Un principio molto importante nel rapporto tra scienza e fede è il riconoscimento da parte della Chiesa della legittima autonomia della scienza quando si muove nel suo campo e con i suoi metodi. E insieme con questo principio l’osservazione che le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio. Cosí nella Gaudium et spes del Vaticano II (cfr. numeri 36 e 59). È un’autonomia che ben si inquadra in quell’autonomia che Dio creatore ha lasciato alle cose create.
Per contro va riconosciuta da parte della scienza analoga autonomia agli insegnamenti della fede. Quando queste autonomie non sono rispettate sorgono incomprensioni e conflitti, come la storia ci mostra.
Ciò premesso va detto che l’evoluzione dei viventi fa parte delle acquisizioni della scienza e viene considerata un fatto o meglio una serie di eventi che può spiegare tante osservazioni in vari settori della scienza, dalla paleontologia all’embriologia, all’anatomia comparata, alla genetica evolutiva, alla genetica molecolare, alla biologia di popolazioni.
Giovanni Paolo II, che è intervenuto piú volte sull’argomento, nel messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze del 22 ottobre 1996 parlava di teoria evolutiva e non piú di ipotesi come aveva fatto Pio XII. Lo stesso Benedetto XVI si è espresso con parole molto chiare in un incontro con i sacerdoti delle diocesi di Belluno e Treviso ad Auronzo il 24 luglio 2007: “Ci sono tante prove scientifiche in favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell’essere in quanto tale”.
Queste posizioni della gerarchia cattolica non aggiungono nulla a quanto la scienza può dire, ma costituiscono un riconoscimento importante e rasserenante per un credente che guarda con favore all’evoluzione.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica si sofferma molto sulla creazione, ma non affronta il tema dell’evoluzione. Parla però del mondo creato da Dio che è “in stato di via verso la perfezione ultima. Nel disegno di Dio questo divenire comporta con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, con il piú perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni” (310). Sembra quindi lasciare spazio alle cause e agli eventi della natura.
Nello stesso tempo va ricordato che se sull’evoluzione della vita il pensiero degli scienziati è presso che unanime, non altrettanto può dirsi circa le modalità e i meccanismi con cui si è svolto il processo evolutivo.
La teoria piú accreditata resta quella del neodarwinismo o sintesi moderna, che peraltro, alla luce delle nuove scoperte nel campo della genetica evolutiva e di sviluppo e nella paleontologia, appare secondo molti studiosi non adeguata a rispondere a tutti i problemi che si pongono e bisognosa di integrazioni e ampliamenti. Si affacciano nuove vedute che potrebbero combinare insieme aspetti del neodarwinismo e del neolamarckismo, in una nuova visione delle cose.
Sull’argomento c’è da chiedersi se per la riconosciuta, reciproca autonomia della scienza e della Chiesa non ci sia nessun aspetto rilevante su cui la Chiesa non possa esprimersi. E, nel caso che ci fosse, su che cosa e in quali termini possa farlo.
La risposta va cercata su ciò che sta prima della scienza e rende possibile la scienza, e su ciò che sta oltre la scienza, nel senso che le cose hanno in forza del loro rapporto con il Creatore, ambiti che esulano dalla scienza in senso stretto, dalle metodologie delle scienze naturali e hanno piuttosto una connotazione filosofica o teologica.
Questi riferimenti non possono essere contestati dalle scienze empiriche, le quali peraltro non possono rispondere a tutti gli interrogativi che si pongono circa la realtà che ci circonda. Se la scienza volesse fare questo, pretendendo di essere l’unica fonte di conoscenza, assumerebbe una caratteristica totalizzante e scadrebbe nello scientismo.
Riconoscendo i limiti della scienza, nel suo orizzonte di significato e nelle metodologie impiegate, si ammette non solo ciò che sta prima e la rende possibile - l’esistere delle cose e la capacità di conoscerle - ma anche ciò che va oltre la scienza e appartiene all’ordine dei significati.
Si tratta allora di due magisteri, quello della scienza e della fede, indipendenti, fra i quali non può esservi opposizione, se si mantengono ciascuno nel rispettivo ambito? Cosí pensava Stephen Gould. Forse però questa posizione non tiene conto che possono esserci punti di contatto, quando sono trattate le stesse cose, ma sotto profili diversi.
I punti di contatto riguardano soprattutto le interpretazioni degli studiosi che possono sconfinare in campi diversi dal proprio, come di fatto è avvenuto storicamente in varie occasioni, e anche tuttora, quando l’evoluzione viene sostenuta in alternativa alla creazione, o viceversa quando viene negata l’evoluzione per sostenere la creazione, compiendo indebiti salti di corsia.
Non si può assumere la visione evolutiva per asserire che credere in Dio è irrazionale o che non ce n’è alcun bisogno, come affermano Dawkins e altri sulla stessa linea, oppure affermare che Dio non è dimostrabile con i metodi della scienza. Del tutto senza senso la utilizzazione della scienza in chiave ideologica antireligiosa che c’è stata e non è ancora scomparsa.
Su quanto messo in evidenza dalle osservazioni della scienza e tenendo sempre conto del grado di attendibilità, può svilupparsi un dialogo proficuo tra scienza e fede per domande diverse che possono sorgere dalla stessa materia.
Il dialogo può aiutare a purificare le proprie vedute dai possibili sconfinamenti sia da una parte che dall’altra, a stimolare anche a nuove vedute e a integrare le diverse forme di conoscenza. Non sarebbe corretto rifiutare una teoria scientifica - ad esempio il darwinismo - perché non si condividono le deduzioni che alcuni vorrebbero trarne in campo filosofico; come non sarebbe corretto estrapolare da vedute della scienza nozioni e modi di vedere di carattere filosofico o ideologico facendole passare come scienza.
“La scienza può purificare la religione dall’errore e dalla superstizione, mentre la religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai suoi falsi assoluti”, rilevava Giovanni Paolo II nella lettera al direttore della Specola Vaticana, padre George Coyne (1 giugno 1988), in cui si soffermava sulle possibilità e sul significato di un dialogo fecondo tra scienza e teologia. C’è bisogno sia in un campo che nell’altro di un discernimento a cui può contribuire il dialogo. Nello stesso tempo va ricercata quella sintesi delle diverse conoscenze che ogni persona, utilizzando i diversi approcci, può realizzare nella tensione verso la verità.
Alla luce di quanto è stato detto, la Chiesa è interessata al tema dell’evoluzione per quanto l’evoluzione suppone e per il senso che essa può avere andando oltre la dimensione biologica. Non è interessata alle modalità e ai meccanismi evolutivi.
A questo riguardo occorre distinguere tra le posizioni espresse dal magistero della Chiesa e quelle di cattolici. Circa la storia della vita sulla terra vi sono alcuni punti che hanno rilevanza nel pensiero della Chiesa, in forza delle sue competenze per cui legittimamente essa si esprime. Essi riguardano la creazione, il progetto di Dio sul mondo e l’uomo.
Storicamente la visione darwiniana dell’evoluzione è venuta avanti in una certa contrapposizione con il concetto di creazione (Huxley, Haeckel, e cosí via). In campo cattolico la prima reazione fu di difesa con la riaffermazione della creazione. Due concetti, evoluzione e creazione, che oggi non si vedono in opposizione, se mantenuti nel rispettivo ambito, ma che scienziati e teologi hanno a volte trattato in modo contrapposto.
Basterebbe riflettere che uno appartiene alla scienza, l’evoluzione, e l’altro, la creazione, alla filosofia e teologia per ritenere che non sono comparabili e quindi non possono essere in conflitto fra loro. È una distinzione che oggi viene ammessa largamente, ma ha incontrato incomprensioni e difficoltà.
I recenti interventi del magistero della Chiesa riaffermando la creazione non hanno escluso l’evoluzione, come piú sopra ricordato. Ma non c’è solo da riaffermare una distinzione di ambiti, c’è conciliabilità e armonia, perché l’uno e l’altro concetto rispondono a domande diverse circa il tema delle origini e concorrono all’unica verità delle cose. In ciò siamo aiutati dall’approfondimento teologico dell’idea di creazione che si avvale della mediazione filosofica.
Alle attuali aperture del magistero della Chiesa in tema di evoluzione hanno contribuito le ricerche teologiche sulla creazione seguite al Concilio Vaticano II (Rahner, Schoonenberg, De Lubac, Moltmann, Ratzinger, Ganoczy, Ruiz de la Peña, Flick, Martelet, e cosí via). Molto significativo a questo riguardo il documento della Commissione Teologica Internazionale “Comunione e servizio” del 2004, a firma del cardinale Joseph Ratzinger.
Sulla linea di san Tommaso, si riconosce la relazione di dipendenza radicale dell’essere creato, agli inizi delle cose e nell’esistere attuale, e Dio viene visto come causa prima che opera nelle e attraverso le cause seconde, lasciando a esse l’autonomia operativa. Come osserva Dominique Lambert (2006), “la relazione è propriamente metafisica, non si può affatto confondere con una causalità fisica”, in cui si produce qualcosa a partire da quello che preesiste.
Come creazione dal nulla e inizio del mondo, e quindi del tempo, l’idea di creazione appartiene all’insegnamento della Bibbia ed è tra le verità insegnate dalla Chiesa. Secondo san Tommaso, come riferisce lo stesso Lambert, “soltanto la fede stabilisce che il mondo non è sempre esistito, e di ciò non si dà dimostrazione” ed “è oggetto di fede e non di scienza o dimostrazione che il mondo abbia avuto inizio”.
Ora proprio a motivo del contenuto specifico di creazione nulla impedisce di pensare che Dio abbia creato un mondo in evoluzione, con delle capacità di trasformarsi. Molto chiare alcune puntualizzazioni di Giovanni Paolo II a questo riguardo (cfr. Simposio internazionale “Fede cristiana e teoria dell’evoluzione”, 27 aprile 1985).
Un altro punto che fa parte dell’insegnamento della Chiesa è che il mondo, anche quello che si è venuto formando nel tempo per processi evolutivi, abbia un senso nel suo insieme e risponda a un disegno del Creatore. È il tema del finalismo. Ma anche questo esorbita dall’ambito delle metodologie delle scienze empiriche. Esse potranno offrire però osservazioni ed elementi che rimandano a una causa superiore, anche senza dimostrarlo con i metodi delle scienze naturali.
Benedetto XVI parla di razionalità scientifica riconoscibile nell’ordine della natura che si rivela anche nei processi evolutivi. La struttura della materia, l’armonia delle leggi e delle proprietà degli esseri viventi rimandano a una ragione creatrice e ordinatrice. Ciò può essere affermato come conclusione logica, anche se non ha i caratteri di una dimostrazione scientifica. Benedetto XVI insiste nell’affermare che l’universo non si è fatto da sé e non è il frutto del caso, un’affermazione che ha un carattere filosofico e si accorda con quello che la Scrittura insegna. Entra in gioco il concetto di creazione, che, come si è visto, non è una categoria scientifica, ma filosofica e teologica. L’esclusione di una causa superiore, sostenuta dall’estensione di modelli evolutivi presenti in natura, appare una scelta soggettiva, senza un vero fondamento scientifico, quali che siano i motivi che la ispirano.
Va precisato inoltre che le modalità con cui si è formata la razionalità che contraddistingue la realtà che ci circonda - che è realtà creata - e cioè come si sia giunti all’attuale armonia della natura, e come funzioni il sistema della natura non è compito della teologia indagarle, ma della scienza, alla quale può aggiungersi opportunamente la filosofia della natura.
Un terzo punto che ha rilevanza nel magistero della Chiesa riguarda l’uomo, non riducibile a un primate superiore. In forza della sua dimensione spirituale non può essere il puro prodotto di una evoluzione biologica. La presenza dello spirito comporta una volontà positiva del Creatore che si estende al primo uomo come a ogni essere umano attuale, il cui spirito non può derivare o spiegarsi con le potenzialità della materia vivente.
In varie occasioni Giovanni Paolo II ha riaffermato questa verità e parla di un “salto ontologico” tra l’animale e l’uomo (Messaggio del 22 ottobre 1996). È un divario che non può essere colmato dalle pure forze e proprietà della natura fisica. Il carattere trascendente dell’uomo, espresso nell’autocoscienza e nella libertà e documentato dalla cultura, rimanda alla trascendenza del Creatore di cui l’uomo è immagine e conferisce all’uomo dignità e compiti unici nel mondo dei viventi. Attraverso di lui è tutta la creazione che acquista un senso nuovo.
A ben riflettere questi tre punti non entrano in collisione con la teoria dell’evoluzione biologica, perché la creazione e il significato che può assumere l’evoluzione nel suo insieme e con la dimensione spirituale dell’uomo non appartengono all’ordine delle conoscenze empiriche, nel senso che non possono essere dimostrate o escluse con metodologie scientifiche. Di conseguenza è aperto il campo alla riflessione filosofica e teologica.
Quello che il magistero della Chiesa ha evitato ed evita è la spiegazione delle modalità con cui può essersi realizzata nel tempo l’evoluzione, le sue cause e i suoi meccanismi. Spetta alla scienza indagare sulla formazione dell’universo e della vita, compresa la forma umana.
La creazione viene affermata, nella Bibbia, come nel magistero, specialmente nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ma non si dice come sia avvenuta.
Cfr. FACCHINI F., Creazione ed evoluzione concetti complementari: la falsa contrapposizione tra scienza e fede, in L’Osservatore Romano, 4 luglio 2008, s. p.
(*) Mons. Fiorenzo Facchini, sacerdote dell’Arcidiocesi di Bologna, è stato professore ordinario di Antropologia, dal 1976 al 2005, nell’Università di Bologna, e docente di Paleontologia Umana nella Scuola di specializzazione in Archeologia, dal 1985 al 2006. Attualmente è professore emerito della medesima Università. È membro di varie Società scientifiche italiane e internazionali, tra cui L’Istituto Italiano di Antropologia, l’Accademia delle Scienze di Bologna, l’Accademia di Scienze Naturali del Kazakhstan, la New York Academy of Sciences. È stato insignito del Premio internazionale Fabio Frassetto (2002) dell’Accademia dei Lincei per l’Antropologia.
Nelle sue ricerche si è occupato di accrescimento umano, di polimorfismi genetici, di adattamento umano alle alte quote, di paleoantropologia, di culture preistoriche, di studi su popolazioni del Neolitico e della protostoria. In Asia centrale ha organizzato ricerche sull’adattamento ad alte quote nel Kazakhstan e nel Kirghizistan e sugli effetti della modernizzazione nel Kazakhstan.
L’attività scientifica è documentata in circa 400 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali e in vari volumi, tra cui Il cammino dell’evoluzione umana, Jaca Book, Milano, 1985, 1995; Antropologia, Utet, Torino, 1988, 1995; Evoluzione umana e cultura, Ed. La Scuola, Brescia, 1999; E l’uomo venne sulla terra, Ed. San Paolo, 2005; L’avventura dell’uomo. Caso o progetto?, Ed. San Paolo, 2006; Le origini dell’uomo e l’evoluzione culturale, Jaca Book-Città Nuova, 2006; Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede, Jaca Book, 2008; Popoli della Yurta. Kazakhstan tra le origini e la modernità (a cura di), Jaca Book, 2008; La lunga storia di Neanderthal (a cura di Giovanna Belcastro e Fiorenzo Facchini), Jaca Book, 2009; Complessità, evoluzione, uomo (a cura di), Jaca Book, 2011; Evoluzione. Cinque questioni nell’attuale dibattito, Jaca Book, 2012.
N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.