spazio da cui non ci si può allontanare. All'interno di questo spazio di verità, il concilio ha posto "l'uno" e "l'altro" che sembravano escludersi: la trascendenza e l'immanenza, Dio e l'uomo. I due aspetti devono essere affermati senza restrizione, ma escludendo tutto ciò che è giustapposizione o mescolanza. Cosí, nel Cristo, la trascendenza e l'immanenza sono perfettamente unite. Se si considerano le categorie mentali ed i metodi utilizzati, si può pensare ad una certa ellenizzazione della fede del Nuovo Testamento. Ma, d'altra parte, sotto un altro aspetto, la definizione di Calcedonia trascende radicalmente il pensiero greco. Infatti, essa fa coesistere due punti di vista che la filosofia greca aveva sempre ritenuto inconciliabili: la trascendenza divina, che è l'anima stessa del sistema dei platonici, e l'immanenza divina, che è lo spirito della teoria stoica.

 

 

 

C. Il concilio Costantinopolitano III

 

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 7. Per stabilire una dottrina cristologica corretta non basta tener conto soltanto dell'evoluzione delle idee che hanno portato al concilio di Calcedonia. È anche necessario prestare attenzione agli ultimi concili cristologici e specialmente al III concilio di Costantinopoli del 681 (cf. DS 556 ss.). Con la definizione di questo concilio, la Chiesa mostrava di poter chiarire il problema cristologico ancor meglio di quanto non avesse già fatto nel concilio di Calcedonia. Cosí, essa si dimostrava pronta a riesaminare le questioni cristologiche a motivo delle nuove difficoltà che si erano manifestate. La Chiesa voleva approfondire ulteriormente una conoscenza che aveva acquisito grazie a quanto la Scrittura dice su Gesú Cristo.

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Il concilio del Laterano del 649 (cf. DS 502 ss.) aveva condannato il monotelismo e cosí aveva preparato il concilio ecumenico Costantinopolitano III. Infatti, nel 649, la Chiesa grazie in particolare a san Massimo il confessore - aveva messo meglio in evidenza la parte essenziale svolta dalla libertà umana del Cristo nell'opera della nostra salvezza. Essa sottolineava pure, per ciò stesso, la relazione intercorsa tra questa libera volontà umana e l'ipostasi del Verbo. In questo concilio la Chiesa dichiara che la nostra salvezza è stata voluta da una persona divina attraverso una volontà umana. Interpretata cosí alla luce del concilio del Laterano, la definizione del Costantinopolitano III ha le sue radici profonde nella dottrina dei padri e nel concilio di Calcedonia. Ma d'altra parte, essa ci aiuta in modo del tutto speciale a corrispondere alle esigenze del nostro tempo in materia di cristologia. Queste, infatti, tendono a mettere meglio in luce il posto che nella salvezza degli uomini hanno occupato l'umanità di Cristo ed i diversi "misteri" della sua vita terrestre, come il battesimo, le tentazioni, "l'agonia" del Getsemani.

 

 

 

III. IL SENSO ATTUALE DEL DOGMA CRISTOLOGICO

A. Cristologia e antropologia nelle prospettive della cultura moderna

 

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 1. La cristologia, in certo senso, deve assumere ed integrare la visione che l'uomo d'oggi va acquistando di se stesso e della sua storia nella rilettura che la Chiesa offre al credente. In questo modo, si possono correggere i difetti che, in cristologia, provengono da un uso troppo stretto di ciò che si chiama "natura". Ciò che la cultura odierna apporta legittimamente ad una percezione piú chiara della condizione umana, può anche venir riferito al Cristo ricapitolatore.

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 2. Questo confronto della cristologia con la cultura attuale contribuisce ad una conoscenza nuova e piú profonda che l'uomo oggi va acquistando di se stesso. Ma, d'altra parte, egli verifica e sperimenta tale conoscenza, la sottomette al proprio criterio quando lo ritiene necessario, per esempio nei campi della politica e della religione. Ciò vale soprattutto per quest'ultima. Di fatto, o la religione viene negata e rigettata totalmente con l'ateismo; oppure essa è interpretata come un mezzo per arrivare alle profondità ultime dell'universalità delle cose, escludendo esplicitamente un Dio trascendente e personale. Perciò, la religione rischia di apparire come una pura "alienazione" dell'umanità, mentre il Cristo perde la sua identità e la sua unicità. In ambedue i casi, si arriva logicamente a questi risultati: la dignità della condizione umana svanisce; il Cristo perde il suo primato e la sua grandezza. Il rimedio ad una tale situazione non può venire che da un rinnovamento dell'antropologia alla luce del mistero del Cristo.

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 3. La dottrina paolina dei due Adamo (cf. 1 Cor 15,21 ss.; Rm 5,12-19) sarà il principio cristologico a partire dal quale verranno condotti e illuminati, sia il confronto con la cultura umana, sia il criterio di giudizio sulle ricerche attuali nel campo dell'antropologia. Grazie a questo parallelismo, il Cristo, che è il secondo e ultimo Adamo, non può essere compreso senza tener conto del primo Adamo, cioè della nostra condizione umana. Il primo Adamo, per parte sua, è percepito nella sua vera e piena umanità soltanto se si apre al Cristo, che ci salva e ci divinizza con la sua vita, la sua morte, la sua risurrezione.

 

 

 

B. Il senso autentico delle difficoltà attuali

 

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 4. Molti dei nostri contemporanei provano difficoltà quando si presenta loro il dogma del concilio di Calcedonia. Vocaboli come "natura" e "persona", utilizzati dai padri conciliari, hanno certamente ancora lo stesso senso nel linguaggio corrente, ma le realtà a cui si riferiscono sono designate con dei concetti molto differenti nei diversi vocabolari filosofici. Per molti, l'espressione" natura umana" non significa piú un'essenza comune e immutabile; essa rimanda soltanto a uno schema, a un compendio dei fenomeni che, di fatto, si riscontrano negli uomini nella maggioranza dei casi. Molto spesso, la nozione di persona è definita in termini psicologici; viene trascurato l'aspetto ontologico.

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Oggi, sono molti coloro che formulano difficoltà ancora piú grandi a proposito degli aspetti soteriologici dei dogmi della cristologia. Essi rifiutano qualsiasi idea d'una salvezza, che implicherebbe una eteronomia circa il progetto di vita. Criticano ciò che essi credono essere il carattere puramente individuale della salvezza cristiana. La promessa d'una beatitudine futura appare loro una utopia che distoglie gli uomini dai propri veri doveri, che, ai loro occhi, sono unicamente terrestri. Si chiedono da che cosa gli uomini hanno dovuto essere salvati; a chi sarebbe stato necessario pagare il prezzo della salvezza. Essi s'indignano all'idea che Dio abbia potuto esigere il sangue d'un innocente; in questa concezione sospettano la presenza di un aspetto di sadismo. Argomentano contro ciò che è stata chiamata la "soddisfazione vicaria" (cioè per mezzo di un mediatore) adducendo che essa è moralmente impossibile. Ogni coscienza è autonoma, affermano, perciò essa non può essere liberata da un altro. Infine, certi nostri contemporanei si lamentano di non trovare nella vita della Chiesa e dei fedeli l'espressione vissuta del mistero di liberazione che viene proclamato.

 

 

 

C. Significato permanente della fede cristologica

 

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 5. Nonostante tutte queste difficoltà, l'insegnamento cristologico della Chiesa e, in modo del tutto speciale, il dogma definito nel concilio di Calcedonia, conservano un valore definitivo. Certamente è lecito, forse è opportuno, cercare di approfondirlo, ma non può essere permesso di rifiutarlo. Sul piano storico, è falsa l'affermazione secondo cui i padri conciliari di Calcedonia hanno piegato il dogma cristiano nel senso dei concetti ellenistici. Le difficoltà attuali, che abbiamo ricordato, mostrano, d'altra parte, che alcuni dei nostri contemporanei sono profondamente ignoranti circa il senso autentico del dogma cristologico. Non hanno neppure sempre una visione corretta sulla verità del Dio creatore del mondo visibile e invisibile.

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Per giungere alla fede nel Cristo e nella salvezza che egli porta, è necessario ammettere che il Dio vivente è amore e che per amore egli ha creato tutte le cose. Questo Dio vivente - Padre, Verbo, Spirito santo - ha creato l'uomo a sua immagine sin dall'origine del tempo. Gli ha dato la dignità di persona, dotata di ragione, ponendolo al centro del cosmo. Quando giunse la pienezza dei tempi, il Dio trinitario ha completato la sua opera nel Cristo Gesú. Lo ha costituito mediatore della pace e dell'alleanza che egli offriva al mondo intero per tutti gli uomini e per tutti i secoli. Gesú Cristo è l'uomo perfetto. Infatti, egli vive totalmente di Dio Padre e per Dio Padre. Nello stesso tempo egli vive totalmente con gli uomini e per la loro salvezza, cioè per la loro pienezza. Egli è dunque l'esempio e il sacramento dell'umanità nuova.

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La vita del Cristo ci dona una comprensione nuova di Dio e anche dell'uomo. Come "il Dio dei cristiani" è nuovo e specifico, cosí "l'uomo dei cristiani" è nuovo e originale di fronte a tutte le altre concezioni dell'uomo. La condiscendenza di Dio, e, se è lecito il termine, la sua "umiltà", lo rende solidale con gli uomini stessi attraverso l'incarnazione, opera d'amore. Cosí egli rende possibile un uomo nuovo, che trova la sua gloria nel servizio e non nel dominio.

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L'esistenza del Cristo è per gli uomini (pro-existentia); per loro prende la forma di servo (cf. Fil 2,7); per loro muore e risuscita dai morti alla vera vita. Questa vita del Cristo orientata verso gli altri ci fa capire che la vera autonomia dell'uomo non consiste né nella superiorità né nell'opposizione. Con lo spirito di superiorità (supra-existentia) l'uomo cerca di mettersi avanti e di dominare gli altri. Nella opposizione (contra-existentia) egli tratta gli uomini con ingiustizia e cerca di manipolarli. In un primo momento, la concezione della vita umana dedotta da quella del Cristo non può non lasciare interdetti. Per questo essa richiede una conversione di tutto l'uomo non soltanto agli inizi ma in tutta la sua durata e, con la perseveranza, sino alla fine. Tale conversione può nascere soltanto dalla libertà che è stata rimodellata dall'amore.

 

 

 

D. Bisogno di realizzare la dottrina e la predicazione cristologiche

 

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 6. Nel corso della storia come nella varietà delle culture gli insegnamenti dei concili di Calcedonia e Costantinopolitano III devono essere sempre attualizzati nella coscienza e nella predicazione della Chiesa sotto la guida dello Spirito santo. Questa necessaria attualizzazione si impone tanto ai teologi quanto alla sollecitudine apostolica dei pastori e dei fedeli.

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 6.1. Il compito dei teologi è anzitutto quello di costruire una sintesi che sottolinei tutti gli aspetti e tutti i valori del mistero del Cristo. Essi dovranno assumervi i risultati autentici dell'esegesi biblica e delle ricerche sulla storia della salvezza. Terranno anche conto del modo in cui le religioni dei diversi popoli mostrano l'inquietudine della salvezza e in generale gli uomini si sforzano di ottenere un'autentica liberazione. Saranno pure attenti all'insegnamento dei santi e dei dottori. Una simile sintesi non può che arricchire la formula di Calcedonia con prospettive piú soteriologiche, dando tutto il suo significato alla formula: il Cristo è morto per noi. I teologi dedicheranno anche tutta la loro attenzione a problemi di perenne difficoltà. Citiamo quelli della coscienza e della scienza del Cristo, del modo di concepire il valore assoluto e universale della redenzione compiuta dal Cristo per tutti e una volta per sempre.

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 6.2. Veniamo all'insieme della Chiesa, che è il popolo messianico di Dio. A questa Chiesa incombe il compito di rendere partecipi del mistero del Cristo tutti gli uomini e tutti i popoli. Questo mistero del Cristo è certamente lo stesso per tutti; tuttavia esso deve essere presentato in modo tale che ognuno possa assimilarlo e celebrarlo nella propria vita e nella propria cultura. Questo è tanto piú urgente in quanto la Chiesa d'oggi diviene sempre piú cosciente dell'originalità e del valore delle diverse culture. Infatti, in esse i popoli esprimono il proprio senso della vita con simboli, gesti, nozioni, linguaggi specifici. Ciò comporta determinate conseguenze. Il mistero è stato rivelato agli uomini santi che Dio ha scelto, esso è stato creduto, professato, celebrato dai cristiani. Si tratta di un fatto non ripetibile nella storia. Ma questo mistero si apre in parte a delle espressioni nuove, da inventare. Cosí, in ogni popolo e in ogni epoca, dei discepoli offriranno la loro fede al Cristo Signore a lui incorporati. Il corpo mistico del Cristo è formato da una grande diversità di membra; egli dona loro la stessa pace nell'unità senza trascurare con ciò il valore delle loro caratteristiche particolari. Lo Spirito "mantiene tutto nell'unità e conosce ogni parola". Da questo Spirito tutti i popoli e tutti gli uomini hanno ricevuto le proprie ricchezze e i propri carismi. Con essi viene arricchita la famiglia universale di Dio, poiché con una sola voce e in un solo cuore, ma anche nelle loro diverse lingue, i figli di Dio invocano il loro Padre celeste per mezzo del Cristo Gesú.

 

 

 

IV. CRISTOLOGIA E SOTERIOLOGIA

A. "Per la nostra salvezza"

 

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 1. Dio Padre "non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha donato per tutti noi" (Rm 8,32). Nostro Signore è divenuto uomo "per noi e per la nostra salvezza". Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio, l'unico, "affinché ogni uomo che crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). Perciò, la persona di Gesú Cristo non può essere separata dall'opera redentrice; i benefici della salvezza non si possono separare dalla divinità di Gesú Cristo. Soltanto il Figlio di Dio può realizzare un'autentica redenzione dal peccato del mondo, dalla morte eterna e dalla schiavitú della legge, secondo la volontà del Padre, con la cooperazione dello Spirito santo. Alcune speculazioni teologiche non hanno conservato sufficientemente questo legame intimo tra la cristologia e la soteriologia. Oggi è sempre necessario cercare come esprimere meglio la reciprocità mutua che lega questi due aspetti dell'avvenimento della salvezza, che in sé è unico.

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In questo studio poi intendiamo considerare soltanto due problemi. Una prima ricerca è di ordine storico; essa si pone al livello del periodo dell'esistenza terrena di Gesú. Il suo centro sta nel problema: "Che cosa ha pensato Gesú della sua morte?". Proprio in forza del valore che vogliamo dare alla risposta, il problema dev'essere considerato al livello della ricerca storica e di tutte le sue esigenze critiche (cf. n. 2). Questa dev'essere evidentemente completata con la visione pasquale della redenzione (cf. n. 3). Ancora una volta, bisogna ripeterlo, la CTI non intende né esporre né spiegare una cristologia completa. Essa lascia da parte in particolare il problema della coscienza umana di Gesú Cristo. Cerca soltanto di esporre il fondamento del mistero del Cristo in base alla vita terrena di Gesú come alla sua risurrezione. Una seconda ricerca si situerà ad un altro livello (n. 4). Essa mostrerà quanto la molteplicità della terminologia neotestamentaria dell'opera redentrice sia ricca di insegnamenti sulla soteriologia. Si cercherà di sistematizzarli, di farne cogliere tutto il senso teologico. Evidentemente questa ricerca sarà sottoposta al confronto con gli stessi testi della sacra Scrittura.

 

 

 

B. Durante la sua esistenza terrena Gesú è orientato verso alla salvezza degli uomini

 

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 2.1. Gesú ha avuto perfettamente coscienza, nelle sue parole e nei suoi gesti, nella sua esistenza e nella sua persona, che il regno e la signoria di Dio erano insieme una realtà presente, un'attesa e un approssimarsi (cf. Lc 10,23 ss.; 11,20). Cosí pure egli si è presentato come il Salvatore escatologico e ha spiegato la sua missione in maniera diretta, anche se implicita. Egli portava la salvezza escatologica poiché veniva dopo l'ultimo dei profeti, Giovanni Battista. Gesú rendeva presente Dio e il suo regno. Portava al suo compimento il tempo della promessa (Lc 16,16; cf. Mc 1,15a).

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 2.2. Se la passione fosse stata per Gesú un fallimento, un naufragio, se egli avesse disperato di Dio e della propria missione, la sua morte non potrebbe essere compresa come l'atto definitivo dell'economia della salvezza, né allora, né ora. Una morte subita in forma puramente passiva non potrebbe essere un avvenimento di salvezza" cristologica". Questa morte doveva essere la conseguenza voluta dell'obbedienza e dell'amore di Gesú che si immolava. Essa doveva essere assunta in un atto complesso di attività e di passività (cf. Gal 1,4; 2,20). L'ideale morale di vita e, in generale, la maniera di agire di Gesú mostrano che egli era orientato verso la sua morte ed era pronto a subirla. Cosí, metteva in pratica le esigenze che egli stesso aveva proposto ai suoi discepoli (cf. Lc 14,27; Mc 8,34.35; Mt 10,28.29.31).

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 2.3. Morendo, Gesú esprime la sua volontà di servire e di donare la propria vita (cf. Mc 10,45): questo è l'effetto e la continuazione dell'atteggiamento di tutta la sua vita (Lc 22,27). Entrambi questi aspetti emanavano da un atteggiamento fondamentale, tendente a vivere e a morire per Dio e per gli uomini. È ciò che alcuni chiamano una esistenza-per-gli-altri, una pro-esistenza. A motivo di questa disposizione Gesú era ordinato, in forza della sua stessa "essenza", a essere il Salvatore escatologico che procura la "nostra" salvezza (cf. 1 Cor 15,3; Lc 22,19.20b), la salvezza di "Israele" (Gv 11,30), come quella dei gentili (Gv 11,51 ss.). Questa salvezza è per la moltitudine (Mc 14,24; 10,45), per tutti gli uomini (2 Cor 5,14 ss.; 1 Tim 2,6), per il "mondo" (Gv 6,51c).

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 2.4. Come si deve comprendere questa disposizione fondamentale di esistenza per gli altri, cioè di offrirsi e di donarsi totalmente (cf. 3.5) fino a subire la morte, cosí come appare in Gesú nel corso della sua esistenza terrena? Essa è essenzialmente una lucida apertura di conformità alla volontà di Dio. Lo sviluppo degli eventi vissuti non ha potuto evidentemente non rendere ancor piú vivo e piú concreto questo orientamento. Perciò è nella speranza e nella confidenza che Gesú, in quanto mediatore escatologico della salvezza, come inviato del regno di Dio, attendeva il dominio divino che si stabilisce in modo definitivo (cf. Mc 14,25 e par.).

Anche se interamente aperto alla volontà del Padre, Gesú ha potuto percepire il presentarsi di certi problemi. Il Padre avrebbe dato un successo pieno e intero alla predicazione del regno? Il popolo d'Israele era incapace di aderire alla salvezza escatologica? Avrebbe dovuto ricevere il battesimo della morte (cf. Mc 10,38 ss.; Lc 12,50) e bere il calice della passione (cf. Mc 14,36)? Il Padre avrebbe voluto stabilire il suo regno se Gesú avesse conosciuto l'insuccesso, la morte e, ciò che piú conta, la morte crudele del martirio? Il Padre avrebbe reso finalmente efficace per la salvezza ciò che Gesú avrebbe sofferto "morendo per gli altri"?

Gesú attingeva delle risposte positive nella sua consapevolezza di essere il mediatore escatologico della salvezza, presenza del regno di Dio. Perciò poteva attendere in piena fiducia la soluzione dei problemi che si presentavano. Questa fiducia di Gesú può essere affermata e compresa partendo da ciò che egli ha detto e fatto durante l'ultima cena (Lc 22,19 ss. e par.). Egli è pronto ad andare verso la morte e, tuttavia, attende e annunzia la sua risurrezione e la sua esaltazione (Mc 14,25), egli riafferma la promessa e la presenza della salvezza escatologica.

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 2.5. Come Gesú ha compreso ed espresso il suo atteggiamento fondamentale di "esistenza per gli altri", la sua disposizione a servire nella dedizione che guidava la sua azione e anche la sua morte? Non era necessario che ciò avvenisse secondo le categorie mentali e gli schemi che gli erano forniti dalla tradizione del culto sacrificale di Israele. In tal caso, ci sarebbe stata come una interiorizzazione personalizzante della "morte vicaria ed espiatrice del martire per gli altri" oppure, in modo specifico, la passione del "Servo di Jahvè" (cf. Is 53). In effetti, Gesú ha potuto comprendere e vivere (cf. piú avanti 3.4) questi concetti dando loro un significato piú profondo e trasformandoli. Nella sua anima ci sarebbe quindi stata un'espressione della "disposizione a esistere per gli altri". In ogni caso, l'orientamento di Gesú verso la salvezza degli uomini non può essere in alcun modo compreso nell'equivoco o nell'ambiguità. Esso non ha senso se non include una conoscenza e una coscienza personali, una disposizione risoluta nel soggetto che si dona (cf. piú avanti n. 3.3).

 

 

 

C. Il Redentore escatologico

 

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 3.1. Dio ha risuscitato ed esaltato Gesú. In tal modo, egli ha confermato che questi è il Salvatore dei credenti una volta per tutte e in modo definitivo. Cosí, egli lo ha confermato come "Signore e Cristo" (At 2,36), come il Figlio dell'uomo che viene in qualità di giudice del mondo (cf. Mc 14,62). Egli ha mostrato Gesú come "il Figlio di Dio costituito in tutta la sua forza" (Rm 1, 4). I credenti hanno trovato una luce nuova nella risurrezione e nell'esaltazione di Gesú: esse mostravano che la morte in croce realizzava la salvezza. Prima della pasqua, tali verità non potevano essere ancora espresse in questo modo in parole perfettamente chiare.

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 3.2. Tra quanto è stato detto, due elementi meritano una considerazione del tutto speciale. a) Gesú ha avuto coscienza che egli era il Salvatore definitivo degli ultimi tempi (cf. 2.1), che annunziava e rendeva presente il regno di Dio (cf. 2.2 e 2.3). b) La risurrezione e l'esaltazione di Gesú (cf. 3.1) hanno manifestato che la sua morte è un elemento costitutivo della salvezza portata dal regno e dal potere di Dio (cf. Lc 22,20 e par.). In 1 Cor 11,24 la morte di Gesú viene presentata come un elemento costitutivo della nuova alleanza che sta per realizzarsi in modo definitivo ed escatologico. Questi due elementi permettono di concludere: la morte di Gesú è efficace per la salvezza.

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 3.3. Se si parla in senso stretto e a livello semplicemente nozionale, non è facile qualificare come "sostituzione espiatoria" o come "espiazione vicaria" quest'azione divina che porta irrevocabilmente la salvezza con la vita e con la morte del Salvatore escatologico, come anche con la risurrezione che lo costituisce Salvatore in maniera definitiva ed irreversibile. Ma si possono considerare le cose in tale prospettiva, se la morte e le azioni di Gesú sono collegate a una disposizione esistenziale e fondamentale che include una certa conoscenza personale (cf. sopra 2.5) e una volontà di portare per procura la pena (cf. Gal. 3,13) e il peccato del genere umano (cf. Gv 1,29; 2 Cor 5,21).

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 3.4. Se Gesú ha potuto realizzare per dono gratuito gli effetti di tale espiazione vicaria, è solo perché egli ha accettato di essere "dato dal Padre" e perché egli stesso si è donato al Padre che lo accettava nella risurrezione. Si trattava di un ministero di "esistenza-per-gli-altri" nella morte del Figlio preesistente (Gal 1,4; 2,20).

Perciò, quando si considera in questo modo il mistero della salvezza e quando si parla di "espiazione vicaria", bisogna tener presente una duplice analogia. L'"oblazione" volontaria del martire, specialmente quella del Servo di Jahvè (Is 53), differisce totalmente dalla immolazione degli animali, semplici "immagini e ombre" (cf. Eb 10,1). Bisogna mettere ancor piú l'accento sull'"oblazione" del Figlio eterno e insistere ancor piú chiaramente sull'analogia delle situazioni. Infatti, il Figlio eterno, "entrando nel mondo" viene per fare "la volontà di Dio" (Eb 10,5.7b). È "con lo Spirito eterno che egli ha offerto se stesso a Dio come una vittima senza macchia" (Eb 9,14). (Questa oblazione viene chiamata, in modo adeguato, sacrificio, per esempio dal concilio di Trento (DS 1753), ma allora bisogna restituire al termine il suo significato originario).

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 3.5. La morte di Gesú è stata una "espiazione vicaria" definitivamente efficace, poiché il gesto del Padre che consegna e dona il Figlio (Rm 4,25; 8,32; cf. Gv 3,16; 1 Gv 4,9) è ripreso esemplarmente e realmente nel Cristo che dona se stesso, consegnando e dando se stesso con perfetta carità (cf. anche Ef 5,2.25; 1 Tim 2,6; Tt 2,14). Ciò che tradizionalmente veniva chiamato "espiazione vicaria" deve essere compreso, trasformato ed esaltato come "avvenimento trinitario".

 

 

 

D. Unità e pluralità della riflessione soteriologica nella Chiesa

 

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 4. L'origine e il nocciolo di tutta la soteriologia si trovano già nella Chiesa primitiva, prima di san Paolo. Questa soteriologia si basa sulle parole e sulla coscienza di Gesú stesso. Egli sa che muore per noi, per i nostri peccati; in tale prospettiva egli vive tutta la sua esistenza terrena, soffre e risuscita. Cinque elementi principali possono essere enumerati:

1. Il Cristo dona se stesso;

2. Egli prende il nostro posto nel mistero della salvezza;

3. Ci libera "dalla collera che viene" e da ogni potenza cattiva;

4. Gesú compie in questo la volontà salvifica del Padre;

5. Egli vuole introdurci cosí nella vita trinitaria attraverso la partecipazione alla grazia dello Spirito santo.

È compito della teologia posteriore mostrare come si armonizzano questi aspetti. Da parte sua, san Tommaso sottolinea cinque modalità dell'azione dell'opera della redenzione: merito, soddisfazione, redenzione, sacrificio, causa efficiente. Se ne possono certamente aggiungere altre. Negli scritti del Nuovo Testamento, come anche durante le diverse epoche della storia della teologia, alcuni aspetti della soteriologia saranno sottolineati in modo piú netto di altri. Tuttavia tutti devono essere considerati come approcci al mistero pasquale e, in quanto possibile, ricondotti a delle visioni sintetiche.

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 5. All'epoca dei padri, in oriente come in occidente, l'aspetto predominante della soteriologia è quello dello "scambio". Con l'incarnazione e con la passione c'è uno scambio tra la natura divina e la natura umana in generale. Piú precisamente, la condizione di peccato viene scambiata con quella della filiazione divina. Tuttavia i padri hanno sfumato e limitato l'idea di scambio tenendo conto della dignità eminente del Cristo. Il Cristo ha assunto le caratteristiche (pathè) della natura peccatrice in modo soltanto esterno (schetikos). Non è divenuto egli stesso "peccato" (2 Cor 5,21) se non nel senso che è diventato una "oblazione sacrificale per il peccato".

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 6. Sant'Anselmo ha proposto un'altra teoria, che ha prevalso fino a un'epoca molto recente. Il Redentore non si sostituisce al peccatore in senso stretto, ma egli esercita un'azione unica, la quale, agli occhi di Dio, compensa il debito delle colpe umane. Egli accetta la morte, alla quale non era soggetto; il suo gesto ha un valore infinito in forza dell'unione ipostatica. Quest'azione del Figlio realizza il disegno salvifico della santissima Trinità tutta intera. In tale sistema della soddisfazione, la formula "morto per noi" significa soprattutto che il Cristo accetta la morte "in nostro favore" e non "al nostro posto". San Tommaso ha conservato nella sostanza tale presentazione del mistero della salvezza e vi ha aggiunto elementi ripresi dalla teologia dei padri. Egli insiste sul fatto che il Cristo è capo della Chiesa e che la grazia che egli possiede come capo viene trasmessa a tutte le membra della Chiesa in forza della congiunzione organica del corpo mistico.

 

 Cristo assume veramente la condizione dei peccatori

Crocifissione - Antonio Gaudì

 

 

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 7. Alcuni autori recenti cercano di ricuperare l'idea di "scambio", sulla quale la teologia di sant'Anselmo non aveva insistito. Essi hanno aperto due piste di ricerca.

a) Gli uni mettono l'accento sul concetto di solidarietà. Del resto, questo può essere compreso in molti modi. In una prospettiva piú stretta, la solidarietà insiste sul modo in cui il Cristo sofferente assume su di sé, in modo a lui proprio, l'esperienza della lontananza da Dio vissuta dai peccatori. In una visione meno stretta, questi teologi parleranno soltanto della sola volontà del Figlio che vuole manifestare il perdono incondizionato del Padre, sia nella sua vita, sia nella sua morte.

b) Col concetto di sostituzione, si insiste sul fatto che il Cristo assume veramente la condizione dei peccatori. Non si tratta di pensare che Dio abbia punito o condannato il Cristo al nostro posto. Questa è una teoria erroneamente avanzata da parecchi autori soprattutto nella teologia della riforma. Altri teologi evitano queste prospettive. Essi sottolineano unicamente che il Cristo ha subito "la maledizione della legge" (cf. Gal 3,13), cioè l'avversione che Dio sente per il peccato. Il Cristo ha preso su di sé il peso dei peccati dell'umanità che erano l'oggetto della collera di Dio. Anche questo costituisce un aspetto dell'amore e della "gelosia" che Dio ha verso il popolo col quale egli ha concluso la sua alleanza, quando esso si allontana da lui.

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 8. La spiegazione della redenzione attraverso la sostituzione può essere giustificata sul piano esegetico e dogmatico. Contrariamente a ciò che alcuni hanno affermato, essa non contiene alcuna contraddizione interna. La libertà degli esseri creati non è totalmente autonoma. Essa ha sempre bisogno d'un aiuto divino. Una volta che si è allontanata da Dio, essa non può tornare a lui con le proprie forze. D'altra parte, l'uomo è stato creato per essere integrato nel Cristo e quindi nella vita della santa Trinità. Qualunque sia l'allontanamento dell'uomo peccatore nei riguardi di Dio, esso è sempre meno profondo del distanziarsi del Figlio rispetto al Padre nel suo svuotamento chenotico (Fil 2,7) e della miseria dell'"abbandono" (Mt 27,46). Questo è l'aspetto proprio dell'economia della redenzione nella distinzione delle persone della santa Trinità, che d'altro canto sono perfettamente unite nell'identità d'una stessa natura e d'un amore infinito.

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 9. Si devono considerare come aspetti inseparabili dell'opera della salvezza, sia l'espiazione oggettiva del peccato, sia la partecipazione per grazia alla vita divina. Quest'ultima, certamente, dev'essere accettata dall'uomo nella sua libertà autenticamente ricuperata. Tutta la tradizione della Chiesa, fondata sulla sacra Scrittura, insegna che, affinché l'opera della salvezza sia adeguatamente spiegata, bisogna collegarla a due misteri. Da una parte, Gesú è veramente Dio. E, d'altra parte, egli è pienamente solidale con noi, poiché ha assunto la natura umana in tutta la sua integrità.

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 10. Nell'insieme della redenzione non si può omettere "la cooperazione speciale" della vergine Maria al sacrificio di Cristo. Il suo assenso è rimasto permanente a partire dal suo primo sí all'incarnazione. Tale assenso rappresenta la perfezione piú alta della fede nell'alleanza eterna, come mette bene in luce la Lumen gentium, n. 61. Non si dovrà neppure dimenticare l'intima connessione che lega la croce e l'eucaristia. Esse sono due aspetti complementari del medesimo evento di salvezza. Da un lato, il Cristo assume il peccato umano nella sua carne. Dall'altro, egli dona la sua carne agli uomini. La celebrazione eucaristica lega necessariamente il sacrificio di Cristo e l'oblazione che la Chiesa fa di se stessa. La Chiesa è cosí incorporata alla oblazione eterna che il Figlio fa di sé al Padre e che è portata alla sua perfezione nello Spirito santo.

 

 

 

V. DIMENSIONI CRISTOLOGICHE DA RECUPERARE

 

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 1. La cristologia biblica e classica contiene prospettive della piú grande importanza, le quali oggi, per ragioni diverse, non ricevono l'attenzione che meriterebbero. Noi vorremmo sottolineare qui l'importanza di due di questi aspetti, quasi a modo di corollario. Il primo concerne la dimensione pneumatologica della cristologia; il secondo la sua dimensione cosmica. Ancora, lo faremo in forma limitata: un'esposizione sistematica non potrebbe trovare il suo posto nel quadro d'un rapporto di conclusioni qual è questo. Per quanto riguarda la pneumatologia, ci limiteremo a uno studio biblico: esso apre evidentemente la strada a ricerche ulteriori e fa già vedere le grandi ricchezze del tema. L'influsso cosmico del Cristo indica la dimensione ultima della cristologia. Non si tratta soltanto dell'azione di Cristo su tutte le creature "nei cieli, sulla terra, sotto terra" (cf. Fil 2,10), ma della signoria che egli esercita sull'insieme del cosmo e sulla storia universale.

 

 

 

A. L'unzione del Cristo per mezzo dello Spirito Santo

 

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 2. Lo Spirito santo ha cooperato incessantemente all'opera redentrice del Cristo. "Egli ha coperto con la sua ombra la vergine Maria; per questo ciò che è nato da lei è santo ed è chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,35). Gesú battezzato nel Giordano (Lc 3,22) ha ricevuto "l'unzione" per compiere la sua missione messianica (At 10,38; Lc 4,18), mentre una voce venuta dal cielo lo dichiarava il Figlio nel quale il Padre si compiaceva (Mc 1,10 e par.). Da questo momento il Cristo è stato in modo speciale "condotto dallo Spirito santo" (Lc 4,1) per cominciare e per portare a compimento il suo ministero di" Servo": egli ha cacciato i demoni col dito di Dio (Lc 11,20), ha annunziato che il "regno di Dio era vicino" (Mc 1,15) e doveva essere portato a termine dallo Spirito santo. Cristo, seguendo con animo filiale la via di Servo, obbedí al Padre fino alla morte, che abbracciò liberamente "con l'aiuto dello Spirito santo" (Messale romano; cf. Eb 2,14). Infine, Dio Padre ha risuscitato Gesú e ha riempito la sua umanità col suo Spirito. Cosí quest'umanità ha rivestito la forma d'umanità del Figlio di Dio glorioso (cf. Rm 1,3-4; At 13,32-33) dopo aver conosciuto la forma del servo. Essa ha ricevuto anche il potere di donare lo Spirito santo a tutti gli uomini (At 2,22 ss.). Cosí l'Adamo nuovo ed escatologico può essere chiamato "un essere spirituale che dona la vita" (1 Cor 15,45; cf. 2 Cor 3,17). Cosí, in modo pienamente reale, il corpo mistico del Cristo è animato per sempre dallo Spirito del Cristo.

 

 

 

B. Il primato del Cristo sul cosmo

 

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 3.1. Negli scritti paolini, il Cristo risuscitato viene spesso chiamato colui "sotto i piedi del quale (il Padre) ha posto tutte le cose". Tale appellativo, applicato diversamente, si trova in questi termini in 1 Cor 15,27; Ef 1,22; Eb 2,13. In termini equivalenti lo si trova in Ef 3, 10; Col 1,18; Fil 3,21.

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 3.2. Qualunque sia stata l'origine di questa espressione (Gn 1,26 attraverso Sal 8,7), essa si riferisce in primo luogo all'umanità glorificata del Cristo e non alla sua sola divinità. In effetti, è al Figlio incarnato che conviene di "avere tutto sotto i suoi piedi", poiché soltanto lui ha distrutto il potere che possiedono il peccato e la morte, di ridurre gli uomini in schiavitú. Dominando con la sua risurrezione la corruttibilità inerente al primo Adamo, il Cristo, divenuto nella sua carne "corpo spirituale" per eccellenza, apre il regno dell'incorruttibilità. Perciò egli è "il secondo e l'ultimo Adamo" (1 Cor 15,46-49) al quale "tutto è stato sottomesso" (1 Cor 15,27) e che può assoggettare a sé tutte le cose (Fil 3,21).

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 3.3. Questa abolizione del potere della morte da parte del Cristo implica, non soltanto per gli uomini ma anche per il mondo, un unico e medesimo rinnovamento, il quale, alla fine dei tempi, produrrà manifestamente i suoi effetti. Matteo lo chiama una "nuova creazione" (19,28); Paolo scorge in esso l'attesa di tutto il creato (Rm 8,19); e l'Apocalisse (Ap 21,1), utilizzando il vocabolario dell'Antico Testamento (Is 65,17; 66,22), non esita a parlare di "cieli nuovi" e di "terra nuova".

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 3.4. Un'antropologia troppo ristretta, che disdegna o per lo meno trascura nell'uomo quest'aspetto essenziale che è il suo rapporto al mondo, può far sí che non si apprezzi adeguatamente il valore dell'affermazione del Nuovo Testamento sul dominio di Cristo sul cosmo. Eppure, affermazioni del genere posseggono per il nostro tempo un'importanza considerevole. Infatti sembra che mai, in tempi precedenti, a motivo del progresso delle scienze della natura, l'importanza del mondo e il suo impatto sull'esistenza umana e i problemi che questo mondo pone a tale esistenza siano stati percepiti piú chiaramente.

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 3.5. L'obiezione principale che si oppone a questo aspetto cosmico del primato del Cristo nella sua risurrezione e nella sua parusia dipende molto spesso da una certa concezione della cristologia. Se infatti non è mai permesso di confondere l'umanità del Cristo con la sua divinità, altrettanto non è lecito separare l'una dall'altra. Quando l'umanità del Cristo viene assorbita nella sua divinità o quando la si isola, in entrambi i casi il riconoscimento di questo primato cosmico che il Figlio di Dio riceve nella sua umanità glorificata viene ugualmente compromesso. In ogni caso si attribuisce soltanto alla divinità del Verbo ciò che evidentemente - i testi del Nuovo Testamento citati precedentemente ne fanno fede - appartiene ormai alla sua umanità, in quanto essa è l'umanità di Gesú Cristo, reso Signore, e che in quanto tale riceve "il nome al di sopra di ogni nome" (Fil 2,9).

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 3.6. D'altronde, poiché questo primato cosmico del Cristo spetta a colui che è "il primogenito di una moltitudine di fratelli" (Rm 8,29), questo stesso primato deve anche divenire il nostro primato in lui. In verità, sussiste già fin d'ora qualcosa di questa "identità" spirituale che il Cristo ci dona (cf. 1 Cor 3,21-23). Benché essa non si manifesterà pienamente che nella parusia, tuttavia già a partire da questa vita presente essa ci dona realmente il potere di essere liberi di fronte a tutte le potenze di questo mondo (Col 2,15), cosicché noi possiamo amare il Cristo attraverso le situazioni mutevoli del mondo, compresa la nostra stessa morte (Rm 8,38-39; 1 Gv 3,2; Rm 14,8-9).

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 3.7. Questo primato cosmico del Cristo non deve tuttavia nascondere al nostro sguardo un primato d'altro genere che egli esercita e che deve esercitare nella storia e nella società umana soprattutto per mezzo della giustizia, i cui segni sembrano praticamente indispensabili per predicare il regno di Dio. Ma tale dominio del Cristo stesso sulla storia degli uomini non può conseguire il suo vertice se non all'interno del dominio che egli esercita sul mondo cosmico in quanto tale. Infatti, la storia resta praticamente soggetta al giogo del mondo e della morte, finché il primato sorprendente del Cristo, prima della sua ultima venuta, non può ancora esercitarsi senza limiti a beneficio della totalità del genere umano.

 

 

 

 

 

EV 7

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.