L’apertura della breccia nelle mura di Roma, presso Porta Pia, ad opera dell’artiglieria italiana è stata spesso celebrata come un trionfo del mondo illuminato sul cosiddetto oscurantismo cattolico. Ancora oggi gruppuscoli anticlericali, radicali e libertini la celebrano invano ormai ignorati dai mass-media. Attraverso quella breccia, il 20 settembre 1870, un corpo di fanti e bersaglieri al comando del generale Raffaele Cadorna irruppe nell’Urbe.
Vittorio Emanuele II, infatti, visti vani i tentativi di ottenere Roma con la sola diplomazia aggirò il veto francese con l’inganno. La Convenzione del 15 settembre 1864, stipulata a Parigi, prevedeva che la Francia ritirasse le sue truppe da Roma nell’arco di due anni, in cambio dell’impegno italiano a rispettare l’integrità territoriale dello Stato Pontificio. Una clausola segreta prevedeva inoltre il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, come atto simbolico di rinuncia a Roma capitale. Fu cosí che si arrivò all’azione di forza che permise di completare l’unificazione italiana a spese del plurisecolare Stato pontificio, l'ultimo di una serie di Stati sovrani occupati con la forza dai piemontesi.
Certamente all’epoca nessuno lo avrebbe immaginato ma anche nel corso dell’azione di Porta Pia sbocciarono i semi della rivincita morale di quell’Italia cattolica che, forte della sua statura interiore, avrebbe sovrastato il regime elitario, violento e intollerante portato dai Savoia. Una storia breve - quella unitaria di Casa Savoia - ridimensionata prima dal movimento fascista e poi travolta dalla svolta democratica repubblicana che ne decretò la fine ignominiosa.
Entro questo lasso di tempo, fra le figure straordinarie che lo caratterizzarono si colloca proprio la vita dell’autore materiale della breccia di Porta Pia: un giovane tenente di artiglieria che rispondeva al nome di Carlo Amirante, già suddito del Regno delle Due Sicilie. Un giovane diverso e contro corrente, tanto da scrivere a papa Pio IX: «La mattina del 20 settembre scorso dovetti come militare eseguire senza discutere gli ordini che mi erano stati dati. Fui ferito e chissà che la Beata Vergine non mi abbia salvato concedendomi il privilegio di inginocchiarmi ai piedi di Vostra Santità». Il Pontefice lo convocò subito e lo ricevette in udienza privata. Amirante si congedò e decise di farsi sacerdote. Ordinato nel 1877, spenderà a Napoli tutta la sua esistenza nelle opere caritative. Morirà nel 1934. La sua causa di beatificazione è stata introdotta il 19 giugno 1980.
Quei colpi di cannone segnarono una svolta profonda nella vita di molti italiani ma soprattutto nella sua vita. Il brano che segue, di Rino Camilleri, ne ritrae vivacemente le sue tappe principali.
Carlo Ademollo, La breccia di Porta Pia, Museo del Risorgimento di Milano
Carlo Amirante
Servo di Dio (20 gennaio)
Il borbonico
Nacque nel 1852 a Soverato, presso Catanzaro, Regno delle Due Sicilie. Il padre fu, dopo l’Unità, prefetto di Salerno, ma perse il posto perché, buon cristiano, aveva pubblicamente schiaffeggiato il famoso fra Pantaleo (che era stato braccio sinistro di Garibaldi nell’impresa dei Mille), indignato per le affermazioni blasfeme di costui.
Carlo frequentò l’Accademia militare della Nunziatella e ne uscí col grado di tenente d’artiglieria. Aveva diciotto anni quando lo mandarono alla presa di Porta Pia e toccò proprio a lui aprire il fuoco contro la città del Papa. Ci fu una scaramuccia, forse l’unica, perché Pio IX aveva dato ordine ai suoi di non rispondere all’aggressione. Carlo fu ferito gravemente alla gola e ricoverato in ospedale. Qui venne intervistato da Edmondo De Amiciis, inviato da un giornale piemontese. Lo scrittore rimase profondamente colpito dalla testimonianza del giovane tenente, che era addolorato soprattutto per aver dovuto sparare contro il Papa.
La ferita sul campo gli valse la promozione a capitano, ma lui volle recarsi da Pio IX a chiedere perdono. Il Papa lo rassicurò, dicendogli che non ha colpa chi obbedisce agli ordini. Carlo però non si sentí piú di continuare una professione che, in quelle circostanze, lo costringeva a dover costantemente scegliere tra la sua coscienza di cattolico e l’onore di soldato. Cosí, [in un periodo in cui il governo unitario anticlericale e massonico oltraggiava sempre piú i principi morali del popolo italiano] decise di abbandonare l’esercito. La crisi ebbe un seguito, perché maturò in lui l’idea di farsi sacerdote. Era fidanzato, ma si spiegò con la sua ragazza, profetizzando che anche lei sarebbe stata suora (cosa che effettivamente accadde) ed entrò in seminario. Ma l’educazione militare lo aveva segnato e anche in seminario emerse la sua tempra.
Un suo amico sacerdote era entrato nella massoneria (a quel tempo caratterizzata da un odio feroce per il cattolicesimo) e gliel’aveva confidato. Carlo provò con preghiere e suppliche a farlo desistere ma non ottenne risultati. Il neomassone un giorno si ammalò seriamente e fu per morire. Carlo lo supplicò di confessarsi un’ultima volta, ma quello non ne volle sapere. Allora l’ex capitano cominciò a sfasciare a mani nude tutti i mobili della stanza, incutendo tale paura nel malato da indurlo a ricevere un prete. Carlo andò di corsa a chiamarne uno, ma al ritorno trovò che la casa era sbarrata da una donna pagata dai massoni locali, che erano stati avvertiti. L’Amirante senza pensarci due volte inchiodò la donna alla parete e la tenne ferma per tutto il tempo della confessione, cosí che l’amico poté morire riconciliato con Dio.
Nel 1877 divenne sacerdote e cappellano militare a Napoli. Fu matematico, compositore (era in grado di suonare tutti gli strumenti musicali) e letterato. In questa veste ebbe come allieva la scrittrice Matilde Serao.
Passò la vita a prodigarsi soprattutto contro le ingiustizie. Alcuni esempi.
I vigili del fuoco a quell’epoca non potevano sposarsi. Carlo si adoperò perché il divieto fosse abrogato e venisse loro raddoppiata la misera paga.
Le case di tolleranza del tempo erano prive di qualsiasi controllo sanitario e diffondevano la sifilide specialmente fra i soldati; non solo, ma le prostitute vi venivano trattate alla stregua di schiave, alla mercé di profittatori senza scrupoli che le abbandonavano sul lastrico quando erano troppo vecchie (cioè, passati i trent’anni). Don Carlo pregò uno di questi sfruttatori di affittare la sua “casa” a gente normale, con una pigione maggiorata cui avrebbe aggiunto una congrua somma di tasca sua. Quello non ne volle sapere, perché “si divertiva di piú” cosí. Don Carlo allora lo affrontò da uomo a uomo minacciandogli il castigo di Dio. Ne ebbe un definitivo rifiuto, ma quattro giorni dopo la casa sprofondò, in un momento in cui non c’era nessuno dentro.
Nel 1909 imperversava L’Asino, una rivista satirica e sguaiatamente anticlericale il cui fondatore e direttore, Podrecca, andava in giro a tenere conferenze «per liquidare i trucchi e le menzogne dei miracoli di Lourdes». Contro di lui era sceso in campo anche il p. Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica: venne deriso come «il mulo che attacca l’asino».
Podrecca doveva venire a parlare a Napoli, dove don Amirante era esorcista ufficiale. Saputolo, il battagliero prete riuní i suoi sacerdoti e si recò davanti alla sala dove si sarebbe dovuta tenere la manifestazione. Qui prese a recitare tutte le imprecazioni contenute nel Salmo 108. Podrecca arrivò in città ma la carrozza che doveva condurlo alla conferenza - dove il pubblico già si assiepava - ebbe un incidente e il fiero anticlericale finí all’ospedale con una gamba rotta. La manifestazione venne annullata.
Don Carlo Amirante morí esemplarmente, vecchissimo, nel 1934.
Cfr. CAMILLERI R., I santi militari, Estrella de Oriente ed., Trento 2003, 204-206.
Uno stralcio del diario meteo del p. Angelo Secchi, direttore dell'Osservatorio del
Collegio Romano, con un'ironica annotazione sui fatti del 20 settembre 1870 (fotografia Renzo Lay)