Parte prima
DISARMARE
I. LA CORSA AGLI ARMAMENTI
Una condanna senza riserve
1990
La corsa agli armamenti, anche quando è dettata da una preoccupazione di legittima difesa, è nella realtà un pericolo e un'ingiustizia per la natura stessa delle armi moderne e per la situazione planetaria (paralisi delle potenze nucleari: infatti non potendo scoppiare un conflitto globale per accordi reciproci, i conflitti limitati si moltiplicano al di fuori della zona di stabilità nucleare):
1991
1. Un pericolo: sia d'impiego, totale o parziale, sia di minaccia, poiché la dissuasione, spinta fino al ricatto, è presa come norma dei rapporti verso le altre nazioni.
1992
2. Un'ingiustizia: Essa costituisce in realtà:
a) una violazione del diritto mediante il primato della forza: l'accumulazione delle armi diviene il pretesto per la corsa ad aumentare la forza al potere;
b) un furto: i capitali astronomici destinati alla fabbricazione e alle scorte delle armi costituiscono una vera distorsione dei fondi da parte dei "gerenti" delle grandi nazioni o dei blocchi meglio favoriti.
La contraddizione manifesta tra lo spreco della sovrapproduzione delle attrezzature militari e la somma dei bisogni vitali non soddisfatti (paesi in via di sviluppo; emarginati e poveri delle società abbienti) costituisce già un'aggressione verso quelli che ne sono vittime. Aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame. Si comprende perciò la condanna del Concilio Vaticano II, fatta sua dal Sinodo del 1974: "La corsa agli armamenti è una delle piaghe piú gravi dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri". "Ogni corsa estenuante agli armamenti diventa uno scandalo intollerabile".
1993
3. Un errore. Uno dei principali argomenti che generalmente si adducono per giustificare la corsa agli armamenti è quello della crisi economica e della disoccupazione che ne deriverebbe se si dovessero chiudere le fabbriche e gli arsenali militari. Ciò sarebbe esatto se si trattasse di un mutamento repentino. Al contrario invece le società industriali hanno prosperato, nonostante le continue riconversioni. La riconversione delle fabbriche e dei mercati militari in fabbriche ed in prodotti civili risultano possibili se ci si preoccupa di una pianificazione graduale nel tempo. Questa sarebbe tanto piú augurabile in quanto darebbe spazio ad impieghi che permetterebbero, per esempio, di iniziare lavori in grande, richiesti dalla necessità di salvaguardare l'ambiente.
1994
4. Una colpa. Il rifiuto ad accettare la riconversione suddetta "si oppone radicalmente allo spirito umano ed ancor piú allo spirito cristiano", giacché non è ammissibile "che non si possa trovare un lavoro per centinaia di migliaia di lavoratori se non adoperandoli per costruire strumenti di morte".
1995
5. Una pazzia. Questo sistema di relazioni internazionali, basato sulla paura, sul pericolo, sull'ingiustizia, costituisce una specie di isterismo collettivo; una pazzia che sarà giudicata dalla storia. È un controsenso, perché è un mezzo non proporzionato al suo fine. La corsa agli armamenti non garantisce la sicurezza.
a) Sul piano degli armamenti nucleari essa non dà una maggiore sicurezza in quanto c'è già sovrabbondanza di strumenti (overkilling); essa crea rischi supplementari, introducendo instabilità suscettibili a rompere "l'equilibrio del terrore".
b) Per quanto riguarda gli armamenti di tipo classico, la loro proliferazione, soprattutto nei paesi del "terzo mondo" (commercio delle armi), crea squilibri regionali e, in tal modo, può essere generatrice di conflitti oppure esca per quelli già in corso.
1996
In ogni caso, sia che si tratti di armi nucleari o di armi di tipo classico, di grandi o di piccole potenze, la corsa agli armamenti è diventata un processo cumulativo, con una sua propria dinamica, indipendentemente dai sentimenti di aggressività, che sfugge al controllo degli stati. È una macchina impazzita.
Si dice spesso a proposito del disarmo che è "una causa logora", "senza mordente" (per via dei numerosi suoi insuccessi; si è persuasi che se ne parli da troppo tempo senza vederne risultati apprezzabili).
Ma non si potrebbe invece affermare che è proprio la causa degli armamenti ad essere logora? Non è forse vero che è proprio il postulato della corsa alle armi che conferisce ogni giorno piú la prova della sua vetustà, del suo carattere anacronistico? Se si prende come norma di successo o d'efficienza degli armamenti la pace che ne consegue, non si dovrebbe parlare piuttosto di uno scacco?
La Chiesa condanna la corsa agli armamenti
1997
Anche il Concilio è categorico sulla questione. Proscrive radicalmente l'impiego delle armi di distruzione totale. Anzi, nei documenti tale impiego incontra la piú esplicita "riprovazione" ivi menzionata.
"Questo sacrosanto Concilio, facendo proprie le condanne della guerra totale, già pronunciate dai recenti sommi pontefici, dichiara: Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato".
In quanto alla dissuasione, "se essa serve, in maniera certo inconsueta, a distogliere eventuali avversari dal compiere atti di guerra" si può vedere tutt'al piú in questo fatto "una tregua... che è stata a noi concessa dall'alto"; insomma, una pausa di cui bisogna "approfittare" e molto presto. Che, in questo campo, il tempo non lavora a nostro vantaggio. "Le cause di guerra anziché venire eliminate da tale corsa, minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente... Anziché guarire veramente, nel profondo, i dissensi tra i popoli, finiscono per contagiare anche altre parti del mondo".
1998
Non si può scorgere allora in questa competizione armata se non una formula di transizione tra "l'antica schiavitú della guerra" e un nuovo sistema, una soluzione nuova, nuove "vie per comporre in maniera piú degna dell'uomo le nostre controversie".
In caso contrario, questa corsa folle mantiene in piedi una pace falsa, una falsa sicurezza. Diviene un fine anziché un mezzo, come si illudeva di essere. Instaura un disordine istituzionalizzato. Costituisce una perversione della pace.
1999
In ogni occasione, opportuna o meno, i cristiani, seguendo il Vicario di Cristo, debbono denunciare questa preparazione scientifica dell'umanità alla propria fine. Debbono ugualmente sensibilizzare l'opinione pubblica sui pericoli sempre piú grandi che conseguono dalle prove nucleari (esplosioni), come pure dal trasporto, dal deposito e dalla disseminazione delle armi atomiche. "L'umanità... che si trova già in grave pericolo (pur avendo compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico), sarà forse condotta funestamente a quel giorno, in cui non altra pace potrà sperimentare se non la pace di una terribile morte".
2000
Si comprende quindi la severità della diagnosi. Agli occhi della Chiesa la situazione presente di una sicurezza presunta deve essere condannata:
1. Nel nome della pace che la corsa agli armamenti non assicura. In particolare quanto alle armi atomiche: Che siano proscritte "queste armi cosí nefaste e cosí disonoranti" e "che sia proscritta... la terribile arte che le sa fabbricare, moltiplicare, conservare per il terrore dei popoli... Preghiamo affinché quel micidiale ordigno non abbia ucciso, cercandola, anche la pace".
2001
2. Nel nome della morale naturale e dell'ideale evangelico. La corsa agli armamenti (alle armi ABC, ma anche alle armi convenzionali moderne), a causa della loro capacità di distruzione scientifica, è contraria all'uomo e contraria a Dio. Bisogna quindi bandire questa corsa folle, in nome della morale, per due ragioni principali:
a) Quando non vi è piú nessuna proporzione tra il danno causato ed i valori che si tenta di salvaguardare, "è meglio subire l'ingiustizia che difendersi". Per lo meno, piuttosto che difendersi con tale mezzo. Difatti esiste sempre il diritto e il dovere di opporre una resistenza attiva, benché senza violenza, alla oppressione ingiusta e ciò in nome dei diritti e della dignità dell'uomo.
b) Quando armarsi non ha piú per fine, almeno per fine principale, la difesa, ma l'aggressione, perde la sua ragione d'essere, la sua giustificazione, la sua legittimità. Questo sta verificandosi proprio ora. La corsa agli armamenti si è trasformata in una corsa ad aumentar forza al potere. È già attualmente un mezzo per imporre alle nazioni piú deboli, e persino ai blocchi antagonisti, il proprio dominio. È dunque al servizio di un autentico imperialismo e di un neocolonialismo e permette alle grandi potenze una nuova spartizione del mondo.
Non si tratta quindi piú soltanto di guerra fredda, ma di un'azione offensiva, di un'aggressione e di un'oppressione inammissibili. "Né la potenza bellica rende legittimo ogni suo uso militare o politico".
2002
- La corsa agli armamenti costituisce una provocazione che spiega - sul piano psicologico, economico, sociale e politico - la comparsa e la moltiplicazione di un'altra competizione: la corsa ai piccoli armamenti. Il terrorismo, difatti, si presenta spesso come l'ultimo mezzo di difesa contro questo abuso di potere delle grandi nazioni e come una contestazione violenta della situazione d'ingiustizia creata o mantenuta mediante azioni o minacce da parte degli stati militarmente piú agguerriti.
2003
- Questo impiego delle armi dominanti da parte delle nazioni industrializzate ha pure come effetto d'impegnare i paesi in via di sviluppo in una simile corsa agli armamenti. Una parte sempre maggiore del bilancio militare di certi paesi meno favoriti ritarda ancor piú la loro crescita economica. Il moltiplicarsi di regimi politici autoritari nel terzo mondo è nello stesso tempo la causa e l'effetto dell'aumento degli acquisti (e quindi delle vendite) di armi da parte delle potenze industrialmente sviluppate.
2004
- Questo impiego delle risorse finanziarie per scopi militari determina, come contraccolpo, un rallentamento o una diminuzione d'aiuti ai paesi meno abbienti. Esso rende sempre piú difficile la riconversione piú e piú volte auspicata e richiesta da Paolo VI nel suo messaggio di Bombay, dalla Populorum progressio, come pure dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes: disarmare per sviluppare.
2005
Ciò non avverrebbe piú se le nazioni che dispongono di mezzi piú cospicui nel campo degli armamenti accettassero infine di rallentare, e poi arrestare, questa corsa alle armi considerata come mezzo di egemonia e non solo di protezione dei beni e delle vite dei loro cittadini.
L'appassionata esortazione di Paolo VI ai rappresentanti dei popoli della terra nel suo discorso all'ONU, il 4 ottobre 1965, resta attuale e valida piú che mai: "Lasciate cadere le armi dalle vostre mani!".
Pertanto, il dovere è altrettanto chiaro come la diagnosi:
- Bisogna fermare la corsa agli armamenti.
- Bisogna tradurre in atto la riduzione degli armamenti.
II. RIDUZIONE DEGLI ARMAMENTI
2006
Inoltre, non è sufficiente limitarsi allo stato presente delle scorte e delle forze armate. Bisogna anche iniziare un disarmo progressivo e controllato in tutte le sue fasi, per garantirne la sicurezza.
Perché ridurre gli armamenti
2007
La riduzione degli armamenti delinea un processo inverso alla corsa agli armamenti: è nel contempo il segno e la causa di una diminuzione della paura e di un ritorno alla fiducia.
Essa dà una maggiore credibilità alla interdizione della forza nelle relazioni internazionali. Permette cosí di assicurare meglio il rispetto del diritto internazionale, e di radicare la pace nella giustizia sia nei rapporti tra le nazioni che all'interno di ognuna di esse.
Essa permette inoltre di garantire la sicurezza a migliori condizioni e di destinare a scopi pacifici le nuove somme di danaro risparmiate in tale modo.
Come disarmare?
2008
I documenti del Magistero indicano un certo numero di criteri affinché il disarmo sia nello stesso tempo giusto ed efficace.
Il disarmo deve essere inteso in maniera tale che la risultante sicurezza sia per lo meno uguale a quella che è assicurata dalla situazione presente.
Il disarmo deve essere progressivo, poiché il passaggio da uno stato all'altro deve essere subordinato alla verifica che gli obblighi contratti siano stati rispettati.
Deve essere controllato con l'ausilio di sistemi di verifica internazionale, atti a garantire il rispetto degli impegni assunti. "Tutti debbono alacremente impegnarsi per far cessare finalmente la corsa agli armamenti, in maniera tale che il disarmo incominci realmente e proceda non unilateralmente, s'intende, ma con uguale ritmo da una parte e dall'altra, in base ad accordi comuni ed assicurato da efficaci garanzie".
2009
a) La storia di questi aggettivi e di altri (disarmo reciproco, simultaneo, garantito istituzionalmente) è legata ad un contesto preciso, contrassegnato dalla concezione della sovranità assoluta degli stati. È ispirata da un'atmosfera di reciproca diffidenza, che comportava il possesso delle armi e l'esercizio di una certa cautela.
Questa vigilanza trova ancora oggi la sua ragione d'essere. "Fin tanto che l'uomo rimarrà l'essere debole, mutevole e persino cattivo come sovente si mostra, le armi difensive saranno purtroppo necessarie".
"Quanta incoscienza si trova a volte nel cuore stesso di talune manifestazioni che si dichiarano pacifiste! E quante menzogne e manovre dominatrici si nascondono sotto determinate pretese di pace!". Questo richiamo di Paolo VI al realismo si ricollega con l'affermazione del Vaticano II: "Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci... non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di stato... hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati...".
Ma se la soppressione delle armi genera insicurezza, il loro possesso esagerato ne genera un'altra, altrettanto grave. Non si tratta quindi di sopprimere, bensí di ridurre.
2010
b) Bisogna tuttavia attenersi letteralmente ai criteri tradizionali del disarmo, indipendentemente dalla solidità della motivazione? L'insuccesso del disarmo non è forse dovuto ad una ripetizione pura e semplice dei criteri giuridici e politici del passato? Ad una specie di entità giuridica immutabile che le potenze interessate tengono in serbo per ritardare la soluzione di questa delicata questione?
La Chiesa, dal canto suo, può rimanere ferma alle sue raccomandazioni ed al suo insegnamento tradizionale?
Non bisogna forse trovare altre soluzioni per uscire da questo circolo vizioso e sfuggire al laccio della diffidenza?
Nel quarto di secolo trascorso dopo la seconda guerra mondiale, un certo numero di riconciliazioni non ha forse messo in causa il postulato secondo cui la sicurezza poggerebbe unicamente sulla potenza militare? Storici e politici non sono forse restati sorpresi nel vedere che i motivi dei grandi scontri storici catastrofici si riducevano a ben poca cosa, e come ugualmente è bastato un nonnulla per mutare l'ostilità in collaborazione? Se la guerra è la congiunzione di due paure, la pace non sarebbe forse il risultato di due atti di fiducia ristabiliti o da ristabilire il piú presto possibile, prima di mettere in moto il processo della "escalation" militare e al fine di limitarlo?
L'ora che viviamo non si presta forse a un tal genere di prospettiva?
I popoli che si abbandonano alla folle corsa degli armamenti, quantitativi e qualitativi, non faranno forse come quei corridori dello stadio che terminano sfiniti? Non è forse giunto il momento di scegliere la direzione opposta e di trasformare la guerra o la minaccia nella conquista e mantenimento della pace?
2011
Il disarmo non è una realtà distinta, un "qualcosa" di separato. Fa parte invece di un insieme. Non c'è dubbio che deve essere considerato in sé e per sé, con metodi propri, in una preoccupazione di chiarezza scientifica, giuridica, politica e spirituale. Postula e richiede tecniche, discipline, uomini preparati. Ad ogni istante però deve essere visto e attuato in intimo legame con le due altre grandi realtà del mondo odierno: lo sviluppo e l'organizzazione della società internazionale. Disarmare, sviluppare, istituzionalizzare: un solo ed identico problema, una sola ed identica soluzione.
Parte seconda
SOSTITUIRE LA GUERRA
I. LA PACE MEDIANTE IL DIRITTO
2012
Disarmare significa perciò fermarsi e ridurre. Ma anche e soprattutto trasferire. Non si distrugge se non ciò che si sostituisce. Si tratta di trasformare, almeno in larghissima parte, la sicurezza nazionale e i suoi strumenti militari, fin qui legati alla volontà di ogni governo, nella sicurezza internazionale.
Questo avverrà se si fa ricorso fiducioso al diritto, come già avviene per gli affari che riguardano la vita interna di ogni paese civile.
1 - Una struttura mondiale: l'ONU e il disarmo
2013
L'enciclica Pacem in terris insiste molto sull'inderogabile necessità "di poteri pubblici, aventi autorità su piano mondiale". La costituzione Gaudium et spes riprende parola per parola lo stesso concetto: "Un'autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficaci poteri per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti".
Il Concilio assegna a questa istituzione indispensabile una funzione che deve essere sostenuta da un'illuminata opinione pubblica:" Preparare quel tempo, nel quale, mediante l'accordo delle nazioni, si possa interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra".
2014
Il Sinodo dei vescovi dell'ottobre 1971 è ancora piú esplicito. Fa il nome dell'organizzazione esistente, dicendo chiaro quello che da essa ci si attende: "Le Nazioni Unite - che in ragione del proprio fine devono promuovere la partecipazione di tutte le nazioni - e gli organismi internazionali siano sostenuti, in quanto costituiscono una prima forma di sistema avente una certa capacità di frenare la corsa agli armamenti, di dissuadere il traffico delle armi, di favorire il disarmo, di risolvere i conflitti con i mezzi pacifici dell'azione legale, dell'arbitrato e della polizia internazionale. È assolutamente necessario che i conflitti tra le nazioni non siano risolti attraverso la guerra, ma siano trovate per essi altre soluzioni che siano conformi alla natura umana".
Paolo VI è altrettanto esplicito: "Noi crediamo nell'ONU. abbiamo fiducia nelle sue possibilità di estendere il dominio della pace e il regno del diritto nel nostro mondo esagitato, siamo pronti ad accordargli tutto il nostro appoggio morale. Sacra è la causa della pace e del diritto. Gli ostacoli che essa incontra non devono far scoraggiare quelli che ad essa dedicano le loro energie; che provengano da circostanze avverse o dalla malizia degli uomini, essi possono e debbono essere sormontati". Molti altri testi potrebbero essere addotti in appoggio dell'asserto.
2 - Convenzioni ed accordi bilaterali e multilaterali
2015
Per agire nel campo del diritto non bisogna attendere tuttavia che siano creati "poteri pubblici aventi autorità su piano mondiale". Gli ultimi tre papi hanno molto scritto e parlato su questo argomento.
Il 30 giugno 1964, il cardinale Cicognani, segretario di stato, in una lettera indirizzata al signor Houari Souiah, delegato algerino alla Conferenza per la denuclearizzazione del Mediterraneo, scriveva: "La Santa Sede ha incoraggiato vivamente le iniziative del disarmo, soprattutto quelle che si propongono di prevenire il pericolo atomico, e fa voti che l'umanità giunga a premunirsene... mediante un accordo sincero e generale, che solo può rendere efficaci tali sforzi... Il Santo Padre fa voti che questo appello sia ascoltato da tutti i responsabili del destino delle nazioni...".
2016
Tre anni dopo, il 27 agosto 1967, Paolo VI precisava come egli avesse approvato il trattato di Ginevra sulla non proliferazione nucleare "senza alcun sottinteso politico" perché segnava "un primo passo" e instaurava "un episodio di concordia e di collaborazione internazionali, senza le quali è impossibile sperare sicurezza e pace nel mondo". Il 24 giugno 1968, il Santo Padre ritornava sulla stessa idea. Si rallegrava che le Nazioni Unite avessero approvato "il testo di un accordo internazionale, inteso a por fine alla proliferazione delle armi atomiche e ad arrestare la corsa agli armamenti nucleari". Risultato ancora imperfetto, ma "primo passo" su una strada che dovrebbe condurre "fino al bando totale delle armi nucleari e al disarmo generale e completo".
3 - Creazione d'istituzioni consacrate al disarmo
2017
Infine, questi accordi e queste convenzioni dovrebbero sfociare nella creazione d'istituzioni nuove, specificamente consacrate al disarmo. Esse costituirebbero elementi base a favore dell'esigenza mondiale di arbitrato e di polizia internazionale, impazientemente attesa (organizzazioni regionali).
II. LA VOLONTÀ POLITICA
2018
Leggi e convenzioni resteranno lettera morta se non sono animate dall'interno da una volontà politica, accompagnata da una strategia di pace.
2019
A. "Si tratta di far uso non di armi militari, anche se giustificate dalla difesa del diritto e della civiltà, ma di armi politiche... per promuovere l'unione dei popoli".
Un anno piú tardi, il Santo Padre riprende la stessa idea, davanti allo stesso uditorio: "Non è forse desiderio generale dell'umanità e suo profondo interesse che i rapporti puramente militari si trasformino sempre piú in rapporti civili?".
1. Questo compito spetta naturalmente e innanzitutto ai governanti. Giovanni XXIII li "scongiura a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano". Il Concilio fa proprio l'appello del Papa: "I vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari, a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti all'umanità intera, l'enorme peso della loro responsabilità".
2. Lo stesso testo afferma ancora che: "I reggitori dei popoli... dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini...; di qui l'estrema urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento dell'opinione pubblica". Il tecnicismo dei problemi della sicurezza nazionale e dell'esercizio dell'autorità, causati dalla "socializzazione" dell'esistenza, fa sorgere il rischio che il potere si isoli dal popolo. Facilmente i governi si troverebbero chiusi nei loro propri determinismi e spinti, loro malgrado, a non piú volere né potere attuare il disarmo, se la pressione dei rispettivi popoli non li obbligasse a rimettere in causa i postulati ereditari della difesa armata o superarmata.
2020
3. Soltanto il buon senso e la pressione dell'opinione pubblica possono impedire che si creino due storie parallele e spesso contraddittorie: quella della civiltà e quella delle tecniche militari o civili disumanizzate.
La funzione delle formazioni politiche (partiti al potere o d'opposizione, stampa influente sull'opinione pubblica, ecc.) dovrebbe essere determinante per orientare la politica estera dei loro governi in un senso pacifico.
4. In questo accordo generale delle nazioni, mediante cui "si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra", gli scienziati occupano un posto importante. Paolo VI lancia loro un appello appassionato od urgente: "Che l'umanità possa riprender coscienza! Che sappia trovare in se stessa, nei suoi capi, nelle sue guide, la forza e la saggezza per respingere con orrore l'uso malefico della scienza distruttrice! Che domandi piuttosto alla scienza il segreto di migliorare se stessa".
In special modo il disarmo non è soltanto un affare di buona volontà. Non s'improvvisa. Esigerà sacrifici, come quando si distrugge un vecchio edificio per far posto ad uno nuovo. La riconversione delle industrie e del commercio delle armi, in particolare, è competenza dei tecnici. Essa esige "consultazioni... coraggiosamente e instancabilmente condotte".
5. Si richiedono inoltre tecniche industriali ed economiche, ma anche tecniche politiche. Che "le assemblee piú alte e qualificate considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti".
2021
B. Per i responsabili del bene pubblico, a tutti i livelli, si tratta dunque di elaborare una strategia del disarmo e della pace scientificamente fondata su analisi oggettive e complete, atte per se stesse ad assicurare la sua credibilità.
Al momento presente, per rendere credibile ogni parola o messaggio sul disarmo e metterlo in consonanza con i "segni dei tempi", sembra che sia necessario:
1. da un lato, riconoscere la difficoltà crescente di certe formule o programmi, quali "il disarmo per lo sviluppo":
a) a causa dell'intensificazione dell'aiuto militare che fa prevedere la crescita di sistemi politici autoritari nel terzo mondo;
b) a causa dell'aumento dei quadri di polizia e degli apparati di sicurezza interna, giustificati dalla lotta contro il terrorismo, il quale tende oggi ad istituzionalizzarsi in una guerra civile larvata.
2022
2. dall'altro lato, avanzare qualche proposta che sia nel senso dell'aspirazione contemporanea ad una politica di disarmo, per esempio:
a) il consolidamento della funzione della polizia internazionale dell'ONU;
b) l'istituzionalizzazione, su scala internazionale, delle misure di polizia contro il terrorismo, diminuendo o evitando di creare un dualismo tra le forze armate, durante questo decennio;
c) l'accesso dei paesi sottosviluppati ai negoziati sul disarmo, come "partners" di eventuali processi di "de-escalation";
d) si suggerisce inoltre, per scoraggiare la tendenza alla corsa agli armamenti: l'interdizione d'accesso al "diritto di prelevamento" (drawing rights) per le nazioni sottosviluppate che aumentano il loro bilancio militare; ed invece, l'accesso prioritario ai finanziamenti internazionali per quei paesi che riducono le loro spese militari a scopi sociali; l'inversione, per un'utilizzazione pacifica, delle entrate dei brevetti d'armamento per costituire fondi per lo sviluppo, ecc.
2023
C. Una "strategia del disarmo" non può restringersi a puri criteri d'efficienza o di rendimento. Essa deve appoggiarsi su una visione etica, culturale e spirituale. Postula per gli anni venturi una riflessione approfondita da parte dei filosofi e dei teologi, in modo speciale della nozione di "legittima difesa", del concetto di "nazione", di "sovranità nazionale", troppo spesso concepita nei termini di un'autarchia assoluta, ecc.
Essa avrà anche bisogno di "profeti" - a patto che siano autentici - di grandi voci, di "araldi" e di galvanizzatori di folle, di "mistici", nel senso ampio e nel senso preciso della parola, per trascinare e mobilitare le energie e il loro potenziale di unità, di dialogo e di cooperazione.
2024
Insomma, il disarmo ha per fondamento e per motore la "fiducia reciproca". Non si può sostituire il ricorso alla guerra se non mediante "una dinamica di pace".
Il disarmo delle armi esige, come condizione prima, non la soppressione, ma la sublimazione degli istinti guerrieri dell'uomo (cacciatore, saccheggiatore, dominatore) in una serie di impegni al servizio della costruzione virile della pace.
Bisogna trovare succedanei alla guerra, proponendo altre guerre da vincere. Il disarmo non può essere disgiunto dagli altri obiettivi di unità, di giustizia, di concordia e di sviluppo di tutta la "famiglia umana".
La vittoria del disarmo non è altro che la vittoria della pace. La sua unica possibilità di riuscita consiste nell'inserirsi nel grande disegno, nella "storia nuova" dell'umanità.
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1974-1976), V, nn. 1990-2024.
__________________
LA SANTA SEDE E IL DISARMO
Signor Presidente,
Signori rappresentanti degli stati membri delle Nazioni Unite,
791
In occasione della sessione speciale che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso di consacrare al problema del disarmo, è giunta a noi l'eco di un'attesa largamente diffusa: non ha la Santa Sede qualche cosa da dire su un argomento di cosí bruciante attualità, e di tanta e cosí vitale importanza per il futuro del mondo?
Senza esser membro della vostra organizzazione, la Santa Sede ne segue con la massima attenzione e con profonda simpatia le molteplici attività e ne condivide le preoccupazioni e le generose intenzioni. Non possiamo quindi restare insensibili a simile attesa.
Cogliamo, pertanto, ben volentieri la possibilità che ci è data di rivolgere ancora una volta la nostra parola all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, cosí come avemmo l'onore di farlo, di persona allora, nell'ormai lontano ottobre del 1965. Si tratta infatti di una circostanza del tutto eccezionale nella vita della vostra organizzazione e per l'umanità intera.
792
1. Veniamo a voi, anche ora, nello spirito e con i sentimenti di quel primo incontro, il cui ricordo è sempre vivo e gradito al nostro spirito. Ricevete il nostro saluto, rispettoso e cordiale.
Veniamo a voi come rappresentanti di una Chiesa che raccoglie nel suo seno diverse centinaia di milioni di persone sparse in ogni continente, ma con la consapevolezza di essere, insieme, l'eco delle aspirazioni e delle speranze di altre centinaia e centinaia di milioni di uomini, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. Noi vorremmo raccoglierla come in un unico immenso coro, che si eleva a Dio ed a quanti da Dio hanno ricevuto la responsabilità delle sorti delle nazioni.
793
2. La nostra vuol essere anzitutto una parola di compiacimento per aver risolto di affrontare decisamente, in questa sede, il problema del disarmo. È un atto di coraggio e di saggezza. È la risposta ad una esigenza gravissima ed urgente.
La nostra è altresí una parola di comprensione. Conosciamo le eccezionali difficoltà che dovete affrontare e ci rendiamo ben conto del peso delle vostre responsabilità, ma abbiamo fiducia nella serietà e nella sincerità del vostro impegno.
La nostra parola vuole essere soprattutto - se ce lo permettete - una parola di incoraggiamento.
Aspirazione alla pace
794
3. Se i popoli mostrano tanto interesse al tema del vostro dibattito è perché giungere al disarmo è per essi, in primo luogo, togliere alla guerra i suoi mezzi; la pace è il loro sogno, la loro piú profonda aspirazione!
La volontà di pace è anche il motivo, nobile e profondo, che vi ha spinto a questa assemblea. Ma, agli occhi degli uomini di Stato, il problema del disarmo si presenta in forma ben piú articolata e complessa.
795
Posto di fronte alla situazione quale essa è, l'uomo di stato si chiede, non senza ragione, se è giusto e possibile disconoscere ai membri della comunità internazionale il diritto di provvedere essi stessi alla propria legittima difesa, e quindi di assicurarsi i mezzi necessari a tale scopo.
Ed è forte la tentazione di domandarsi se la migliore possibile tutela della pace non continui in realtà ad essere assicurata, fondamentalmente, dal vecchio sistema dell'equilibrio delle forze fra i vari stati o gruppi di stati. Una pace disarmata è sempre esposta al pericolo; la stessa debolezza è incentivo ad attaccarla.
796
Su questa tela di fondo, si dice, si potranno e dovranno sviluppare collateralmente gli sforzi intesi, da una parte, a perfezionare metodi e organismi diretti a prevenire e risolvere pacificamente conflitti e contese e, dall'altra, a rendere meno disumane le guerre che non si riesce ad evitare. Allo stesso tempo si potrà e si dovrà cercare di diminuire i rispettivi arsenali di guerra, in modo che, senza rompere gli equilibri esistenti, sia indebolita la tentazione di far ricorso alle armi e siano alleggerite le enormi spese militari.
Questa sembra la via del realismo politico. Essa si richiama alla ragione e all'esperienza. Andar oltre appare a molti tentativo inutile, forse pericoloso.
La corsa agli armamenti pone il problema in termini nuovi
797
4. Diremo subito che ogni progresso sostanziale per migliorare i meccanismi di prevenzione dei conflitti, per eliminare armi particolarmente pericolose e disumane, per abbassare i livelli degli arsenali e delle spese militari, sarà da noi salutato come un risultato estremamente prezioso e benefico.
798
Ma questo non basta ancora. La questione della guerra e della pace si pone oggi in termini nuovi. Non che siano cambiati i principi. L'aggressione di uno stato contro un altro era illecita ieri come lo è oggi. Anche allora un atto di guerra mirante indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti era un "delitto contro Dio e contro la stessa umanità". E la guerra - mentre sono da onorare gli eroismi di quanti in essa sacrificano anche la vita al servizio della patria o di altra nobile causa - è sempre stata, in se stessa, un mezzo supremamente irrazionale e moralmente inaccettabile per regolare i rapporti fra gli stati, salvo restando il diritto della legittima difesa.
799
Ma oggi la guerra può disporre di mezzi che ne hanno "enormemente accresciuto l'orrore e l'atrocità". La logica interna alla ricerca degli equilibri di forze spinge ciascuna delle parti a procurare di assicurarsi un qualche margine di superiorità, nel timore di venirsi a trovare in situazioni di svantaggio. Questa logica, unita ai vertiginosi progressi dell'umanità nei campi della scienza e della tecnica, ha portato alla scoperta di strumenti sempre piú sofisticati e potenti di distruzione. Essi si sono andati accumulando e in forza di un processo quasi autonomo, tendono continuamente a scavalcarsi, quantitativamente e qualitativamente, con enorme dispendio di mezzi e di uomini, sino a raggiungere, già oggi, un potenziale ampiamente capace di annientare ogni vita sul pianeta.
800
Gli sviluppi dell'armamento nucleare sono un capitolo speciale, certo il piú paradigmatico e impressionante, di questa ricerca di sicurezza nell'equilibrio delle forze e della paura. Non si possono dimenticare i "progressi" compiuti e che si possono compiere anche nel settore di altre armi di distruzione di massa o tali da produrre effetti particolarmente lesivi, che si ritengono quindi dotati di particolare forza di "dissuasione".
Ma se "l'equilibrio del terrore" è potuto e può ancora servire per qualche tempo a evitare il peggio, pensare che la corsa agli armamenti possa continuare cosí, indefinitamente, senza provocare una catastrofe, sarebbe una tragica illusione.
Certo, il discorso riguarda soprattutto, almeno direttamente, le grandi potenze con i blocchi che si stringono attorno ad esse; ma ben difficilmente gli altri paesi potrebbero sentirsi non interessati.
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L'umanità è quindi obbligata a rientrare in se stessa ed a chiedersi dove sta andando o, meglio, precipitando; a chiedersi, soprattutto, se il punto di partenza non sia profondamente erroneo e non debba essere, quindi, radicalmente modificato.
I motivi per farlo - di ordine morale, di sicurezza, di interesse proprio e generale - non mancano.
Ma è possibile trovare un sostitutivo alla sicurezza, sia pure tanto insicura e dispendiosa, che ciascuno cerca di garantirsi procurandosi i mezzi per la propria difesa?
Sostituire l'equilibrio della paura con l'equilibrio della fiducia
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5. Pochi problemi appaiono oggi, come quello del disarmo, ineluttabili e difficili. Pochi problemi rispondono tanto ai bisogni e all'attesa dei popoli e sono cosí esposti, nello stesso tempo, a suscitare diffidenza, scetticismo, scoraggiamenti. Pochi esigono, in chi li deve affrontare, una cosí profonda carica ideale e un cosí acuto senso del reale. Suo luogo naturale sembra essere la visione profetica, aperta alle speranze del futuro; oppure non può essere veramente affrontato senza rimanere saldamente appoggiati sulla dura concretezza del presente.
Occorre perciò uno sforzo straordinario di sapienza e di volontà politica, da parte di tutti i membri della grande famiglia delle nazioni, per conciliare esigenze che sembrano contrapporsi ed eliminarsi a vicenda.
803
Il problema del disarmo è, sostanzialmente, un problema di mutua fiducia. Sarebbe dunque vano, in gran parte, cercare possibili soluzioni agli aspetti tecnici del disarmo, se non si riuscisse a sanare alla radice la situazione che serve da humus al proliferare degli armamenti.
Lo stesso terrore delle nuove armi rischia di essere inefficace nella misura in cui non siano garantite, per altra via, la sicurezza degli stati e la soluzione dei problemi che possono contrapporli su punti vitali per essi.
804
È indispensabile quindi, se si vuole - come è necessario - fare passi sostanziali sulla via del disarmo, trovare il modo di sostituire" l'equilibrio della paura" con "l'equilibrio della fiducia".
805
È ciò, praticamente, possibile? E in quale misura? Un primo passo consiste, certo, nel cercare di migliorare con buona fede e buona volontà l'atmosfera e la realtà dei rapporti internazionali, specialmente tra le grandi potenze e i blocchi di stati. In tal modo potranno diminuire i timori e i sospetti che oggi li dividono e sarà piú facile fidarsi della reale volontà di pace reciproca. Si tratta di uno sforzo lungo e complicato, ma che noi vorremmo incoraggiare con tutte le nostre forze.
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La distensione, intesa nel suo senso genuino, basata cioè su una comprovata volontà di mutuo rispetto, è condizione all'avvio di un vero processo di disarmo. A loro volta, misure di disarmo equilibrato e opportunamente controllato aiutano la distensione a progredire e ad affermarsi.
Ma la situazione internazionale è troppo esposta alle mutazioni e ai possibili capricci di volontà "tragicamente libere". Una solida fiducia internazionale suppone, dunque, anche l'esistenza di strutture oggettivamente atte a garantire per vie pacifiche la sicurezza e il rispetto o il riconoscimento del buon diritto di tutti contro la possibile cattiva volontà da parte di qualcuno; un ordine internazionale, cioè, che sia sufficiente a dare a tutti quanto oggi ciascuno cerca di assicurarsi mediante il possesso e la minaccia, quando non l'impiego, delle armi.
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Ma non si rischia di cadere, cosí, nell'utopia? Crediamo di poter e di dover rispondere decisamente: No. Si tratta, certo, di un compito estremamente arduo, ma non inaccessibile alla tenacia e alla saggezza di uomini consapevoli delle proprie responsabilità di fronte all'umanità e alla storia: ma soprattutto davanti a Dio. È necessaria quindi una superiore coscienza religiosa. Anche quanti non hanno Dio come punto di riferimento possono e debbono riconoscere le esigenze fondamentali della legge morale che Dio ha scritto nel cuore degli uomini e che deve regolare i loro mutui rapporti sulla base della verità, della giustizia, dell'amore.
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Mentre gli orizzonti dell'uomo si ampliano smisuratamente oltre i confini del nostro pianeta, ci rifiutiamo di credere che egli - animato da tale coscienza - non sia capace, sia pure a costo di enormi sforzi ed anche di ragionevoli sacrifici di antichi concetti che continuano a dividere fra loro popoli e nazioni, di esorcizzare il demone della guerra, che minaccia di distruggerlo.
Alcune priorità nella strategia della pace e del disarmo
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6. Nel far nostri e nel manifestare nuovamente a voi il voto e le ansie di un'umanità desiderosa e bisognosa di pace, siamo consapevoli che il cammino che deve portare alla costruzione di un nuovo ordine internazionale capace di eliminare le guerre e le loro cause, e di render quindi inutili le armi, non potrà, in ogni caso, esser breve come noi lo vorremmo.
Sarà quindi indispensabile studiare e portar avanti, intanto, una strategia - progressiva ma quasi impaziente, bilanciata ma coraggiosa - della pace e del disarmo, con l'occhio e la volontà fissi sullo scopo ultimo del disarmo generale e completo.
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Non abbiamo competenza o autorità per indicare a voi le linee, i metodi e i meccanismi di una simile strategia, che presuppone in ogni caso la messa a punto di sistemi internazionali di controllo sicuri ed efficaci. Crediamo però che vi è un comune accordo con voi sulla necessità di stabilire alcune priorità nello sforzo inteso a bloccare la corsa agli armamenti ed a ridurre il peso di quelli esistenti:
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a) L'armamento nucleare occupa certamente il primo posto: è la minaccia piú paurosa che grava sull'umanità. Mentre apprezziamo altamente le iniziative prese sinora in questo settore, non possiamo che incoraggiare tutti, e in particolare i paesi che ne hanno maggiore responsabilità, a continuarle ed ampliarle, avendo come scopo finale l'eliminazione totale dell'arsenale atomico. Nello stesso tempo si dovrà trovare il modo di rendere accessibili a tutti i popoli le incalcolabili risorse dell'energia nucleare per il loro uso pacifico.
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b) Seguono nell'ordine le armi di distruzione di massa, già esistenti o possibili, come quelle chimiche, radiologiche o di altro genere e di quelle ad effetto indiscriminato o, per usare un'espressione già assai crudele, eccessivamente e non necessariamente crudele.
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c) Una menzione va fatta anche del commercio delle armi convenzionali, che sono, per cosí dire, il principale nutrimento delle guerre locali o limitate. Di fronte all'immensità della catastrofe che significherebbe per il mondo od interi continenti una guerra combattuta ricorrendo all'intero arsenale delle armi strategiche e di altro genere, tali conflitti possono apparire di minore importanza, se non trascurabili.
Ma le distruzioni e le sofferenze che essi causano alle popolazioni investite non sono inferiori a quelle causate, su ben altra scala, da un conflitto generale. E l'aggravio delle spese in armamenti può soffocare l'economia di paesi spesso ancora sulla via dello sviluppo. Senza contare, poi, il pericolo che, in un mondo divenuto ormai piccolo e nel quale i differenti interessi si intersecano e si contrastano, un conflitto locale possa a poco a poco provocare incendi assai piú vasti.
Una grande speranza
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7. La corsa agli armamenti è motivo di scandalo; alla prospettiva del disarmo è legata una grande speranza. Lo scandalo riguarda la impressionante sproporzione fra le risorse, di denaro e di intelligenza, impegnate al servizio della morte e quelle consacrate al servizio della vita. La speranza è che, diminuendo le spese militari, una parte sostanziale delle immense risorse che esse oggi assorbono possa essere impiegata in un ampio piano di sviluppo mondiale.
Noi condividiamo lo scandalo, facciamo nostra la speranza.
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Nell'aula stessa che ora vi raccoglie ci permettemmo di rinnovare, il 4 ottobre 1965, l'invito lanciato a tutti gli stati, in occasione del nostro viaggio a Bombay nel dicembre precedente, "di devolvere a beneficio dei paesi in via di sviluppo una parte almeno delle economie che si possono realizzare con la riduzione degli armamenti".
Ripetiamo ora, con ancor maggiore forza e insistenza, questo appello, invitando tutti allo studio e all'attuazione di un piano organico, nel quadro dei programmi per la lotta contro le sperequazioni, il sottosviluppo, la fame, le malattie, l'analfabetismo nel mondo. Lo richiedono ragioni di giustizia. Lo consigliano ragioni di interesse generale: perché il progresso di ciascuno dei membri della grande famiglia umana gioverà al progresso di tutti e servirà a stabilire piú solidamente la pace nel mondo.
Tre imperativi
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8. Disarmo, nuovo ordine mondiale, sviluppo: tre imperativi inseparabilmente collegati e che presuppongono essenzialmente un rinnovamento della mentalità pubblica. Noi conosciamo e comprendiamo le difficoltà che essi presentano. Ma vogliamo e dobbiamo fortemente richiamare alla vostra coscienza di uomini responsabili delle sorti dell'umanità i motivi gravissimi per i quali è necessario trovare il modo di vincerle. Non separatevi senza aver posto le basi e dato l'avvio alla soluzione del problema per il quale vi siete riuniti. Domani potrebbe essere troppo tardi.
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Ma voi potete chiederci: la Santa Sede, per parte sua, che cosa può e che cosa vuole fare per aiutare in questo immenso sforzo comune per il disarmo e per la pace? La domanda è legittima. Essa ci pone, a nostra volta, davanti alle nostre responsabilità, di fronte alle quali le possibilità sono purtroppo assai inferiori alla volontà.
La Santa Sede non è una potenza, né ha un potere politico. In un solenne trattato, essa ha dichiarato che "vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli stati e ai congressi internazionali indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale" (Trattato Lateranense, art. 24).
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Partecipi dei vostri problemi, consapevoli delle vostre difficoltà, forti della nostra stessa debolezza, con tutta semplicità vi diciamo; se mai crediate che la Santa Sede possa esser di aiuto per superare ostacoli che si frappongano sul cammino della pace, essa non si schermirà dietro la ragione della propria a-temporalità, non si tirerà indietro per evitare la responsabilità che un intervento, desiderato e richiesto, può comportare, Troppo stima la pace, troppo la ama!
In ogni caso noi continueremo a proclamare ben alto, senza stancarci, senza scoraggiarci, il dovere della pace, i principi che ne regolano il dinamismo, i mezzi per conquistarla e difenderla, rinunciando alle armi che minacciano di ucciderla mentre pretendono di servirla.
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Conoscendo la forza di un'opinione pubblica che sia alimentata da solide convinzioni ideali radicate nella coscienza, noi continueremo a cooperare per educare vigorosamente la nuova umanità alla pace, per ricordare che non potrà esservi disarmo delle armi se non vi sarà disarmo dei cuori. Continueremo a pregare per la pace. Frutto della buona volontà degli uomini, ma esposta continuamente a pericoli che la buona volontà non sempre riesce a superare, la pace è sempre apparsa all'umanità soprattutto come un dono di Dio. A lui noi la chiederemo: donaci la pace. E a lui chiederemo di guidare i vostri lavori, perché i loro risultati, immediati e futuri, non abbiano a deludere la speranza dei popoli.
Dal Vaticano, 24 maggio 1978.
Paolo Pp. VI
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1977-1979), VI, 791-819
_________________
RIDUZIONE DEGLI ARMAMENTI EQUILIBRATA, SIMULTANEA, CONTROLLATA
Signor Presidente,
signore e signori rappresentanti degli stati membri.
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1. Nel giugno 1978, quando si riuní la prima sessione straordinaria dell'assemblea generale delle Nazioni Unite sul disarmo, il mio predecessore, Papa Paolo VI, inviò ad essa un messaggio personale in cui esprimeva le sue speranze nei risultati che ci si potevano attendere da un tale sforzo di buona volontà e saggezza politica da parte della comunità internazionale.
Quattro anni dopo eccovi riuniti nuovamente per chiedervi se queste attese siano state, almeno in parte, corrisposte.
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La risposta a tale domanda non sembra essere troppo rassicurante né troppo incoraggiante. Un raffronto della situazione di quattro anni fa con quella odierna in materia di disarmo permette di rilevare ben pochi miglioramenti. Alcuni pensano addirittura che vi sia stato un peggioramento, almeno nel senso che le speranze nate allora potrebbero oggi presentarsi come semplici illusioni. Questa constatazione potrebbe facilmente indurre allo scoraggiamento e spingere i responsabili dei destini del mondo a cercare altrove la soluzione dei problemi - particolari o generali - che continuano a turbare la vita dei popoli.
Molti vedono in questi termini la situazione attuale. Cifre provenienti da fonti diverse indicano un serio aumento delle spese militari, che si traduce in una maggiore produzione di diversi tipi d'arma, cui, secondo alcuni istituti specializzati, corrisponde una nuova spinta al commercio delle armi. I mezzi di informazione hanno ultimamente concentrato gran parte della loro attenzione sulla ricerca e l'uso su grande scala delle armi chimiche. D'altra parte sono comparse nuove armi nucleari.
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Davanti ad un'assemblea tanto competente non è necessario esporre quelle cifre che proprio la vostra organizzazione ha pubblicato. Mi basterà, a titolo indicativo, citare lo studio secondo cui il totale delle spese militari del pianeta corrisponde ad una media di centodieci dollari per persona all'anno, cifra che rappresenta, per molti abitanti di questo pianeta, il reddito di cui dispongono per vivere nello stesso periodo.
Dinanzi ad un simile stato di cose, esprimo volentieri la mia soddisfazione per il fatto che le Nazioni Unite si siano riproposte di affrontare il problema del disarmo, e sono riconoscente della possibilità cortesemente offertami di rivolgervi la parola in questa occasione.
201
Benché non sia membro della vostra organizzazione, la Santa Sede ha in essa da qualche tempo una sua missione permanente di osservazione che le permette di seguirne giornalmente le attività. Nessuno ignora quanto i miei predecessori apprezzassero i vostri lavori. Ho avuto io stesso occasione, soprattutto durante la mia visita alla sede dell'ONU, di far mie le loro parole di stima nei confronti della vostra organizzazione. Come loro, comprendo le vostre difficoltà e, pur formulando il voto che i vostri sforzi siano ricompensati da migliori e piú importanti risultati, riconosco il vostro ruolo prezioso e insostituibile al fine di garantire al mondo un futuro piú sereno e pacifico.
È la voce di uno che non ha interessi né poteri politici, né, ancor meno, forza militare, quella che la vostra cortesia mi permette di far risuonare nuovamente in quest'aula. Qui, dove praticamente convergono le voci di tutte le nazioni, grandi e piccole, la mia parola reca in sé l'eco della coscienza morale dell'umanità allo stato puro, se mi permettete l'espressione. Non è accompagnata da preoccupazioni o interessi di altra natura, che potrebbero velarne la testimonianza e renderla meno credibile.
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Una coscienza illuminata e guidata dalla fede cristiana, indubbiamente, ma che per questo non è meno profondamente umana, anzi, al contrario. Si tratta dunque di una coscienza comune a tutti gli uomini di buona e sincera volontà.
La mia voce si fa l'eco delle angosce, delle aspirazioni, delle speranze e dei timori di miliardi di uomini e donne che, da ogni latitudine, guardano alla vostra assemblea domandandosi se ne verrà, come sperano, una qualche luce rassicurante, o una nuova e preoccupante delusione. Senza averne ricevuto da tutti il mandato, credo di potermi fare l'interprete fedele dei loro sentimenti presso di voi.
Non voglio né posso entrare negli aspetti politici e tecnici del problema del disarmo quale si presenta oggi, ma mi si permetterà di attirare la vostra attenzione su qualche principio etico che è alla base di ogni discussione e decisione auspicabile in tale ambito.
Il mondo ha bisogno di pace
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2. Il mio punto di partenza si radica in una constatazione unanimemente ammessa non solo dai vostri popoli, ma anche dai governi che presiedete o rappresentate: il mondo desidera la pace, il mondo ha bisogno di pace.
Oggi rifiutare la pace non significa solo provocare le sofferenze e le perdite che comporta - oggi piú di ieri - una guerra, pur limitata, ma potrebbe significare anche la distruzione totale di intere regioni con la minaccia possibile o probabile di catastrofi dalle dimensioni ancora piú vaste, addirittura universali.
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I responsabili della vita dei popoli sembrano impegnati soprattutto in una febbrile ricerca delle vie politiche e delle soluzioni tecniche che permettano di "contenere" gli effetti di eventuali conflitti. Pur dovendo riconoscere i limiti dei loro sforzi in questo senso, persistono su questa strada, tanto è diffusa la convinzione che a lungo termine le guerre siano inevitabili, e tanto, anche e soprattutto, lo spettro di un possibile scontro militare tra i grandi campi che dividono il mondo continua oggi ad assillare il destino dell'umanità.
Certo, nessuna potenza o nessun uomo di stato ammetterà mai di voler progettare una guerra o prenderne l'iniziativa. Tuttavia la reciproca sfiducia fa ritenere o temere che altri nutrano disegni o intenzioni del genere, cosicché ciascuno sembra non prospettarsi altra soluzione possibile, se non necessaria, che quella di preparare una forza difensiva sufficiente a rispondere ad un eventuale attacco.
Il mondo ha bisogno di disarmo
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3. Molti stimano, anche, che una tale preparazione costituisca un cammino alla salvaguardia della pace, o almeno una via capace di ostacolare nel modo migliore e piú efficace lo scatenamento di grandi conflitti che potrebbero comportare il supremo olocausto dell'umanità e la distruzione della civiltà che l'uomo ha conquistata laboriosamente nel corso dei secoli.
Questa è ancora la "filosofia della pace", come si può ben vedere, enunciata dal vecchio adagio Romano: "Se vuoi la pace, prepara la guerra".
Tradotta in termini moderni questa "filosofia" ha assunto il nome di "dissuasione" e ha preso la forma della ricerca di un "equilibrio delle forze" che talora si è chiamato, non senza ragioni, "equilibrio del terrore". Come ha osservato il mio predecessore Paolo VI: "La logica interna alla ricerca degli equilibri di forze spinge ciascuna delle parti a procurare di assicurarsi un qualche margine di superiorità, nel timore di venirsi a trovare in situazioni di svantaggio" (Messaggio all'assemblea generale dell'ONU, 24 maggio 1978: Insegnamenti di Paolo VI, XVI, 1978, § 452).
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Cosí praticamente è facile la tentazione - e sempre presente il pericolo - di vedere trasformarsi la ricerca di un equilibrio in ricerca di una superiorità tale che rilanci in modo ancor piú pericoloso la corsa agli armamenti.
Ecco la tendenza che di fatto sembra continuare a prevalere oggi, e forse in modo ancor piú accentuato di prima. E voi vi siete proposti, come scopo specifico di questa assemblea, di cercare in che modo sia possibile invertire questa tendenza.
Questo obiettivo può apparire ancora "minimalista", per cosí dire, ma riveste un'importanza fondamentale perché solo una simile inversione può far sperare che l'umanità si metterà per la via che conduce al fine tanto auspicato da tutti, anche se molti lo considerano sempre un'utopia: un disarmo totale, reciproco e circondato da tali garanzie di controllo effettivo, che sia in grado di dare a tutti la fiducia e la sicurezza necessarie. Dunque questa seduta straordinaria riflette anche un'altra constatazione. Cosí come la pace, il mondo desidera anche il disarmo. Il mondo ha bisogno del disarmo.
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Del resto tutto il lavoro svolto nel comitato per il disarmo, in diverse commissioni o sotto-commissioni o nell'ambito dei governi, cosí come l'attenzione dell'opinione pubblica, testimoniano del peso attribuito attualmente al difficile problema del disarmo.
La convocazione stessa di questa assemblea racchiude un giudizio: le nazioni del mondo sono già troppo armate e troppo impegnate in politiche che rafforzano questa tendenza. Implicitamente questo giudizio esprime la convinzione che una tale tendenza sia erronea e che le nazioni del mondo che hanno imboccato questa strada devono ripensare la loro posizione.
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Ma la situazione è complessa e entrano in gioco numerosi valori, di cui alcuni del piú alto livello. Si possono esprimere punti di vista divergenti. Bisogna dunque affrontare i problemi con realismo e onestà.
Per questo in primo luogo prego Dio perché vi conceda la forza di spirito e la buona volontà richieste per compiere il vostro lavoro e fare avanzare nella misura del possibile la causa della pace, scopo ultimo di tutti i vostri sforzi durante questa sessione straordinaria. La mia parola è dunque parola di incoraggiamento e di speranza. Incoraggiamento a non lasciare che le vostre energie siano indebolite dalla complessità dei problemi o dai fallimenti del passato e del presente. Parola di speranza perché sappiamo che solo gli uomini capaci di speranza sono in grado di avanzare pazientemente e tenacemente verso i fini degni dei migliori sforzi e verso il bene di tutti.
La Santa Sede e la pace
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4. Forse nessun problema tocca tanti aspetti della condizione umana quanto quello degli armamenti e del disarmo. Esso comporta aspetti scientifici e tecnici, aspetti sociali e economici. Include anche gravi questioni di natura politica che concernono i rapporti tra stati e tra popoli. I nostri sistemi mondiali di armamento influenzano inoltre in gran parte gli sviluppi culturali. A coronamento del tutto intervengono le questioni spirituali che riguardano l'identità stessa dell'uomo e le sue scelte per il futuro e per le generazioni avvenire. Offrendovi le mie riflessioni ho presenti tutte queste dimensioni tecniche, scientifiche, sociali, economiche, politiche e soprattutto etiche, culturali e spirituali.
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5. Dalla fine della seconda guerra mondiale e gli inizi dell'era atomica, la Santa Sede e la Chiesa cattolica hanno assunto una posizione molto netta. La Chiesa ha cercato continuamente di contribuire alla pace e di costruire un mondo in cui non si debba ricorrere alla guerra per risolvere le divergenze. Ha incoraggiato il mantenimento di un clima internazionale di reciproca fiducia e cooperazione. Ha appoggiato le strutture suscettibili di garantire la pace. Ha ricordato gli effetti disastrosi della guerra. Man mano che aumentavano i mezzi di distruzione e di morte, ha segnalato i pericoli che cosí si correvano e, oltre ai danni immediati, ha indicato i valori da promuovere per sviluppare la cooperazione, la reciproca fiducia, la fraternità e la pace.
Già nel 1946 il mio predecessore, Papa Pio XII, si era riferito alla "potenza dei nuovi mezzi di distruzione" che riconduceva il problema del disarmo al centro delle discussioni internazionali con tratti completamente nuovi (Messaggio al collegio dei cardinali, 24.12.1946).
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I papi successivi e il Concilio Vaticano II hanno proseguito la riflessione adattandola al contesto dei nuovi armamenti e del controllo degli stessi. Se gli uomini si rivolgessero a questo compito con buona volontà e se nel loro cuore e nei loro progetti avessero la pace come obiettivo, potrebbero essere trovate misure adeguate, elaborate strutture appropriate per assicurare ad ogni popolo la legittima sicurezza nel reciproco rispetto e nella pace, e cosí gli arsenali della paura e della minaccia diverrebbero superflui. L'insegnamento della Chiesa cattolica è dunque chiaro e coerente. Deplora la corsa agli armamenti, chiede a tutti almeno una loro progressiva riduzione, reciproca e verificabile, cosí come anche maggiori precauzioni contro possibili errori nell'uso delle armi nucleari. Allo stesso tempo la Chiesa reclama per ogni nazione il rispetto dell'indipendenza, libertà e legittima sicurezza.
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Desidero assicurarvi circa la costante preoccupazione della Chiesa, e circa gli sforzi che non mancherà mai di produrre finché gli armamenti non saranno del tutto controllati, la sicurezza di tutte le nazioni garantita, e finché i cuori degli uomini non saranno guadagnati alle scelte etiche capaci di garantire una pace durevole.
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6. Vengo ora alla discussione che vi occupa, riguardo alla quale si deve in primo luogo riconoscere che nessuna componente degli affari internazionali può essere considerata a sé, separatamente dai molteplici interessi delle nazioni. Tuttavia una cosa è riconoscere l'interdipendenza dei problemi, altra cosa sfruttarli per trarne partito su di un altro piano. Gli armamenti, le armi nucleari e il disarmo sono troppo importanti in se stessi e per il mondo perché divengano parte di una strategia che ne sfrutti l'importanza a favore di un uomo politico o di altri interessi.
Non resta che il negoziato
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7. È dunque importante considerare attentamente con la prudenza e l'obiettività che meritano tutte le proposte serie che mirano a contribuire al disarmo reale e a creare un migliore clima. Anche passi minimi hanno un valore che trascende il loro aspetto materiale e tecnico. Quale che sia l'ambito considerato, oggi abbiamo bisogno di nuove prospettive e di disponibilità ad un ascolto rispettoso e ad un attento accoglimento delle indicazioni oneste di tutti coloro che si occupano con responsabilità di affari tanto controversi.
A tale proposito si presenta quello che chiamerei il problema della retorica. Un ambito tanto teso e gravido di tanti inevitabili pericoli non può prestarsi a divenire occasione di alcun discorso forzato, di alcuna posizione provocatrice. Il compiacersi nella retorica, in un vocabolario acceso e appassionato, in minacce velate e in contro-minacce e manovre sleali non può che esacerbare la difficoltà dei problemi che richiedono un esame sobrio e attento. D'altra parte i governi e i loro responsabili non possono condurre gli affari di stato in modo indipendente dai desideri dei loro popoli. La storia delle civiltà ci offre esempi spaventosi di quel che accade quando si tenta una simile esperienza. Ora, i timori e le preoccupazioni di numerosi gruppi in diverse parti del mondo rivelano che le persone sono sempre piú spaventate del pensiero di quel che succederebbe se degli irresponsabili scatenassero una guerra nucleare.
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Cosí, un po' dovunque, si sono sviluppati dei movimenti per la pace. In numerosi paesi questi movimenti, divenuti estremamente popolari, sono sostenuti da una parte crescente di cittadini, di diversa estrazione sociale, di ogni età e di varia formazione, specialmente da giovani. Le basi ideologiche di questi movimenti sono molteplici. I loro progetti, le loro proposte, le loro politiche variano grandemente e spesso possono prestare il fianco a strumentalizzazioni di parte. Ma, al di là delle divergenze di forma, vi è un desiderio di pace profondo e sincero.
Perciò non posso non associarmi al vostro progetto di appello all'opinione pubblica per far nascere una vera coscienza universale sui terribili rischi della guerra, una consapevolezza che dovrebbe comportare, a sua volta, un generalizzato spirito di pace.
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8. Nelle condizioni attuali, una dissuasione fondata sull'equilibrio - non certo concepito come un fine in se stesso, ma come una tappa sulla via del disarmo progressivo - può ancora essere considerata come moralmente accettabile.
Tuttavia, per assicurare la pace, è indispensabile non accontentarsi del minimo, che è sempre minacciato dal pericolo reale di esplodere.
Che fare allora? In mancanza di un'autorità soprannazionale quale era stata già auspicata dal Papa Giovanni XXIII nella sua enciclica Pacem in terris e che si era sperato di trovare nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'unica soluzione realistica davanti alla minaccia della guerra resta ancora il negoziato. Qui vorrei ricordarvi una parola di s. Agostino che già altre volte ho citato: "Uccidete la guerra con le parole della trattativa, ma non uccidete gli uomini con la spada". Anche oggi riaffermo davanti a voi la mia fiducia nella forza di trattative leali per arrivare a soluzioni giuste ed eque. Tali trattative richiedono pazienza e costanza e devono tendere precisamente ad una riduzione degli armamenti equilibrata, simultanea e controllata internazionalmente.
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Volendo essere ancor piú precisi, sembra che l'evoluzione in corso porti verso una crescente interdipendenza dei tipi di armamenti. Come è possibile, in tali condizioni, prevedere una riduzione equilibrata, se le trattative non coinvolgono tutto l'insieme delle armi? A questo riguardo, la continuazione dello studio di un "Programma globale di disarmo", che la vostra organizzazione ha già intrapreso, potrebbe facilitare il necessario coordinamento delle varie istanze e raggiungere risultati piú veri, equi ed efficaci.
La politica degli equilibri non basta
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9. In realtà, le armi nucleari non sono gli unici mezzi di guerra e di distruzione. La produzione e la vendita di armi convenzionali attraverso il mondo costituiscono un fenomeno effettivamente allarmante e, come sembra, in piena espansione. Dei negoziati sul disarmo non potrebbero essere completi se ignorassero che l'80 per cento delle spese per le armi riguarda armi convenzionali. D'altra parte, sembra che il loro traffico si sviluppi a ritmo crescente e si orienti di preferenza verso i paesi in via di sviluppo. Ogni passo fatto e ogni iniziativa intrapresa per limitare tale produzione e traffico e per sottoporli a controllo sempre piú effettivo, costituisce un contributo significativo alla causa della pace.
Avvenimenti recenti hanno confermato la potenza distruttiva delle armi convenzionali e le deplorevoli condizioni cui si condannano gli stati tentati di farvi ricorso per dirimere le loro controversie.
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10. Ma la considerazione degli aspetti quantitativi degli armamenti, tanto nucleari che convenzionali, non basta. Si deve porre un'attenzione del tutto speciale al loro perfezionamento perseguito grazie a nuove tecnologie, le piú avanzate: infatti questa è proprio una delle dimensioni essenziali della corsa agli armamenti.
Ignorarlo significherebbe lasciarsi illudere e offrire solo inganni agli uomini bramosi di pace.
La ricerca e la tecnologia devono essere sempre poste al servizio dell'uomo. Ai giorni nostri troppo frequentemente se ne usa ed abusa per altri fini. Rivolgendomi il 2 giugno 1980 agli uomini di scienza e di cultura dell'assemblea dell'UNESCO, ho ampiamente sviluppato questo tema. Mi sia permesso anche oggi di suggerire che una percentuale non indifferente dei fondi stanziati per la tecnologia e la scienza degli armamenti sia destinata allo sviluppo dei meccanismi e dispositivi che garantiscono la vita e il benessere degli uomini.
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11. Nel suo discorso all'Organizzazione delle Nazioni Unite, il 4 ottobre 1965, Papa Paolo VI proclamò una profonda verità, quando disse: "La pace non si costruisce solo per mezzo della politica e dell'equilibrio delle forze e degli interessi. Ma essa si costruisce con lo spirito, le idee, le opere della pace". I frutti dello Spirito, le idee, i frutti della cultura e le forze creatrici dei popoli sono finalizzate alla condivisione. Le strategie della pace che rimanessero a livello tecnico e scientifico, che stabilissero degli equilibri e la verifica di controlli, non potrebbero garantire una pace vera, se non nella misura in cui fossero stabiliti e rafforzati i legami tra i popoli. Stabilite dei legami che uniscano i popoli insieme. Datevi gli strumenti che conducano i popoli a condividere le loro culture e i loro valori. Abbandonate tutti gli interessi meschini che mettono una nazione alla mercé di un'altra sul piano economico, sociale o politico.
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In questo stesso spirito i lavori di esperti qualificati che mettono in rilievo il rapporto tra disarmo e sviluppo meritano di essere studiati e posti in atto. Non è una cosa nuova prospettare un transfert di risorse finanziarie investite nello sviluppo degli armamenti verso lo sviluppo dei popoli, ma non per questo l'idea perde senso, e la Santa Sede l'ha fatto propria da tempo. Ogni risoluzione dell'Assemblea generale in questa direzione riceverebbe dovunque l'approvazione e l'appoggio degli uomini e delle donne di buona volontà.
Lo stabilirsi di legami tra i popoli significa la riscoperta e la riaffermazione di tutti i valori che rafforzano la pace e che uniscono i popoli in armonia; significa anche il rinnovamento di quanto di meglio c'è nel cuore dell'uomo che è alla ricerca del bene altrui nella fraternità e nell'amore.
Una lotta su due fronti
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12. Vorrei aggiungere un'ultima considerazione: la produzione e il possesso di armi sono la conseguenza di una crisi etica che rode la società in tutte le sue dimensioni, politica, sociale e economica.
La pace, ho ripetuto piú volte, è il risultato del rispetto dei principi etici. Il vero disarmo, quello che garantirà la pace tra i popoli, non giungerà che con il risolversi di questa crisi etica.
Cosí che se gli sforzi per la riduzione degli armamenti, poi del disarmo totale, non saranno accompagnati, in parallelo, da un riordino etico, saranno votati fin dall'inizio allo scacco.
Tentare di rimettere a posto il nostro mondo, eliminarne la confusione degli spiriti, prodotta dalla sola ricerca degli interessi e dei privilegi o dalla difesa di pretese ideologiche, questo è il compito affatto prioritario se si vuole giungere ad un progresso nella lotta per il disarmo. Altrimenti ci si contenterà di apparenze.
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La vera causa della nostra insicurezza si trova infatti in una crisi profonda dell'umanità. Vale la pena di creare, tramite la sensibilizzazione delle coscienze all'assurdità della guerra, le condizioni materiali e spirituali che diminuiranno le stridenti ineguaglianze e che ridaranno a tutti un minimo di libertà di spirito.
La coabitazione di garantiti e non-garantiti non può piú essere sopportata in un mondo in cui la comunicazione è tanto rapida quanto generalizzata, senza che nasca il risentimento e si volga in violenza. Del resto anche lo spirito ha i suoi diritti primordiali e inalienabili; giustamente li rivendica nei paesi in cui gli manca lo spazio bastante a vivere in serenità secondo le sue convinzioni.
Invito tutti i combattenti per la pace a impegnarsi in questa lotta per l'eliminazione delle vere cause dell'insicurezza degli uomini, di cui la terribile corsa agli armamenti è uno degli effetti.
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13. Invertire la tendenza della corsa agli armamenti significa condurre una lotta parallela su due fronti: da una parte una lotta immediata e urgente dei governi per ridurre progressivamente e in modo uguale le armi, d'altra parte una lotta piú paziente, ma non meno necessaria, a livello della coscienza dei popoli per por mano alla causa etica della insicurezza generatrice di violenza, cioè le disuguaglianze materiali e spirituali del nostro mondo.
Senza pregiudizi di sorta, uniamo tutte le nostre forze razionali e spirituali, di uomini di Stato, di cittadini, di responsabili religiosi, per uccidere la violenza e l'odio e cercare i sentieri della pace.
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La pace è lo scopo supremo dell'attività delle Nazioni Unite. Deve essere quello di ogni uomo di buona volontà. Sfortunatamente ancora ai nostri giorni tristi realtà oscurano l'orizzonte della vita internazionale e causano tante sofferenze, distruzioni e preoccupazioni, che potrebbero far perdere all'umanità qualsiasi speranza di essere capace di controllare il proprio avvenire nella concordia e collaborazione dei popoli. Malgrado il dolore che pervade la mia anima, mi sento autorizzato, anzi, obbligato a riaffermare solennemente davanti a voi cosí come davanti al modo quel che i miei predecessori cosí come io stesso abbiamo spesso ripetuto in nome della coscienza, della morale, dell'umanità e di Dio:
- La pace non è un'utopia né un ideale inaccessibile né un sogno irrealizzabile;
- La guerra non è una calamità inevitabile;
- La pace è possibile;
- E perché possibile, la pace è un dovere. Un dovere grave. Una responsabilità suprema.
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La pace è certo difficile; esige molta buona volontà, saggezza, tenacia. Ma l'uomo può e deve far prevalere la forza della ragione sulle ragioni della forza.
La mia ultima parola è dunque ancora una volta una parola di incoraggiamento e di esortazione. E dato che la pace, affidata alla responsabilità degli uomini, resta tuttavia dono di Dio, essa si risolve anche in preghiera a colui che tiene nelle sue mani il destino dei popoli.
Vi ringrazio dell'attività che svolgete per far progredire la causa del disarmo: disarmo dei congegni di morte e disarmo degli spiriti.
Che Dio benedica i vostri sforzi.
E che questa assemblea possa passare alla storia come segno di consolazione e di speranza.
Dal Vaticano, 7 giugno 1982.
Giovanni Paolo II
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1982-1983), VIII, 198-226.
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IL DISARMO PER LO SVILUPPO
Signor Presidente,
signore e signori rappresentanti degli stati membri,
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1. La terza sessione straordinaria dell'Assemblea generale dedicata al disarmo, alla quale ho l'onore di indirizzare questo messaggio, si riunisce in un momento in cui non pochi segni nella vita internazionale lasciano sperare in una conclusione positiva degli sforzi intrapresi per progredire, in virtú di un effettivo disarmo, sulla via della cooperazione e della pace.
La comunità internazionale appare comprensibilmente incerta, oggi, tra l'inquietudine di fronte ai conflitti locali che si inaspriscono e la speranza che in particolare è suscitata dalla determinazione delle due grandi potenze dell'emisfero nord di giungere a nuovi accordi sul disarmo.
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Ma il progetto di disarmo non raggiungerà il suo scopo se l'aspirazione alla pace non sarà condivisa da tutte le nazioni e se esse stesse non desidereranno impegnarsi tutte in un processo comune di riduzione delle tensioni e delle minacce di guerra. La pace richiede, per sua stessa natura, un approfondimento dei valori etici che forniscono la coesione ai rapporti tra i popoli e tra gli stati. Perché la pace diventi realtà, è importante che l'umanità faccia appello alle sue piú profonde e piú universali risorse spirituali.
L'invito del vostro stimato segretario generale a rivolgermi alla vostra assemblea, che segue quelli fatti al mio predecessore Paolo VI nel 1978 e a me nel 1982, mostra d'altro canto l'importanza che voi attribuite a questi aspetti, in rapporto ai quali la Santa Sede gode di un titolo universalmente riconosciuto per far udire la sua voce.
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È naturale che un tema come il disarmo, cosí intimamente legato alla causa della pace, abbia da sempre attirato l'attenzione della Santa Sede. I principi morali che la Chiesa attinge al Vangelo e che sono radicati nella coscienza di tutti gli uomini, sono validi, ai suoi occhi, per tutte le comunità umane e in tutte le circostanze. La pace è un bene al quale ogni essere umano aspira, a prescindere dalle sue radici culturali e dal sistema sociale cui appartiene.
Il fine del disarmo è la pace
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2. Il disarmo non è fine a se stesso. Il fine è la pace, di cui la sicurezza è uno dei fattori essenziali. Ebbene, l'evoluzione dei rapporti internazionali, oggi, fa emergere che il disarmo è una condizione essenziale, se non la prima, della sicurezza, perché apre la strada, per un fenomeno di sinergia, al sorgere di altri fattori di stabilità e di pace. Effettivamente, a nessuno sarà sfuggito che il tipo di sicurezza su cui si poggia il nostro pianeta da diversi decenni - quello dell'equilibrio del terrore attraverso la dissuasione nucleare -, è una sicurezza a troppo alto rischio. Questa presa di coscienza deve spingere le nazioni a inaugurare al piú presto una nuova fase dei loro rapporti, quella stessa a cui voi lavorate in vista dell'eliminazione definitiva dello spettro di una guerra nucleare e di ogni conflitto armato.
L'eliminazione progressiva, equilibrata e controllata delle armi di distruzione di massa e lo stabilizzarsi dei sistemi di difesa dei diversi paesi al livello piú basso possibile di armamenti, è un obiettivo sul quale bisognerà che si ottenga il consenso necessario, come primo passo verso la crescita della sicurezza.
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3. La seconda sessione straordinaria dedicata al disarmo non poté arrivare ai risultati attesi, in gran parte, sembra, a causa delle tensioni allora esistenti nelle relazioni Est-Ovest. Il miglioramento, cui stiamo assistendo, di queste stesse relazioni non può che ripercuotersi in maniera favorevole sugli sforzi dell'intera comunità internazionale. La firma del trattato di Washington nel dicembre scorso deve essere accolta come una grande novità, soprattutto perché i contraenti stessi hanno dichiarato, come confermato dal loro incontro al vertice in corso a Mosca, che si trattava solo dell'inizio, e non di un punto d'arrivo, sulla strada del disarmo effettivo.
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Se i negoziati tra le due superpotenze autorizzano a sperare, a breve scadenza, nella conclusione di nuovi accordi di disarmo, questi successi non permettono di dimenticare l'importanza di un approccio multilaterale complementare alla questione del disarmo: al contrario, non fanno che sottolinearla. Questo approccio ha il merito di intensificare gli sforzi in vista del disarmo sotto tre aspetti, in quanto permette:
- di esaminare tutti gli aspetti interdipendenti del disarmo, non solo nucleare, ma anche chimico e convenzionale;
- di impegnare tutte le nazioni perché si assumano le proprie responsabilità nell'elaborare e applicare misure di disarmo;
- di rafforzare il consenso attorno ai principi etici da osservare e alla priorità da dare a un'azione internazionale concreta.
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Sebbene sia meno facile da gestire del negoziato bilaterale, soltanto il dialogo multilaterale e globale permette di far emergere in tutta la sua complessità la posta che nel disarmo è in gioco. Diventerà subito evidente che, se il processo di disarmo ha come fine la sicurezza e la pace, esso non può ignorare le cause profonde che condizionano la pace.
L'impegno per il disarmo non può dunque riguardare solo qualche paese né concentrarsi su un solo tipo di armamenti. Deve mirare a far scomparire tutte le minacce che pesano sulla sicurezza e sulla pace, a livello locale come a livello mondiale.
Disarmo totale senza restrizioni
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4. Deve essere adottato un piano di disarmo totale senza restrizioni, con la volontà di passare per lo meno da una pericolosa situazione di sovra-armamento offensivo a una situazione di equilibrio degli armamenti al piú basso livello compatibile con la sicurezza comune.
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a) La prima decisione che si impone è evidentemente quella di fermare la corsa agli armamenti. Questa esigenza riguarda tanto i produttori quanto gli acquirenti di armi. Certo, fino a quando i vari paesi saranno obbligati a dotarsi di mezzi di difesa adeguati a dissuadere da un'eventuale aggressione o a respingerla, è inevitabile che li modernizzino o li rinnovino. Ma al di là di questa soglia, ogni aumento o perfezionamento degli armamenti ipotecherà la possibilità stessa di arrivare all'obiettivo desiderato, e dunque deve essere decisamente evitato.
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b) Si tratta, piuttosto, di procedere alla riduzione equilibrata o all'eliminazione delle armi esistenti. È quanto le due superpotenze hanno dichiarato di voler fare, proponendosi di dimezzare i loro arsenali strategici. Bisogna augurarsi che il movimento innescato possa affermarsi ed estendersi a tutti i paesi, prendendo rapidamente in considerazione le minacce che gli squilibri tattici, convenzionali e non, fanno ancora pesare.
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c) Le discussioni che si svolgono in seno alla conferenza per il disarmo a proposito dell'eliminazione delle armi chimiche hanno registrato un certo progresso, del quale non ci si può che augurare che sfoci in una nuova convenzione internazionale. Se c'è un settore in cui si impone un accordo internazionale, è proprio il settore di questo tipo di armi indegno dell'umanità. Il fatto che quest'arma sia potuta arrivare al livello recentemente utilizzato, mostra l'urgenza di ricerche piú avanzate per meglio precisare i metodi di controllo internazionale che garantiscano non solo che le armi chimiche non saranno piú prodotte, ma anche che i contingenti esistenti siano distrutti. È importante che tutti gli stati aderiscano ufficialmente, senza eccezioni, a una tale convenzione. Per tutti, la rinuncia alle armi chimiche, come d'altra parte alle armi batteriologiche e a tutte le armi di distruzione di massa, è in primo luogo una questione morale.
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d) La minaccia costituita dal commercio delle armi, le cui nefaste conseguenze si fanno sentire nelle guerre prolungate tra paesi in via di sviluppo, non può qui essere passata sotto silenzio. Se il diritto è impotente nella difesa dei paesi deboli, è compito della società internazionale, in base alla Carta della vostra organizzazione, prendere misure appropriate atte a prevenire potenziali aggressioni.
Nuova filosofia delle relazioni internazionali
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5. Tutti gli sforzi internazionali di disarmo devono trarre efficacia dai principi fondamentali della convivenza pacifica. È in questo senso che, mentre guardavo con soddisfazione, il 1 gennaio 1985, alla ripresa dei negoziati per il disarmo fra le due grandi potenze, suggerivo di dare vita a una «nuova filosofia delle relazioni internazionali», che orientasse l'azione in una doppia direzione:
- da una parte, invitare gli stati a rimettere in discussione i loro egoismi nazionali e le loro ideologie espansionistiche, che li spingono ad auto-affermarsi senza tenere conto della diversità e della paura degli altri;
- dall'altra parte farsi carico solidalmente delle condizioni profonde della pace, che sono il rispetto dei diritti dell'uomo e lo sviluppo.
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La riduzione e l'eliminazione delle armi non sono, in effetti, che il risultato visibile di un altro, piú profondo processo di disarmo, quello delle coscienze e dei cuori, secondo l'espressione già utilizzata dai miei predecessori.
Peraltro, quasi nessuno dubita che al disarmo debba affiancarsi un'intensificazione dello sforzo per lo sviluppo. La conferenza internazionale che si è tenuta nel 1987 presso la sede della vostra organizzazione sul tema delle relazioni tra il disarmo e lo sviluppo, ha avuto il risultato di costatare, tra l'altro, che il disarmo effettivo può creare un nuovo clima favorevole ai trasferimenti di risorse e di tecnologie verso i paesi in via di sviluppo. Trasferire capitali e conoscenze che creano occupazione e migliorano le condizioni d'esistenza degli uomini, rappresenta un contributo alla sicurezza piú efficace che non il vendere armi.
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Il disarmo per lo sviluppo è un problema di scelta etica e di volontà politica concertata. Mi auguro vivamente che la comunità internazionale faccia questa scelta, poiché il disarmo per lo sviluppo, comportando la riduzione delle disparità tra il nord e il sud, indebolirebbe nello stesso tempo una delle cause di squilibrio mondiale tra le piú cariche di minacce per la pace.
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6. La causa della pace richiede dunque oggi, in modo prioritario, non tanto un di piú di conoscenze strategiche o tecnologiche, ma un di piú di coscienza e di forza morale. Le piú alte tradizioni religiose e filosofiche cui fanno riferimento i popoli che rappresentate, contengono sufficienti risorse spirituali per dare impulso e coraggio a tutti coloro che non si stancano di costruire e ricostruire la convivenza pacifica tra le nazioni. La «nuova filosofia delle relazioni internazionali» a cui ho alluso, non è sinonimo di utopia, ma è ispirata dal supremo realismo della solidarietà e della speranza.
Dio benedica i vostri sforzi per assicurare al mondo la pace!
Dal Vaticano, 31 maggio 1988.
Giovanni Paolo II
Cfr. Enchiridion Vaticanum, Documenti della Santa Sede (1988-1989), XI, 698-713.
N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.