54) I bambini morti prima o poco dopo il battesimo possono ottenere la salvezza eterna?

 

 

 

A questo proposito c'è un testo molto interessante e consolante scritto da S. Agostino, che si intitola Il libero arbitrio e che vale la pena di conoscere. Aurelio Agostino (Tagaste, Numidia 354 - Ippona 430) è uno dei piú eminenti padri e dottori della Chiesa. Figlio di padre pagano e di madre cristiana, nel 371 Agostino si recò a Cartagine per compiervi gli studi di retorica. Qui ebbe un figlio, Adeodato, da una donna con la quale visse in concubinato per circa quindici anni. All'età di diciannove anni, in seguito alla lettura dell'Ortensio di Cicerone, Agostino riconobbe in sé la vocazione alla filosofia; dopo breve tempo, aderí al manicheismo, religione di origine persiana largamente diffusa in Africa settentrionale. Insegnò grammatica e retorica dal 373, prima a Tagaste, poi a Cartagine. Nel 383 si recò a Roma, dove sperava di trovare migliori possibilità di carriera. A Roma, tuttavia, Agostino rimase poco piú di un anno. Nell'autunno del 384 si trasferí a Milano, avendo ottenuto, grazie all'aiuto di alcuni amici manichei, l'incarico di professore ufficiale di retorica della città. L'esperienza milanese segnò una svolta radicale nella vita e nel pensiero di Agostino. L'incontro con il vescovo della città, Ambrogio, dal quale apprese il valore dell'esegesi allegorica delle Scritture, e la scoperta dei testi dei filosofi neoplatonici, in particolare le Enneadi di Plotino, nella traduzione latina del retore Mario Vittorino, contribuirono alla sua conversione al cristianesimo. Divenuto catecumeno nel 385, Agostino ricevette il battesimo dalle mani del vescovo Ambrogio nel 387.

Accostandosi al pensiero dei neoplatonici, Agostino intuí la superiorità filosofica del cristianesimo, che risolve il problema del male rivelandolo quale privazione o assenza del bene o dell'essere, e non quale principio sostanziale paritetico ma opposto ad esso, come invece avevano fatto i manichei. Su tali basi la filosofia, intesa come vera conoscenza dell'essere, può illustrare razionalmente ciò che per la fede è certezza assoluta, mettendo a fuoco il cuore di ogni uomo: secondo Agostino, infatti, il percorso svolto nell'interiorità dell'anima verso il riconoscimento della verità della fede corrisponde al cammino di salvezza che il cristianesimo propone e incarna.

Tornato a Tagaste nel 389, Agostino si dedicò allo studio e alla meditazione. Nel 391 venne ordinato sacerdote e nel 397 fu nominato vescovo di Ippona, in un periodo di gravi disordini politici e conflitti teologici: i barbari premevano ai confini dell'impero, mentre la Chiesa era minacciata da scismi ed eresie. Agostino si dedicò cosí alla lotta contro le eresie. Fra il 426 e il 427 Agostino compose le Ritrattazioni, in cui giudicò retrospettivamente tutte le proprie opere, revisionandole e arricchendole. Tra gli altri suoi scritti vi sono le Epistole, che abbracciano il periodo compreso fra il 386 e il 429, i trattati su Il libero arbitrio (388-395), La dottrina cristiana (397-426), Sul battesimo contro i donatisti (401), La Trinità (399-419), Sulla grazia contro Pelagio (415), e numerosi studi su vari libri della Sacra Scrittura, in particolare sul libro della Genesi.

Ecco ciò che scrive circa i bambini morti prima o poco dopo il battesimo:

 

«Chi è poco istruito, spesso avanza delle obiezioni non serene per la morte dei bambini e per le sofferenze del corpo che spesso, lo vediamo, li colpiscono. Dicono dunque: Che bisogno c'era che nascesse, se prima di potere acquistare merito nella vita, se ne diparte? E quale sarà la sua sorte nel giudizio, non avendo posto tra i giusti, perché non ha compiuto azioni rette, né tra i malvagi, perché non ha peccato? A costoro si risponda: Nel complesso universale, nella struttura ordinatissima, per luogo e per tempo, di tutte le creature, nessun uomo può essere stato creato inutilmente, perché neppure una foglia d'albero sola è stata creata inutilmente. Inoltre è inutile porre la questione dei meriti a chi non ha nulla meritato. Non c'è da temere che vi possa essere una vita tesa a metà fra la giustizia e il peccato, e che vi possa essere una sentenza del giudice anch'essa a metà tra il premio e il castigo.

In questo contesto gli uomini si chiedono anche cosa giovi mai il sacramento del battesimo di Cristo ai bambini che, ricevutolo, per lo piú muoiono prima di aver saputo qualcosa di esso. In tale questione è giusto ed è consono alla pietà credere che al bambino giovi la fede di coloro i quali lo offrono alla consacrazione battesimale. Ciò viene attestato dall'autorità salvifica della Chiesa; cosí ciascuno può comprendere quanto giovi a lui stesso la sua fede, se la fede altrui può venire mutuata a vantaggio di chi non ce l'ha. Come poteva giovare la sua fede al figlio della vedova che, morto, certamente non l'aveva? Gli giovò invece la fede della madre, tanto che risuscitò (Lc 7,12-15). Quanto piú dunque la fede altrui può giovare al bambino, al quale non si può far colpa di non aver fede!» (cfr. S. AGOSTINO, Il libero arbitrio, 3,66-67).