Il diritto penale dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini nel XVI secolo
Riassunto
Auctor P. Antonio Atzeni OFMCap.
Director P. Urbano Navarrete S. J.
Romae 1995 - 1996
INTRODUZIONE
Il 3 luglio 1528, papa Clemente VII emanava il breve Exponi nobis, convertito nella stessa data in bolla, con il titolo di Religionis zelus [1]. Questo documento rappresenta giuridicamente l'inizio della Riforma cappuccina, che tre anni prima (1525) era sorta in seno all'Ordine francescano. L'intento della nuova riforma era di rivivere l'integralità e la radicalità evangelica nella piú stretta e genuina ispirazione francescana. La Religionis zelus costituirà solo un punto d'inizio che consentirà alla nuova famiglia francescana di pervenire alla totale autonomia giuridica, che si realizzerà pienamente solo nel 1619 con il breve Alias felicis recordationis del 28 gennaio 1619 [2]. Questo tra il 1525 e il 1600 è un periodo che vedrà - fra alterne vicende - l'espansione numerica e geografica dell'Ordine, fino a porlo accanto ai grandi ordini mendicanti e monastici dell'epoca, sia quanto a dimensione, sia soprattutto quanto ad impegno apostolico e missionario [3].
L'amministrazione della giustizia in seno all'Ordine intendeva garantire anzitutto la purezza del carisma francescano. Senza questa costante vigilanza, il verificarsi di abusi rigoristi o lassisti, sarebbe stato di detrimento all'integrità spirituale della famiglia cappuccina. Considerando la ricca spiritualità ma anche la concretezza dei primi testi costituzionali della Riforma, non può non suscitare diversi interrogativi la mancanza di una normativa penale adeguata. In tale situazione, la carenza di univocità e di rigore giuridico nell'amministrazione della giustizia, dava spesso luogo a non poche controversie che approdavano anche presso la Curia Romana.
Quali furono gli strumenti che l'Ordine oppose, sia contro gli eccessi della corrente cosiddetta "spirituale", sia contro il costante pericolo del lassismo? Sostanzialmente quelli della "giurisprudenza capitolare" e successivamente quelli della regolamentazione penale. L'espressione "giurisprudenza capitolare", non proprio esatta, intende alludere al diritto "pratico" dei capitoli generali e provinciali, che a norma delle Costituzioni giudicavano volta per volta l'operato dei superiori, rei di denegata giustizia o d'eccessiva severità. Fin dal capitolo generale del 1581 si avvertí l'urgenza di adeguate soluzioni, per cui furono emanate alcune ordinazioni. Le Tabulae Capitulorum Generalium riportano una di queste ordinazioni:
Fu stabilito che per il futuro nessuno potesse essere punito di pena grave, [...] senza esser prima sottoposto ad un regolare processo. Finora, infatti, senza alcun procedimento giuridico, ma con la sola e semplice acquisizione della verità, opportunamente e di buon animo i superiori avevano punito qualsiasi mancanza, e i sudditi avevano sopportato le pene anche gravi loro imposte. Questa disposizione dispiacque a molti, infatti, si riteneva che tale forma giudiziaria di procedere avrebbe offuscato la purezza e la semplicità dell'Ordine [4].
Se tale ordinazione suscitò cosí poco entusiasmo, si può capire con quanta difficoltà si sia arrivati ad una regolamentazione penale, ossia al diritto codificato nel cosiddetto Modus procedendi, che costituisce l'oggetto concreto della presente ricerca.
Questa sorta di codice, nella sua versione integrale è rimasto "pressoché inedito" e non è mai stato oggetto d'accurato studio se si eccettua il caso del p. Agatangelo da Langasco, che fu Procuratore generale dell'Ordine dal 1942 al 1952 [5]. Tale carenza forse è dovuta anche alle difficoltà imposte da un tema per certi versi difficile e delicato.
Sia considerando queste problematiche, sia valutando la documentazione dell'Ordine emerge quanto sia opportuno offrire un contributo allo studio di tale questione, che può concorrere ad una conoscenza piú approfondita delle fonti giuridiche dell'Ordine cappuccino e ad una maggiore comprensione della significatività e del ruolo che lo strumento giuridico ha avuto in seno ad esso, sia nelle sue istituzioni, sia nelle sue scelte fondamentali.
Metodo
Lo studio del Modus procedendi, è stato condotto considerando la situazione storica in cui esso sorge e si evolve, ma soprattutto il suo contesto giuridico. Un contesto che deve essere evidenziato sia per quanto riguarda l'Ordine, sia - almeno per sommi capi - per quanto riguarda l'istituzione ecclesiale nel suo complesso. Una particolare considerazione è stata posta per il diritto penale in seno al movimento francescano dell'epoca. Poste queste basi, la ricerca volge la sua attenzione all'amministrazione della giustizia e al diritto penale specifico della famiglia cappuccina, proponendo una possibile risposta alle sue problematiche.
Nella ricerca ci si è avvalsi del metodo di trascrizione «diplomatico-interpretativo» nella forma piú semplice atta a facilitarne la lettura, eliminando quasi tutte le abbreviazioni usate dagli autori dell'epoca, soprattutto quelle di piú difficile interpretazione. Il testo integrale (che solo in questo senso può dirsi inedito) del Modus procedendi viene esposto - corretto ed emendato in base al manoscritto originale - offrendone un commento fondato sulle fonti giuridiche cui s'ispirarono i suoi stessi autori.
Per quanto concerne il linguaggio solitamente adoperato nei documenti dell'epoca, un latino giuridico cinquecentesco che talvolta lascia a desiderare quanto a stile e correttezza, nella trascrizione sono state fornite con discrezione là dove era veramente necessario, le indicazioni per una corretta lettura.
I testi del MP sono stati trascritti direttamente dagli originali, anche con l'aiuto di altre fonti attendibili citate nel corso dello studio [6], benché lo stato del manoscritto non sempre abbia consentito risultati del tutto soddisfacenti.
Prima di passare alla descrizione fisica del manoscritto contenente il MP, è necessario chiarire un aspetto metodologico. Ricorrendo al metodo di trascrizione diplomatico-interpretativo per questo manoscritto, si pone subito un problema: la commissione di periti che nel 1656 (durante il XXXIV capitolo generale) procedette alla redazione del nuovo Modus procedendi, purtroppo non ebbe molto rispetto del manoscritto del 1596. Anziché redigerne ex novo il testo, arrecò al precedente numerosi emendamenti ed aggiunte che ne hanno alterato l'insieme complicandone enormemente la lettura, per tacer della trascrizione. Non è comprensibile la ragione per cui venne manipolato in tal modo il manoscritto antico, tuttavia ormai resta il problema della sua corretta interpretazione.
Se è vero che solo il testo critico può restituire con maggiore certezza il manoscritto originario, non per questo risulta meno utile la trascrizione diplomatico-interpretativa, specie se si considera che le aggiunte e le correzioni risalgono al solo 1656 e che le differenze nella grafia sono molto evidenti, facilitando cosí l'opera di discernimento. Indubbiamente avere in mano il testo esclusivo del 1596 sarebbe stato per alcuni versi piú comodo, considerato che lo studio riguarda il MP dell'epoca. Bisogna dire però che le sue fonti sono comuni in gran parte a quelle del MP 1656 e dei successivi regolamenti, e che anche la sua evoluzione - sia pure a grandi linee - è oggetto di studio. La trascrizione diplomatico-interpretativa - in altre parole - offre un testo utile non solo per il presente studio, ma anche per eventuali successivi approfondimenti. Queste dunque le ragioni di tale scelta metodologica, certamente passibile di critiche ma con degli indubbi vantaggi.
Riguardo al manoscritto, il testo del Modus procedendi è contenuto nel primo volume degli Acta Ordinis, piú esattamente conosciuto con il titolo di Tabulae capitulorum generalium. Il titolo completo è Tabulae capitulorum generalium fratrum minorum S. P. Francisci Capuccinorum ab anno 1529 usque ad annum 1625, in realtà le tavole riportate arrivano solo fino all'anno 1618. Il manoscritto è custodito presso l'Archivio Generale dei Cappuccini [7], ed è stato recentemente restaurato presso l'Ufficio Restauri della Biblioteca Apostolica e dell'Archivio Segreto Vaticano.
Allo stato attuale, dopo il restauro, se ne può dare la seguente descrizione fisica: la copertura è pergamenacea, il corpo del manoscritto è cartaceo, come pure le carte di guardia in principio ed in fine. La prima di copertina, reca incollato il dorso della vecchia copertura pergamenacea con l'indicazione: Capitula Generalia ab Anno 1529 usque ad Annum 1625. Le dimensioni sono di 18 cm di lunghezza per 5,5 cm di larghezza e 44,5 cm di altezza.
L'intero volume consta di II + 226 carte rilegate (quindi scritte su entrambi i lati), numerate nel margine superiore destro in cifre arabe ad inchiostro.
L'opera nel suo complesso sembra risalire alla prima metà del XVIII secolo. Dovendo prestar fede agli scritti introduttivi del manoscritto, risalirebbe al 1708. In realtà la questione dell'età del manoscritto è piú complessa. Allo stato attuale si può affermare che la parte che si estende fino all'anno 1596 (quindi incluso il MP) è originale dell'epoca. Le Tabulae si compongono quindi di due parti distinte: una prima parte risultante dalla collezione di precedenti manoscritti, ed una seconda parte successivamente aggiunta (dal capitolo del 1599 fino a quello del 1618), cosí da formare un unico volume. Questa operazione fu eseguita perché i manoscritti originali erano alquanto logori e di essa nel 1708 fu autore il p. Ignazio Maria da Piacenza, predicatore cappuccino [8].
Per quanto riguarda specificamente il testo del MP è dato di vedere anche in esso l'opera di piú mani, che hanno apportato - come già detto - emendamenti ed aggiunte piú o meno ampie e vistose [9]; esso è contenuto nelle carte da 44r a 52v [10], ove è possibile notare cinque fogli inseriti con alcune aggiunte ed emendamenti, alle carte 44r, 45r, 45v, 46r e 49v.
Delle Tabulae non esistono opere a stampa integrali, benché in diversi testi ne vengano riportati brani piú o meno ampi.
CONCLUSIONI
Per poter dare una risposta alle nostre domande, oltre allo studio giuridico si rendono necessarie anche alcune brevi considerazioni storiche che consentano una visuale piú ampia e profonda del problema. Il secolo XVI costituisce una tappa singolare per la storia della Chiesa, in cui assieme ad elementi disgregatori della vita sociale ed ecclesiale non mancheranno elementi di pacificazione e di riconciliazione. Tra questi ultimi si annoverano in primo piano le nuove forme di vita religiosa, le quali assieme all'azione riformatrice della Chiesa contribuiranno a riscattare non poco le note vicende dell'epoca.
Tra queste nuove forme di vita religiosa spicca per l'impegno nell'evangelizzazione popolare l'Ordine Cappuccino [11]. La nuova riforma evidentemente non era estranea ai problemi e alle difficoltà dell'epoca. Con il passare del tempo l'Ordine dovrà fare i conti con i problemi apostolici, vocazionali e strutturali comuni alle altre istituzioni religiose [12].
Il corpo sociale ed ecclesiale inoltre - come quello dell'Ordine - era sottoposto a tensioni strutturali molto forti che contribuivano a minarne l'integrità: basti pensare alle gravi carenze nella cura pastorale del popolo, alle gravi lacune formative del clero, alla mancata residenza dei vescovi e degli altri pastori della Chiesa, agli innumerevoli abusi legati all'istituto del beneficio e della commenda, all'intromissione laicale in seno alla giurisdizione ecclesiastica, alle intricate situazioni di privilegio ed infine alla complessa e difficile amministrazione di una giustizia, spesso non univoca e soggetta ad interferenze tra foro ecclesiastico e secolare.
Il Concilio di Trento riuscí a porre un rimedio a diverse di queste situazioni, ma prima che le innovazioni - a volte anche coraggiose - venissero tradotte dalla lettera alla realtà trascorse molto, in certi casi moltissimo tempo. La Riforma cappuccina avvertí in modo particolare alcune difficoltà, soprattutto se si pensa che gli ideali dell'Ordine e il suo diritto proprio ridotto all'essenziale, richiedevano un livello di vita spirituale certamente non comune. Per svariate ragioni quali l'apostolato, la necessità degli studi, etc..., diversi aspetti della severa disciplina conventuale dovettero subire una certa mitigazione, cosa del resto inevitabile in un lento ma progressivo processo di istituzionalizzazione.
Francesco d'Assisi, "esperto di umanità", aveva previsto questa ed altre eventualità e nella Regola aveva contrapposto - come extrema ratio - all'ingiustizia deliberata e pertinace la giustizia canonica, ed alla fragilità umana la sensibilità pastorale, la misericordia evangelica e la carità fraterna. Non si può non concordare con Kaietan Esser, quando pone in rilievo che i commentatori della Regola riuscirono facilmente a tradurre in norma i precetti della giustizia, ma lasciarono spesso indefiniti altri aspetti, certamente non meno importanti [13].
È possibile notare come in seno ai grandi ordini francescani furono sostanzialmente due le risposte date a questi problemi disciplinari. La prima fu quella di una crescente istituzionalizzazione con tutto il complesso di norme e di regole che essa comportava, la seconda fu quella di una maggior semplificazione della vita e della disciplina regolare con un crescente appello al carisma del fondatore ed ai valori spirituali. Esempio tipico della prima tendenza divenne l'Osservanza cinquecentesca, che sia a causa della sua complessa struttura interna, sia a causa delle contingenze storiche che attraversava, si diede un apparato normativo a dir poco imponente. Quello fuggevolmente esaminato nella ricerca non rappresenta neppure la millesima parte di tale immenso corpus legum. Ecco una delle ragioni della "storicamente motivata" reazione al giuridismo da parte della Riforma cappuccina, bisogna ricordare, infatti, che molte delle prime vocazioni cappuccine provenivano dai patres de Observantia. Una reazione questa che tuttavia lungi dal tradursi in modalità anti‑ecclesiali rivalutava l'elemento evangelico proponendolo spesso con lo slancio della testimonianza e dell'apostolato.
Un esempio tipico della seconda tendenza fu la Riforma cappuccina, la quale inizialmente si diede un corpo di leggi essenziali e strettamente dettato dalla necessità, attingendo per il resto al diritto comune. Tale stato di cose poté durare - come già rilevato - finché la Riforma rimase una piccola congregazione, ma man mano che essa andava accrescendosi, ben piú complessa divenne la sua realtà. Dopo circa settanta anni dalla sua fondazione, l'Ordine cappuccino operò una svolta conformandosi in certo qual modo alla situazione dell'epoca, e dandosi un ordinamento processuale e penale che colmava le molte lacune in materia di giustizia, presenti nel testo costituzionale. Nonostante le rimostranze di una parte dell'Ordine, i padri capitolari del 1596 non ebbero piú dubbi e il Modus procedendi divenne cosí una realtà.
È possibile chiedersi quale fu l'influsso di tale documento nella storia giuridica dell'Ordine. La risposta a questa domanda implica una distinzione cronologica. A breve termine il suo influsso fu relativamente modesto, sia perché non riscosse un notevole successo, sia perché la sua applicazione fu lenta e parziale [14]. A lungo termine il suo peso fu determinante poiché da allora in poi una serie di norme regolerà la giustizia nell'Ordine a vantaggio della certezza del diritto e dell'uniformità della sua applicazione.
Nell'anno 1656 al MP verrà aggiunto il Processus per viam articulorum iuratorum subendo anche un'ulteriore revisione che lo lascerà ufficialmente immutato fino al 1847. In questo lasso di tempo compariranno le norme relative al giudice delegato e ai requisiti necessari per la denuncia. La tortura e la purgatio canonica verranno sempre piú sostituite dalle penitenze fino a scomparire del tutto [15]. Una nuova e sostanziale revisione del Modus Procedendi la si avrà nel 1901 soprattutto a cura del p. Theodorus a Ried-Brig [16] e la cui struttura interna si discosterà sostanzialmente da quella dei testi precedenti, costituendo cosí il primo Modus procedendi dell'epoca moderna [17].
L'ultimo interrogativo a cui occorre dare una risposta è se il MP abbia concretamente posto un rimedio alle situazioni di incertezza e talvolta di ingiustizia che si verificavano complessivamente all'interno dell'Ordine. Sarebbe ingenuo offrire una risposta semplicemente positiva. Il MP contribuí certamente a migliorare lo stato della giustizia nell'Ordine, ma fu ben lungi dal risolverne tutte le problematiche, che peraltro non potevano trovare nel solo strumento tecnico-giuridico le opportune soluzioni. Anche una semplice e superficiale ricerca archivistica mostrerà come le tensioni nel rapporto autorità-obbedienza, i ricorsi alle Congregazioni Romane ed altre conflittualità non vennero meno. Si può dire tuttavia che gradualmente alcuni elementi importanti come il diritto alla difesa vennero meglio compresi e tutelati. Il fatto stesso che un unico documento raccogliesse in sé tutte le norme processuali e penali essenziali, contribuí a migliorare l'amministrazione della giustizia rispetto al passato, ove si doveva ricorrere con frequenza al diritto comune, accessibile soprattutto agli esperti.
Solo nel lungo periodo quindi è possibile valutare ampiamente i benefici che tale novità introdusse nell'Ordine, tanto da lasciare un'eredità che giungerà fino ai giorni nostri nel nuovo Modus procedendi [18], dove l'obbiettivo - in piena conformità alla legislazione canonica universale - non può che essere profondamente, autenticamente pastorale: servata aequitate canonica et prae oculis habita salute animarum, quae in Ecclesia suprema semper lex esse debet [19].
P. Antonio Atzeni OFMCap.
Note
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[1] Il transunto originale della bolla è custodito nell'Archivio Generale dell'Ordine: AGC, BA 220, n. 240a.
[2] Il testo originale del breve è custodito nell'Archivio Generale dell'Ordine: AGC, QA 234, n. 641.
[3] Per una introduzione alla storia primeva dell'Ordine può essere utile l'opera di Urbanelli C., Storia dei cappuccini delle Marche. Parte prima. Origini della riforma cappuccina 1525-1536, I, Ancona 1978.
[4] Il testo originale è reperibile in AGC, AG 1, c. 20r.
[5] Il testo primigenio del Modus Procedendi conobbe una edizione nello studio del p. Agatangelo da Langasco, De «Modus procedendi» Ordinis Fr. Minorum Capuccinorum, Roma 1941 (= MPc). Tale opera era in realtà una collezione di alcuni articoli, sempre a cura dello stesso autore, comparsi su Analecta Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum (cfr. Agathangelus a Langasco De «Modus procedendi» Ordinis Fr. Minorum Capuccinorum, in AOFMC, 56 (1940), 51-52; 80-84; 159-167; 194-201; 232-239; 274-290; 299-316; 338-346). Se tale studio ha il pregio di aver pubblicato il testo del documento fornendone un'analisi degna di nota, di esso non ha purtroppo offerto la trascrizione completa, né uno studio critico piú approfondito. Ancor prima del p. Agatangelo da Langasco il testo incompleto del Modus procedendi venne pubblicato senza alcuna trattazione e commento critico (cfr. MPc 33-34), in una piccola opera del 1847 praticamente sconosciuta, che fu ristampata nel 1871: Instructio judicialis sive «Modus procedendi» pro judiciis Fratrum Sancti Francisci Capuccinorum, curavit p. Bruno a Vintia, Lugduni 1871 (cfr. MPc 200, nota 58).
[6] Tra i manoscritti utilizzati si segnalano: BAV, Vat. Lat. 11008, cc. 141r - 156r.; Manuale B complectens Modum procedendi iudicialem nec non plura spectantia ad visitationem provincialis, potestatem praelatorum, et subditorum conditionem: collectum studio ac labore P. N. de N. Ministri Provincialis Capucinorum Provinciae S. Antonii, anni 1673, Venezia - Mestre, APCV s. c., s. n.; Francesco da Morgongiori, Modus procedendi, sive instructiones, pro iudiziis [sic] faciendis in Religione Fratrum Minorum Sancti Francisci Capucinorum promulgatae anno 1596, quas admodum Rr. Pp. Minister Generalis et Diffinitores Generales Capituli anni 1656 in exactiorem formam reductas [sic] toti Ordinis proposuerunt observandas, Cagliari, APCS s. c., s. n.; [Manuale del Procuratore Generale], Roma, AGC, AA 58, il cui Modus Procedendi è reperibile alle [cc. 553-614]. Il manoscritto piú utile tuttavia, considerata la sua notevole somiglianza con quello dell'AGC è il seguente: Directorium Adm. RR. PP. Provincialium Capucinorum, Milano, APCL A 409, cc. 66r - 80r. Altri manoscritti vengono indicati dal p. Agatangelo da Langasco nel suo prezioso studio De «Modus procedendi» Ordinis Fr. Minorum Capuccinorum, Roma 1941, 257-259. Indicazioni su altri manoscritti posteriori (dal 1656 al 1847) sono reperibili nella stessa opera alle p. 259-270, mentre le p. 271-287 offrono un utile elenco degli autori cappuccini che hanno scritto delle opere in materia di diritto penale e processuale.
[7] AGC, AG 1.
[8] La fonte di tali notizie è contenuta nello stesso manoscritto AGC, AG 1, c. II. Decisivo è l'apporto sull'origine delle Tabulae offerto dal p. Bonaventura da Mehr, archivista generale dell'Ordine dal 1958 al 1970: «Huius primae partis "Tabularum Capitulorum generalium" collectorem fuisse P. Claudium Bituricensem suspicatus est Eduardus Alenconiensis in "AOFMC" 21 (1905) 311 nota 2; attamen certum est P. Claudium si forte extraxerit et collegerit, sine dubio hanc collectionem in codice non manu propria descripsisse, cum scripturae istius lectoris et P. Claudii nimis inter se differant. De hoc primo tomo "Tabularum" P. Melchior a Pobladura, "Historia generalis O.F.M.Cap." I (Romae 1947) 116 nota 2, asserit eum prima redactione complexum esse annos 1525-1662 (lege: 1667), anno autem 1708 iterum rescriptum esse a P. Ignatio a Piacenza. Res aliter se habet, nam a P. Ignatio Maria a Piacenza tomus iste, "cum iam pene prae vetustate continuoque usu solveretur", "refectus est, et ad commodiorem usum duos Tomos redactus", non vero iterum rescriptus, ita ut haberetur redactio quaedam secunda. Examine enim scripturarum clare patet textus, qui pertinent ad annos 1525-1593, ab ignoto illo collectore, reliquos vero qui pertinent ad annos 1596-1667, a diversis primis manibus, non vero a P. Ignatio M. scriptos esse, a quo quidem, praeter numeros et litteras marginales singolis foliis atque indices duobus novis voluminibus adiectos, aliqua etiam de novo addita sunt extracta ex authenticis foliis tunc in Archivo adservatis» (cfr. Bonaventura a Mehr, Ordinationes, constitutiones et declarationes in Capitulis generalibus an. 1578 et 1581 factae, in AOFMC 75 (1959), 334, nota 1).
[9] Cfr. MPc 12-13, note 24-26.
[10] Fino a 52v se si considerano alcune aggiunte posteriori.
[11] Vedasi l'ottimo articolo di Melchiorre da Pobladura, voce Cappuccini, in Dizionario degli istituti di perfezione, diretto da G. Pelliccia e G. Rocca, II, Roma 1975, col. 203-252.
[12] Ulteriori approfondimenti sulle vocazioni cappuccine nel primo secolo dell'Ordine sono reperibili nello studio di Cargnoni C., Le vocazioni all'Ordine Cappuccino dagli inizi al 1619, in Aa. Vv., Le vocazioni all'Ordine Francescano dalle origini ad oggi, (Studi scelti di francescanesimo 8), Napoli 1983, 89-122.
[13] Per alcuni cenni sull'argomento cfr. Esser K., La regola definitiva. La regola dei frati minori alla luce delle indagini piú recenti, (Spirito e tempo 7), Milano 1967, 19-25.
[14] Si considerino per esempio le deroghe di Gregorio XV e di Urbano VIII circa l'obbligatorietà del MP.
[15] Cfr. MPc, 125.
[16] Cfr. MPc, 208, nota 74.
[17] Le innovazioni apportate sono esposte in modo chiaro e sintetico in Ant. Proc., 34‑35.
[18] L'ultima revisione del Modus procedendi risale al Capitolo generale del 1994 (cfr. Il modo di procedere nelle cause giudiziali e amministrative nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, in AOFMC 110 (1994), 403-424).
[19] Can. 1752 CIC 1983.