Uomo del consenso universale.
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I. "Splendeva come stella fulgida nel buio della notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre": con queste parole Tommaso da Celano ha presentato s. Francesco d'Assisi, del quale fu il primo biografo.
Mi piace rinnovare tale elogio, mentre si celebra la memoria dell'ottavo centenario della nascita di questo illustre uomo. In verità io già il 3 ottobre 1981 ho invitato per radio ad aprire l'anno dedicato alla celebrazione di tale memoria, parlando ai numerosi membri delle quattro famiglie francescane, alle religiose e a quanti altri seguono il padre serafico nella via della vita, raccolti nella Basilica di S. Pietro in Vaticano per le sacre celebrazioni vigiliari, come pure piú di recente ai tanti fedeli riuniti nella Chiesa cattedrale di Assisi su invito del vescovo di quella sede. Ma ora, quasi a proseguire quel discorso, mi propongo con questa lettera di mettere in luce alcuni punti del magistero evangelico con esso enunciati, ed esporre a voi e, per mezzo vostro, a quanti piú possibile la novità che esso sembra offrire agli uomini del nostro tempo.
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Nel libro I fioretti di s. Francesco si legge che un giorno frate Masseo, uno dei primi compagni del poverello, rivolse al santo questa domanda: "Perché a te tutto il mondo viene dietro?". A otto secoli dalla nascita di s. Francesco, questa domanda conserva tutta la sua attualità. Appare, anzi, piú giustificata oggi che allora. Non solo, infatti, è andata ingrossandosi, in questi otto secoli, la schiera di coloro che hanno seguito da vicino le orme di Francesco, abbracciando la regola di vita da lui tracciata, ma anche l'ammirazione e la simpatia di tutti gli uomini, anziché affievolirsi col passare del tempo - come suole avvenire nelle cose umane -, si sono fatte sempre piú profonde e universali, lasciando un'impronta indelebile, nella spiritualità cristiana, nell'arte, nella poesia, e in quasi tutte le espressioni della civiltà occidentale. La nazione italiana, che ha avuto il privilegio di donargli i natali, lo ha eletto suo principale patrono, insieme con l'altra grande sua figlia, Caterina da Siena. Il suo nome ha varcato, poi, i confini d'Europa, tanto che a ragione si possono applicare a lui le parole del vangelo: "dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che egli ha fatto".
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Francesco appare come l'uomo del consenso universale, nel senso che tutti gli uomini che sono venuti a conoscenza del suo tenore di vita si accordano nel ritenere pienamente valido il modello di umanità da lui realizzato. Di qui l'opportunità di riporci, in questo anno centenario, l'ingenua domanda di frate Masseo: perché tutto il mondo va dietro a Francesco d'Assisi?
Una prima risposta a tale domanda sembra potersi esprimere cosí: gli uomini ammirano e amano il santo d'Assisi perché vedono realizzate in lui, in maniera esemplare, quelle cose alle quali essi maggiormente anelano, senza tuttavia riuscire spesso a raggiungerle nella propria esistenza, e cioè la gioia, la libertà, la pace, l'armonia e la riconciliazione tra di loro degli uomini e delle cose.
In tutti vede dei fratelli.
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II. E in verità tutte queste cose e altre ancora brillano con singolare splendore nella vita del poverello di Assisi.
Anzitutto la gioia. Francesco è conosciuto come l'uomo della perfetta letizia. Durante tutta la sua vita, "il suo piú alto e appassionato impegno fu quello di possedere e conservare in se stesso la gioia spirituale".
Spesso, narrano le fonti, non riusciva a contenere dentro di sé l'impeto della gioia e allora usciva in esclamazioni di giubilo alla maniera dei giullari, mimando con pezzi di legno i suonatori di viola e cantando in francese le lodi di Dio. La gioia di Francesco è figlia dello stupore con cui egli, nella semplicità e innocenza del suo cuore, sa contemplare ormai tutte le cose e gli avvenimenti; ma è figlia, soprattutto, della speranza che c'è nel suo cuore e che gli fa esclamare: "Tanto è il bene ch'io aspetto che ogni pena m'è diletto".
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Francesco non usa quasi mai la parola libertà, ma tutta la sua vita fu, in realtà, una straordinaria espressione di libertà evangelica.
Tutti i suoi atteggiamenti e le sue iniziative traducono l'interiore libertà e spontaneità dell'uomo che ha fatto della carità la sua legge suprema e che è perfettamente radicato in Dio. Uno dei tanti segni di ciò si ha nella libertà da lui lasciata ai suoi frati, in accordo con il vangelo, di potersi cibare di ogni cosa che venisse loro posta innanzi.
La libertà di Francesco non si oppone all'obbedienza alla Chiesa e anzi "a ogni umana creatura", ma, al contrario, scaturisce proprio da essa. In lui brilla di singolare luce l'ideale originario dell'uomo, di essere libero e sovrano nell'universo, nell'obbedienza a Dio. Qui risiede anche la straordinaria familiarità e docilità delle creature tutte nei confronti del poverello, per cui gli uccelli si fermano ad ascoltare la sua predica, il lupo - secondo la nota leggenda - si ammansisce alla sua parola e il fuoco stesso diventa "cortese" con lui, mitigando il suo ardore. "Camminando per la via dell'obbedienza e della perfetta sottomissione alla volontà divina - scrive il suo primo biografo - egli si meritò sí grande potere da farsi obbedire dalle creature". La libertà di Francesco fu, poi, soprattutto, frutto della sua povertà volontaria che lo affrancò da ogni cupidigia terrena e ansietà, facendo di lui uno di quegli uomini che - al dire dell'apostolo - "non hanno nulla e invece posseggono tutto".
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Oltre che l'uomo della perfetta letizia e della libertà, Francesco d'Assisi è rimasto nella memoria dell'umanità come il santo della pace e della fraternità universale. La radice ultima della pace di Francesco è Dio stesso, al quale egli si rivolge in preghiera con le parole: "Tu sei la mansuetudine, tu sei la sicurezza, tu sei la pace". Essa, tuttavia, ha preso una forma e dei contenuti umani in Gesú Cristo, il quale è diventato "la nostra pace"; in lui - scrive il santo citando le parole di s. Paolo - "tutte le cose che sono in cielo e in terra sono state pacificate e riconciliate a Dio". "Il Signore ti dia la pace" fu il saluto che Francesco, per divina rivelazione, rivolse a tutti gli uomini. Egli fu davvero, secondo la parola evangelica, "un operatore di pace"; infatti "tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace". Riportò la pace tra i diversi ceti sociali di una stessa città in lotta sanguinosa tra di loro, mettendo in fuga, con la sua preghiera, i demoni fautori di discordia; ristabilí la pace tra città e città; tra clero e popolo e anche, secondo la leggenda, tra uomini e fiere. La pace, secondo Francesco, passa attraverso il perdono; ecco perché volendo indurre alla pace il podestà e il vescovo di Assisi in lite tra di loro, fece aggiungere al suo Cantico di frate sole le note parole: "Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore".
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Francesco non vede in nessun uomo un nemico, ma in tutti vede dei fratelli. Questo lo portò a superare tutte le barriere del suo tempo e ad annunciare l'amore di Cristo perfino ai saraceni, realizzando un albore di quello spirito di dialogo e di ecumenismo tra uomini di diversa cultura, razza e religione che appare come una delle piú belle conquiste dei nostri tempi. Francesco estese, anzi, questo sentimento di fraternità universale a tutte le creature anche inanimate: al sole, alla luna, all'acqua, al vento, al fuoco, alla terra, che chiamò, rispettivamente, fratelli e sorelle e che circondò sempre di delicato rispetto e tenerezza. "Abbracciò - è scritto di lui - tutti gli esseri creati con un amore devoto quale non si è mai udito, parlando loro del Signore ed esortandoli alla sua lode". In considerazione di questo fatto e per venire incontro ai desideri di quanti si preoccupano giustamente ai giorni nostri della preservazione di un ambiente umano sulla terra, con lettera apostolica del 29 novembre 1979, ho dichiarato s. Francesco d'Assisi celeste patrono di tutti i cultori dell'ecologia. L'atteggiamento di Francesco costituisce, però, nello stesso tempo, la migliore testimonianza che non si salvano le creature e gli elementi della terra da un'ingiusta e dannosa manomissione, se non considerandoli nella luce biblica della creazione e della redenzione, come creature, cioè, affidate alla responsabilità, non al capriccio, dell'uomo e che, insieme con lui, attendono di essere, esse pure, "liberate dalla schiavitú della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio".
Giunse alla gioia attraverso la sofferenza.
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III. Ho ricordato fin qui alcune delle cose per le quali l'umanità intera è fiera di Francesco d'Assisi e non cessa di tributargli la sua ammirazione: la gioia, la libertà, la pace e la fraternità universale. Se, però, ci fermassimo qui, non si tratterebbe, appunto, che di una sterile ammirazione, che poco o nulla avrebbe da insegnare all'uomo d'oggi circa il modo di raggiungere quegli stessi beni. Sarebbe come voler cogliere i frutti, senza passare attraverso il tronco e la radice dell'albero.
Perché questa celebrazione centenaria di Francesco lasci davvero un segno nelle coscienze, occorre risalire alla radice e scoprire per quale via tali meravigliosi frutti fiorirono nella vita del poverello. La pace, la gioia, la libertà e l'amore non si trovarono, infatti, riuniti nell'animo di Francesco per un fortunato caso o dono di natura, ma grazie a una decisione e a un processo drammatico che egli racchiude nell'espressione "fare penitenza" e che cosí descrive all'inizio del suo Testamento: "Il Signore concesse a me, frate Francesco, d'incominciare cosí a far penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo".
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"Fare penitenza", o "vivere in penitenza" è l'espressione che piú frequentemente ricorre negli scritti del santo e che meglio riassume tutta la sua vita e la sua predicazione. In un momento decisivo della sua nuova vita, egli aprí il libro del vangelo ed ebbe da Cristo una parola che segnò tutto il resto dei suoi giorni: "Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso". Il rinnegamento di sé fu la via attraverso cui Francesco trovò la sua "vita". Egli giunse alla gioia attraverso la sofferenza, alla libertà attraverso l'obbedienza e il totale rinnegamento di se stesso, all'amore per tutte le creature "odiando se stesso", cioè, secondo il linguaggio evangelico, vincendo l'egoismo. A frate Leone egli spiegò un giorno, andando per via, che la vera e perfetta letizia consiste nell'abbracciare, per amore di Cristo, ogni sorta di pena e di tribolazione.
"Vivere nella penitenza" significò, per Francesco, riconoscere, in tutta la sua gravità, la realtà del peccato, vivere in un costante pentimento davanti a Dio ed esprimere concretamente questo suo interiore pentimento e dolore attraverso una severa ascesi, fino a sentire il bisogno, prima di morire, di chiedere perdono "a frate corpo" per la durezza con cui l'aveva trattato in vita.
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Tutta questa via seguita da Francesco si riassume, nel linguaggio cristiano, in una parola: la croce. Francesco d'Assisi fu ed è, per la Chiesa, un richiamo perentorio alla centralità del kerygma della croce. Si direbbe quasi che Dio volle servirsi del Poverello per piantare nuovamente l'albero di vita "in mezzo alla piazza della città", cioè in mezzo alla Chiesa. Per questo, recatomi in pellegrinaggio sulla tomba del santo, in questo anno centenario della sua nascita, ho sentito il bisogno di pregarlo con queste parole: "Il segreto della tua ricchezza si nascondeva nella croce di Cristo... insegnaci, cosí come l'apostolo Paolo ha insegnato a te, a non avere «altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesú Cristo»".
Il Crocifisso accompagnò Francesco dall'inizio alla fine della sua nuova vita, fino a segnarlo anche esteriormente, sulla Verna, con l'impressione delle sacre stimmate e fare cosí di lui "una rappresentazione al vivo del Crocifisso". Tutto in lui è modellato sul Cristo crocifisso; anche la sua povertà radicale ha come movente ultimo la sequela del Crocifisso. Vicino alla morte, Francesco riassunse la sua straordinaria esperienza spirituale con queste semplici ma profondissime parole: "Conosco Cristo povero e crocifisso!". In realtà, egli visse, dal momento della sua conversione, in uno stato di permanente stigmatizzazione.
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Ritornando perciò alla domanda iniziale: "Perché a te tutto il mondo viene dietro?", ora sappiamo che la risposta è contenuta nelle parole di Cristo: "Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Sí, tutti gli uomini sono attirati da Francesco d'Assisi, perché egli, a imitazione del suo divino Maestro, ha accettato di essere "elevato da terra", cioè crocifisso, cosí da non essere piú lui a vivere, ma Cristo in lui, secondo la parola dell'apostolo.
A un mondo come il nostro proteso con tutte le sue forze al superamento della sofferenza, ma che non vi riesce e anzi sembra precipitare in un'angoscia tanto piú profonda quanto piú si sforza di eliminare quelle che ritiene le cause principali della sofferenza stessa, Francesco d'Assisi, senza molte parole, ma con la straordinaria credibilità della sua vita, ricorda la via cristiana a questo traguardo che consiste nel vincere, attraverso la partecipazione alla Croce di Cristo, la causa ultima della sofferenza e dell'ingiustizia che è il peccato e soprattutto il peccato dell'egoismo. Crocifiggendo in sé il proprio "io" vecchio, l'uomo supera il punto morto dell'individualismo che tende ad asservire ogni cosa al proprio interesse, rompe, per cosí dire, il cerchio della vetustà e della morte ed entra in un nuovo cerchio che ha per centro Dio e per confini tutti i fratelli. Diventa, insomma "nuova creatura" in Cristo.
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In questo senso l'anno dedicato alla memoria della nascita di s. Francesco che sta per concludersi costituisce una provvidenziale preparazione al sinodo dei vescovi che si terrà nel 1983 sul tema: "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa". Egli che conobbe per esperienza la straordinaria fecondità racchiusa nella decisione di "fare penitenza" ottenga anche a noi, cristiani di oggi, il dono di comprendere che non si diventa uomini nuovi, che conoscono la gioia, la libertà e la pace, se non riconoscendo il peccato che c'è in noi, accettando di passare attraverso un vero pentimento e facendo poi "frutti degni di penitenza".
Carisma e missione profetica.
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IV. Non posso terminare questo mio omaggio a s. Francesco nell'VIII centenario della sua nascita, senza ricordare anche il suo speciale attaccamento alla Chiesa e i vincoli di filiale devozione e di amicizia che lo legarono ai romani pontefici del suo tempo.
Convinto che chi non costruisce con la Chiesa "disperde", il poverello si preoccupò, fin dal principio, di mettere la sua opera sotto l'approvazione e la protezione della "Santa Romana Chiesa", "affinché - come scrisse nella sua Regola sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, l'umiltà e il santo vangelo del Signore nostro Gesú Cristo".
Di lui scrisse il suo primo biografo che "riteneva sacrosanto dovere osservare, venerare e seguire in tutto e sopra ogni cosa gli insegnamenti della santa Chiesa romana, nella quale soltanto si trova la salvezza. Rispettava i sacerdoti e nutriva grandissimo amore per l'intera gerarchia ecclesiastica".
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La Chiesa rispose a questa fiducia del poverello accordandogli non solo l'approvazione della sua Regola, ma testimoniandogli, altresí, una speciale stima e benevolenza. Di tale amore di Francesco per la Chiesa ho parlato nel messaggio radiofonico per l'apertura di questo anno centenario, dicendo tra l'altro che "il carisma e la missione profetica di frate Francesco furono quelli di mostrare concretamente che il vangelo è affidato alla Chiesa e che deve essere vissuto e incarnato primariamente ed esemplarmente nella Chiesa e con l'assenso e il sostegno della Chiesa stessa".
Le circostanze attuali della vita della Chiesa invitano, però, a considerare piú da vicino come si concretizzò, nella pratica, questa partecipazione attiva di Francesco alle vicende della Chiesa del suo tempo. Francesco visse in un'epoca caratterizzata da un grande sforzo di rinnovamento liturgico e morale della Chiesa che ebbe il suo punto culminante nel concilio ecumenico Lateranense IV del 1215. Non pochi ritengono che il poverello fosse presente personalmente alle assise di tale concilio; è certo, in ogni caso, che egli mostrò, in seguito, di essere perfettamente al corrente degli ideali e delle decisioni conciliari e di voler mettere la sua persona e la sua opera al servizio del progetto di rinnovamento elaborato dal concilio. Ai canoni di tale concilio e a una lettera del papa Onorio III, si ispira manifestamente, usando talvolta le stesse parole, l'appassionata crociata eucaristica che il santo intraprese a favore di un maggiore decoro nelle chiese, dei tabernacoli e dei vasi sacri e soprattutto a favore di un rinnovato amore per "il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesú Cristo".
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Piú ancora, Francesco fece suo il programma di rinnovamento penitenziale enunciato dallo stesso papa Innocenzo III, nel suo discorso di apertura del concilio Lateranense. In tale discorso, il grande pontefice invitava tutta la cristianità, e specialmente il clero, a un rinnovamento attraverso la conversione e la riforma dei costumi e, ispirandosi al testo profetico di Ezechiele 9, indicava nel Tau (l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, avente la forma di una croce) il contrassegno di coloro che "hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri" e che piangono e gemono sulla ribellione del mondo contro Dio: "Chi porta tale segno sulla fronte diceva il pontefice - ha già sottomesso le proprie azioni al potere della croce".
Francesco raccolse dalle labbra del pontefice romano questo invito alla purificazione e al rinnovamento della Chiesa e lo fece suo. Da quel giorno - è stato notato - cominciò a nutrire singolare devozione al segno del Tau; con esso firmava i suoi biglietti autografi, come quello a frate Leone, lo incideva sulle celle dei frati, ne parlava nelle sue esortazioni, "quasi che - conclude s. Bonaventura, scrivendo la vita del Santo - tutto il suo impegno fosse, come dice il profeta, nel segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi a Cristo sinceramente".
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Questi e altri indizi mostrano che Francesco volle mettere umilmente la sua opera al servizio del programma di rinnovamento proposto dalla gerarchia della Chiesa. A questo programma conciliare, egli diede l'appoggio insostituibile della sua santità. Essendosi prima reso totalmente disponibile allo Spirito, mediante l'assimilazione al Crocifisso, egli divenne un tramite attraverso cui lo Spirito stesso agí nella Chiesa per rinnovarla dall'interno ed essa fosse "santa e senza macchia". Tutto, il poverello faceva - come amava dire lui stesso - "per divina ispirazione", cioè mosso dal fervore dello Spirito santo; egli non si ferma alle forme e alle leggi, ma in ogni cosa ricerca - secondo l'espressione giovannea a lui tanto cara -" Spirito e vita". Da qui la straordinaria efficacia rinnovatrice della sua persona e della sua vita. Egli fu un autentico promotore di rinnovamento della Chiesa, non per via di critica, ma per via di santità.
La Chiesa di oggi vive un momento simile, per certi aspetti, a quello in cui visse s. Francesco. Il concilio ecumenico Vaticano II ha lanciato un vasto programma di rinnovamento della vita cristiana.
Ma - come scrivevo recentemente, nella lettera per il XVI centenario del concilio ecumenico Costantinopolitano I e per il 1550 anniversario del concilio di Efeso - "tutta l'opera di rinnovamento della Chiesa che il Concilio Vaticano II ha cosí provvidenzialmente proposto e iniziato... non può realizzarsi se non nello Spirito santo, cioè con l'aiuto della sua luce e della sua potenza". Una tale azione decisiva dello Spirito santo non si realizza, però, normalmente se non attraverso degli uomini che si sono lasciati interamente conquistare dallo Spirito di Cristo e possono perciò trasfonderlo, nei modi piú diversi, sui fratelli.
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Il centenario della nascita di Francesco ci appare, in questa luce, come una singolare grazia donata alla Chiesa in questo momento; esso contiene un appello soprattutto per i movimenti e le forze nuove suscitate oggi da Dio nella Chiesa a radicarsi con tutte le forze, come fece Francesco, nella Chiesa, a rinunciare ad avere ognuno un proprio programma di rinnovamento, ma a mettere umilmente il proprio carisma al servizio del progetto elaborato dalla Chiesa nel recente concilio ecumenico. Anche oggi, come al tempo di Francesco, occorrono degli uomini resi nuovi dalla partecipazione alle sofferenze di Cristo, dei quali lo Spirito possa disporre liberamente per l'edificazione del regno. Senza di ciò, tutte le migliori direttive e indicazioni del concilio rischiano di rimanere lettera morta o, comunque, di non portare tutti i frutti desiderati per la Chiesa.
Un tale invito la Chiesa lo rivolge a tutti i suoi figli, ma, in questa circostanza, lo rivolge in modo tutto particolare a coloro che hanno scelto di seguire piú da vicino le orme del poverello nei diversi ordini e istituti religiosi da lui fondati, o che si ispirano al suo ideale di vita. Da essi la Chiesa si attende un rinnovato apporto di santità che quasi risusciti oggi il grande dono che fu a suo tempo, per il mondo, Francesco d'Assisi.
Con questa speranza, diletti figli, imparto di cuore a voi e alle famiglie religiose che presiedete, come pure alle monache e suore francescane e a tutti i membri del terz'ordine francescano la benedizione apostolica, auspice dei doni celesti e testimone della mia carità.
Roma, presso S. Pietro, 15 agosto 1982, solennità dell'assunzione della B. V. Maria, anno quarto del mio pontificato.
Giovanni Paolo Pp. II
Cfr. Enchiridion Vaticanum - Documenti della Santa Sede (1982-1983), VIII, Bologna 1983, 259-275.
N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.
P. Domenico Stella (1881-1956) - Cantico delle creature
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