Cristo è crocifisso dalla progettualità umana, è inchiodato dalla pretesa eretica di contenerlo, cristallizzarlo e gestirlo entro strutture prevedibili e certe: geometrie di un passato lontano che si possono manipolare senza pericolo e detenere senza rischio.

Troppe domande nella nostra vita restano spesso senza risposta. Troppe parole e poche opere; c'è ancora molto del passato e poco del presente. C'è troppo attivismo e troppo poca contemplazione, troppa comunità e poca comunione.

Se Vangelo e cultura in noi non sono uniti nella tensione per l'ideale rischiano di diventare come una fiamma senza calore, come lucignoli fumiganti o lucerne poste sotto il moggio, inutili come il sale insipido (Mc 9,50). Volesse il cielo invece che avessimo il coraggio di prorompere in un gesto di onestà e dire ai giovani: "Qui non possiamo più offrirvi la radicalità del Vangelo, cercate altrove"! Ma qual è l'alternativa? A quale altra porta busseranno gli assetati di Assoluto?

La verità è che non ci sono altre porte a cui bussare e il rischio è quello di essere annoverati fra i cattivi servitori. E quando tornerà il padrone? "Veniet dominus servi illius, in die qua non sperat et hora qua nescit, et dividet eum partemque eius cum infidelibus ponet (Lc 12,46).

Non servono i nostalgici ritorni al passato o le fughe in avanti, l'unica via credibile è quella di incarnare il Vangelo nel presente. Prima di fare questo però dobbiamo trovare il coraggio di guardarci negli occhi e di dirci la verità, rifiutando ogni ambiguità.

Quale futuro dunque dopo questa epoca di transizione? Questa sorta di "Sabato santo" ci troverà solo di guardia dinanzi al Sepolcro o veglianti, in attesa della Risurrezione? Qualunque cosa ci riservi il futuro non ci capiti di essere trovati impreparati. Il regno di Dio crescerà e diventerà grande con noi o nonostante noi.  

 

 

 

 

 

«Quando una crisi esistenziale sembra sopraffarci, è frequente la tentazione di cercare un modus vivendi suppletivo o di fare esercizi di sopravvivenza. Questa tentazione è presente in certi ambiti della vita religiosa. La si nota in particolare in individui che inventano mille modi di sopravvivenza in mezzo al caos della notte oscura e dell'inverno. Ma gli esercizi di sopravvivenza piú conosciuti sono quasi tutti a carattere istituzionale. Fra gli esercizi di sopravvivenza indicati oggi nella letteratura sulla vita religiosa, ne emergono alcuni particolarmente significativi. Anche se non è il momento opportuno per addentrarsi in analisi approfondite, varrà la pena di enumerarne i piú significativi.

In primo luogo, il restauro degli agglomerati urbani. Sarà che tentiamo di nascondere o dissimulare l'incapacità degli individui, delle comunità e delle congregazioni con il convertire o riconvertire questo restauro degli edifici? Non si è mai avuta tanta cura degli edifici, dell'habitat, come negli ultimi tempi. Rendere degne le abitazioni è una cosa buona e pienamente legittima. Credere che tutta la vita diventi piú decorosa migliorando le abitazioni è una falsa illusione. Naturalmente tali lavori possono essere fatti perché c'è denaro. Non sarà che la cultura del benessere ci ha conquistato alla sua causa e impone le priorità della nostra vita? In secondo luogo, viene indicato come esercizio di sopravvivenza un fervido impegno di scrivere raccontando le glorie del passato. In questi ultimi decenni, l'approfondimento della storia è diventato intenso nella maggior parte delle congregazioni.

L'ideale o il criterio del ritorno al carisma della fondazione o il ritorno alle fonti, indicato dal Concilio, hanno determinato, in questo stesso periodo, un'inflazione storica nella maggior parte delle congregazioni. Molte di esse si sono dedicate ad ampi studi sulle origini e sul carisma della fondazione; hanno riscritto la storia della Congregazione, hanno ripubblicato la vita del santo fondatore o della santa fondatrice..., e, se il fondatore o la fondatrice non sono ancora saliti all'onore degli altari, è stato intrapreso con il massimo fervore il processo di canonizzazione. Questo entusiasmo per la storia può essere un sintomo di rinnovamento; poiché nessuno può rinnovarsi se non esercita la memoria storica. Ma può essere anche un mero esercizio di sopravvivenza.

Scrivere e raccontare le glorie del passato, senza uno sforzo deciso per renderle attuali, è proprio questo: un esercizio di sopravvivenza. Si corre il rischio di considerare realizzato quanto si è pensato, e attualizzato quanto si ricorda. E questo è uno sbaglio grossolano. Un carisma è vivo nella misura in cui è attualizzato. Una storia è gloriosa soltanto per coloro che ne sono eredi degni e responsabili. Si vive o si muore nel presente. Vivere del ricordo è una forma di capitolazione. A quali livelli di impegno coerente conduce oggi quest'ansia delle congregazioni religiose di scrivere la storia e raccontare le glorie del passato? In terzo luogo, può essere un esercizio di sopravvivenza la stesura di atti, documenti, programmi di formazione... tutti meravigliosi; l'elaborazione di mirabili progetti comunitari a breve, medio e lungo termine; il rinnovamento delle norme... Questo compito è stato attuato dalla maggior parte delle congregazioni nella tappa postconciliare. I progressi sono stati enormi. È innegabile che sono stati realizzati e pubblicati documenti magistrali sulla sequela radicale di Gesú, sulla vita comunitaria, sulla preghiera e sulla formazione permanente, sulla povertà e l'opzione per i poveri, sulla giustizia e sulla pace, sul carisma congregazionale, sulla missione congiunta con i laici, ecc. Cosa hanno a che vedere i moderni documenti postconciliari con i vecchi testi giuridici e pietistici preconciliari? Dobbiamo rallegrarci per questi progressi documentali.

È piú facile rinnovare o rifondare la vita religiosa, se i documenti a portata di mano sono buoni, anziché scadenti. Ma, per quanto siano buoni i documenti in nostro possesso, il rinnovamento e la rifondazione non sono automatici. Non dobbiamo lasciarci ingannare: i documenti eccellenti esprimono soltanto, nella maggioranza dei casi, ciò che vorremmo fosse la vita religiosa, non quello che realmente è. Non dobbiamo confondere i desideri con la realtà, quanto è stato programmato nei capitoli provinciali o generali con ciò che viene realizzato nella vita e nella missione di ogni giorno. Inoltre, documenti cosí eccellenti presentano a volte un grande inconveniente: creando delle aspettative esagerate, finiscono per seminare scoraggiamento, pessimismo e persino frustrazione. Ci presentano ideali cosí elevati e tanto superiori a noi, che subito ci rendiamo conto che non riusciremo mai a realizzarli. La reazione di molti religiosi e religiose di fronte a simili documenti è solitamente su questo tono: "Troppo belli per essere veri!". E in casi estremi riescono a generare in noi solo un diffuso senso di colpa. Non dovremmo essere piú umili, onesti e realisti... quando redigiamo documenti e progetti di vita? Non dobbiamo limitarci a dire in essi ciò che realmente abbiamo intenzione di realizzare e ciò che realmente potremo realizzare con l'aiuto della grazia? Perché dire di piú e ingannarci? Non dovremmo forse rinunciare a questa falsa pretesa di fare una buona impressione con le nostre parole e i nostri scritti?

Un altro esercizio di sopravvivenza può essere l'impegno profuso per promuovere ossessive campagne di promozione delle vocazioni per coprire vuoti e garantire il futuro istituzionale. In alcuni ambienti, in cui la scarsità di vocazioni appare oggi evidente, questo esercizio di sopravvivenza è diventato una fissazione traumatica. La promozione delle vocazioni è assolutamente legittima. Anzi è consustanziale all'evangelizzazione. Chi annuncia il vangelo deve invitare alla sequela di Gesú, e quanto piú radicale sarà la forma di sequela, tanto meglio. È quasi consustanziale alla pastorale giovanile. Al giovane va mostrato il vangelo e nel contempo vanno mostrate le vie di vita evangelica. La promozione delle vocazioni non dovrebbe essere altro. La promozione delle vocazioni è, in un certo qual modo, l'espressione della fede nel nostro progetto di vita o nel proprio carisma istituzionale. In questo senso, le persone, le comunità, le congregazioni che non si interessano alla promozione delle vocazioni... probabilmente vivono una situazione drammatica di mancanza di fede nel proprio carisma o nel proprio progetto di vita. Volesse il cielo che tutte le congregazioni potessero mostrare una vita veramente evangelica, in grado di convocare quei giovani e quelle giovani che cercano luoghi per la sequela radicale di Gesú! Volesse il cielo che nessuna comunità religiosa dovesse arrossire per non avere delle risposte per un giovane o una giovane che cercano la radicalità evangelica! Volesse il cielo che nessuna comunità dovesse prorompere in gesto di onestà e dire a quei giovani: "Qui non possiamo offrirvi radicalità evangelica, cercate altrove!". È diverso, però, dedicarsi ossessivamente alla promozione delle vocazioni, come se si volesse legittimare con dei successori il proprio patrimonio congregazionale. Una promozione delle vocazioni che cerchi solo pezzi di ricambio istituzionali è un grossolano esercizio di sopravvivenza.

Se l'ossessione non ha come bersaglio la promozione della radicalità della vita evangelica e della missione, è una promozione mal indirizzata. Se tutto quello che cerchiamo consiste nel voler riempire i nostri vuoti, nel cercare qualcuno che ci assista in vecchiaia e garantisca la sopravvivenza dell'istituzione... la legittimità della promozione delle vocazioni desta qualche dubbio. Forse che proprio tutte le congregazioni religiose devono vivere eternamente? Questa assistenza perenne dello Spirito Santo è stata promessa solo alla Chiesa. Una versione molto singolare di questo esercizio di sopravvivenza è stata per molte congregazioni la prassi di istituire delle comunità in territori fecondi di vocazioni per ripopolare altre comunità decadute e invecchiate. I nomi dei paesi, quasi tutti appartenenti al terzo mondo, sono nella mente di ognuno di noi. E alcuni metodi di promozione delle vocazioni o, meglio ancora, di proselitismo, non sempre sono stati cosí trasparenti e cosí evangelici come avremmo voluto, anche se le intenzioni erano buone. Volesse il cielo che scomparissero tutte le motivazioni spurie di queste fondazioni e, soprattutto, che avessero fine tutti i metodi di promozione delle vocazioni che non coincidono con il vangelo! Dobbiamo imparare l'arte di morire carismaticamente, se non siamo in grado di vivere evangelicamente. A livello individuale, gli esercizi di sopravvivenza sono numerosi quanto gli individui che popolano le comunità religiose. Qui ogni testa e ogni cuore sono un mondo.

Due esercizi di sopravvivenza, però, hanno coinvolto molti religiosi e religiose. Uno è il lavoro senza sosta, anche se sotto l'apparenza di lavoro apostolico. È stato un esercizio molto frequente fra i liberali. Correre da mattina a sera, muoversi senza sosta, lavorare senza mai riposare, un attivismo sfrenato... Senza lasciare tempo né spazio alla riflessione, alla valutazione. Come se uno stesse fuggendo da se stesso e dal proprio silenzio, per paura di trovare il vuoto, la mancanza di sapore o di senso. Lavorare indefessamente per avere la sensazione di essere vivi. È un esercizio molto rischioso, perché questo attivismo sfrenato un bel certo giorno finirà. Allora cosa succederà? Dove fuggiremo lontano da noi stessi? Se veramente questo è il problema, chi ci libererà dal vuoto di senso e di gusto? Cosa succederà, quando non ci sarà nessuno a cantare i nostri successi apostolici? Ed è un esercizio ancora piú pericoloso, se l'unica motivazione di tale attivismo è la ricerca di una buona assicurazione, anche economica, che questo esercizio di sopravvivenza ha già introdotto nella vita religiosa.

Un altro esercizio individuale di sopravvivenza è stato la ricerca di gratificazioni immediate o di "consolazioni sensibili", come direbbe santa Teresa di Gesú. La società del benessere ha messo tutte le carte sulla soglia delle nostre comunità o anche all'interno di esse. E il gioco è cominciato rapidamente. Nel modello liberale l'imborghesimento della vita religiosa è stato forte. E il modello radicale non trova la forza per liberarsi dei tanto graditi costumi borghesi. Non si era mai parlato tanto della povertà della vita religiosa! Ma non è molto chiaro quanto ci si sia addentrati nella vita dei poveri. La ricerca delle consolazioni sensibili non sarà forse una compensazione per la mancanza di consolazioni evangeliche?

Questo ripasso degli esercizi di sopravvivenza ci obbliga per ora a fare un'affermazione indispensabile: la sopravvivenza non equivale alla vita. Sopravvivere è molto spesso semplicemente un modo di vivere male o vivere senza dignità. È una forma di rinuncia a un progetto di vita con senso e gusto. Significa abbandonare ogni speranza in un futuro migliore e, nel caso della vita religiosa, piú evangelico. È questa la situazione in cui si trovano quei settori della vita religiosa che si dedicano ai ricordati esercizi di sopravvivenza?

[...]

L'unica reazione adeguata di fronte alla situazione attuale della vita religiosa è la sua stessa ri-fondazione. Perché non si tratta di una crisi superficiale, ma è una crisi di fondo. Il tema della ri-fondazione è delicato, e non esente da timori e pregiudizi in molti ambienti della vita religiosa. Bisogna, però, prenderlo in esame, come la via piú importante ed efficace per affrontare la crisi attuale della vita religiosa».

 

 

 

 

 

Cfr. DIEZ F. M., La nuova frontiera. Dal rischio dell'estinzione alla sfida della rifondazione della vita religiosa, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, 54-60.