(La numerazione progressiva a margine senza formattazione è riportata dalla serie degli EV)

 

 

Sacramentalità del matrimonio e mistero della Chiesa

 

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 1. La sacramentalità del matrimonio cristiano emerge in modo piú evidente se non viene separata dal mistero della Chiesa. "Segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano", come afferma il recente concilio (LG 1), la Chiesa è fondata sul rapporto indefettibile che Cristo stabilisce con essa per farne il suo corpo. Quindi l'identità della Chiesa non dipende solo dai poteri dell'uomo, ma anche dall'amore del Cristo, che viene continuamente annunciato dalla predicazione apostolica e al quale possiamo partecipare mediante l'effusione dello Spirito. Testimone di questo amore che la fa vivere, la Chiesa è quindi il sacramento di Cristo nel mondo, perché essa è il corpo visibile e la comunità che annuncia la presenza di Cristo nella storia degli uomini. Certo, la Chiesa-sacramento, la cui "grandezza" viene dichiarata da Paolo (Ef 5, 32), è inseparabile dal mistero dell'incarnazione perché è un mistero che riguarda il corpo; essa è anche inseparabile dall'economia dell'alleanza perché riposa sulla promessa personale fatta da Cristo risorto di restare con lei "tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Ma la Chiesa-sacramento partecipa anche al mistero che si può chiamare coniugale: Cristo è legato ad essa con un amore che fa della Chiesa la sposa di Cristo, nella forza di un solo Spirito e nell'unità di un medesimo corpo.

 

 

 

 

L'unione di Cristo e della Chiesa

 

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 2. L'unione sponsale di Cristo con la Chiesa non distrugge, ma al contrario completa quanto, a modo suo, l'amore coniugale dell'uomo e della donna annuncia, implica o già realizza dal punto di vista della comunione e della fedeltà. In realtà, il Cristo della croce compie quella perfetta oblazione di se stesso, che gli sposi desiderano realizzare nella loro carne, senza però riuscire a raggiungerla mai perfettamente. Verso la Chiesa che egli ama come suo corpo, il Cristo realizza quello che i mariti devono fare - come dice s. Paolo - per le loro mogli. Da parte sua la risurrezione di Gesú nella potenza dello Spirito rivela che l'oblazione da lui fatta sulla croce porta i suoi frutti nella stessa carne in cui fu compiuta, e che la Chiesa da lui amata fino a morire per essa, può introdurre il mondo nella comunione totale tra Dio e gli uomini di cui essa già gode come sposa di Gesú Cristo.

 

 

 

 

Il simbolismo coniugale nella Scrittura

 

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 3. Giustamente quindi l'antico testamento usa il simbolismo dell'amore coniugale per indicare l'amore senza limiti di Dio per il suo popolo e, mediante questo popolo, vuole rivelarlo a tutta l'umanità. Specialmente nel profeta Osea, Dio si presenta come uno sposo che con tenerezza e fedeltà senza misura saprà guadagnare finalmente Israele, che all'inizio è stato infedele all'amore immenso con cui era stato amato. Cosí l'antico testamento ci apre, senza esitazioni, la comprensione del nuovo in cui Gesú piú volte è designato come lo sposo per eccellenza. Cosí è chiamato da Giovanni Battista (Gv 3,29); Gesú stesso si chiama cosí (Mt 9, 15); anche s. Paolo l'attribuisce a Gesú per due volte (2 Cor 11,2 e Ef 5,21-33); lo fa pure l'Apocalisse (22, 17-20); senza citare i riferimenti espliciti che si trovano nelle parabole escatologiche del regno (Mt 22, 1-10 e 25, 1-12).

 

 

 

 

Gesú, sposo per eccellenza

 

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 4. Benché questo titolo sia ordinariamente trascurato dalla cristologia, esso deve trovare per noi tutto il suo significato. Allo stesso modo che Gesú è la via, la verità, la vita, la luce, la porta, il pastore, l'agnello, la vigna, perfino l'uomo, poiché riceve dal Padre "il primato su tutte le cose" (Col 1, 18), con la stessa verità e a buon diritto, è anche lo sposo per eccellenza, vale a dire," il maestro e il signore", quando si tratta di amare l'altro come la propria carne. Perciò la cristologia del matrimonio si deve iniziare da questo titolo di sposo e dal mistero che esso richiama, in questo campo, come in ogni altro, "nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesú Cristo" (1 Cor 3, 11). Ad ogni modo, il fatto che Cristo è certamente lo sposo per eccellenza, non va separato dal fatto che è "il secondo" (1 Col 15, 47) e "l'ultimo Adamo" (1 Cor 15,45).

 

 

 

 

Adamo, immagine di colui che doveva venire

 

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 5. L'Adamo della Genesi, inseparabile da Eva, al quale Gesú stesso si riferisce in Mt 19 in cui tratta la questione del divorzio, non è pienamente comprensibile se non si vede in lui "la figura di colui che doveva venire" (Rm 5, 14). Perciò la personalità di Adamo, in quanto simbolo iniziale dell'umanità intera, non è una personalità stretta e ripiegata su se stessa. Essa è, come anche quella di Eva, di ordine tipologico. Adamo, come anche noi stessi, va visto in rapporto con colui che gli dà il suo significato ultimo: Adamo non è comprensibile senza Cristo, ma anche Cristo, a sua volta, non è comprensibile senza Adamo, vale a dire senza l'umanità intera - come anche senza tutto ciò che è umano - la cui apparizione è salutata nella Genesi come voluta da Dio in modo assolutamente particolare. Di conseguenza, la coniugalità che costituisce Adamo nella sua verità d'uomo, spetta anche a Cristo attraverso il quale essa viene realizzata, essendo stata ristabilita. Distrutta per una mancanza di amore, davanti alla quale anche Mosè ha dovuto arrendersi, essa può ritrovare in Cristo la verità che le spetta. Infatti, con Cristo appare nel mondo lo sposo per eccellenza che può, in quanto "secondo" e "ultimo Adamo", salvare e ristabilire la vera coniugalità che Dio non cessa di volere per il bene del "primo".

 

 

 

 

Gesú, rinnovatore della verità primordiale della coppia

 

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 6. Interpretando la prescrizione mosaica sul divorzio come un risultato storico derivato dalla "durezza del cuore", Gesú osa presentarsi come rinnovatore deciso della verità primordiale della coppia. Nel suo potere di amare senza limiti e di realizzare con la sua vita, morte e risurrezione, un'unione senza pari con l'umanità intera, Gesú ritrova il vero significato della parola della Genesi. "Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi" (Mt 19,6). Per lui, d'ora in poi, l'uomo e la donna possono amarsi nel modo che Dio da sempre vuole che facciano, poiché in Gesú si manifesta la stessa sorgente dell'amore che è il fondamento del regno. Cosí il Cristo riconduce tutte le coppie del mondo alla purezza iniziale dell'amore promesso; abolisce la prescrizione che aveva creduto un dovere ratificare la propria miseria, non potendo eliminarne la causa. Nella concezione di Gesú, la coppia iniziale ritorna ad essere quello che era stata sempre agli occhi di Dio: la coppia profetica in cui Dio rivela l'amore coniugale cui l'umanità aspira e per il quale essa è fatta, ma che essa non può raggiungere, se non in colui che insegna agli uomini che cosa sia l'amore. Da allora, l'amore che rimane fedele, la coniugalità che "la durezza dei nostri cuori" riduce a un sogno impossibile, ritrova in Gesú uno stato che solo lui, in quanto ultimo Adamo e sposo per eccellenza, ha il potere di comunicargli nuovamente.

 

 

 

 

La sacramentalità del matrimonio evidente nella fede

 

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 7. La sacramentalità del matrimonio cristiano diventa allora un'evidenza per la fede. Poiché i battezzati fanno parte visibilmente del corpo di Cristo che è la Chiesa, Cristo attira dietro di sé il loro amore coniugale per comunicargli la verità umana di cui, al di fuori di lui, questo amore è privo. Egli lo fa mediante lo Spirito, in forza del potere che ha come secondo e ultimo Adamo, di assumersi e di far giungere a compimento la coniugalità del primo Adamo. Lo compie anche in conformità alla visibilità della Chiesa, in cui l'amore coniugale, consacrato al Signore, diventa un sacramento. Nel cuore della Chiesa, gli sposi attestano che s'impegnano nella vita coniugale attendendo da Cristo la forza di attuare questa forma d'amore che, senza di lui, è esposta al pericolo. In questa maniera, il mistero caratteristico di Cristo come sposo della Chiesa, s'irradia e può irradiarsi sulle coppie che gli sono consacrate. Il loro amore coniugale viene cosí approfondito e non svilito, perché è riferito all'amore di Cristo che li sostiene e li fonde. La speciale effusione dello Spirito che è propria del sacramento, fa sí che l'amore di queste coppie diventi l'immagine stessa dell'amore che Cristo ha per la Chiesa. Tuttavia, questa effusione costante dello Spirito non dispensa mai le coppie di cristiani e di cristiane dalle condizioni umane della fedeltà, perché mai il mistero del secondo Adamo sopprime o sostituisce in qualcosa la realtà del primo.

 

 

 

 

Il matrimonio civile

 

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 8. Ne deriva la conseguenza che non si può realizzare l'entrata nel matrimonio cristiano solo attraverso il riconoscimento di un diritto puramente "naturale" circa il matrimonio, qualunque sia il valore religioso che a questo diritto si riconosca o possieda realmente. Infatti nessun diritto naturale può avere la forza, di per se stesso, di realizzare il contenuto di un sacramento cristiano. Se lo si pretendesse nel caso del matrimonio, si falserebbe il significato di un sacramento il cui scopo è quello di consacrare a Cristo l'amore degli sposi battezzati, affinché sviluppi in loro gli effetti trasformanti del suo mistero. Perciò, mentre gli stati considerano il matrimonio civile come un atto sufficiente per fondare, dal punto di vista sociale, la comunità coniugale, la Chiesa invece, senza negare a questo matrimonio ogni valore per i non battezzati, contesta che esso possa mai bastare per i battezzati. Per loro va bene solo il matrimonio sacramento, che suppone da parte dei futuri sposi la volontà di consacrare a Cristo un amore il cui valore umano dipende, in ultima analisi, dall'amore che Cristo ha per noi e ci comunica. Ne consegue che l'identità del sacramento e del "contratto", su cui il magistero apostolico si è formalmente impegnato nel XIX secolo, dev'essere intesa in modo tale che rispetti veramente il mistero del Cristo e la vita dei cristiani.

 

 

 

 

Contratto e sacramento

 

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 9. L'atto di alleanza coniugale, spesso chiamato contratto, che raggiunge la realtà di sacramento quando si tratta di sposi cristiani, non si stabilisce come semplice effetto giuridico del battesimo. Per il fatto che la promessa coniugale di una cristiana e di un cristiano è un vero sacramento, tocca la loro identità cristiana, che viene assunta da loro a livello dell'amore che si giurano in Cristo. Mentre il loro patto coniugale li dona l'una all'altro, li consacra anche a colui che è lo sposo per eccellenza e che insegnerà loro a diventare anch'essi dei coniugi realizzati. Il mistero personale di Cristo penetra, quindi, dall'interno la natura di patto umano o di "contratto". Esso diventa sacramento solo se i futuri sposi accettano di entrare nella vita coniugale passando attraverso Cristo al quale, mediante il battesimo, sono incorporati. La loro libera adesione al mistero del Cristo è talmente essenziale alla natura del sacramento che la Chiesa vuole assicurarsi, attraverso il ministero del presbitero, circa l'autenticità cristiana del loro impegno. Quindi l'alleanza coniugale umana non diventa sacramento in forza di uno statuto giuridico, efficace per se stesso indipendentemente da ogni adesione liberamente data al battesimo. Lo diventa invece in virtú del carattere pubblicamente cristiano che comporta nel suo intimo l'impegno reciproco e che, inoltre, permette di stabilire in quale senso gli sposi stessi sono ministri del sacramento.

 

 

 

 

I coniugi, ministri del sacramento nella Chiesa e mediante la Chiesa

 

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 10. Poiché il sacramento del matrimonio è la libera consacrazione a Cristo dell'amore coniugale nascente, i coniugi sono evidentemente i ministri di un sacramento che li riguarda al massimo. Tuttavia, non sono ministri in forza di un potere che si potrebbe dire "assoluto" e nell'esercizio del quale la Chiesa, strettamente parlando, non avrebbe niente da dire. Sono ministri in quanto membri vivi del corpo di Cristo in cui essi emettono il loro giuramento, senza che mai la loro decisione, che è insostituibile, faccia del sacramento una pura e sola emanazione del loro amore. Il sacramento come tale appartiene totalmente al mistero della Chiesa in cui sono introdotti, in modo privilegiato, dal loro amore coniugale. Perciò nessuna coppia si scambia il sacramento del matrimonio, senza il consenso della Chiesa stessa, e in forma diversa da quella che la Chiesa stabilisce come la piú espressiva del mistero in cui il sacramento introduce gli sposi. Spetta dunque alla Chiesa verificare se le disposizioni dei futuri sposi corrispondono realmente al battesimo che essi hanno già ricevuto: come spetta ad essa dissuaderli, se fosse necessario, dal porre un gesto che sarebbe offensivo nei confronti di colui di cui essa è testimone. Nello scambio del consenso che fa il sacramento, essa rimane anche il segno e garante del dono dello Spirito santo che gli sposi ricevono impegnandosi l'uno per l'altro in quanto cristiani. Perciò i contraenti battezzati non sono mai ministri del sacramento del loro matrimonio senza la Chiesa e meno ancora al di sopra di essa; essi sono ministri nella Chiesa e attraverso la Chiesa, senza mai mettere al secondo posto colei il cui mistero è fonte del loro amore. Una giusta teologia del ministero del sacramento del matrimonio non ha soltanto una grande importanza per la verità spirituale dei contraenti, ma essa ha anche delle ripercussioni ecumeniche non trascurabili nei nostri rapporti con gli ortodossi.

 

 

 

 

L'indissolubilità del matrimonio

 

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 11. In questo contesto, appare in una luce viva anche l'indissolubilità del matrimonio. Essendo Cristo l'unico sposo della Chiesa, il matrimonio cristiano non può diventare e restare un'immagine autentica dell'amore di Cristo per la Chiesa, senza partecipare alla fedeltà che definisce Cristo come sposo della Chiesa. Quali che siano il dolore e le difficoltà psicologiche che ne possano derivare è perciò impossibile consacrare a Cristo, per farne un segno o un sacramento del suo mistero, un amore coniugale che implicasse il divorzio di uno dei due contraenti o di tutti e due insieme, nel caso che il primo matrimonio sia veramente valido: cosa, questa, che in piú di un caso non è evidente. Ma se il divorzio, secondo il suo scopo, dichiara d'ora in poi sciolta un'unione legittima e permette quindi di stabilirne un'altra, come è possibile pretendere che il Cristo possa fare di questo secondo "matrimonio" un'immagine reale del suo rapporto personale con la Chiesa? Benché possa avere un certo rispetto per alcuni aspetti, specialmente nel caso del coniuge ingiustamente abbandonato, il nuovo matrimonio dei divorziati non può essere un sacramento e crea un'incapacità obiettiva a ricevere l'eucaristia.

 

 

 

 

Divorzio ed eucaristia

 

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 12. Senza misconoscere le circostanze attenuanti e talvolta anche la qualità di un matrimonio civile successivo al divorzio, l'accesso dei divorziati risposati all'eucaristia risulta incompatibile con il mistero di cui la Chiesa è servitrice e testimone. Accogliendo i divorziati risposati all'eucaristia, la Chiesa lascerebbe credere a tali coniugi che essi possono, sul piano dei segni, comunicare con colui del quale essi rifiutano il mistero coniugale sul piano della realtà. Fare una cosa del genere, significherebbe inoltre che la Chiesa si dichiara d'accordo con battezzati, al momento in cui essi entrano o restano in una contraddizione obiettiva ed evidente con la vita, il pensiero e lo stesso essere del Signore come sposo della Chiesa. Se essa potesse comunicare il sacramento dell'unità a quelli e a quelle che, su un punto essenziale del mistero di Cristo, hanno rotto con lui, essa non sarebbe piú segno e testimone del Cristo, ma suo contro-segno e suo contro-testimone. Non di meno, però, tale rifiuto non giustifica assolutamente una qualche procedura infamante che sarebbe in contraddizione, a sua volta, con la misericordia di Cristo verso noi peccatori.

 

 

 

 

Perché la Chiesa non può sciogliere un matrimonio "ratum et consummatum"

 

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 13. Questa visione cristologica del matrimonio cristiano permette ancora di comprendere perché la Chiesa non riconosce a se stessa nessun diritto di sciogliere un matrimonio "ratum et consummatum", ossia un matrimonio sacramentalmente contratto nella Chiesa e ratificato dagli sposi stessi nella loro carne. In effetti, la totale comunione di vita, che umanamente parlando definisce la coniugalità, evoca a suo modo il realismo dell'incarnazione in cui il Figlio di Dio diventa uno con l'umanità nella carne. Impegnandosi l'un l'altro nel dono senza riserve di se stessi, gli sposi esprimono il loro effettivo passaggio alla vita coniugale, in cui l'amore diventa una condivisione cosí assoluta quanto è possibile di se stesso con l'altro. Entrano cosí in quel tipo di condotta umana di cui Cristo ha richiamato il carattere irrevocabile e di cui ha fatto un'immagine rivelatrice del suo mistero. La Chiesa, quindi, non ha nessun potere su una unione coniugale che è passata sotto il potere di colui del quale essa deve annunciare il mistero e non svuotarlo.

 

 

 

 

Il "privilegio paolino"

 

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 14. Quello che viene chiamato "privilegio paolino" non contraddice in nulla quello che abbiamo appena ricordato. In funzione di quanto Paolo spiega in 1 Cor 7, 12-17, la Chiesa si riconosce il diritto di annullare un matrimonio umano che si dimostri cristianamente invivibile per il coniuge battezzato, a causa dell'opposizione che gli fa quello non battezzato. In questo caso, il "privilegio", se esiste veramente, gioca in favore della vita in Cristo, la cui importanza, per la Chiesa, può legittimamente prevalere su una vita coniugale che non ha potuto e non può effettivamente essere consacrata a Cristo da questa coppia.

 

 

 

 

Il matrimonio cristiano non può essere isolato dal mistero di Cristo

 

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 15. Che si tratti dei suoi aspetti scritturistici, dogmatici, morali, umani o canonici, mai il matrimonio cristiano è quindi isolabile... dal mistero di Cristo. Perciò il sacramento del matrimonio, del quale la Chiesa è testimone, al quale educa e che permette di ricevere, non è realmente vivibile che in una conversione continua degli sposi alla persona del Cristo. Tale conversione a Cristo fa dunque parte intrinseca della natura del sacramento e fornisce direttamente il significato e la portata di un tale sacramento nella vita dei coniugi.

 

 

 

 

Visione non totalmente incomprensibile ai non credenti

 

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 16. Ad ogni modo questa visione cristologica di per sé non è totalmente incomprensibile anche per i non credenti. Non solo ha una coerenza sua propria che designa Cristo come l'unico fondamento di quello che noi crediamo, ma rivela pure la grandezza della coppia umana, che può "parlare" anche ad una coscienza che sia estranea al mistero del Cristo. Inoltre, il punto di vista dell'uomo come tale è esplicitamente inseribile nel mistero di Cristo, a titolo del primo Adamo da cui il secondo ed ultimo non è mai da separare. Mostrarlo in pienezza nell'esempio del matrimonio aprirebbe la presente riflessione su altri orizzonti, nei quali però qui non entriamo. Si è voluto ricordare, prima di tutto, che Cristo è il vero fondamento, spesso ignorato dagli stessi cristiani, del loro matrimonio in quanto sacramento.

 

 

 

 

 

 

EV 6

 

N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.