Come amare Dio se l'amore ha bisogno di un volto?

Enzo Bianchi

 

 

 

«Attraversando le terre dell'amore, della carità, ci domandiamo se ci possa essere un amore senza un volto... Si può cercare un tale amore, ma non è possibile incontrarlo. La stessa nostra vicenda umana fondamentale, la nostra scoperta ed esperienza del mondo, ha preso avvio, anche se ormai ne abbiamo solo un vago ricordo, dall'incontro con il volto" di nostra madre: su quel volto abbiamo imparato a decifrare l'amore o l'indifferenza o, per qualcuno, l'ostilità... Proprio nell'incontrarsi dei volti abbiamo fin d'allora imparato a conoscere l'amore. Questa è infatti la vocazione umana e cristiana primordiale: dare volto all'amore.  Anche l'incarnazione, l'assumere da parte di Dio un corpo umano, ha voluto significare che Dio stesso non poteva restare amore senza diventare volto. Così alcuni uomini lo hanno visto, ascoltato, toccato con mano (cf. 1Gv 1,1) nelle fattezze di Gesù di Nazaret.

L'amore chiede, reclama un volto, e chiunque conosce la Scrittura sa che chi cerca Dio - perché da lui creato con amore preveniente - cerca un volto: «Quando vedrò il tuo volto?», «Illumina su di noi il tuo volto!», «Il tuo volto, Signore, io cerco»...  Se i cristiani sono quelli che amano il Signore senza averlo visto (1Pt 1, 8), è pur vero che desiderano il suo volto e sperano di trovarlo, anelano a contemplarlo faccia a faccia nel «giorno del Signore».  Tuttavia, in questa «assenza del volto» che nessuno può compiutamente riempire, il Signore ci ha lasciato delle tracce del suo volto: impronte di una presenza impresse ancora e sempre in un volto! Questo ci obbliga a un discernimento vigilante nella ricerca del Signore. Dov'è il Signore? Il suo volto esiste, ma per essere percepito richiede un itinerario e soprattutto degli occhi aperti che sappiano scorgere dietro un volto umano il suo Volto.  Sì, Gesù stesso ha detto che lasciava una traccia di sé innanzitutto nel discepolo inviato e fedele che porta la sua parola - «Chi accoglie voi accoglie me» (Mt 10, 40) - e in particolare nel discepolo più piccolo, in chi si è fatto «minimo», semplice come un bambino, fino ad essere perseguitato.

Molti dei primi convertiti hanno trovato in questo modo il volto di Gesù: Paolo lo ha scorto addirittura in chi lui stesso perseguitava (cf. At 9, 5). Oggi non sempre è facile distinguere il vero dal falso inviato e nella nostra società occidentale è diventato difficile vedere il discepolo perseguitato: eppure è così che il volto di Gesù è narrato, è così che ci viene dato di passare dal simbolo rappresentato da un volto al volto stesso di Gesù.  Ma Gesù ha rivelato anche di essere presente sotto altri volti, là dove non avremmo pensato di poterlo trovare: nel viso alterato dell'ammalato, nello sguardo esausto dell'affamato, negli occhi imploranti del bisognoso, nel rossore dell'ignudo (cf. Mt 25, 35 ss.).

Cristo si è identificato con l'uomo, qualunque uomo, «un uomo in cammino», come dice la parabola del samaritano, un uomo che porta i segni della passione e narra l'umiliazione.  Nel tempo della storia, nel tempo che è il nostro, Cristo vivente è rappresentato dal volto dello sconfitto, dell'indigente, del torturato: il nostro percorso verso il faccia a faccia con Dio passa innanzitutto attraverso il luogo del com-patire, del soffrire insieme all'altro, in una relazione che è già sostegno per l'altro perché ne ridesta la dignità umana. Proprio per questo una simile operazione di rinvenimento di Cristo e del suo volto nel povero sofferente richiede non solo uno sguardo attento, degli occhi vigilanti, ma anche delle «viscere vulnerabili», la debolezza del sapersi commuovere: solo allora cessa la distanza e ci si fa prossimi fino a identificare un volto e ad amarlo.

Questo non significa che automaticamente si giunga subito a trovare nell'altro il volto del Signore, né tanto meno che si debba amare l'altro solo se vi si scorge il volto di Dio. No, l'altro va amato per se stesso, per quello che lui è, per la dignità insita nel suo stesso esistere: a nessuno è lecito amare in una persona il volto di un'altra. D'altronde Dio stesso ci ama come uomini e non solo in virtù del nostro legame più o meno intenso con Cristo: amati così, a nostra volta dobbiamo amare gli altri per quello che sono. Allora, da questo amore umano potrà emergere Cristo, anche qualora l'altro che ho di fronte non fosse amabile.  Dio disse a Mosè che chiedeva di vederlo: «Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessuno può vedermi e restare vivo... il mio volto non lo si può vedere» (Es 33, 20-23).

Sì, l'unico volto che possiamo vedere è quello dell'uomo, dell'altro: anzi, vedere il volto dell'altro è condizione di vita, per vivere, per non morire. Di Dio l'unica visione è quella del «dorso» (Es 33, 23): i rabbini dicono che quando Dio passò, Mosè vide sul suo dorso la propria immagine riflessa in uno specchio («ora vediamo come in uno specchio, allora vedremo faccia a faccia», scrive Paolo in 1Cor 13, 12), vide la sua immagine in Dio. Dio ci rimanda al nostro volto e al volto dell'altro. E lì che occorre vedere Dio: «Hai visto tuo fratello? Hai visto Dio!» (Clemente di Alessandria)».  

 

 

 

 

Cfr. BIANCHI E., Da forestiero. Nella compagnia degli uomini, Casale Monferrato 1995, 99-102.