Appunti sulle armi di ultima generazione: i droni killer,
senza pilota, le nuove frontiere della tecnologia
per una guerra senza confini, sempre piú violenta, sempre piú illegittima
Versione preliminare - 24 maggio 2014
Il drone è un aeromobile a pilotaggio remoto o APR, ossia un velivolo caratterizzato dall’assenza del pilota a bordo. Il suo volo è controllato dal computer di bordo, sotto il controllo di un pilota operante da terra via radio.
Il termine drone è stato coniato quasi 100 anni fa e deve le sue origini al ronzio dei primi modelli, somigliante al rumore che fa un fuco, in inglese drone. Oggi questi aerei possono volare silenziosamente per decine di ore su un’area assai vasta e raccogliere informazioni di ogni tipo, oltre a prelevare campioni di nubi di origine vulcanica, chimica o di altro genere. Esistono diversi modelli di droni, il cui peso va da meno di un chilogrammo a diverse tonnellate, come il Global Hawk della Northrop Grumman, che può volare a 40.000 metri di altezza, in qualsiasi condizione meteo, dagli USA fino all’Afghanistan e ritorno, senza scalo.
Recentemente l’Organizzazione mondiale dell’aviazione civile (ICAO) ha adottato la terminologia di Remotely piloted aircraft system (RPAS), cioè aerei con sistema di pilotaggio remoto. L’inclusione del termine aircraft sottolinea il fatto che, indipendentemente dalla presenza del pilota, le operazioni di volo devono rispettare le stesse regole e procedure degli aerei con equipaggio a bordo.
Il loro utilizzo è ormai consolidato sia per usi militari, sia per usi civili come, ad esempio, nelle operazioni di prevenzione e sicurezza antincendio, nei servizi di sicurezza, nella sorveglianza degli oleodotti, nel telerilevamento e ricerca e, piú in generale, in tutti i casi in cui tali sistemi rendono possibile l’esecuzione di missioni ad elevato rischio per la vita umana o in aree impervie, volando a bassissima quota, con costi minori rispetto a quelli dei velivoli tradizionali. Dopo il terremoto in Giappone, che nel marzo 2011 ha compromesso la centrale nucleare di Fukushima, sono stati utilizzati dei droni Global Hawk, allo scopo di monitorare i reattori danneggiati dallo tsunami.
I droni vengono designati anche attraverso altri acronimi come RPA (Remotely piloted aircraft), UAV (Unmanned aerial vehicle), RPV (Remotely piloted vehicle), ROA (Remotely operated aircraft) o UVS (Unmanned vehicle system) e altri ancora.
I droni offrono innumerevoli vantaggi ma, come vedremo, pongono anche notevoli problemi, fra i quali quello della riservatezza o del diritto alla privacy. Il 20 marzo 2013 lo US Senate Judiciary Committee ha disposto un’audizione sul futuro dei droni in America e sulla preoccupazione che l’uso di questi mezzi pone per la tutela dei dati personali. In Europa la normativa in materia è abbastanza vasta e le autorità comunitarie non hanno ritenuto necessari nuovi regolamenti specifici sull’uso di questi mezzi aerei, a parte quelli relativi alla sicurezza della navigazione aerea.
Cenni storici sui droni
Il primo tentativo di realizzare un velivolo senza pilota pare risalga al 1849, quando gli austriaci attaccarono la città di Venezia utilizzando dei palloni con carichi esplosivi. Alcuni di questi vennero lanciati dalla nave austriaca Vulcano e sebbene alcuni avessero funzionato altri, a causa del vento, finirono per colpire le linee austriache. Il primo drone moderno fece la sua comparsa durante la Prima guerra mondiale, nel 1916: l’Aerial Target veniva pilotato mediante tecniche di radio controllo. Il 12 settembre 1916 l’aeroplano automatico Hewitt-Sperry, noto anche come “bomba volante”, compí il suo primo volo con successo, grazie ad una serie di giroscopi. Nel periodo di tempo compreso tra le due guerre mondiali, il progresso tecnologico permise lo sviluppo di progetti che portarono alla conversione di alcuni aerei in APR e alla nascita dei primi sistemi senza pilota. Essi potevano essere lanciati dalle navi da guerra e venivano controllati tramite un autopilota.
La prima produzione in larga scala risale al periodo della Seconda guerra mondiale. Il progetto nacque grazie all’intraprendente Reginald Denny, che durante la Prima guerra mondiale combatté nell’esercito britannico per poi trasferirsi negli Stati Uniti, in cerca di maggior fortuna. I modelli di aereo radio-controllati erano la sua passione, ragion per cui fondò una piccola società che nel tempo diede origine alla Radioplane Company. Egli era convinto del fatto che gli elicotteri radio-controllati a basso costo potevano essere utili per i test dell’artiglieria antiaerea. Fu cosí che nel 1935 egli effettuò una dimostrazione per l’esercito americano con un prototipo denominato RP-1. I vertici dell’esercito americano ne furono entusiasti a tal punto che la Radioplane Company ne produsse circa 15.000 esemplari. Durante la Guerra Fredda e la Guerra del Vietnam lo sviluppo tecnologico permise di raggiungere un elevato livello qualitativo, offrendo al mercato prodotti sempre piú compatti e con caratteristiche talmente avanzate da poter essere impiegati in innumerevoli scenari operativi.
In Italia si cercò di sviluppare sin dagli anni ‘60 questo tipo di velivoli. Il primo modello utilizzato dall’Esercito Italiano fu il CL-89, o AN USD 51, prodotto dalla Canadair, in servizio fino al 2000. L’Esercito ha poi sviluppato in collaborazione con Meteor CAE il Mirach 20 (1985-2002), velivolo ad ala fissa dotato di telecamera e con un raggio d’azione di circa 120 km. Nel 2004, dopo l’esito negativo delle sperimentazioni dei Sistemi Mirach 26 e Mirach 150, l’Esercito acquistò il sistema FQM 151 A Pointer (Small class) per poi passare ai modelli Raven RQ 1A e 1B, mentre l’Aeronautica militare si approvvigionò con l’RQ-1 Predator costruito dalla General Atomics. Successivamente l’Esercito ha acquistato il sistema tattico Shadow 200 dalla ditta AAI Corp. di Hunt Valley nel Maryland (USA).
I droni killer
I droni killer vengono designati anche con il termine “LAR” (Lethal Autonomous Robotics). Si tratta di sistemi d’arma robotizzati che, una volta attivati, possono selezionare e colpire un obiettivo in piena autonomia, esautorando l’operatore umano da ogni intervento. I droni killer segnano cosí l’ultima frontiera delle tecnologie belliche, dove la mente e la coscienza umana lasciano il passo alle intelligenze artificiali dei processori. I LAR possono avere conseguenze sociali e politiche di vasta portata. A richiamare l’attenzione della comunità internazionale sui nuovi strumenti bellici automatizzati è stato il Consiglio per i Diritti Umani dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che il 9 aprile 2013 ha pubblicato uno specifico rapporto:
“Raccomandiamo agli Stati membri di stabilire una moratoria nazionale sulla sperimentazione, produzione, assemblaggio, trasferimento, acquisizione, installazione e uso dei LAR, perlomeno sino a quando non venga concordato internazionalmente un quadro di riferimento giuridico sul loro futuro... Essi non possono essere programmati per rispettare le leggi umanitarie internazionali e gli standard di protezione della vita previsti dalle norme sui diritti umani. La loro installazione non comporta solo il potenziamento dei tipi di armi usate, ma anche un cambio nell’identità di quelli che li usano. Con i LAR, la distinzione tra armi e combattenti rischia di essere annullata”.
Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite rileva come le odierne guerre asimmetriche e i conflitti armati non-internazionali, anche in ambienti urbani, dovrebbero scoraggiare l’uso di armi-robot, proprio perché in questi scenari è ancora piú difficile la distinzione tra i “non combattenti” (come bambini, anziani e donne) e gli obiettivi cosiddetti “legali”. Ciononostante si progettano e sperimentano LAR sempre piú indipendenti dal controllo umano, mentre le ultime dottrine strategiche prefigurano la totale estromissione degli umani dalle catene decisionali nei teatri operativi.
Questo processo di transizione è agevolato dalla riduzione dei tempi di reazione ai comandi trasmessi dai sistemi militari di controllo. Alcuni sistemi d’arma sono in grado di individuare i sistemi bellici “nemici” in avvicinamento e di rispondere automaticamente per neutralizzarne la minaccia. Anche quando è prevista la possibilità di un intervento umano, al fine di modificare i piani di azione automatizzati, essa può essere implementata nel giro di pochi secondi.
Negli Stati Uniti l’Unmanned Aircraft Systems Flight Plan 2009-2047 definisce gli obiettivi strategici da perseguire entro la metà del secolo. Esso prevede tre tappe: la prima, fissata per il 2020, riguarda la progressiva sostituzione dei cacciabombardieri con gli aerei senza pilota. La seconda, nel 2030, affiderà ai droni il controllo totale dei cieli. L’ultima tappa, nel 2047, prevede che le azioni conseguenti agli attacchi convenzionali, chimici, biologici e nucleari siano decise in assoluta autonomia dai computer dotati di intelligenza artificiale.
Anche gli altri paesi dell’Alleanza Atlantica si muovono in questa direzione. Entro il 2017 sarà pienamente operativo il programma denominato Alliance Ground Surveillance (AGS) che punta a potenziare le capacità d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento della NATO. L’AGS fornirà informazioni in tempo reale per i compiti di vigilanza aria-terra a supporto dell’intero spettro delle operazioni nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa e in Medio oriente. Mentre ferve il dibattito internazionale sulla legittimità di questi droni a livello giuridico, sociale, culturale e morale, in Italia il tema è quasi del tutto ignorato dai mass-media e dalle forze politiche. Eppure anche il nostro Paese avrà i suoi droni killer.
«Ground Control System»
Il problema etico e legale posto dai droni killer
«Un robot non può recare danno ad un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno». Isaac Asimov aveva visto giusto quando aveva formulato la prima delle sue tre leggi sulla robotica, tutte incentrate sul principio che una macchina non debba fare alcun male ad un uomo. L’uso indiscriminato dei droni killer in Afghanistan, in Pakistan e nello Yemen da parte americana, ha determinato una crisi politico-istituzionale a Washington. L’Amministrazione Obama, guidata da un Nobel per la pace, li difende, mentre numerosi esponenti del Congresso e delle organizzazioni umanitarie ne denunciano le operazioni belliche sempre piú illegittime e sanguinarie. Le Forze Armate statunitensi li utilizzano ormai comunque, dovunque e contro chiunque, in un crescendo di omicidi selettivi di presunti guerriglieri e terroristi, ma anche di “danni collaterali” e di palesi errori che mietono vittime fra i civili. Occorre ribadire che si devono rispettare e trattare con umanità i non-combattenti, i soldati feriti e i prigionieri. Le azioni manifestamente contrarie al diritto delle genti e ai suoi principi universali, non diversamente dalle disposizioni che le impongono, sono dei crimini, né basta un'obbedienza cieca a scusare coloro che vi si sottomettono (cfr. CCC, n. 2313).
L’uso dei droni killer vanifica cinquant’anni di diritto internazionale, per questo l’ONU, come già accennato, ha dato vita ad una commissione d’inchiesta per documentare il reale impiego dei velivoli teleguidati nelle innumerevoli guerre degli Stati Uniti d’America, dei militari britannici e di quelli israeliani. Pax Christi International si è espressa piú volte chiedendo la proibizione dell’utilizzo dei velivoli senza pilota come armi belliche. Il loro uso spesso si è dimostrato tutt’altro che utile anche sul fronte prettamente militare. In Pakistan, per esempio, gli attacchi sempre piú massicci contro i villaggi, vero e proprio “killeraggio mirato”, hanno reso assai critiche le relazioni di Washington con le autorità locali, mentre i lutti presso la popolazione civile hanno accresciuto il consenso verso le azioni dei gruppi eversivi. Purtroppo questa strategia militare, nata in Israele nei confronti di sospetti terroristi e che ancora dieci anni fa sembrava del tutto illegale, sta prendendo piede e miete sempre più vittime in zone remote e difficilmente raggiungibili dai mass-media.
Alcune ricerche americane, seppur limitate al solo territorio pakistano, hanno evidenziato dati allarmanti: dal 2004 al 2012, su un totale di oltre 3.000 persone colpite, sarebbero stati uccisi con i droni killer tra i 474 e gli 881 civili (di cui 176 bambini); il rapporto tra terroristi/supposti tali e le vittime innocenti sarebbe di 1 a 10, mentre la quota dei nemici di “alto profilo” cosí eliminati ammonterebbe solo al 2%. Queste operazioni inoltre hanno indotto il reclutamento di nuovi combattenti, ottenendo l’effetto opposto a quello prefissato. Per Washington queste killing action sarebbero giustificate sia dal diritto interno, sia da quello internazionale, cosa tutta da dimostrare. Il diritto interno, infatti, in base all’Authorization for Use of Military Force (AUMF) del 2001, autorizza il Presidente ad avvalersi di “ogni necessaria e appropriata forza” contro i responsabili degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Sul piano internazionale l’Amministrazione Obama si rifà all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che contempla il diritto all’auto-difesa con la prerogativa dell’unilateralità.
«Collateral damage»
Il punto della situazione
L’aspetto critico di questi sistemi d’arma risiede nel fatto che essi sono guidati da personale militare che si trova in località diverse, anche molto distanti, da quelle in cui avvengono le azioni belliche, in un contesto di relativa o di assoluta mancanza di verifiche e i cui effetti vengono messi cinicamente in conto. Si tratta dei cosiddetti “danni collaterali”, in altre parole di civili innocenti che muoiono solo per essersi trovati nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
La logica adottata in queste operazioni militari non di rado è quella della signature strike (attacco all’impronta). In questo caso la decisione di colpire si basa non sulla verificata identità dei bersagli ma sul fatto che essi mostrano “schemi comportamentali sospetti” (o “impronte”). Un gruppo di ragazzi che corrono o giocano, per esempio, potrebbe essere assimilato ad un campo di addestramento per terroristi. Cosí, a dispetto della censura militare, sono numerosi gli episodi tragici che qua e là vengono alla luce.
Nel 2011 l’Huffington Post, riportò il caso di un eccidio in una regione di confine del Pakistan, a Datta Khel, dove trovarono la morte 42 persone. In quella circostanza una jirga, ossia un’assemblea di anziani per dirimere una controversia locale, forní l’”impronta” fatale. Gli anziani avevano informato l’esercito pakistano del raduno con dieci giorni di anticipo, si trattava perciò di un evento pubblico, di cui tutti nella comunità e nei dintorni erano a conoscenza. Tutti tranne i servizi d’intelligence statunitensi o il militare che, al sicuro nella sua base, aprí il fuoco con il drone. È solo un caso, ma uno fra tanti purtroppo.
Nessun sofisma giuridico o retorico potrà mai conferire a tali atti il carattere di una legittima azione di guerra. Si tratta in realtà di un vile assassinio, paragonabile a quello che commetterebbe un agente di polizia che, presumendo di avere a che fare con un criminale, gli sparasse alle spalle senza neppure chiedergli di voltarsi o di esibire un documento. Quale giudice degno emetterà mai una sentenza assolutoria o invocherà per tale delitto la sia pur minima attenuante? Anche un assassino ha diritto ad un giusto processo. Non è certo questo il caso di un soldato in battaglia, tuttavia il minimo a cui anch’egli è tenuto, prima di aprire il fuoco, e di identificare chiaramente il nemico come tale. Nessuna regola di ingaggio può esimersi da questi elementari principi di verità e di moralità. Prescindere da essi significa violare l’ultima linea di demarcazione che distingue la guerra dalla barbarie piú abietta e dal crimine puro e semplice.
Troppo spesso si ritiene che in guerra tutto sia lecito, in realtà niente è piú dannoso di una simile posizione, anche da un punto di vista strettamente militare. L'uso indiscriminato dei droni killer, oltre alle gravissime trasgressioni morali ed etiche già rilevate, comporta anche l'infrazione di molte delle regole fondamentali del combattente che dovrebbero moderare ogni conflitto:
1) esso getta disonore sulla propria bandiera, crea sofferenze inutili che, lungi dall'attenuare la volontà di battersi del nemico, lo spingono alla vendetta;
2) comporta seri rischi anche per gli obiettivi civili;
3) non consente di curare gli eventuali feriti e malati gravi al termine o durante l'azione;
4) procura spesso danni maggiori di quelli richiesti dall’assolvimento del proprio compito;
5) può colpire anche il nemico che si è arreso o intende arrendersi o che è fuori combattimento;
6) può innescare una spirale di odio e di distruzione crescente;
7) può danneggiare le persone ed i beni della Croce Rossa, della protezione dei beni culturali, della protezione civile o di altre organizzazioni umanitarie;
8) viola spesso il rispetto dovuto alle proprietà ed ai beni altrui.
Coloro che ordinano o eseguono questi atti si assumono tutte le responsabilità morali dei danni e delle sofferenze da essi inflitti. Promuovere l’uso illegittimo di simili strumenti bellici significa rendersi responsabili, davanti a Dio ed alla storia, dello scandalo piú grave che si possa dare: lo scandalo del male. Dice il Vangelo: «Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (Mt 18,7).
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• IL MAGISTERO ECCLESIASTICO E LA GUERRA •
Testo del C.C.C. nn. 2307-2317
2307
Il quinto comandamento proibisce la distruzione volontaria della vita umana. A causa dei mali e delle ingiustizie che ogni guerra provoca, la Chiesa con insistenza esorta tutti a pregare e ad operare perché la Bontà divina ci liberi dall'antica schiavitú della guerra (GS 81).
2308
Tutti i cittadini e tutti i governanti sono tenuti ad adoperarsi per evitare le guerre. «Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa» (GS 79).
2309
Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:
- Che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo.
- Che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci.
- Che ci siano fondate condizioni di successo.
- Che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini piú gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.
Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della «guerra giusta». La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune.
2310
I pubblici poteri, in questo caso, hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale. Coloro che si dedicano al servizio della patria nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente al bene comune della nazione e al mantenimento della pace (GS 79).
2311
I pubblici poteri provvederanno equamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi; essi sono nondimeno tenuti a prestare qualche altra forma di servizio alla comunità umana (GS 79).
2312
La Chiesa e la ragione umana dichiarano la permanente validità della legge morale durante i conflitti armati. «Né per il fatto che una guerra è... disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto» (GS 79).
2313
Si devono rispettare e trattare con umanità i non-combattenti, i soldati feriti e i prigionieri. Le azioni manifestamente contrarie al diritto delle genti e ai suoi principi universali, non diversamente dalle disposizioni che le impongono, sono dei crimini. Non basta un'obbedienza cieca a scusare coloro che vi si sottomettono. Cosí lo sterminio di un popolo, di una nazione o di una minoranza etnica deve essere condannato come un peccato mortale. Si è moralmente in obbligo di far resistenza agli ordini che comandano un genocidio.
2314
«Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato» (GS 80). Un rischio della guerra moderna è di offrire l'occasione di commettere tali crimini a chi detiene armi scientifiche, in particolare atomiche, biologiche o chimiche.
2315
L'accumulo delle armi sembra a molti un modo paradossale di dissuadere dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in esso il piú efficace dei mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni. Riguardo a tale mezzo di dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La corsa agli armamenti non assicura la pace. Lungi dall'eliminare le cause di guerra, rischia di aggravarle. L'impiego di ricchezze enormi nella preparazione di armi sempre nuove impedisce di soccorrere le popolazioni indigenti (cfr. Paolo VI, lett. enc. Populorum progressio, 53); ostacola lo sviluppo dei popoli. L'armarsi ad oltranza moltiplica le cause dei conflitti ed aumenta il rischio del loro propagarsi.
2316
La produzione e il commercio delle armi toccano il bene comune delle nazioni e della comunità internazionale. Le autorità pubbliche hanno pertanto il diritto e il dovere di regolamentarli. La ricerca di interessi privati o collettivi a breve termine non può legittimare imprese che fomentano la violenza e i conflitti tra le nazioni e che compromettono l'ordine giuridico internazionale.
2317
Le ingiustizie, gli eccessivi squilibri di carattere economico o sociale, l'invidia, la diffidenza e l'orgoglio che dannosamente imperversano tra gli uomini e le nazioni, minacciano incessantemente la pace e causano le guerre. Tutto quanto si fa per eliminare questi disordini contribuisce a costruire la pace e ad evitare la guerra: «Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma, in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere il peccato, essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina: «Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà piú le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno piú per la guerra (Is 2,4)» (GS 78).
• Dati tecnici e sagome di alcuni droni killer piú noti •
General Atomics RQ-1 Predator - USA
Lunghezza: 8,22 m. - Apertura alare: 14,8 m. - Peso a
vuoto: 512 kg. - Motore: Rotax 912 (o 914) a 4 cilindri da 100/115 CV
Velocità max: 217 km/h. - Autonomia: 24 h. di stazionamento a 926
km. dalla base di partenza - Tangenza: 7.800 m.
• L’RQ-1 Predator è un aeromobile a pilotaggio remoto prodotto dalla General Atomics ed entrato per la prima volta in servizio nel 1995 nell’USAF. Il Predator rientra nella categoria dei MALE (medium altitude, long endurance, ossia media quota, lunga autonomia). Spesso ci si riferisce al velivolo come MQ-1 Predator, in quanto è stato successivamente dotato della possibilità di impiegare 2 missili AGM-114 Hellfire, passando dal solo impiego come velivolo da ricognizione (Reconnaissance) a quello di attacco (Multirole). L’introduzione dell’armamento è avvenuta a partire dalla versione MQ-1B. Da esso è derivata la versione MQ-9 Reaper, inizialmente indicata come MQ-1 Predator B. L’RQ-1 è un sistema che include una stazione di controllo a terra (GCS). Il velivolo è pilotabile da remoto anche oltre la linea dell’orizzonte, grazie ad un sistema data link satellitare. L’RQ-1 Predator è dotato di dispositivi di osservazione molto avanzati, incluso un sensore per gli infrarossi ed un Radar SAR (Sintetic Aperture Radar) in grado di effettuare rilevamenti molto dettagliati dei target. Il velivolo è riconoscibile da un’ampia apertura alare, dagli impennaggi rovesciati e dall’elica propulsiva.
General Atomics MQ-9 Reaper - USA
Lunghezza: 11 m. - Apertura alare: 20 m. - Peso a vuoto:
2.223 kg. - Motore: 1 turboelica Honeywell TP331-10T da 712 kW.
Velocità max: 482 km/h. Autonomia: 14-28 ore (14 ore se a pieno
carico) - Quota di servizio: 7.500 m. - Tangenza: 15.000 m.
• Il General Atomics MQ-9 Reaper, originariamente conosciuto come Predator B, è un aeromobile a pilotaggio remoto (APR) sviluppato dalla General Atomics Aeronautical Systems (GA-ASI) per l’USAF, la US Navy, l’Aeronautica Militare Italiana e la UK Royal Air Force. L’MQ-9 è il primo UAV hunter-killer progettato per la sorveglianza a lunga autonomia, e ad elevate altitudini. L’MQ-9 ha una potenza di 950 HP, ciò che gli consente di trasportare 15 volte il suo peso e di volare molto piú velocemente dell’MQ-1.
General Atomics MQ-1C Grey Eagle - USA
Lunghezza: 8 m. - Apertura alare: 17 m. - Peso max al
decollo: 1.451 kg. - Motore: Thielert Centurion 1.7 da 100 kW
Velocità max: 250 km/h. - Autonomia: 36 ore - Tangenza: 8.840 m.
• Il General Atomics MQ-1C Grey Eagle (precedentemente chiamato Warrior, o anche Sky Warrior) è un aeromobile a pilotaggio remoto (APR) multifunzione, a raggio esteso, realizzato dall’azienda statunitense General Atomics per lo US Army. È una versione migliorata del RQ-1 Predator. L’MQ-1C Warrior è un APR a media altitudine a lungo raggio (Medium Altitude Long Endurance o MALE) caratterizzato da una maggiore apertura alare e mosso da un motore Thielert “Centurion”, che gli consente prestazioni migliori ad elevate altitudini. È in grado di operare per 36 ore ad altitudini superiori a 7.600 m., con un raggio operativo di 400 km. Il muso dell’aereo è stato ampliato per ospitare un Radar ad apertura sintetica, un sistema d’indicatore di movimento a terra (Ground Moving Target Indicator, SAR-GMTI) e un sistema di inquadramento multi-spettrale (AN/AAS-52 Multi-spectral Targeting System - MTS). L’aereo può trasportare un carico di apparecchiature elettroniche da 800 libbre, di missili AGM-114 Hellfire e di bombe guidate GBU-44/B Viper Strike.
Boeing X-45 - USA
Lunghezza: 8,08 m. - Apertura alare: 10,31 m. - Altezza:
2,14 m. - Peso a vuoto: 3.630 kg. - Motore: Honeywell F124-GA-100 da 28
kN
Velocità max: 919 km/h. - Velocità di crociera: Mach 0,80
- Autonomia: oltre 2.400 km. - Tangenza: 12.200 m.
• Il Boeing X-45 è un velivolo sperimentale costruito con lo scopo di attaccare e distruggere le difese antiaeree nemiche in un combattimento reale, tutto ciò senza il supporto umano (la denominazione ufficiale è UCAV, Unmanned Combat Air Vehicle). Il progetto è stato sviluppato dalla U.S. Air Force in collaborazione con la Boeing. Un prototipo è stato realizzato ed ha eseguito alcuni voli di test, il primo di questi il 22 maggio del 2002.
X-47B Unmanned Combat Air System (UCAS) - USA
Lunghezza: 11,63 m. - Apertura alare: 18,92 m./9.41 m.
- Peso a vuoto: 6.350 kg. - Peso massimo al decollo: 20.215 kg.
Propulsore: Pratt & Whitney F100-220U Turbofan - Velocità massima:
subsonica - Velocità di crociera: Mach >0,9 (high subsonic)
Autonomia: >3.889 km. - Quota di servizio: 12.190 m.
• Lo X-47B è il primo aereo da combattimento a pilotaggio remoto destinato alla US Navy. Esso può decollare e atterrare da una portaerei e possiede caratteristiche stealth. Le dimensioni sono comparabili a quelle di un F-18 (circa l’87%) ed è in grado di compiere una missione di attacco e di rientrare autonomamente alla base.
General Atomics Avenger - USA
Lunghezza: 12 m. - Apertura alare: 20 m. - Propulsore:
Pratt & Whitney Canada PW545B Turbofan da 18,32 kN
Velocità massima: 741 km/h. - Autonomia: 20 ore - Quota di servizio:
18.288 m.
• Il General Atomics Avenger è un'evoluzione di un precedente modello costruito dalla General Atomics Aeronautical Systems per l'esercito degli Stati Uniti. Il primo volo è avvenuto il 4 aprile 2009. A differenza del precedente MQ-1 Predator e dell'MQ-9 Reaper (Predator B) l'Avenger è alimentato da un motore turbofan, e il suo design gli conferisce caratteristiche stealth. Il disegno dello scarico gli conferisce anche una ridotta impronta termica. Il drone impiega le stesse armi dell'MQ-9 e dispone di un Radar Lynx ad apertura sintetica, insieme ad una versione del sistema di puntamento elettro-ottico dell'F-35 Lightning II (EOTS).
Dassault nEUROn - France
Lunghezza: 9,2 m. - Apertura alare: 12,5 m. - Peso a vuoto: 4.900 kg. - Peso max al decollo: 6.500 kg.Propulsione: RRTM Adour Mk951 da 28,9 kN - Velocità max: <0,80 Mach
• Il nEUROn è un programma europeo, avviato dalla francese Dassault, per la progettazione di un aeromobile da combattimento a pilotaggio remoto (APR) dalle accentuate caratteristiche stealth. In data 1º dicembre 2012 il prototipo ha effettuato il primo volo presso la base militare di Istres, in Francia.] La fusoliera sarà caratterizzata da design e materiali stealth avanzati che permetteranno all'aereo di penetrare nello spazio aereo nemico senza essere individuato. La configurazione alare complica il lavoro del pilota automatico ma conferisce al velivolo capacità di manovra superiori, tipiche dei moderni caccia. La presa d'aria per i due motori RRTM Adour MK951 hybrid è posta in posizione centrale sul dorso del velivolo e consente di evitare che le superfici mobili del motore vengano rilevate da Radar-doppler di terra, schermando la parte anteriore del motore con il ventre stesso del velivolo. Il nEUROn non verrà pilotato direttamente, ma controllato da terra attraverso un sistema ad alta capacità con standard NATO STANAG 7085 datalink. Tramite questo datalink i dati della missione vengono inviati al velivolo, sarà poi l'intelligenza artificiale del nEUROn ad intraprendere tutte le necessarie azioni che permetteranno il raggiungimento dell'obiettivo. Non vi sarà quindi un controllo diretto e continuo da terra, ciò che permette un quasi assoluto silenzio radio, necessario per evitare l'intercettazione, e sfruttare al massimo il vantaggio offerto dalle capacità stealth del velivolo. Un'altra caratteristica contemplata è la possibilità di controllare una squadra d'attacco in modo automatico dai caccia di ultima generazione come il Rafale o il JAS 39 Gripen permettendo quindi ad un solo pilota di intraprendere, anche se non direttamente, diverse azioni di combattimento simultanee.
Mikoyan Skat - Russian Federation
Lunghezza: 10,25 m. - Apertura alare: 11,5 m. - Propulsore:
Klimov RD-5000B - Velocità massima: 800 km/h.
Peso a vuoto: 10 ton. - Autonomia: 4.000 chilometri - Quota di servizio:
12.000 m.
• Lo Skat sfrutta la stessa tecnologia stealth sviluppata negli Stati Uniti. Skat in russo significa "pastinaca", il pesce romboidale dotato di aculeo velenoso. L'aereo radiocomandato ha un profilo piatto ed è privo di impennaggi di coda. Lo Skat sarà in grado di trasportare oltre due tonnellate di bombe. Ai saloni aeronautici MAKS-2007, la compagnia «MiG» ha esposto un modello in scala reale di uno Skat auto-pilotato d'assalto, destinato all'esplorazione e alla distruzione di obiettivi terrestri con armi ad alta precisione. Il velivolo, dal peso di dieci tonnellate, è realizzato secondo lo schema ad "ala volante" ed è capace di raggiungere la distanza di 4 mila chilometri.
• Sagome di alcuni droni killer piú noti •
Estratto da «Drone Survival Guide»
[ www.dronesurvivalguide.org ]
Reaper
Harpy
Fire Scout
Hummingbird
Predator
Avenger
Mantis
Soaring Dragon
X45C
nEUROn
X47C
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