(La numerazione progressiva a margine senza formattazione è riportata dalla serie degli EV)
1347
Nel corso dei secoli la Chiesa ha sempre riprovato le varie forme di superstizione, la preoccupazione ossessiva di satana e dei demoni, i diversi tipi di culto e di morboso attaccamento a questi spiriti; sarebbe perciò ingiusto affermare che il cristianesimo, dimentico della signoria universale di Cristo, abbia fatto di satana l'argomento preferito della sua predicazione, trasformando la buona novella del Signore risorto in messaggio di terrore. Al suo tempo, san Giovanni Crisostomo dichiarava ai cristiani di Antiochia: "Non ci fa certamente piacere intrattenervi sul diavolo, ma la dottrina della quale esso mi offre lo spunto risulterà assai utile a voi". In realtà, sarebbe un errore funesto comportarsi come se, considerando la storia già risolta, la redenzione avesse ottenuto tutti i suoi effetti, senza che sia piú necessario impegnarsi nella lotta di cui parlano il nuovo testamento e i maestri della vita spirituale.
UN DISAGIO DEL NOSTRO TEMPO
1348
In questo errore si potrebbe cadere anche oggi. Da molte parti, infatti, ci si domanda se non sia il caso di riesaminare su questo punto la dottrina cattolica, a cominciare dalla sacra scrittura. Certuni credono impossibile una qualsiasi presa di posizione - come se il problema potesse esser lasciato in sospeso - osservando che i libri santi non permetterebbero di pronunziarsi né a favore né contro l'esistenza di satana e dei suoi demoni; il piú spesso, però, questa esistenza è apertamente revocata in dubbio. Certi critici, ritenendo di poter identificare la posizione propria di Gesú, pretendono che nessuna sua parola garantirebbe la realtà del mondo demoniaco, mentre l'affermazione della sua esistenza rifletterebbe piuttosto, là dove ricorre, le idee di scritti giudaici, oppure dipenderebbe da tradizioni neotestamentarie e non da Cristo; poiché essa non farebbe parte del messaggio evangelico centrale, non impegnerebbe piú, oggi, la nostra fede e noi saremmo liberi di abbandonarla.
Altri, piú obiettivi e piú radicali nello stesso tempo, accettano le asserzioni della sacra scrittura sui demoni nel loro senso ovvio, ma aggiungono subito che, nel mondo d'oggi, esse non sarebbero accettabili neppure per i cristiani. Anch'essi, dunque, le eliminano. Per alcuni, infine, l'idea di satana, qualunque ne sia l'origine, non avrebbe piú importanza e, attardandosi a giustificarla, il nostro insegnamento perderebbe credito e farebbe ombra al discorso su Dio, che, solo, merita il nostro interesse. Per gli uni e per gli altri, finalmente, i nomi di satana e del diavolo non sarebbero altro che personificazioni mitiche e funzionali, il cui significato sarebbe soltanto quello di sottolineare drammaticamente l'influsso del male e del peccato sulla umanità. Puro linguaggio, quindi, che la nostra epoca dovrebbe decifrare per trovare un modo diverso di inculcare ai cristiani il dovere di lottare contro tutte le forze del male nel mondo.
1349
Queste prese di posizione, ripetute con sfoggio di erudizione e diffuse da riviste e da certi dizionari teologici, non possono non turbare gli spiriti: i fedeli, abituati a prendere sul serio gli avvertimenti di Cristo e degli scritti apostolici, hanno l'impressione che discorsi del genere intendano, in questo campo, imprimere una svolta alla opinione pubblica e coloro, tra essi, che hanno una conoscenza delle scienze bibliche e religiose, si domandano fin dove condurrà il processo di smitizzazione avviato in nome di una certa ermeneutica.
1350
Di fronte a postulati di questo genere e per rispondere al loro processo mentale, dobbiamo, in breve, fermarci anzitutto al nuovo testamento per invocarne la testimonianza e l'autorità.
IL NUOVO TESTAMENTO E IL SUO CONTESTO
1351
Prima di ricordare con quale indipendenza di spirito Gesú si sia sempre comportato nei confronti delle opinioni del suo tempo, è importante notare che i suoi contemporanei non avevano tutti, a proposito di angeli e di demoni, la credenza comune che certuni sembrano oggi loro attribuire e dalla quale Gesú stesso dipenderebbe. Un'annotazione con la quale il libro degli Atti illustra la polemica provocata tra i membri del sinedrio da una dichiarazione di san Paolo, ci fa sapere infatti che, a differenza dei farisei, i sadducei non ammettevano "né risurrezione, né angelo, né spirito", cioè, come il testo viene inteso da buoni interpreti, non credevano alla risurrezione e, quindi, neppure agli angeli e ai demoni. Cosí, a proposito di satana, dei demoni e degli angeli, l'opinione dei contemporanei sembra divisa tra due concezioni diametralmente opposte; come, dunque, pretendere che Gesú, esercitando e dando ad altri il potere di scacciare i demoni e, nella sua scia, gli scrittori del nuovo testamento, non abbiano fatto altro che adottare, senza il minimo spirito critico, le idee e le pratiche del loro tempo? Certo, Cristo, e a maggior ragione gli apostoli, appartenevano alla loro epoca e ne condividevano la cultura; Gesú tuttavia, a motivo della sua natura divina e della rivelazione che era venuto a comunicare, trascendeva il suo ambiente e il suo tempo, sfuggiva alla loro pressione.
La lettura del discorso sulla montagna è sufficiente del resto a convincersi della sua libertà di spirito come del suo rispetto per la tradizione. Perciò, quando egli rivelò il significato della sua redenzione, dovette tener conto evidentemente dei farisei, i quali, come lui, credevano al mondo futuro, all'anima, agli spiriti e alla risurrezione; ma anche dei sadducei, i quali non ammettevano queste credenze. Quando i primi lo accusarono di scacciare i demoni con la complicità del loro principe, egli avrebbe potuto scagionarsi, schierandosi con i sadducei; ma, cosí facendo, avrebbe smentito ciò che egli era e la sua missione. Egli dunque doveva, senza rinnegare la credenza agli spiriti e alla risurrezione - che aveva in comune con i farisei - dissociarsi da costoro ed opporsi, non meno, ai sadducei. Pretendere dunque oggi che il discorso di Gesú su satana esprima soltanto una dottrina mutuata dall'ambiente, senza importanza per la fede universale, appare, di primo acchito, come un'opinione poco informata sull'epoca e la personalità del Maestro. Se Gesú ha usato questo linguaggio, se soprattutto egli lo ha tradotto in pratica nel suo ministero, è perché esso esprimeva una dottrina necessaria - almeno per una parte - alla nozione e alla realtà della salvezza da lui portata.
LA TESTIMONIANZA PERSONALE DI GESÚ
1352
Anche le principali guarigioni di ossessi furono da Cristo compiute in momenti che risultano decisivi nei racconti del suo ministero. I suoi esorcismi ponevano e orientavano il problema della sua missione e della sua persona, come provano a sufficienza le reazioni che suscitarono. Senza mettere mai satana al centro del suo vangelo, Gesú ne parlò tuttavia solo in momenti evidentemente cruciali e con dichiarazioni importanti. Prima di tutto diede inizio al suo ministero pubblico accettando di essere tentato dal diavolo nel deserto: il racconto di Marco, proprio a motivo della sua sobrietà, è decisivo quanto quello di Matteo e di Luca. Contro questo avversario egli mise in guardia nel discorso sulla montagna, e nella preghiera che insegnò ai suoi, il Padre nostro, come ammettono oggi molti esegeti, appoggiati sulla testimonianza di parecchie liturgie. Nelle parabole, Gesú attribuí a satana gli ostacoli incontrati dalla sua predicazione, come nel caso della zizzania nel campo del padre di famiglia.
A Simon Pietro egli annunziò che "la potenza degli inferi" avrebbe tentato di prevalere sulla Chiesa, che satana lo avrebbe passato al vaglio insieme con gli altri apostoli. Al momento di lasciare il cenacolo, Cristo dichiarò imminente la venuta del "principe di questo mondo". Nel Getsemani, quando i soldati gli misero addosso le mani per arrestarlo, affermò ch'era giunta l'ora della "potenza delle tenebre": ciò nonostante, egli sapeva e aveva dichiarato nel cenacolo che "il principe di questo mondo era ormai condannato". Questi fatti e queste dichiarazioni - bene inquadrati, ripetuti e concordanti - non sono casuali e non è possibile trattarli come dati favolistici da smitizzare. Altrimenti, bisognerebbe ammettere che in quelle ore critiche la coscienza di Gesú, di cui è attestata la lucidità e la padronanza di sé davanti ai giudici, era in preda a fantasmi illusori, e che la sua parola era priva di ogni fermezza; ciò che contrasterebbe con l'impressione dei primi ascoltatori e dei lettori dei vangeli. Si impone perciò la conclusione: satana, che Gesú aveva affrontato con i suoi esorcismi, che aveva incontrato nel deserto e nella passione, non può essere il semplice prodotto della facoltà umana di favoleggiare e di personificare le idee, oppure un relitto aberrante di un linguaggio culturale primitivo.
GLI SCRITTI PAOLINI
1353
È vero che san Paolo, riassumendo a larghe linee nella Lettera ai romani la situazione dell'umanità prima di Cristo, personifica il peccato e la morte, di cui mostra la temibile potenza; ma si tratta, nel complesso della sua dottrina, di un momento, che non è l'effetto di una risorsa puramente letteraria, ma della sua acuta coscienza dell'importanza della croce di Gesú e della necessità dell'opzione di fede che egli richiede. D'altra parte, Paolo non identifica il peccato con satana; nel peccato, infatti, egli vede prima di tutto ciò che esso è essenzialmente, un atto personale degli uomini, e anche lo stato di colpevolezza e di accecamento nel quale satana effettivamente cerca di gettarli e mantenerli. In tal modo, Paolo distingue bene satana dal peccato.
L'apostolo, il quale davanti alla "legge del peccato che sente nelle sue membra" confessa anzitutto la sua impotenza senza la grazia, è quello stesso che, con estrema decisione, invita a resistere a satana, a non farsi dominare da lui, a non dargli occasione o vantaggio e a schiacciarlo sotto i piedi. Perché satana è per una entità personale, "il dio di questo mondo", un avversario furbo, distinto sia da noi che dal peccato, che egli suggerisce. Come nel vangelo, l'apostolo lo vede all'opera nella storia del mondo, in quello che egli chiama "il mistero della iniquità": nella incredulità che si rifiuta di riconoscere il signore Gesú e anche nell'aberrazione della idolatria, nella seduzione che minaccia la fedeltà della Chiesa a Cristo suo sposo, infine nel traviamento escatologico che conduce al culto dell'uomo messo al posto di Dio. Certamente, satana induce al peccato, ma si distingue dal male che egli fa commettere.
L'APOCALISSE E IL VANGELO DI SAN GIOVANNI
1354
L'Apocalisse è soprattutto il grandioso affresco in cui risplende la potenza di Cristo risorto nei testimoni del suo vangelo: essa proclama il trionfo dell'Agnello, immolato: ma ci si ingannerebbe completamente sulla natura di questa vittoria se non vi si vedesse il termine di una lunga lotta in cui intervengono, mediante le potenze umane che si oppongono al signore Gesú, satana e i suoi angeli, distinti gli uni dagli altri, come pure i loro agenti storici. È infatti l'Apocalisse che, sottolineano l'enigma dei diversi nomi e simboli di satana nella sacra scrittura, ne smaschera definitivamente l'identità. La sua azione si svolge in tutti i secoli della storia umana sotto gli occhi di Dio.
1355
Non sorprende perciò che, nel vangelo di san Giovanni, Gesú parli del diavolo e che lo qualifichi "principe di questo mondo". Certamente, la sua azione sull'uomo è interiore; ma è impossibile vedere nella sua figura soltanto una personificazione del peccato e della tentazione. Gesú riconosce che peccare significa essere "schiavo", ma non identifica per questo con satana né questa schiavitú né il peccato, che in essa si manifesta. Il diavolo esercita sui peccatori solo una influenza morale, nella misura in cui ciascuno acconsente alla sua ispirazione: liberamente essi ne eseguono i "desideri" e fanno "la sua opera". Soltanto in questo senso e in questa misura satana è il loro "padre", perché tra lui e la coscienza della persona umana resta sempre la distanza spirituale che separa la "menzogna" diabolica dal consenso che ad essa si può dare o negare, allo stesso modo che tra Cristo e noi esiste sempre la distanza tra la" verità" che egli rivela e propone, e la fede con la quale viene accolta.
1356
Per questo motivo i padri della Chiesa, convinti dalla Sacra Scrittura che satana e i demoni sono gli avversari della redenzione, non hanno mancato di ricordare ai fedeli la loro esistenza e la loro azione.
LA DOTTRINA GENERALE DEI PADRI DELLA CHIESA
1357
Fin dal II secolo della nostra era Melitone di Sardi aveva scritto un'opera "Sul demonio" e sarebbe difficile citare un solo padre che su questo argomento abbia taciuto. Ovviamente, i piú attenti a mettere in luce l'azione del diavolo furono quelli che illustrarono il disegno divino nella storia, specialmente sant'Ireneo e Tertulliano, i quali affrontarono successivamente il dualismo gnostico e Marcione; poi la volta di Vittorino di Pettau, e finalmente di sant'Agostino. Sant'Ireneo insegnò che il diavolo è un "angelo apostata"; che Cristo, ricapitolando in se stesso la guerra di questo nemico contro di noi, dovette affrontarlo agli inizi del suo ministero. Con maggiore ampiezza e vigore sant'Agostino lo mostrò all'opera nella lotta delle "due città", che hanno origine in cielo, quando le prime creature di Dio, gli angeli, si dichiararono fedeli o infedeli al loro Signore; nella società dei peccatori egli vide un "corpo" mistico del diavolo, di cui parlerà piú tardi, nei "Moralia in Job", anche s. Gregorio magno.
1358
Evidentemente, la maggioranza dei padri, abbandonando con Origene l'idea di un peccato carnale degli angeli decaduti, videro nel loro orgoglio - cioè nel desiderio di innalzarsi al disopra della loro condizione, di affermare la loro indipendenza, di farsi credere Dio - il principio della loro caduta; ma, accanto a quest'orgoglio, molti sottolinearono anche la loro cattiveria nei confronti dell'uomo. Per sant'Ireneo, l'apostasia del diavolo sarebbe cominciata quando egli ebbe gelosia della creazione dell'uomo e cercò di farlo ribellare al suo autore. Secondo Tertulliano, satana, per contrastare il piano del Signore, avrebbe plagiato nei misteri pagani i sacramenti istituiti da Cristo. L'insegnamento patristico echeggiò dunque in maniera sostanzialmente fedele la dottrina e gli orientamenti del nuovo testamento.
IL CONCILIO LATERANENSE IV (1215) E IL SUO ENUNCIATO DEMONOLOGICO
1359
È vero che in venti secoli di storia il magistero consacrò alla demonologia soltanto poche dichiarazioni propriamente dogmatiche. La ragione è che l'occasione si presentò raramente, a due riprese soltanto, la piú importante delle quali si situa all'inizio del XIII secolo, quando si manifestò una reviviscenza del dualismo manicheo e priscillianista con l'apparizione dei catari o albigesi; ma l'enunciato dogmatico di allora, formulato in un quadro dottrinale familiare, corrisponde molto da vicino alla nostra sensibilità, perché è coinvolta la visione dell'universo e la sua creazione da parte di Dio. "Noi crediamo fermamente e professiamo con semplicità un principio unico dell'universo, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e corporee: con la sua onnipotenza all'inizio del tempo egli creò insieme dal nulla l'una e l'altra creatura, la spirituale e la corporea, cioè gli angeli e il mondo, poi la creatura umana che appartiene in qualche modo all'una e all'altra, composta di spirito e di corpo. Perché il diavolo e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma son diventati cattivi da se stessi, per propria iniziativa; quanto all'uomo, egli ha peccato per istigazione del diavolo".
1360
L'essenziale di questa esposizione è sobrio. Sul diavolo e i demoni il concilio si limita ad affermare che, creature dell'unico Dio, essi non sono sostanzialmente cattivi, ma lo divennero per il loro libero arbitrio. Non vengono precisati né il loro numero né la loro colpa, né l'estensione del loro potere: queste questioni, estranee allora al problema dogmatico, furono lasciate alle discussioni scolastiche. Ma l'affermazione del concilio, per quanto sia succinta, resta di capitale importanza perché è emanazione del piú grande concilio del secolo XIII ed è messa in evidenza nella sua professione di fede, che, preceduta storicamente di poco da quelle imposte ai catari e ai valdesi, si collegava con le condanne pronunziate contro il priscillianismo di parecchi secoli prima. Questa professione di fede merita dunque d'essere considerata con attenzione.
1361
Essa adotta la abituale struttura dei simboli dogmatici e trova facilmente posto nella loro serie, a partire dal concilio di Nicea. Secondo il testo citato, si riassume dal nostro punto di vista in due temi connessi ed egualmente importanti per la fede: l'enunciato relativo al diavolo, sul quale dovremo fermarci in particolare, segue infatti una dichiarazione sul Dio creatore di tutte le cose "visibili e invisibili", cioè degli esseri corporei e angelici.
IL PRIMO TEMA DEL CONCILIO: DIO CREATORE DEGLI ESSERI "VISIBILI E INVISIBILI"
1362
Questa affermazione sul Creatore e la formula che la esprime hanno una importanza particolare per il nostro argomento, perché antiche al punto d'affondare le loro radici nella dottrina di san Paolo. L'apostolo infatti, glorificando il Cristo risorto, aveva affermato che egli esercita il dominio su tutti gli esseri "nei cieli, sulla terra e negli inferi", "nel mondo presente e in quello futuro"; poi, affermandone la preesistenza, insegnò che "egli aveva creato tutto nei cieli e sulla terra, gli (esseri) visibili e quelli invisibili". Questa dottrina della creazione ebbe ben presto la sua importanza per la fede cristiana, perché la gnosi e il marcionismo tentarono molto per tempo, prima del manicheismo e del priscillianismo, di farla vacillare. I primi simboli di fede specificarono regolarmente che "gli (esseri) visibili e invisibili" sono tutti creati da Dio. Questa dottrina, affermata dal concilio niceno-costantinopolitano, poi da quello di Toledo, si leggeva nelle professioni di fede di cui le grandi chiese si servivano nella celebrazione del battesimo; entrò anche nella grande preghiera eucaristica di san Giacomo a Gerusalemme, di san Basilio in Asia minore e ad Alessandria e di altre chiese d'oriente. Presso i padri greci, essa appare fin da sant'Ireneo e nella "Expositio fidei" di sant'Atanasio. In occidente, la ritroviamo in Gregorio di Elvira, sant'Agostino, san Fulgenzio ecc.
1363
Al tempo in cui i catari d'occidente, come i bogomili nell'Europa orientale, restaurarono il dualismo manicheo, la professione di fede del concilio Lateranense IV non poteva far di meglio che riprendere questa dichiarazione e la sua formula, fin da allora di importanza definitiva. Ripetute, infatti, ben presto dalle professioni di fede del II concilio di Lione, di Firenze e di Trento, riapparvero infine nella costituzione "Dei Filius" del concilio Vaticano I, nei termini stessi del concilio Lateranense IV del 1215. Si tratta dunque di una affermazione primordiale e costante della fede, che il concilio lateranense provvidenzialmente sottolineò per collegarvi il suo enunciato relativo a satana e ai demoni. In questo modo, indicò che il loro caso, già importante in se stesso, s'inseriva nel contesto piú generale della dottrina sulla creazione universale e della fede agli esseri angelici.
SECONDO TEMA DEL CONCILIO: IL DIAVOLO
1 - Il testo
1364
Per ciò che riguarda questo enunciato demonologico, esso è lungi dal presentarsi come una novità aggiunta per la circo stanza, alla stregua di una conseguenza dottrinale o di una deduzione teologica; al contrario, appare come un punto fermo, acquisito da lungo tempo. Ne è già indice la formulazione del testo. Infatti, dopo aver affermata la creazione universale, il documento non passa al diavolo e ai demoni come a una conclusione logicamente dedotta: non scrive "Per conseguenza, satana e i demoni sono stati creati naturalmente buoni...", come sarebbe stato necessario se la dichiarazione fosse stata nuova e dedotta dalla precedente; al contrario, presenta il caso di satana come una prova dell'affermazione precedente, come un argomento contro il dualismo. Scrive effettivamente: "Perché satana e i demoni sono stati creati naturalmente buoni...". In breve, l'enunciato che li concerne si presenta come una affermazione indiscussa della coscienza cristiana: è, questo, un punto rilevante del documento, e non poteva essere altrimenti se si vuol tener conto delle circostanze storiche.
2 - La preparazione: le formulazioni positive e negative (IV-V sec.)
1365
Di fatto, fin dal IV secolo la Chiesa aveva preso posizione contro la tesi manichea dei due principi coeterni e opposti; sia in oriente che in occidente, insegnava fermamente che satana e i demoni sono stati creati e fatti naturalmente buoni. "Devi credere, dichiarava san Gregorio di Nazianzo al neofita, che non esiste una essenza del male, né un regno (del male), privo di principio o sussistente per se stesso o creato da Dio". Il diavolo era considerato creatura di Dio, all'origine buona e luminosa, che disgraziatamente non aveva perseverato nella verità nella quale era stata stabilita (Gv 8,44), ma si era ribellata al Signore. Il male dunque non era nella sua natura, ma in un atto libero e contingente della sua volontà. Affermazioni del genere - che si leggono equivalentemente in san Basilio, san Gregorio di Nazianzo, san Giovanni Crisostomo, Didimo di Alessandria in oriente; in Tertulliano, Eusebio di Vercelli, sant'Ambrogio, sant'Agostino in occidente potevano assumere eventualmente una forma dogmatica ferma. Essi si incontrano anche sotto forma di condanna dottrinale oppure di professione di fede.
1366
Il De Trinitate attribuito ad Eusebio di Vercelli l'esprimeva fermamente in termini di anatemi successivi: "Se qualcuno professa che nella natura in cui è stato fatto l'angelo apostata non è opera di Dio, ma che egli esiste da se stesso, giungendo fino ad attribuirgli di trovare in se stesso il proprio principio, sia anatema. Se qualcuno professa che l'angelo apostata è stato fatto da Dio con una natura cattiva, e non dice che egli ha concepito il male da se stesso per suo proprio volere, sia anatema. Se qualcuno professa che l'angelo di satana ha fatto il mondo - lungi da noi questa credenza - e non avrà dichiarato che ogni peccato è invenzione sua, sia anatema".
1367
Tale redazione in forma di anatemi non era allora un caso unico: la si trova nel "Commonitorium", attribuito a sant'Agostino e scritto in vista dell'abiura dei manichei. Questa istruzione, infatti, votava all'anatema "colui, il quale crede che ci sono due nature, che hanno origine da due principi diversi, l'una buona, che è Dio, l'altra cattiva, non creata da lui".
1368
Questo insegnamento veniva tuttavia espresso piú volentieri sotto la forma diretta e positiva di un'affermazione da credere. Sant'Agostino, all'inizio del suo "De Genesi ad litteram", cosí diceva: "L'insegnamento cattolico ordina di credere che la Trinità è un solo Dio, il quale ha fatto e creato tutti gli esseri che esistono, in quanto esistono; di modo che ogni creatura, sia intellettuale che corporea, o per dirla in breve secondo i termini delle divine scritture, sia invisibile che visibile, non appartiene alla natura divina, ma è stata fatta dal nulla da Dio".
1369
In Spagna, il primo concilio di Toledo professava egualmente che Dio è il creatore di "tutti [gli esseri] visibili e invisibili" e che al di fuori di lui "non esiste natura divina, angelo, spirito o potenza alcuna che possa essere ritenuta Dio".
1370
Cosí, fin dal IV secolo, l'espressione della fede cristiana - insegnata e vissuta - presentava su questo punto le due formulazioni dogmatiche, positiva e negativa, che ritroveremo otto secoli dopo al tempo d'Innocenzo III e del concilio Lateranense IV.
San Leone magno
1371
Nel frattempo, queste espressioni dogmatiche non caddero in disuso. Infatti, nel V secolo, la lettera del papa san Leone magno a Turibio vescovo di Astorga - la cui autenticità non può piú essere messa in dubbio - parlava con lo stesso tono e la medesima chiarezza. Fra gli errori priscillianisti da lui condannati si incontrano infatti i seguenti: "L'annotazione sesta segnala che essi pretendono che il diavolo non sia mai stato buono e che la sua natura non è opera di Dio, ma che egli è uscito dal caos e dalle tenebre, perché di fatto non ha un autore del suo essere, ma è egli stesso il principio e la sostanza di ogni male, mentre la vera fede, la fede cattolica, professa che la sostanza di tutte le creature, sia spirituali che corporee, è buona, e che il male non è una natura, dal momento che Dio, creatore dell'universo, ha fatto soltanto ciò ch'è buono. Perciò lo stesso diavolo sarebbe buono se fosse rimasto nello stato in cui era stato fatto. Purtroppo, poiché egli ha fatto cattivo uso della sua naturale eccellenza e non è rimasto nella verità (Gv 8,44), non si è (senza dubbio) trasformato in una sostanza contraria, ma si è separato dal sommo bene, al quale avrebbe dovuto aderire...".
1372
Questa affermazione dottrinale (a cominciare dalle parole "la vera fede, la fede cattolica..." fino alla fine) fu ritenuta cosí importante da venir ripresa negli stessi termini tra le aggiunte fatte nel VI secolo al Libro dei dogmi ecclesiastici attribuito a Gennadio di Marsiglia. Infine, la stessa dottrina sarà sostenuta con tono magisteriale nella Regola di fede a Pietro, opera di san Fulgenzio, dove si troverà affermata la necessità di "ritenere principalmente", di "ritenere fermamente", che tutto ciò che non è Dio è creatura di Dio, e questo è il caso di tutti gli esseri "visibili e invisibili"; "che una parte degli angeli si sono sviati e allontanati volontariamente dal loro Creatore", e "che il male non è una natura".
1373
Non sorprende dunque che in un tale contesto storico gli "Statuta Ecclesiae antiqua" - una raccolta canonica del V secolo - abbiano introdotto tra le interrogazioni destinate all'esame della fede cattolica dei candidati all'episcopato la seguente domanda: "Se il diavolo è cattivo per condizione o se è diventato tale per libero arbitrio", formula che si ritroverà nelle professioni di fede imposte da Innocenzo III ai valdesi.
Il primo concilio di Braga (VI secolo)
1374
La dottrina era dunque comune e ferma. I numerosi documenti che la esprimono, e di cui abbiamo indicato i principali, costituiscono lo sfondo dottrinale sul quale spicca il primo concilio di Braga nella metà del VI secolo. Su questo sfondo, il c. 7 di questo sinodo non appare come testo isolato, ma come sintesi dell'insegnamento del IV e V secolo in questa materia e specialmente della dottrina del papa san Leone magno: "Se qualcuno pretende che il diavolo non è stato prima un angelo (buono) fatto da Dio e che la sua natura non è stata opera di Dio, ma pretende che egli è uscito dal caos e dalle tenebre e che non c'è alcun autore del suo essere, ma che è egli stesso il principio e la sostanza del male, come dicono Mani e Priscilliano, sia anatema".
3 - L'avvento dei catari (XII e XIII secolo)
1375
Fanno anche parte, da lungo tempo, della fede esplicita della Chiesa la condizione di creatura e l'atto libero con il quale il diavolo si è pervertito. Al concilio Lateranense IV era sufficiente introdurre queste affermazioni nel suo simbolo senza bisogno di documentarle, perché si trattava di credenze chiaramente professate. Questa inserzione, che dal punto di vista dogmatico era possibile anche prima, allora era diventata necessaria, perché l'eresia dei catari aveva adottato alcuni antichi errori manichei. Tra il XII e il XIII secolo molte professioni di fede avevano dovuto affrettarsi a riaffermare che Dio è creatore degli esseri "visibili e invisibili", che è l'autore dei due testamenti, e specificare che il diavolo non era cattivo per natura ma in seguito a una scelta. Le antiche proposizioni dualistiche, inquadrate in vasti movimenti dottrinali e spirituali, costituivano allora, nella Francia meridionale e nell'Italia settentrionale, un reale danno per la fede.
1376
In Francia, Ermengaudo di Bèziers aveva dovuto scrivere un trattato contro gli eretici, "i quali dicono e credono che il mondo presente e tutti gli esseri visibili non sono stati creati da Dio, ma dal diavolo" e che esistevano un Dio buono e onnipotente e un dio cattivo, cioè il diavolo. Nell'Italia settentrionale un ex cataro convertito, Bonacursus, aveva anche gridato all'allarme e precisato le diverse scuole della setta. Poco dopo il suo intervento, la "Summa contra haereticos" per molto tempo attribuita a Prepositino di Cremona, nota meglio per il nostro problema l'impatto dell'eresia dualista sull'insegnamento di quell'epoca, quando comincia cosí la trattazione sui catari: "Il Dio onnipotente ha creato soltanto gli (esseri) invisibili e incorporei. Quanto al diavolo, che questo eretico chiama il dio delle tenebre, egli ha creato gli (esseri) visibili e corporei. Dopo aver detto ciò, l'eretico aggiunge che ci sono due principi delle cose: il principio del bene, cioè Dio onnipotente, e il principio del male, cioè il diavolo; aggiunge anche che esistono due nature: una buona, degli (esseri) incorporei, creata dal Dio onnipotente; l'altra, cattiva, (quella) degli (esseri) corporei, creata dal diavolo. L'eretico che cosí si esprime si chiamava in antico manicheo, oggi cataro".
1377
Malgrado la sua brevità, questo riassunto è significativo per la sua densità. Oggi possiamo completarlo riferendoci al "Libro dei due principi", scritto da un teologo cataro poco dopo il concilio Lateranense IV. Addentrandosi nei particolari dell'argomentazione e basandosi sulla sacra scrittura, questa piccola somma dei militanti della setta pretendeva di confutare la dottrina dell'unico Creatore e di fondare su testi biblici l'esistenza dei due opposti principi. Accanto al Dio buono, diceva, "dobbiamo necessariamente riconoscere l'esistenza di un altro principio, quello del male, che agisce perniciosamente contro il vero Dio e contro la sua creatura".
VALORE DELLA DECISIONE DEL CONCILIO LATERANENSE IV
1378
All'inizio del XIII secolo queste dichiarazioni, lungi dall'essere soltanto teorie di intellettuali esperti, corrispondevano a un complesso di credenze erronee, vissute e diffuse da una folla di conventicole ramificate, organizzate e attive. La Chiesa aveva il dovere di intervenire, ripetendo energicamente le affermazioni dottrinali dei secoli precedenti, e ciò fece papa Innocenzo III, introducendo i due enunciati dogmatici di fede del concilio ecumenico Lateranense IV. Questa, letta ufficialmente ai vescovi, fu da essi approvata. Interrogati ad alta voce: "Credete queste (verità) punto per punto?", essi risposero con unanime acclamazione: "(Le) crediamo". Nel suo complesso, dunque, il documento conciliare è un documento di fede e, a motivo della sua natura e forma, che sono quelle di un simbolo, ciascun punto principale di esso ha egualmente valore dogmatico.
1379
Si cadrebbe in manifesto errore se si pretendesse che ogni paragrafo di un simbolo di fede debba contenere una sola affermazione dogmatica: ciò significherebbe applicare alla sua interpretazione una ermeneutica valida, per esempio, nel caso di un decreto del concilio di Trento, nel quale ogni capitolo insegna di solito un solo tema dogmatico: necessità di prepararsi alla giustificazione, verità della presenza reale di Cristo nella eucaristia, ecc. Il primo paragrafo del Lateranense IV, invece, condensa in un numero di righe uguali a quelle del capitolo del Tridentino sul "dono della perseveranza" una quantità di affermazioni di fede, in gran parte già definite, sull'unità di Dio, la trinità e l'eguaglianza delle Persone, la semplicità della loro natura, le "processioni" del Figlio e dello Spirito santo. Lo stesso accade per la creazione, specialmente per i due passaggi concernenti il complesso degli esseri spirituali e corporei creati da Dio come anche per la creazione del diavolo e per il suo peccato. Si trattava, come abbiamo stabilito, di altrettanti punti, che dal IV al V secolo appartenevano all'insegnamento della Chiesa; inserendoli nel proprio simbolo, il concilio non fece altro che consacrare la loro appartenenza alla regola universale della fede.
1380
Anche l'esistenza della realtà demoniaca e l'affermazione della sua potenza si basano non soltanto su questi documenti piú specifici, ma trovano un'altra espressione, piú generale e meno rigida, negli enunciati conciliari, ogni volta che essi descrivono la condizione dell'uomo senza Cristo.
L'INSEGNAMENTO COMUNE DEI PAPI E DEI CONCILI
1381
Nella metà del V secolo, alla vigilia del concilio di Calcedonia, il "Tomo" del papa san Leone magno a Flaviano precisò uno dei fini della economia della salvezza evocando la vittoria sulla morte e sul diavolo che secondo le lettera agli ebrei ne detiene l'impero. Piú tardi, quando il concilio di Firenze parlò della redenzione, la presentò biblicamente come una liberazione dal dominio del diavolo. Il concilio di Trento, riassumendo la dottrina di san Paolo, dichiara che l'uomo peccatore "è sotto la potenza del diavolo e della morte" salvandoci, Dio "ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati". Commettere il peccato dopo il battesimo è "abbandonarsi in potere del demonio". Questa è infatti la fede primitiva e universale della Chiesa, attestata fin dai primi secoli nella liturgia della iniziazione cristiana, quando i catecumeni, sul punto di essere battezzati, rinunciavano a satana, professavano la loro fede nella santissima Trinità e aderivano a Cristo loro Salvatore.
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È per questo che il concilio Vaticano II, che si è interessato piú del presente della Chiesa che della dottrina della creazione, non ha mancato di mettere in guardia contro l'attività di satana e dei demoni. Di nuovo, come nei concili di Firenze e di Trento, esso ha richiamato con l'apostolo che Cristo ci "libera dal potere delle tenebre" e, riassumendo la sacra scrittura alla maniera di san Paolo e dell'Apocalisse, la costituzione Gaudium et spes ha detto che la nostra storia, la storia universale, "è una dura lotta contro le potenze delle tenebre, lotta cominciata fin dall'origine del mondo e che durerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno". Altrove, il Vaticano II rinnova gli ammonimenti dell'epistola agli efesini ad "indossare l'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo". Perché, come la stessa costituzione ricorda ai laici "noi dobbiamo lottare contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male". Non sorprende infine constatare che lo stesso concilio, volendo presentare la Chiesa come il regno di Dio che ha già avuto inizio, invoca i miracoli di Gesú e a questo scopo fa precisamente appello ai suoi esorcismi. È in questa occasione, effettivamente, che fu pronunziata da Gesú la famosa dichiarazione: "è dunque giunto a voi il regno di Dio".
L'ARGOMENTO LITURGICO
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Quanto alla liturgia, che già occasionalmente abbiamo invocato, essa contribuisce con una particolare testimonianza, perché è l'espressione concreta della fede vissuta; ma non dobbiamo domandarle di rispondere alla nostra curiosità sulla natura dei demoni, le loro categorie e i loro nomi. La liturgia si accontenta di insistere, secondo il suo compito, sulla loro esistenza e la minaccia che essi costituiscono per i cristiani; fondata sull'insegnamento del nuovo testamento, la liturgia lo echeggia direttamente, ricordando che la vita dei battezzati è un combattimento condotto, con la grazia di Cristo e la forza del suo Spirito, contro il mondo, la carne e gli esseri demoniaci.
IL SIGNIFICATO DEI NUOVI RITUALI
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Oggi tuttavia questo argomento liturgico dev'essere utilizzato con circospezione. Da una parte, i rituali e i sacramentari orientali, con i loro successivi arricchimenti e con una complessa demonologia, rischiano di sviarci; dall'altra, i documenti liturgici latini, spesso rimaneggiati nel corso della storia, invitano, proprio a motivo di questi mutamenti, a conclusioni ugualmente prudenti. Il nostro antico rituale della penitenza pubblica esprimeva con forza l'azione del demonio sui peccatori: purtroppo, questi testi, sopravvissuti fino ai nostri giorni nel pontificale romano, da molto tempo non sono piú nella pratica. Prima del 1972 si potevano anche citare le preghiere della raccomandazione dell'anima, che evocavano l'orrore dell'inferno e gli ultimi assalti del demonio; ma questi testi significativi sono adesso scomparsi. Soprattutto ai nostri giorni, il caratteristico ministero dell'esorcista, senza essere stato radicalmente abolito, è ridotto a un servizio eventuale, e sussisterà di fatto solo su domanda dei vescovi, senza che alcun rito sia previsto per il suo conferimento. Un provvedimento del genere non significa, evidentemente, che il sacerdote non ha piú il potere di esorcizzare, né che egli non deve piú esercitarlo; tuttavia ciò obbliga a constatare che la Chiesa, non facendo piú di questo ministero una funzione specifica, non riconosce piú agli esorcismi l'importanza che avevano nei primi secoli. Questa evoluzione merita senz'altro di essere presa in considerazione.
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Non dobbiamo tuttavia concludere a una recessione o a una revisione della fede nel campo liturgico. Il messale romano del 1970 traduce sempre la convinzione della Chiesa a proposito degli interventi demoniaci. Oggi, come prima, la liturgia della prima domenica di quaresima ricorda ai fedeli come il signore Gesú ha vinto il tentatore: i tre racconti sinottici della sua prova sono riservati ai tre cicli A, B, C delle letture quaresimali. Il protoevangelo, con il suo annuncio della vittoria della discendenza della donna su quella del serpente (Gn 3, 15) si legge nella X domenica dell'anno B e nel sabato della V settimana. La festa della assunzione e il comune della Madonna fanno leggere Apoc 12, 1-6, cioè la minaccia del dragone contro la donna che partorisce. Mc 3,20-35, che riferisce la discussione di Gesú e dei farisei su Beelzebul, fa parte delle letture della X domenica dell'anno B, già segnalata. La parabola del grano e della zizzania (Mt 13,23-43) appare nella domenica XV dell'anno A e la sua spiegazione (Mt 13,36-43) si legge nel martedí della XIII settimana. L'annuncio della sconfitta del principe di questo mondo (Gv 12,20-33) è letto nella domenica V di quaresima dell'anno B e Gv 14,30 ricorre nella settimana. Tra i testi apostolici, Ef 2, 1-10 è assegnato al lunedí della XXIX settimana; Ef 6,10-20, al comune dei santi e delle sante e al giovedí della XIII settimana. 1 Gv 3,7-10 si legge il 4 gennaio, e la festa di san Marco propone la prima lettera di san Pietro, che mostra il diavolo circuire la sua preda per divorarla. Queste citazioni che dovrebbero moltiplicarsi per essere complete, attestano che i piú importanti testi biblici sul diavolo fanno sempre parte della lettura ufficiale della Chiesa.
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È vero che il rituale della iniziazione cristiana degli adulti è stato in questo punto modificato e non interpella piú il diavolo con apostrofi imperative; ma, allo stesso scopo, si rivolge a Dio sotto forma di preghiera, con un tono meno spettacolare, ma altrettanto espressivo ed efficace. È dunque falso pretendere che gli esorcismi siano stati eliminati dal nuovo rituale del battesimo. L'errore è cosí manifesto, che il nuovo rituale del catecumenato ha istituito, prima degli esorcismi abituali detti "maggiori", esorcismi "minori", disposti per tutta la estensione del catecumenato e sconosciuti in passato. Gli esorcismi, dunque, restano. Oggi come ieri essi chiedono la vittoria su satana, il diavolo, il principe di questo mondo e il potere delle tenebre; e i tre "scrutini" abituali, nei quali, come prima, gli esorcismi trovano posto, hanno lo stesso scopo negativo e positivo di prima: "liberare dal peccato e dal diavolo" e nello stesso tempo "fortificare in Cristo". Anche la celebrazione del battesimo dei bambini conserva, checché se ne dica, un esorcismo. Ciò non significa che la Chiesa consideri questi bambini come altrettanti posseduti da satana; ma essa crede che hanno bisogno anch'essi di tutti gli effetti della redenzione di Cristo. Prima del battesimo, infatti, ogni uomo, bambino e adulto, porta il segno del peccato e dell'azione di satana.
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Quanto alla liturgia della penitenza privata essa parla oggi del diavolo meno di prima; ma le celebrazioni penitenziali comunitarie hanno restaurato un'antica orazione, che ricorda l'influenza di satana sui peccatori. Nel rituale dei malati - come abbiamo già notato - la preghiera della raccomandazione dell'anima non sottolinea piú la presenza inquietante di satana; ma nel corso del rito dell'unzione il celebrante prega affinché l'infermo "sia liberato dal peccato e da ogni tentazione". L'olio santo è considerato come una "protezione" del corpo, dell'anima e dello spirito e la orazione "Commendo te", senza menzionare l'infermo e il demonio, evoca tuttavia indirettamente la loro esistenza e la loro azione quando domanda a Cristo di salvare il morente e di metterlo nel numero delle "sue" pecore e dei "suoi" eletti: questo linguaggio vuole evidentemente evitare un trauma al malato e alla sua famiglia, ma non viene meno alla fede nel mistero del male.
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In breve, in ciò che concerne la demonologia, la posizione della Chiesa è chiara e ferma. È vero che nel corso dei secoli l'esistenza di satana e dei demoni non è stata mai fatta oggetto di una affermazione esplicita del suo magistero. La ragione è che la questione non fu mai posta in questi termini: gli eretici e i fedeli, ugualmente fondandosi sulla sacra scrittura, erano d'accordo nel riconoscere la loro esistenza e i loro principali misfatti. Per questo, oggi, quando è messa in dubbio la realtà demoniaca, è necessario riferirsi - come abbiamo poco fa ricordato - alla fede costante e universale della Chiesa e alla sua fonte maggiore: l'insegnamento di Cristo. È nella dottrina del vangelo, infatti, e nel cuore della fede vissuta che l'esistenza del mondo demoniaco si rivela come un dato dogmatico. Il disagio contemporaneo che abbiamo denunziato al principio non mette dunque in questione un elemento secondario del pensiero cristiano, ma ne va di mezzo la fede costante della Chiesa, il suo modo di concepire la redenzione e, al punto di partenza, la coscienza stessa di Gesú. Perciò, parlando recentemente di questa "terribile realtà, - misteriosa e paurosa" del male, sua santità Paolo VI poteva affermare con autorità: "Esce dal quadro dell'insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio, oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni". Né gli esegeti né i teologi dovrebbero trascurare questo avvertimento.
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Ripetiamo perciò che, sottolineando ancora oggi l'esistenza della realtà demoniaca, la Chiesa non intende né riportarci indietro, alle speculazioni dualistiche e manichee d'altri tempi, né proporre un surrogato accettabile dalla ragione. Essa vuole soltanto restar fedele al vangelo e alle sue esigenze. È chiaro che essa non ha mai permesso all'uomo di scaricarsi della sua responsabilità, attribuendo le proprie colpe ai demoni. La Chiesa non esitava a levarsi contro una tale scappatoia, quando si manifestava, dicendo con san Giovanni Crisostomo: "Non è il diavolo, ma l'incuria propria degli uomini che causa tutte le loro cadute e tutti i malanni di cui essi si lamentano".
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A questo titolo, l'insegnamento cristiano, con la sua vigorosa difesa della libertà e della grandezza dell'uomo e nel mettere in piena luce l'onnipotenza e la bontà del Creatore, non manifesta cedimenti. Esso ha condannato nel passato e condannerà sempre l'eccessiva faciloneria nell'addurre a pretesto una sollecitazione demoniaca; ha proscritto la superstizione come la magia; ha rifiutato ogni capitolazione dottrinale di fronte al fatalismo e ogni rinunzia alla libertà di fronte allo sforzo. Ancor piú, quando si parla di un possibile intervento diabolico, la Chiesa fa sempre posto, come per il miracolo, alla esigenza critica. In tale materia essa esige riserva e prudenza. È facile infatti cader vittime dell'immaginazione, lasciarsi sviare da racconti inesatti, maldestramente trasmessi o abusivamente interpretati. In questi come in altri casi, è necessario esercitare il discernimento e lasciare spazio alla ricerca e ai suoi risultati.
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Ciò nonostante, fedele all'esempio di Cristo, la Chiesa ritiene che l'ammonizione dell'apostolo san Pietro alla "sobrietà" e alla vigilanza sia sempre attuale. Nei nostri giorni, certo, conviene difendersi da una "ebbrezza" nuova. Ma il sapere e la potenza tecnica possono anche inebriare. L'uomo è fiero, oggi, delle sue scoperte, e spesso giustamente. Ma nel nostro caso è sicuro che le sue analisi abbiano chiarito tutti i fenomeni caratteristici e rivelatori della presenza del demonio? Non esiste su questo punto piú nulla di problematico? L'analisi ermeneutica e lo studio dei padri avrebbero appianato le insidie di tutti i testi? Nulla è meno sicuro. Certo, in altri tempi, ci fu qualche ingenuità nel temere di incontrare qualche demonio all'incrocio dei nostri pensieri. Ma non ce ne sarebbe altrettanta oggi nel postulare che i nostri metodi diranno presto l'ultima parola sulla profondità delle coscienze, dove interferiscono i rapporti misteriosi dell'anima e del corpo, del soprannaturale, del preternaturale e dell'umano, della ragione e della rivelazione? Perché queste questioni sono sempre state considerate ampie e complesse. Quanto ai nostri metodi odierni, essi, come quelli degli antichi, hanno limiti che non possono varcare. La modestia, che è anche una qualità dell'intelligenza, deve conservare i suoi diritti e mantenerci nella verità. Perché questa virtú - pur tenendo conto dell'avvenire - permette fin d'ora al cristiano di fare posto all'apporto della rivelazione, in breve: alla fede.
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È alla fede, in realtà, che ci riconduce l'apostolo san Pietro quando ci invita a resistere al demonio "saldi nella fede". La fede ci insegna, infatti, che la realtà del male "è un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore" e sa anche darci fiducia, facendoci sapere che la potenza di satana non può varcare le frontiere impostegli da Dio; ci assicura egualmente che se il diavolo è in grado di tentare, non può strappare il nostro consenso. Soprattutto la fede apre il cuore alla preghiera, nella quale trova la sua vittoria e il suo coronamento, ottenendoci di trionfare sul male grazie alla potenza di Dio.
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Resta per certo che la realtà demoniaca, attestata concretamente da quello che chiamiamo il mistero del male, rimane ancora oggi un enigma che avvolge la vita cristiana. Noi non sappiamo molto meglio degli apostoli perché il Signore lo permette, né come lo fa servire ai suoi disegni, ma potrebbe accadere che nella nostra civiltà invaghita di orizzontalismo seco lare, le esplosioni inattese di questo mistero offrano un senso meno refrattario alla comprensione. Esse obbligano l'uomo a guardare piú lontano, piú in alto, al di là delle immediate evidenze; attraverso la minaccia e la prepotenza del male, che impediscono il nostro cammino, ci permettono di discernere l'esistenza di un aldilà da decifrare, e di volgerci allora verso Cristo per ascoltare da lui la buona novella della salvezza offerta come grazia.
EV 5
N.B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.