La competizione sportiva è sempre animata dal desiderio di vincere. Ma vincere non significa imporsi sull'altro. La sfida come capacità di mettersi alla prova è sempre un momento esaltante ma non deve andare a scapito degli altri. L'altro non è un nemico. Il terreno di gioco viene spesso descritto come un campo di battaglia, e la gara che vi si svolge assume le caratteristiche di un duello. «I calci di rigore ricordano i duelli. Quando si tirano i calci di rigore, i cronisti usano le parole del duello del XIX secolo. [...] Il rigore finisce per essere un gioco raccontato come duello: l'attesa, l'immobilità, la tensione, il fischio, il colpo, la vittima.

In ogni caso bisogna distinguere il rigore effettuato durante la partita da quello tirato dopo i tempi supplementari e valutare, inoltre, il tipo di duello.

a) Il rigore tirato durante la partita è una punizione, una colpa che la squadra deve espiare come penitenza, e anche se lo scontro è solo fra due giocatori, le squadre possono intervenire se la palla è respinta dal portiere. Quelli tirati dopo i tempi supplementari, invece, sono regolati da leggi diverse e hanno un significato eccezionale: non sono punizione, perché li tirano ambedue le squadre, né penitenze da espiare, e le squadre non possono intervenire sulla respinta: è l'ultimo appello a una giustizia non umana.

b) L'analogia con il duello, dunque, anche se suggestiva è imperfetta.

Innanzi tutto perché nella massima punizione il portiere è in svantaggio rispetto all'attaccante, e infatti la maggior parte dei rigori vengono trasformati in rete. Inoltre il rigore sembra un duello rovesciato. Se nel duello il colpo di pistola, sparato da una distanza di dieci passi, deve toccare il corpo del nemico, nel rigore, sparato da una distanza di sette passi, il pallone non deve toccare il nemico, il portiere, ma deve andare alle sue spalle. Si uccide l'altro non toccandolo, non ferendo il suo corpo bensí la sua proiezione: la porta. Ma a rendere evidente quanto sia imperfetta l'analogia, basti pensare che il duello è un fatto privato, mentre i rigori sono un fatto pubblico, alla presenza del mondo intero, e si tirano per conto della squadra, della città o della nazione» (N. Bottiglieri, in Pianta, n. 16, 1998 p. 99).

La "violenza" diventa un modo per escludere un concorrente dalla competizione. Bisogna educarsi a vivere la gara non come una lotta e scontro contro qualcuno, ma come incontro e confronto con altri, a competere con avversari e non con nemici da abbattere. La parola stessa "competizione", che deriva dal latino cum-petere, oltre a significare concorrere, cercare di arrivare al posto di un altro o prima di un altro, significa anche: convergere, tendere insieme a qualcosa, ad un obiettivo, concordare, convenire. Ha, quindi, anche un significato unitivo, costruttivo, e comunitario. [...] La competizione piú bella è quella che si produce sullo sfondo di una complicità amichevole che sola consente di "giocare insieme", e non invece di "giocare contro".

Da questo principio avevano preso origine i giochi olimpici nell'antica Grecia, dove in occasione di essi veniva stipulata la tregua sacra, un modo per rinunciare alla guerra e per sublimare la competizione. La pace diventava l'evento principale da celebrare e i giochi ne erano la sua manifestazione. Un popolo come quello greco, che conosceva i legami fra la vita e la guerra, vedeva la competizione sportiva come frutto e causa della pace e della reciproca valorizzazione e non come un modo per distruggere gli avversari.

 

 

 

Cfr. CEI - Ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero e sport, Glorificate Dio nel vostro corpo. Sussidio per la celebrazione del Giubileo degli sportivi, (Documenti: chiese locali 91), EDB, Bologna 2000, 28-31.

 

 

 

 

 

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