Datata 10 maggio 1884, indirizzata da Roma alla comunità educativa di Torino-Valdocco, la lettera riprende molti elementi di un testo precedente inviato nella stessa data ai giovani dell’Oratorio di Valdocco, arricchita da altri principi riservati agli educatori. Il testo è opera di don Giovanni Battista Lemoyne, tuttavia essa è ampiamente ispirata da Don Bosco. È stata fatta la scelta di aggiornare il testo all’italiano corrente, ciò che ha comportato un lavoro piuttosto delicato e difficile che tuttavia è sembrato necessario. Il testo originale di riferimento si basa sulla versione di: BRAIDO P., Don Bosco educatore scritti e testimonianze, 3a ed., (Fonti, Serie prima, 9), LAS, Roma 1997, 375-388.
Roma, 10 Maggio 1884
Miei carissimi figli in Cristo.
Vicino o lontano io penso sempre a voi. Uno solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi convinsero a scrivervi questa lettera. Sento, carissimi, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi procura una sofferenza che non potete immaginare. Perciò avrei voluto scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue occupazioni me lo hanno impedito. Tuttavia, anche se mancano pochi giorni al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta fra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in Cristo Gesú e ha il dovere di parlarvi con la libertà di un padre. E voi me lo permetterete, non è vero? E sono certo che mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sto per dirvi.
Ho detto che voi siete l’unico ed il continuo pensiero della mia mente. Ora, una delle sere scorse mi ero ritirato in camera, e mentre mi preparavo per andare a riposo cominciavo a recitare le preghiere che mi ha insegnato la mia buona mamma. In quel momento, non so bene se preso dal sonno o tratto fuori di me da una distrazione, mi pare che si presentassero davanti a me due dei primi giovani dell’Oratorio.
Uno di questi due mi si avvicinò e salutatomi affettuosamente mi disse:
- Don Bosco! Mi conosci?
- Sí che ti conosco: risposi.
- E ti ricordi ancora di me? Aggiunse quell’uomo.
- Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè, ed eri nell’Oratorio prima del 1870.
- Dimmi! Continuò Valfrè, vuoi vedere i giovani che erano nell’Oratorio ai miei tempi?
- Sí fammeli vedere, risposi; mi farà molto piacere.
E Valfrè mi mostrò i giovani, tutti con le stesse sembianze e con la statura e l’età di quel tempo. Mi pareva di essere nel primo oratorio all’ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giocava alla rana, là a pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dalle labbra di un prete il quale raccontava una storiella. In un altro luogo un chierico giocava in mezzo ad altri giovani. Si cantava, si rideva da tutte le parti e dovunque chierici e preti e intorno ad essi i giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra i giovani e i superiori regnava la piú grande cordialità e confidenza. Io ero incantato a questo spettacolo e Valfrè mi disse:
- Vedi: la familiarità porta amore, e l’amore porta confidenza. Questo apre i cuori e i giovani manifestano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti e ai superiori. Diventano sinceri nella confessione e fuori della confessione e sono docili a tutto ciò che comanda colui dal quale sono certi di essere amati.
In quell’istante si avvicinò a me l’altro mio vecchio allievo che aveva la barba tutta bianca e mi disse:
- Don Bosco vuoi conoscere e vedere i giovani che si trovano adesso nell’Oratorio? (Era Giuseppe Buzzetti).
- Sí! risposi; è già da un mese che non li vedo piú!
E me li additò. Vidi l’Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non si udivano piú grida di gioia e canti, non si vedeva piú quel movimento, quella vita come nella prima scena. Nei gesti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza che faceva pena al mio cuore. Vidi è vero molti che correvano, giocavano, vivevano con beata spensieratezza, ma ne vedevo altri, non pochi, stare soli appoggiati ai muri in preda a pensieri sconfortanti; altri su per le scale e nei corridoi o sopra i poggioli, dalla parte del giardino, per sottrarsi alla ricreazione comune; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando sottovoce fra di loro dando attorno occhiate sospettose e maligne: talora sorridere ma con un sorriso accompagnato da occhiate da fare non solamente sospettare, ma credere che San Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in loro compagnia; anche fra coloro che giocavano ce n’erano alcuni cosí svogliati, che facevano veder chiaramente che non trovavano alcun gusto nei divertimenti.
- Hai visto i tuoi giovani? Mi disse quel vecchio allievo.
- Li vedo; risposi sospirando.
- Quanto sono differenti da come eravamo noi una volta! Esclamò il vecchio allievo.
- Purtroppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione.
- E da qui che proviene in tanti la freddezza nell’accostarsi ai sacramenti, la trascuratezza nelle pratiche religiose in Chiesa e altrove; lo stare malvolentieri in un luogo dove l’amore divino li ricolma di ogni bene nel corpo, nell’anima e nell’intelletto. Proviene da qui la scarsa corrispondenza di molti alla loro vocazione, le ingratitudini verso i superiori; la mancanza di trasparenza e le maldicenze, con tutte le altre deplorevoli conseguenze.
- Capisco, risposi. Ma come posso risollevare questi cari giovani, affinché riprendano vivacità, allegria e ritornino espansivi?
- Con l’amore!
- Amore? Ma... i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu sai che li amo. Tu sai quanto ho sofferto e sopportato per loro nel corso di questi quaranta anni, e quanto sopporto e soffro ancora adesso. Quante pene, quante umiliazioni, quante contrarietà, quante persecuzioni per dar loro vitto, alloggio, maestri e soprattutto per curare la loro vita spirituale. Ho fatto quanto ho potuto e saputo per loro che sono l’affetto di tutta la mia vita.
- Non parlo di te!
- Di chi allora? Di coloro che mi affiancano? Dei direttori, dei prefetti, dei maestri, degli assistenti? Non vedi che sono martiri dello studio e del lavoro? Non vedi come bruciano i loro anni giovanili per quelli che gli sono stati affidati dal buon Dio?
- Sí, lo so; ma questo non basta: manca il meglio.
- Che cosa manca allora?
- I giovani non devono solo essere amati, devono sentirsi amati.
- Ma non vedono? Non hanno intelligenza? Non si rendono conto che quello che facciamo lo facciamo per amore?
- No, lo ripeto; tutto questo non basta.
- Che cos’altro ci vuole allora?
- Che siano amati in quelle cose che gli piacciono, partecipando alle loro inclinazioni giovanili, che si faccia veder loro l’amore in quelle cose che non capiscono; come la disciplina, lo studio, le rinunce e che si insegni loro a farle con amore.
- Spiegati meglio!
- Osserva i giovani nelle loro ricreazioni.
Osservai e risposi: E cosa c’è di speciale da vedere?
- Sono tanti anni che educhi i giovani e non capisci? Guarda meglio! Dove sono i nostri formatori?
Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici stavano in mezzo ai giovani e ancor meno erano quelli che prendevano parte ai loro divertimenti. I superiori non erano piú l’anima della ricreazione. La maggior parte di loro passeggiavano insieme parlando, senza badare a quello che facevano gli allievi: altri assistevano alla ricreazione senza curarsi dei giovani; altri sorvegliavano da lontano senza ammonire chi si comportava male; qualcuno poi lo faceva ma di rado e in modo minaccioso. Vi era qualche salesiano che si sarebbe voluto inserire in qualche gruppo di giovani, ma vidi che loro cercavano apposta di allontanarsi dai maestri e dai superiori.
Allora quel mio amico ricominciò:
- Nei primi tempi dell’Oratorio tu non stavi sempre in mezzo ai giovani, soprattutto durante la ricreazione? Ti ricordi di quei begli anni? Era un tripudio di festa, un periodo che ricordiamo sempre con gioia, perché l’amore era la nostra regola, e noi per te non avevamo alcun segreto.
- Certamente! Tutto era motivo di gioia per me e i giovani erano ansiosi di avvicinarsi a me per parlarmi, per ascoltare i miei consigli e metterli in pratica. Ora però vedi come i continui e numerosi impegni e la scarsa salute me lo impediscono?
- Va bene: ma se tu non puoi, perché i tuoi salesiani non ti imitano? Perché non insisti, non esigi che trattino i giovani come li trattavi tu?
- Io parlo, mi sgolo ma purtroppo molti non se la sentono piú di faticare come una volta.
- E quindi trascurando il meno perdono il piú e questo piú sono le loro fatiche. Che provino ad amare quello che piace ai giovani e i giovani ameranno quello che piace ai superiori. Cosí anche la fatica sarà amata. La causa di questo disordine nell’Oratorio è che un certo numero di giovani non ha confidenza con i superiori. Prima i cuori erano tutti aperti ai superiori, che i giovani amavano e ascoltavano volentieri. Ma ora i superiori sono considerati come superiori, non piú come padri, fratelli e amici, quindi sono temuti ma poco amati. Se si vuol fare un cuor solo ed un’anima sola, per amore di Cristo, bisogna che si rompa quella disastrosa barriera della diffidenza e subentri una confidenza cordiale. Solo cosí l’obbedienza condurrà l’allievo come la madre guida il suo piccolo. Solo allora regneranno nell’Oratorio la pace e l’allegria di prima.
- E come rompere questa barriera?
- Con la familiarità con i giovani specialmente nei giochi. Senza familiarità non si dimostra amore e senza questa certezza non può esserci confidenza. Chi vuole essere amato deve far vedere che ama. Gesú si fece piccolo con i piccoli e portò le nostre sofferenze. E lui il maestro della familiarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro e nulla piú, ma se gioca con i giovani diventa come un fratello. Se lo si vede solo predicare dal pulpito diranno che fa ne piú ne meno il proprio dovere, ma se dice una parola divertendosi insieme a noi è la parola di uno che ci ama. Quanti cuori sono cambiati grazie alle parole che tu hai fatto risuonare all’improvviso all’orecchio di un giovane, mentre si divertiva.
Chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani. Questa confidenza crea come una corrente fra i giovani e i superiori. I cuori si aprono, fanno conoscere le loro necessità e manifestano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovani. Gesú non spezzò la canna incrinata, né spense la fiammella che fumava. Ecco il vostro modello. Allora non si vedrà piú chi lavorerà per vanità; chi punirà solamente per vendicarsi delle offese all’amor proprio; chi eviterà di fare il proprio dovere per il timore dell’altrui autorità; chi mormorerà degli altri cercando di essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri superiori, guadagnando null’altro che disprezzo ed ipocrite lusinghe; chi si dedicherà solo ai propri prediletti trascurando tutti gli altri; chi per amore della comodità non si cura di sorvegliare; chi per inutile rispetto umano si astiene dall’ammonire chi fa del male. Se ci sarà questo vero amore non si cercherà altro che la gloria di Dio e il bene delle anime.
È proprio quando manca questo amore che le cose non vanno piú bene. Come si può sostituire all’amore la freddezza di un regolamento? Perché i superiori si allontanano dal rispetto di quelle norme educative che hai prescritto? Perché alla prevenzione dei disordini con la vigilanza e con l’amore si va sostituendo a poco a poco il sistema, piú semplice e sbrigativo per chi comanda, di dettare norme che se si sostengono con le punizioni provocano odio e dispiaceri; se si trascura di farle osservare inducono disprezzo per i superiori e gravi disordini?
Questo è inevitabile se manca la familiarità. Se dunque si vuole che l’oratorio ritorni alla felicità di un tempo si rimetta in vigore il sistema di una volta: che il superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio, ogni lagnanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e materiale di quelli che il Signore gli ha affidati. Allora i cuori non saranno piú chiusi e non regneranno piú certi segretucci che uccidono. Solo in caso di immoralità i superiori devono essere inesorabili. È meglio rischiare di cacciare dalla casa un innocente, che mantenere un corrotto. Gli assistenti devono prendere come un serio dovere di coscienza riferire ai superiori tutte quelle cose che possono in qualunque modo offendere il Signore.
Allora chiesi:
- Qual è il modo migliore per ottenere tanta familiarità, amore e confidenza?
- Il rispetto delle regole della casa.
- E null’altro?
- Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.
Mentre cosí il mio antico allievo finiva di parlare e io continuavo ad osservare con vivo dispiacere quella ricreazione a poco a poco mi sentii oppresso da una grande stanchezza che aumentava sempre piú. Questa oppressione giunse a tal punto che non potendo piú resistere mi scossi e rinvenni. Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano cosí gonfie e mi facevano cosí male che non potevo piú stare in piedi. L’ora era tardissima quindi me ne andai a letto risoluto a scrivere ai miei cari figli queste righe.
Desidero evitare questi sogni perché mi stancano troppo. Il giorno seguente mi sentivo male e non vedevo l’ora di riposarmi. Ma appena andai a letto ricominciai a sognare. Vedevo il cortile, i giovani che ora sono nell’Oratorio, e lo stesso vecchio allievo di prima. Cominciai ad interrogarlo:
- Quello che mi hai detto lo farò sapere ai miei salesiani, ma ai giovani dell’Oratorio che cosa posso dire?
Rispose:
- Che riconoscano quanto i superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e facciano per loro amore, perché se non fosse per il loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifici; che si ricordino che l’umiltà è la fonte di ogni tranquillità, che sappiano sopportare i difetti altrui poiché la perfezione non è di questo mondo ma del paradiso; che lascino le maldicenze poiché esse raffreddano i cuori; e sopratutto che cerchino di vivere nella grazia di Dio. Chi non vive in pace con Dio, non è in pace né con sé stesso, né con gli altri.
- E tu dici che fra i miei giovani ve ne sono alcuni che non sono in pace con Dio?
- Questa è la prima causa del malumore, insieme alle altre che conosci e alle quali devi porre rimedio, e che non è il caso di ricordare ora. Infatti solo chi ha segreti da custodire è diffidente, se teme che questi segreti possano venire alla luce, perché sa che gliene verrebbero vergogna e disgrazia. Allo stesso tempo se il cuore non è in pace con Dio vive nell’angoscia, è irrequieto disobbediente, si irrita per nulla, gli pare che ogni cosa vada male, perché non è nell’amore, e ritiene che i superiori non lo amino.
- Ma non vedi quante confessioni e comunioni nell’Oratorio?
- È vero ma quello che manca radicalmente, in tanti giovani che si confessano è la serietà dei propositi. Si confessano ma fanno sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse cattive abitudini, le stesse disobbedienze, le stesse trascuratezze nei doveri. Vanno avanti cosí per mesi e mesi, anche per anni, vanno avanti cosí fino agli studi superiori. Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace e se un giovane giungesse in quello stato davanti al giudizio di Dio sarebbe un problema serio.
- E di questi ce ne sono molti nell’Oratorio?
- Pochi in confronto del gran numero di giovani che vivono nella casa: Guarda. - E me li indicava uno per uno.
Guardai e vidi quei giovani. Ma in questi pochi vidi delle cose che hanno amareggiato profondamente il mio cuore. Non voglio metterle sulla carta, ma quando sarò di ritorno voglio esporle ai diretti interessati. Qui dirò soltanto che occorre pregare e prendere decisioni coraggiose; bisogna proporre non parole ma fatti e far vedere che i Comollo, i Domenico Savio, i Besucco e i Saccardi, vivono ancora tra noi.
Infine domandai a quel mio amico:
- Hai nient’altro da dirmi?
- Di’ a tutti grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria SS.ma. Che essa stessa li ha radunati per allontanarli dai pericoli del mondo, perché si amassero come fratelli e perché dessero gloria a Dio e a lei con la loro vita. Che è lei che provvede loro il necessario per studiare con infinite grazie e miracoli. Che si ricordino che sono alla vigilia della festa della loro Ss.ma Madre e che con il suo aiuto devono abbattere quella barriera di diffidenza che il diavolo è riuscito ad innalzare tra i giovani e i superiori e della quale sa servirsi per la loro rovina.
- E ci riusciremo a eliminare questa barriera?
- Certamente purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche piccola privazione per amore di Maria e mettano in pratica ciò che io ti ho detto.
Intanto io continuavo a guardare i miei giovani e dinanzi a quelli che vedevo incamminarsi verso l’eterna perdizione sentii una tale stretta al cuore che mi svegliai. Vorrei ancora raccontarvi molte cose importantissime che ho visto ma il tempo e le circostanze non me lo permettono.
Concludo: Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi cari giovani ha consumato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici del primo oratorio. I giorni dell’amore e della confidenza cristiana tra i giovani e i superiori; i giorni dello spirito di accondiscendenza e sopportazione per amore di Gesú degli uni verso gli altri; i giorni dei cuori aperti con piena semplicità e purezza, i giorni della carità e della vera gioia per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle vostre anime. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati accolti nell’Oratorio. Vi dico davanti a Dio che basta che un giovane entri in una casa salesiana perché la Vergine Ss.ma lo prenda subito sotto la sua particolare protezione. Mettiamoci dunque tutti d’accordo.
La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che devono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di san Francesco di Sales. Miei cari figli, si avvicina il tempo nel quale dovrò staccarmi da voi e partire per la mia eternità (Nota del Segretario. A questo punto don Bosco sospese di dettare; i suoi occhi si riempirono di lacrime, non per dispiacere, ma per l’ineffabile tenerezza manifestata dal suo sguardo e dal suono della sua voce; dopo qualche istante continuò) quindi desidero lasciare voi, sacerdoti, chierici, giovani carissimi per quella via del Signore nella quale lui stesso vi desidera. A questo fine il Santo Padre che io ho visto venerdí 9 maggio vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria SS.ma Ausiliatrice mi troverò con voi dinanzi all’immagine della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa grande festa sia celebrata con ogni solennità e don Lazzero e don Marchisio provvedano a far sí che si stia allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa che dobbiamo celebrare tutti insieme uniti un giorno in paradiso.
Vostro affezionatissimo amico in Cristo
Sac. Giovanni Bosco