Parere
Concernente il significato della fattispecie, contenuta nei canoni 1086 §1, 1117 e 1124,
circa l'actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica
A. - Circa l'uso del termine.
L'insieme dei termini actus formalis appare nel C.I.C. soltanto nei tre luoghi menzionati ai canoni di cui sopra.
L'aggettivo formalis viene inoltre usato soltanto in ulteriori tre luoghi, e precisamente nella combinazione formale decretum, di cui ai cann. 322, 579, 589.
Riguardo ai matrimoni misti (matrimoni, cioè, fra persone appartenenti a religioni od a confessioni diverse), è da non sottovalutare la formula salva ad validitatem aliqua publica forma celebrationis di cui al can. 1127 §2, e riferita all'atto costitutivo del matrimonio.
Il sostantivo defectio è del tutto sconosciuto alla terminologia del Codice. Al contrario, le forme verbali di deficere, ricorrono piú spesso. Nel presente contesto - accanto ai riferimenti succitati - sono da menzionare particolarmente le formule ab Ecclesiae communione notorie defecit (can. 171 §1 n. 4); a communione Ecclesiae publice defecerit (can. 194 §1 n. 2); qui publice...a communione ecclesiastica defecerit (can. 316 §1); qui a religionis praxi defecerint (can. 383 §1); a fide catholica notorie defecerit (can. 694 §1 n. 1).
B. - Scopo generale della formula del matrimonio canonico.
La formula contenuta nelle tre norme del diritto matrimoniale canonico, mira a circoscrivere alle tre fattispecie quivi citate, il novero di quelle persone che sono legate alla corrispondente statuizione avente carattere di diritto ecclesiastico positivo. Mentre per il C.I.C., conformemente al can. 11, vale il principio semel catholicus, semper catholicus, nei luoghi citati domina un piú stretto concetto di "cattolico", dal momento che quei cattolici, che actu formali hanno abbandonato la Chiesa cattolica, non sono piú tenuti al corrispondente legame di carattere giuridico. L'obiettivo perseguito dal Legislatore consiste nel fatto che i matrimoni di cotali persone cattoliche allontanatesi dalla Chiesa e che logicamente non osservano piú le norme di carattere giuridico da essa dettate, possano - per quanto possibile - mantenere matrimoni validi sotto il profilo stabilito dal diritto canonico.
C. - Per la comprensione del concetto di actus formalis nel C.I.C.
I. - Impostazione del problema.
1. Al fine di un'esatta comprensione dell'actus formalis, l'interpretazione deve anzitutto affrontare il significato di questo concetto esclusivamente come problema sotto il profilo del diritto canonico. Solo in seguito potrà venire discusso il problema di quale sia il significato della possibile spiegazione dell'abbandono della Chiesa che in alcuni Paesi è di competenza del diritto dello Stato.
2. A seconda di quali formalità richieste da adempiersi per l'actus formalis dell'abbandono della Chiesa cattolica, si restringe il novero delle persone non vincolate alla legge dei suddetti tre punti.
3. Il principale problema sottostante, al fine di una corretta interpretazione, non deriva dal fatto che il concetto di actus formalis non è abituale al diritto del Codice, e si trova soltanto in questi tre luoghi. Questo fatto condurrebbe, nella letteratura da commentarsi - non da ultimo in considerazione di serie conseguenze - ad interpretazioni assai diverse. L'analisi piú accurata, a me nota, di queste prescrizioni, è quella di Titus Lenherr, L'uscita dalla Chiesa cattolica attraverso un atto formale. Tentativo di una interpretazione. AKKR 152 (1983) 107-125. Io seguo essenzialmente questa analisi.
4. Lenherr osserva nei Commentatori una completa concordanza sul punto che l'actus formalis viene concepito come un atto che corrisponde ad una forma giuridica (ben determinata). Rimane tuttavia controverso quali siano i requisiti legali (p. 107 s.).
5. Il termine formalis, nella combinazione terminologica formale decretum, è stato interpretato, nella traduzione in lingua tedesca del C.I.C., come decreto formale. Ciò significa che il decreto deve possedere "i requisiti giuridici di forma", in altri termini deve soddisfare ogni formalità prevista nel C.I.C. (specialmente nei cc. 48-58). Dal momento che non è prevista per legge una precisa forma per quanto riguarda la defectio ab Ecclesia catholica, l'actus formalis non può essere compreso come atto posto secondo i requisiti di legge (p. 112).
6. Lenherr indica con convinzione - riferendosi tra l'altro a quanto pubblicato in Communicationes - come, nel nostro contesto, il significato di formalis non possa essere utilizzato quale contrario di materialis (p. 114), piuttosto precisamente come contrario di virtualis. "Al fine di evitare che da una pratica di fede cattolica ormai assente, si concluda con una defectio ab Ecclesia catholica, benché sussista ancora la volontà di appartenere alla Chiesa cattolica, viene escluso dalla fattispecie a riferimento il termine defectio virtualis, cioè l'abbandono della Chiesa che soltanto può aversi attraverso il comportamento: perciò viene evitato il concetto di publica defectio" (p. 116) perché questo concetto comprende il concetto di defectio virtualis. In questo modo i riferimenti sopra richiamati (sub A.), in cui l'abbandono viene definito publice, non possono essere utilizzati per giungere alla chiarificazione dell'atto formale.
7. La formula notorie deficere era originariamente usata in alternativa a actu formali deficere. Nei Praenotanda allo Schema de Sacramentis del 1975, nel Titolo VII, si diceva tra l'altro: "Ad subiectum impedimentorum quod attinet, proponitur ut illi qui actu formali aut notorie ab Ecclesia defecerunt habeantur in hac materia uti non-catholici baptizati ita ut impedimentis iuris mere ecclesiastici non teneantur". Nell'impedimento della disparità di religione mancano le parole aut notorie (can. 285 §1 Schema Sacr./1975), e in questi anni regna ancora il concetto generale cattolico relativamente ai divieti di matrimonio dovuti a diversità di confessioni (can. 276 Schema Sacr./1975). Soltanto in riferimento alla forma per la conclusione del patto matrimoniale viene stabilito: "Statuta superius forma servanda est, si saltem alterutra pars matrimonium contrahentium in Ecclesia catholica baptizata vel in eandem recepta est nec actu formali aut notorie ab ea defecerit,..." (can. 319 §1 Schema Sacr./1975); e su ciò i Praenotanda non dicono assolutamente nulla. Nello Schema CIC/1980 sono cancellate le parole aut notorie nel can. 1072, senza che sulle fonti pubblicate possa venir provata la ragione. In ogni caso si escludono cosí anche i sopraindicati luoghi giuridici, nei quali viene indicato l'abbandono notorie per la interpretazione dell'atto formale.
II. Risultato dell'analisi.
1) L'actus formalis consiste in un esplicito abbandono della Chiesa cattolica. Si tratta di una manifestazione di volontà che può seguire direttamente o indirettamente.
Direttamente avviene, ad esempio, con le parole "Io mi separo dalla Chiesa cattolica". Indirettamente avviene attraverso l'adesione ad un'altra Comunità religiosa. Tale indiretta manifestazione di volontà non è un atto virtuale, che sulla base di un modo di agire concludente (ad es., una scarsa pratica religiosa) manifesti una volontà di separarsi dalla Chiesa; anzi, ciò è molto piú sicura e non perde perciò il carattere della formalità (Lenherr, p. 117).
2) L'actus formalis è un actus iuridicus (cfr. cc. 124-128). La esplicita manifestazione di volontà ha il carattere di un negozio giuridico unilaterale, che non abbisogna di essere ricevuto e tanto meno di essere accettato (cfr. Aymans-Mörsdorf, Kanonisches Recht, Band I, Paderbon-München-Wien-Zürich 1991, 333). Esso appartiene ai negozi giuridici non formali, cioè non è legato a forme precise (Aymans-Mörsdorf, o.c., 334).
3) L'actus formalis è quindi qualcosa di cui a fatica si possono precisare gli ambiti. Il vigente diritto del Codice non offre però aggancio alcuno da cui dedurre ulteriori richieste oltre la manifestazione di volontà fatta davanti a un terzo. A chi, per esempio, in un futuro procedimento giudiziale, venisse provata tale esplicita manifestazione di volontà, costui deve essere trattato come separato dalla Chiesa cattolica actu formali.
Resta il fatto che la manifestazione esplicita di volontà deve essere ben distinta da una sconsiderata momentanea dichiarazione. Se essa non è diventata in altro modo giuridicamente comprensibile (ad es., con dichiarazioni scritte), essa può poi solo venire valutata come un abbandono formale, anche se il restante comportamento si desuma da una corrispondente volontà.
Chi in seguito - anche se solo sporadicamente - prenda parte alla vita della Chiesa oppure - dove dunque esista la possibilità - non effettua una separazione in base al diritto statale - non può essere trattato come separato actu formali dalla Chiesa cattolica.
4) D'altra parte deve essere considerato anche che, contrariamente alla dichiarazione orale di volontà, effettivamente l'abbandono della Chiesa cattolica effettuato, può essere negato in un futuro procedimento giudiziale, dicendo che non si aveva preso in seria considerazione l'abbandono dalla Chiesa cattolica e come si sia andato ancora occasionalmente, per esempio a Natale, alla funzione religiosa. La prova di tale comportamento dovrebbe condurre, in un procedimento canonico - forse ingiustamente - alla dichiarazione di nullità del primo matrimonio.
D. Significato dell'abbandono della Chiesa secondo il diritto statale.
1) Il c.d. abbandono della Chiesa davanti allo Stato, possibile in Germania, cosí come in altri Stati, consiste nella dichiarazione, fatta davanti all'autorità pubblica, di voler essere inserito negli atti pubblici come non appartenente alla Chiesa cattolica. Tale dichiarazione ha soprattutto come conseguenza quella che viene tolta la tassa di culto a favore della Chiesa cattolica. L'abbandono viene comunicato dalle autorità civili agli uffici competenti della Chiesa. Una tale dichiarazione di abbandono della Chiesa deve essere vista come actus formalis nel senso del C.I.C. Chi rilascia incondizionatamente tale dichiarazione deve essere ritenuto davanti al foro ecclesiastico come un cattolico, che si è diviso actu formali dalla Chiesa cattolica.
2) Ci sono cattolici che hanno rilasciato la dichiarazione di abbandono della Chiesa con l'aggiunta di separarsi solo dall'organismo ecclesiastico di diritto pubblico, volendo però ancora appartenere alla Comunità di fede nella Chiesa cattolica. Da parte statale non viene riconosciuta tale differenziazione. Essa viene o respinta oppure registrata indipendentemente dal diritto come semplice dichiarazione di abbandono. Al contrario, da parte della Chiesa, questa differenziazione deve essere tenuta presente di fronte alla comunità dei credenti, malgrado una ulteriore valutazione.
Quando la dichiarazione di abbandono viene mostrata in forma differenziata davanti al foro ecclesiastico, questa dichiarazione non può essere compresa come distacco formale dalla Chiesa cattolica. La dichiarazione di volontà permette solo di riconoscere che tale cattolico non intende adempiere uno dei suoi importanti doveri, cioè, secondo la disciplina della Chiesa, di offrire il proprio contributo a sostegno delle necessità della Chiesa. Questo tale rimane, per quanto riguarda il diritto matrimoniale, legato come ogni altro cattolico, al diritto comune.
E. Effetti.
1. Una persona, battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accettata dopo il Battesimo ricevuto fuori della Chiesa cattolica, che di fronte ad un altro ha esplicitamente dichiarato di non essere piú cattolico o di non voler piú essere trattato come tale, o che è entrato in un'altra Comunità religiosa;
- non necessita di permesso alcuno per un matrimonio con un partner non cattolico, cioè anche se poi il compagno si trova nella stessa situazione giuridica come la persona stessa (c. 1124),
- è nel matrimonio con un partner nella stessa situazione giuridica o con un compagno non cattolico libero dal dovere di attenersi alla forma canonica prescritta (c. 1117),
- è nel matrimonio con un partner non battezzato libero dall'impedimento della disparità di religione (c. 1086 §1).
F. Valutazione.
1. Il Legislatore tratta, nel contesto matrimoniale del c. 1086 §1, 1117 e 1124, il cattolico che ha abbandonato la Chiesa, come un cristiano che non deve rendere conto di sé stesso per quanto riguarda l'esistenza fuori della communio plena.
2. Tuttavia ciò non cambia che uno che actu formali ha abbandonato la Chiesa cattolica, non cada nella fattispecie dello Scisma (c. 751) nel senso del diritto penale e segua, come minimo, la scomunica latae sententiae (c. 1364 §1).
3. In quanto scomunicato, gli é, ai sensi del c. 1331 §1 n. 2, proibito amministrare e ricevere i sacramenti, di conseguenza anche il matrimonio.
Quando però ciò ugualmente avviene, nei confronti di un partner cristiano ma non cattolico, non è necessario il permesso, che sarebbe altrimenti richiesto, dell'Ordinario (c. 1124), non si cade nell'impedimento della disparità di religione (c. 1086 §1) e non c'é bisogno di rispettare la forma canonica del matrimonio. Su questo punto sussiste una parziale contraddizione.
4. Lo scopo di tale regolamentazione può essere giustificato soltanto con lo sforzo di voler mantenere validi nel senso canonico i matrimoni di quanti hanno abbandonato la Chiesa cattolica. Le basi che si trovano ogni tanto nella letteratura, per cui la regolamentazione sui matrimoni sia la necessaria conseguenza a motivo della religione libera nella Chiesa, (cfr. José Luis Santos: Nuevo Derecho Canónico, Manual Universitario, Madrid 1983, 297; Luigi Chiappetta, Il matrimonio nella nuova legislazione canonica a concordataria, Roma 1990, 146), non possono essere accettate. Questa argomentazione non osserva le conseguenze penali della formale separazione dalla Chiesa cattolica ed avrebbe come conseguenza che tutte le fattispecie di carattere grave contro la fede e l'unità della Chiesa, dovrebbero rimanere senza sanzione. Cosí la Chiesa diventerebbe inverosimilmente non credibile.
La cosiddetta libertà di religione all'interno della Chiesa, dice soltanto che la Chiesa non può usare o far usare contro un cattolico che rinnega la Chiesa, nessun metodo che contraddica il Vangelo, e soprattutto che non può usare la coazione della legge statale per ottenere l'obiettivo che si propone con la cura d'anime.
5. Lo scopo pastorale di mantenere validi i matrimoni dei cattolici usciti dalla Chiesa, è onorevole ma sbagliato. La conseguenza è che la comprensione del matrimonio secondo la visione della fede, viene proposta ad un uomo che si è allontanato dalla fede e senza effetti pastorali, senza che questi normalmente ne dia conto alcuno. Però se fallisce un cosiddetto matrimonio concluso in situazione di lontananza dalla fede, e nel caso che uno trovasse probabilmente grazie al nuovo partner un aiuto nel riavvicinamento alla fede ed alla Chiesa, questi non potrebbe, in questo momento decisivo per la pastorale, venire aiutato.
Nel futuro tali situazioni si possono moltiplicare, soprattutto quanto una donna uscita dalla Chiesa actu formali sposi un mussulmano.
Tali tipi di unione sono facilmente condannate al fallimento. Se una donna dopo il fallimento trovasse un compagno cattolico, tornerebbe ovviamente alla comunità cattolica. In questo momento decisivo dal punto di vista pastorale, dalla Chiesa e dalla fede non troverebbe alcun possibile aiuto.
G. Osservazione finale.
L'interpretazione della legge in vigore nei cc. 1086 §1, 1117 e 1124 porta a risultati da cui non sono assenti contraddizioni. La regolamentazione giuridica dei matrimoni con l'actus formalis mette in pericolo la certezza del diritto e pregiudica i valori della cura pastorale. I problemi non possono venire separati dalla interpretazione.
Non è consigliabile che il legislatore precisi le esigenze dell'actus formalis ma che cambi la legge nel senso che il principio semel catholicus, semper catholicus venga applicato anche nel diritto matrimoniale.
München, 18 giugno 1992
Prof. Dott. Mons. Winfried Aymans