1. Il caso

Una ragazza di religione musulmana e cittadina di uno stato islamico, regolarmente residente in Italia, intende sposare un italiano cattolico.

Attivato dal Cappellano Militare/Parroco - a cui si sono rivolti i giovani - o direttamente dai fidanzati, il Comune, nella persona dell’Ufficiale dello Stato Civile, per procedere alle pubblicazioni di legge richiede il nulla osta al matrimonio rilasciato dal paese d’origine della straniera, ottemperando la prevista normativa.

Per richiesta dell’Ufficiale dello Stato Civile, la ragazza, recatasi all’Ambasciata/Consolato del proprio paese in Italia, si vede negare, peraltro solo verbalmente, il documento attestante l’assenza di impedimenti al matrimonio. Il diniego è motivato dal fatto che il nubendo non professa la religione islamica. Ed alcun nulla osta sarà rilasciato finché l’uomo non si convertirà ritualmente presentandosi di persona ad un Imâm, che certificherà l’emissione della shahâda, ovvero della professione di fede musulmana.

Il fidanzato, consapevole o meno dei provvedimenti canonici, è perplesso: non vuole apostatare la fede cristiana pur desiderando sposare la ragazza.

 

 

2. La soluzione

Privi del nullaosta dell’Ambasciata/Consolato i fidanzati si vedranno opporre dall’Ufficiale dello Stato Civile il rifiuto per iscritto alle pubblicazioni; essi dovranno ricorrere avverso tale rigetto con la procedura prevista dall’art. 98 del Codice Civile, che prevede la ricorribilità al Giudice Ordinario in forme semplificate, ovvero in Camera di Consiglio, per ottenere l’autorizzazione giudiziale al matrimonio.

Nello specifico: una volta convocati in udienza è necessario esporre al Giudice che non si è in grado di produrre il rifiuto scritto al nulla osta dell’Ambasciata/Consolato del paese islamico, in quanto gli addetti ricusano di rilasciare per iscritto il diniego, a motivo dei possibili contrasti diplomatici con l’Italia per comportamenti in palese contrasto con gli articoli 3 e 19 della Costituzione italiana, che prevedono la libertà non coartabile di culto, l’uguaglianza e la non discriminazione, ed enunciano il diritto all’eguaglianza giuridica e alla pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.

Il Giudice chiederà conseguentemente in forma ufficiale il nullaosta all’Ambasciata/Consolato del paese islamico, da cui non riceverà risposta. Trascorsi 60 giorni, o 30 nei casi d’urgenza, varràla regola del silenzio-diniego.

La conseguente sentenza giudiziale disporrà che l’Ufficiale dello Stato Civile proceda alle pubblicazioni.

 

 

 

 

ALLEGATO

Per l’approfondimento degli aspetti canonistico e civilistico

 

GPaolo VI, nel 1970, rilevava che «i matrimoni contratti dalla parte cattolica con la parte... non battezzata, sono stati sempre oggetto della premurosa sollecitudine della Chiesa... Tale sollecitudine... è attualmente richiesta con piú urgente insistenza, attese le speciali circostanze della nostra età. Mentre infatti in passato i cattolici vivevano divisi... dai non cristiani anche in rapporto al luogo e al territorio, nei tempi a noi piú vicini non solo siffatta separazione si è notevolmente attenuata, ma le stesse relazioni tra gli uomini di varie regioni e religioni hanno avuto un ampio sviluppo, sicché ne è derivato un grande incremento numerico delle unioni miste».

Nel 2000 il Consiglio Permanente della CEI raccomandava prudenza e realismo nell’affrontare il problema; e sempre nel 2000 l’Associazione Canonistica Italiana dedicò il XXXIII Congresso Nazionale di Diritto Canonico a interventi e documentazione «di grande attualità, di significativo interesse e di forte impegno per l’oggetto (il matrimonio) e la peculiarità dei contraenti (parte cattolica e parte musulmana)».

La Presidenza della CEI, nel 2005, preso atto della «società pluralista e multirazziale del mondo occidentale d’oggi», nelle Indicazioni su «Imatrimoni tra cattolici e musulmani in Italia», afferma che l’esperienza «induce in linea generale a sconsigliare o comunque a non incoraggiare questi matrimoni», suggerendo che «qualora i due insistano nella volontà di sposarsi, potrebbe essere pastoralmente preferibile tollerare la prospettiva del matrimonio civile, piuttosto che concedere la dispensa, ponendo la parte cattolica in una situazione matrimoniale irreversibile». Tuttavia, il documento della Presidenza della Conferenza Episcopale, vuole anche proporre «un indirizzo omogeneo nella verifica dei casi e nell’eventuale concessione della dispensa dall’impedimento dirimente di disparitas cultus», ed asserisce nei nn. dal 45 al 47:

«45. Una serie di problematiche particolari sorge nel caso in cui sia un uomo cattolico a voler sposare una donna musulmana: tale unione infatti è severamente vietata dalla legge coranica, in forza dell’impedimento di “differenza di religione”, secondo il quale il maschio musulmano può sposare una «donna del Libro», cioè una donna ebrea o cristiana (Corano, 5, 5); mentre una musulmana non può sposare un «politeista» (Corano, 2, 221) o un «miscredente» (Corano, 60, 10), categorie all’interno delle quali sono annoverati anche cristiani ed ebrei.

Negli ordinamenti giuridici dei Paesi islamici spesso l’autorizzazione civile alla celebrazione presuppone l’emissione della shahâda da parte del contraente non musulmano (qui, cattolico), ossia della professione di fede musulmana (6).

46. Il problema si pone normalmente, in Italia, quando si intenda contrarre matrimonio canonico a cui conseguono anche gli effetti civili; in tal caso, può accadere che il consolato del Paese islamico non trasmetta i documenti all’ufficiale dello stato civile se prima non risulti che il contraente cattolico ha emesso la shahâda.

Non di rado, per aggirare l’ostacolo, il cattolico in questione pronuncia o sottoscrive la shahâda, pensando di compiere una mera formalità. In realtà, egli pone un atto di apostasia dalla fede cattolica e manifesta una vera e propria adesione all’Islâm. Il parroco deve illustrare al contraente cattolico il vero significato della shahâda, ammonendolo che non si tratta di un mero adempimento burocratico, ma di un vero e proprio abbandono formale della fede cattolica (7).

47. Nel caso ipotizzato, si potrebbe valutare con l’Ordinario l’eventualità di ricorrere alla previa celebrazione del matrimonio nel rito civile, procedendo solo in un secondo momento alla celebrazione canonica, per superare il mancato rilascio dei documenti da parte del consolato. La normativa italiana, infatti, consente di celebrare il matrimonio civile con una musulmana senza la dovuta documentazione e senza il “nulla osta” internazionale, in quanto la disparità di trattamento prevista dalla legislazione islamica contrasta con la Costituzione italiana, secondo il principio della reciprocità (8).

Il matrimonio civile cosí celebrato, però, sarà valido solo per l’ordinamento italiano e non nel Paese d’origine della donna musulmana; la coppia perciò, con ogni probabilità, dovrà affrontare problemi gravosi in rapporto sia alla famiglia, sia al Paese d’origine.

 

 

 

 

 

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(6) Shahâda significa in arabo “testimonianza” (professione di fede) e la sua formulazione è la seguente: Lâ ilâha illâ Allâh wa Muhammad rasûl Allâh, e cioè: “Non c’è divinità all’infuori di Dio e Maometto è l’inviato di Dio”. Con la preghiera, il digiuno nel mese di Ramadân, l’elemosina e il pellegrinaggio alla Mecca è uno dei cinque pilastri fondamentali dell’Islâm. Pronunciata in arabo e talora semplicemente sottoscritta davanti a due testimoni, è sufficiente per provare la conversione all’Islâm, assoggettandosi ai diritti e ai doveri della comunità islamica.

(7) Tale professione di fede, se compiuta consapevolmente, costituisce un atto formale di abbandono della Chiesa cattolica (cf. can. 751), il quale, quando assume la sostanza di vero delitto, risulta sanzionato dal can. 1364 (scomunica latae sententiae). La sua emissione esime sia dalla forma canonica (cf. cann 1108, 1117) sia dall’impedimento di disparitas cultus (cf. can. 1086 § 1). Il cattolico, che ha emesso tale professione e si presenta al parroco chiedendo il matrimonio canonico, è tenuto a ritrattare formalmente tale atto prima del matrimonio; se la parte cattolica rifiuta di farlo, seppur ammonita delle gravi conseguenze dell’apostasia, deve essere rimandata al matrimonio civile. In ogni caso, la questione deve essere rimessa alla prudente valutazione dell’Ordinario del luogo.

(8) L’art. 27 della legge n. 218/1995 sottopone la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio alla legge nazionale di ciascun nubendo al momento della celebrazione. Qualora l’impedimento previsto dalla legge risultasse contrastante con l’ordinamento italiano, l’autorità italiana potrebbe legittimamente invocare il limite dell’ordine pubblico, come nel caso del divieto per la donna musulmana di sposare un non musulmano. L’impedimento si pone in evidente contrasto con il principio di eguaglianza sancito, oltre che dalla Costituzione, da numerosi atti internazionali in tema di tutela dei diritti dell’uomo, quali gli artt. 12 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’ordine pubblico può giustificare la mancata produzione del nulla osta al matrimonio richiesto agli stranieri dall’art. 116 del Codice Civile».

L’articolo 116, citato alla nota 8 del n. 47 delle Indicazioni su «Imatrimoni tra cattolici e musulmani in Italia», prevede nello specifico che l’Ufficiale dello Stato Civile accerti non sussistano impedimenti al matrimonio con il cittadino straniero, cioè, tra gli altri, che un soggetto già legalmente sposato si risposi.

La legge italiana che regola il diritto internazionale privato dispone che il diritto personale di ciascun nubendo, compreso i rispettivi impedimenti a contrarre matrimonio, sia regolato dalla legge della nazione di appartenenza. Secondo tale disposizione, dunque, la ragazza regolarmente residente in Italia, di religione musulmana e cittadina di una nazione islamica non potrebbe sposarsi perché la legge del suo paese di origine lo vieta.

Tuttavia la medesima normativa offre all’art. 16 una diversa possibilità, qualora il diritto straniero contrasti con l’ordine pubblico, ne è disposta la non applicazione e la riviviscenza della lex loci, ed in questo caso del diritto italiano. Pertanto, proprio per il diritto italiano, la futura sposa non ha alcun impedimento al matrimonio qualora sia in possesso dei requisiti di legge, ovvero, per il caso che qui interessa, non sia già soggetta a vincolo sponsale.

 

 

 

 

 

 

 

Note

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(1) Cf. art. 116 C.: «Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello Stato deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio».

(2) L’atto formale di abbandono della Chiesa cattolica (cf. can. 751), quando assume la sostanza di vero delitto, è sanzionato dal can. 1364 con la scomunica latae sententiae.

(3) Cf. art. 98 C. «L’ufficiale dello stato civile che non crede di poter procedere alla pubblicazione rilascia un certificato coi motivi del rifiuto (artt. 112, 138). Contro il rifiuto è dato ricorso al tribunale, che provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero (artt. 737 e ss. P. C.)».

(4) Art. 3 Cost.: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

(5) Art. 19 Cost.: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».

(6) Paolo VI, Motu Proprio Matrimonia mixta, 31 marzo 1970, Introduzione. Si veda anche F. Di Leo, Matrimoni misti e unioni islamo-cristiane in Italia. Dati recenti e prospettive future, in Il matrimonio tra cattolici ed islamici, Città del Vaticano 2002, pp. 189-208.

(7) Conferenza Episcopale Italiana - Consiglio Permanente, Comunicato dei lavori della sessione invernale (24-27 gennaio 2000), Roma, 1 febbraio 2000, in «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana», 2000, 1, pp. 23-30.

(8) D. Mogavero, Presentazione, in Il matrimonio tra..., p. 7.

(9) U. Navarrete, Disparitas cultus (can. 1086), in Diritto matrimoniale canonico, 1, Città del Vaticano 2002, p. 509.

(10) Conferenza Episcopale Italiana - Presidenza, Indicazioni su «I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia», 29 aprile 2005, in «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana», 2005, 5, pp. 139-165. Certo utile risulta la lettura di A. Perlasca, Le «Indicazioni» della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana concernenti i matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia, in «Ius Ecclesiae», 17 (2005), 3, pp. 859-873.

(11) Ibidem, n. 3.

(12) Ibidem, n. 21. L’espressione irreversibile appare quanto mai impropria alla luce del can. 1142: «Il matrimonio [...] tra una parte battezzata e una non battezzata, per una giusta causa può essere sciolto dal Romano Pontefice, su richiesta di entrambe le parti o di una delle due, anche se l’altra fosse contraria»; ma è necessario ricordare che «il documento [... Indicazioni su «I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia» non ha] in sé valore giuridico [... anche se] rappresenta un autorevole punto di riferimento e un prezioso strumento di lavoro che intende stimolare la riflessione e la presa di coscienza su di un problema reale, molto complesso e delicato in vista di una piú condivisa ed efficace azione pastorale» (Perlasca, Le «Indicazioni»..., p. 862).

(13) Ibidem, presentazione.

(14) Cf. R. Aluffi Beck-Peccoz, Relazioni familiari nella società islamica, in Il matrimonio tra..., pp. 159-170.

(15) Conferenza Episcopale Italiana - Presidenza, Indicazioni su..., nn. 45-47.

(16) Cf. Legge 31 maggio 1995, n. 218: Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

(17) Cf. ibidem, art. 16: «1. La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico. 2. In tal caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana».

 

 

 

 

 

Cfr. ALLEGRETTI V., È possibile sposare una musulmana senza apostatare?, in «Bonus Miles Christi», 53 (2007), 5/6, 59-62.