Perché esistono persone che commettono azioni orribili senza poi provare alcun rimorso?
La legge morale - è già stato evidenziato in una precedente domanda - non è una sovrapposizione alla struttura antropologica (la struttura intrinseca dell'uomo), ma risponde alle esigenze più profonde dell'uomo e della stessa ragione. Ecco perché anche un non credente, un ateo, è sensibile alla voce della coscienza che risponde alla legge morale naturale. Potrà non esserci una corrispondenza piena, potranno esserci anche delle contraddizioni, ma mai un'insensibilità radicale.
Questo discorso però è tanto più vero quanto più l'uomo è libero da condizionamenti ideologici o di altro genere che ne oscurino la coscienza: una coscienza naturalmente sensibile alla verità morale ma che può essere gravemente compromessa. Una coscienza infatti può essere erronea ma - a seguito della malizia deliberata - può degenerare anche in coscienza falsa. Una coscienza falsa è tale perché in essa l'ordine della verità è più o meno gravemente pervertito. A questo stato di cose dunque non ci si arriva per un "incidente di percorso" ma per una serie di scelte libere e perseguite con ostinazione. Una coscienza così diventa capace di chiamare bene il male... e male il bene (Is 5,20). Ecco perché purtroppo è possibile compiere le azioni più efferate senza provare neppure il minimo rimorso.
Contro queste persone la Scrittura pronuncia una condanna durissima:
«Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro. Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti. Guai a coloro che sono gagliardi nel bere vino, valorosi nel mescere bevande inebrianti, a coloro che assolvono per regali un colpevole e privano del suo diritto l'innocente. Perciò, come una lingua di fuoco divora la stoppia e una fiamma consuma la paglia, così le loro radici diventeranno un marciume e la loro fioritura volerà via come polvere, perché hanno rigettato la legge del Signore degli eserciti, hanno disprezzato la parola del Santo di Israele» (Is 5,20-24).
Se il libro del profeta Isaia ne pronuncia la condanna, il libro della Sapienza mette in evidenza l'esito della loro vita; una vita dove purtroppo il pentimento umile e sincero rischia di non trovare più spazio alcuno:
«"Abbiamo dunque deviato dal cammino della verità; la luce della giustizia non è brillata per noi, né mai per noi si è alzato il sole. Ci siamo saziati nelle vie del male e della perdizione; abbiamo percorso deserti impraticabili, ma non abbiamo conosciuto la via del Signore. Che cosa ci ha giovato la nostra superbia? Che cosa ci ha portato la ricchezza con la spavalderia? Tutto questo è passato come ombra e come notizia fugace, come una nave che solca l'onda agitata, del cui passaggio non si può trovare traccia, né scia della sua carena sui flutti; oppure come un uccello che vola per l'aria e non si trova alcun segno della sua corsa, poiché l'aria leggera, percossa dal tocco delle penne e divisa dall'impeto vigoroso, è attraversata dalle ali in movimento, ma dopo non si trova segno del suo passaggio; o come quando, scoccata una freccia al bersaglio, l'aria si divide e ritorna subito su se stessa e così non si può distinguere il suo tragitto: così anche noi, appena nati, siamo già scomparsi, non abbiamo avuto alcun segno di virtù da mostrare; siamo stati consumati nella nostra malvagità". La speranza dell'empio è come pula portata dal vento, come schiuma leggera sospinta dalla tempesta, come fumo dal vento è dispersa, si dilegua come il ricordo dell'ospite di un sol giorno» (Sap 5,6-14).