Il 19 novembre scorso [2004] nell'Ospedale militare di Roma "Celio" è deceduto fra' Gianfranco Maria Chiti, combattente in Albania ed in Russia, decorato con la medaglia di bronzo e due Croci di guerra al merito, poi valente comandante dell'Esercito italiano, educatore di giovani soldati, infine frate cappuccino nel convento di san Crispino a Orvieto. Ricordiamo la sua straordinaria figura attraverso le parole del Ministro provinciale dei Cappuccini durante il rito funebre nel Duomo di Orvieto, lunedí 22 novembre. Alla cerimonia erano presenti numerose autorità religiose, militari e civili, e tanta era la partecipazione di sacerdoti, cappellani, frati, soldati e operatori sanitari del "Celio" a testimonianza del grande affetto che tutti nutrivano per fra' Chiti (1921-2004), un uomo che seppe unire la militanza nella fede a quella per la Patria.
Della sua vita sui fronti di guerra, fra' Chiti ha dato una lettura come un'esperienza profonda del suo spirito. "Quando, durante la ritirata, vedevo i corpi dei miei giovani compagni riversi senza vita, mi veniva l'istinto d'inginocchiarmi e baciarli, perché morivano per le colpe di altri, perché erano stati strappati alle loro famiglie, portati in territori lontani a morire. Vedevo in loro l'immagine del Redentore, perché anche la guerra è effetto dei peccati del mondo.
Quando ci incontravamo con gli altri, i nemici, non con le armi in pugno, fra noi non c'era né odio né violenza, ma rispetto, desiderio di aiutarci. Come saremmo ritornati vivi in Italia se non avessimo ottenuto l'aiuto delle donne russe, che ci hanno dato da mangiare quel poco che gli era rimasto, probabilmente perché nei nostri volti vedevano i volti dei loro figli e dei loro mariti che stavano dall'altra parte?" [Messaggero di sant'Antonio, marzo 1984, p. 56].
Ripetutamente fr. Gianfranco ha confidato che quelli sono stati i momenti in cui piú forte ha avvertito la chiamata di Dio alla vita consacrata. "Il desiderio di entrare nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, si è manifestato durante la seconda guerra mondiale e precisamente sul fronte russo e, direi, nel periodo del ripiegamento. Fu soprattutto in quel momento di grande sofferenza per i nostri soldati, per i nostri combattenti, per i soldati impegnati su quel fronte, che trovai nella religione un motivo per superare momenti di grande crisi, per trovare forza e incitamento a cercar di portare il maggior sollievo possibile ai miei fratelli sofferenti di entrambe le parti". A questa scuola delle sofferenza in guerra è dovuta la sua convinzione che "il motivo per cui muore Gesú, è analogo a quello per cui muore il soldato. E Gesú muore non per le colpe sue, ma per il bene e la redenzione dei fratelli. Il soldato non sconta, morendo, colpe sue, ma le sconta da consociato, cioè sconta le colpe della sua gente e dell'intera umanità" [intervista al Tg1, riportata da Il Quadrante, del 31 gennaio 1980]. Si avverte in tutto questo una spiritualità robusta e radicata fortemente nel contesto di vita militare, per cui l'educatore dei giovani Allievi Ufficiali, considerava il servizio militare come "un'occasione unica per scoprire i valori fondamentali, religiosi compresi, (anche se i giovani se ne accorgono a periodo concluso) perché la Caserma è una delle poche scuole di vita rimaste - diceva - dove si affermano a gran voce senza paura, i valori di Dio, della famiglia e della Patria" [Grazia Fuccaro, in La Vita Cattolica del Friuli, 14 marzo 1984]. E gli piaceva applicare ai soldati la beatitudine riservata agli operatori di pace; amava anche ripetere che il Centurione romano di cui parla il Vangelo, suscitò l'ammirazione di Gesú per la sua fede e non il disprezzo per la sua divisa.
Significativo, in questa rilettura dell'esperienza militare di Gianfranco Chiti, l'episodio della costruzione della chiesetta in onore di Maria Assunta in Cielo in Somalia, dove fu dal 1950 al 1954, prima come Comandante del Quartier Generale del Comando delle Forze Armate in Mogadiscio, poi come Comandante di Compagnia Somala. Aveva sorpreso i militari, alle due di notte, ad ascoltare la radio, cosa vietatissima, anche per un risparmio energetico delle batterie. Quando si rese conto che quei ragazzi stavano ascoltando un commento all'Enciclica Fulgens Corona Gloriae di Pio XIΙ sulla Madonna Assunta in cielo, non pensò piú a punirli, ma propose loro di iniziare subito il giorno dopo, al posto di quella tenda la costruzione di una cappella da dedicarsi alla Madonna Assunta in Cielo. Di fatto la costruzione fu completata nel giro di un mese ed inaugurata dall'arcivescovo di Mogadiscio, che vi lasciò il Santissimo Sacramento dell'Eucaristia, affidandolo alla custodia del Comandante Chiti, il quale provvedeva periodicamente a far venire un Cappellano militare per la celebrazione della Messa.
Una volta fra' Chiti ebbe a confidare l'inizio e il lungo travaglio del suo cambiamento di vita, avvenuto di fatto a 57 anni di età: "Avevo sentito una voce nel fiore degli anni, le ho ubbidito da vecchio" [Piero Poggio, in Gente, 3 aprile 1981]. Di questo cambiamento radicale, durante il noviziato stesso ebbe a dire ad un amico che andò a trovarlo: "Sono sempre un soldato, sai. Ho cambiato Milizia, ma sono sempre un soldato, ho soltanto messo il saio sulla mia vecchia tuta mimetica da combattimento" [Albertο Μοrο, Il Granatiere, settembre-novembre 1979]. Nel maggio del 1978, a 58 anni di età - aggiunse piú tardi -, presi l'impegnativa decisione, arruolandomi volontariamente nel francescano Ordine dei Frati Minori Cappuccini, entrando cosí a far parte della scorta personale del Signore Gesú, per accompagnarlo con fedeltà ed amore nelle spirituali battaglie per il trionfo del suo Regno" [Intervista alla Radio Vaticana, 3 marzo 1981].
Ha vissuto, come si può intuire, da questi rapidi cenni, il mutamento di vita, come una continuità di servizio e di fede. A chi gli chiedeva se gli era costato molto cambiare categorie mentali e linguaggio, rispose: «Nessun problema, non li ho cambiati, perché "dentro" è rimasto tutto come prima: la stessa voglia di amare il Signore e di servirlo in qualche modo. Ho cambiato solo "Corpo" e divisa». Ma una certa ritrosia, da buon soldato, ci fu: non gli fu agevole accettare di farsi crescere la barba [Grazia Fuccaro, in La Vita Cattolica del Friuli, 24 marzo 1984].
Da buon francescano, era convinto che "quando si trova un tesoro - e lui lo aveva trovato nella vita di consacrazione tra i cappuccini - non è possibile goderlo se non lo si divide con altri" [Renzo Luzzi Conti, in Il Messaggero Veneto, 14 marzo 1984]. Anche questa fu una delle motivazioni per le quali - nonostante l'età non piú verde - si sottopose alla preparazione spirituale e culturale necessaria per il Sacerdozio.
Con questo spirito, con questo stile, con questa fede, fr. Gianfranco Chiti ha vissuto in pienezza gli anni della sua vita religiosa nel convento di Orvieto, che, oltre ad averlo fatto risorgere materialmente dalle macerie, provocate dall'abbandono e dal tempo, ne ha fatto luogo d'irradiazione spirituale, rendendolo preziosa eredità che i confratelli cappuccini intendono raccogliere, proseguendone l'ispirazione e l'opera. L'Associazione Nazionale dei Granatieri in congedo, lo aveva scelto come "Padre Spirituale", per cui fu sempre in mezzo ai suoi soldati, che lo soprannominarono "frate chilometro": qualunque avvenimento era buono per riimmergersi tra le giovani reclute, soprattutto tra i Granatieri di Sardegna.
Ripetutamente i Superiori lo esortarono a moderare la sua frenetica attività apostolica, che non conosceva limiti di spazi e di tempi. Ma fu tutto inutile, perché fra' Chiti avvertiva sempre il pungolo irrefrenabile di san Paolo, che lasciò scritte queste parole: "Caritas Christi urget nos". E lui, Gianfranco Chiti, che aveva confidato: "Ho sempre amato il Signore", lο ha fatto con fedeltà, sacrificio ed amore, confidando in Dio fino a quando non è stato fermato sulla frontiera della vita, mentre scendeva dal suo eremo di Orvieto, con la macchina, per servire come al solito i fratelli bisognosi.
Ora, il nostro desiderio lo contempla nella Patria del cielo, dove quell'amore verso Dio, che ha dato senso, sapore, luce e vigore alla sua vita di soldato e di consacrato, è divenuto perfetto; lí, in quella Patria "che solo amore e luce ha per confine".
Cfr. In memoria di Gianfranco Maria Chiti generale, frate cappuccino, sacerdote in Il Cursore, 2 (2005), 7.
Il Col. Chiti insieme a mons. Schierano, Ordinario Militare (1981)
Profilo biografico
Gianfranco Chiti nasce a Cignese in provincia di Novara il 6 maggio 1921. Frequenta il Collegio militare di Roma e succesivamente l'81º corso dell'Accademia di fanteria e cavalleria di Modena.
Durante gli anni della seconda guerra mondiale è sottotenente e viene assegnato al reggimento Granatieri. Si trova cosí ad operare nei teatri del fronte greco-albanese e del fronte russo, prima nei ranghi del reparto aviotrasportato (1939) e poi inquadrato nel XXXII Battaglione controcarro autocarrato Granatieri di Sardegna (inviato in Russia dal giugno 1942 all'aprile 1943).
È con questo reparto che vive la tragica esperienza della ritirata di Russia. Ferito per ben due volte, per il servizio svolto nella steppa russa merita una medaglia di bronzo al valor militare - anche per aver riportato a casa gran parte dei suoi granatieri - con la seguente motivazione:
"Comandante di plotone cannoni da 47/32 attaccato da ingenti forze nemiche respingeva piú volte col tiro preciso dei suoi pezzi le masse avversarie attaccanti, cagionando loro perdite gravissime. Esaurite le munizioni e ricevuto dal proprio Comandante di reparto l'ordine di ripiegare con i resti della Compagnia su posizione prestabilita e trovata la strada sbarrata da superiori forze avversarie, munite di numerose armi automatiche, si metteva alla testa di un animoso gruppo, le attaccava decisamente con bombe a mano, e le metteva in fuga, dopo averle decimate, aprendo la via al proprio reparto e facilitando il movimento delle altre forze che seguivano. Ansa di Verch Mamon (fronte russo), 16 dicembre 1942".
Alla fine del secondo conflitto mondiale, dopo essere stato per circa sette anni in Somalia, è nuovamente inquadrato nel 1º Reggimento Granatieri di Sardegna dove ricopre vari incarichi di comando tra i quali quello di comandante del IV battaglione meccanizzato di stanza a Civitavecchia (1966-1967) e quello di vice comandante di reggimento (1968).
Dopo un breve periodo di servizio svolto presso il comando della Regione Militare Centrale di Roma e in seguito alla promozione al grado di colonnello assume il comando della nuova Scuola Sottufficiali di Viterbo.
Nel 1978, già generale, e dopo quaranta anni di servizio, abbandona la carriera militare per intraprendere una nuova strada: quella del sacerdozio. Entra cosí nel convento San Mauro dei Cappuccini, situato nei pressi di Rieti, dove studia teologia e dove si consacra come frate minore, nell'Ordine dei Cappuccini di San Francesco.
Nel 1982 riceve l'ordinazione sacerdotale nel Duomo di Rieti. Nel 1991 viene inviato a Orvieto presso il convento di San Crispino. Padre Gianfranco, grazie all'aiuto della Provvidenza e di tantissimi amici e benefattori lo restaurò facendone un'oasi di meditazione e di raccoglimento spirituale.
Un appuntamento ricorrente era quello della Santa Messa in suffragio di don Alberto Genovese Duca di San Pietro. La funzione religiosa si tiene ogni anno presso la Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma per commemorare e ricordare Alberto Genovese, patrizio sardo, che alla fine del 1700 elargí all'allora Reggimento dei Cacciatori di Sardegna un lascito di 120.000 lire vecchie di Piemonte.
Padre Gianfranco, in seguito a un incidente stradale, è stato ricoverato presso il Policlinico Militare "Celio" di Roma dove è morto il 20 novembre 2004 alle ore 08:30. I funerali sono stati officiati il 22 novembre nel Duomo di Orvieto. La salma è stata tumulata il 23 novembre nel Cimitero di Pesaro.