Le Scritture testimoniano la Rivelazione di Dio nel corso dei secoli che raggiunge il suo vertice in Gesú Cristo. A questa testimonianza fondamentale bisogna aggiungere la confessione della fede ecclesiale. Ma chi è realmente l'uomo Cristo Gesú? A questa domanda la comunità cristiana non poteva sfuggire. Non era possibile eludere il confronto con la realtà. Il Cristo non è l'uomo semi-divino celebrato dalla mitologia greca. Non è il simbolo dell'umanità, esaltato fino al punto da divenire Dio. Egli è Dio che si fa uomo. Lo scandalo cristiano che ancor oggi scuote l'ebreo e il mussulmano è l'umanizzazione di Dio, la sua kenosis, il suo abbassarsi fino a noi. È per questo che egli diventa l'Emmanuele: il Dio-con-noi. Ma... "da Nazareth può uscire mai qualcosa di buono?" (Gv 1,46). Questa domanda che da secoli scandalizza e tormenta l'umanità, in realtà, si riproporrà sempre, in tutti i luoghi e in tutti i tempi.
Il messaggio di un Dio che si umilia è già contenuto nel Vangelo dell'infanzia. Mentre il Vangelo di Marco comincia con la proclamazione del Regno di Dio, quello di Matteo e di Luca si soffermano sul mistero dell'Incarnazione di Dio. Dio che si fa uomo e viene a realizzare le Scritture dell'antico Israele: "Se tu potessi squarciare i cieli e discendere!" (Is 64,1). Questo Dio condivide la condizione dell'uomo, soffre con il suo popolo e interviene per liberarlo: è l'irruzione di Dio nella storia, la novità dei secoli eterni, l'unica vera novità della storia umana.
La Bibbia celebra la potenza della Parola, strumento della creazione del mondo: "Per la sua Parola furono fatti i cieli" scrive il Siracide (Sir 42,15). Questa Parola altro non è che la Sapienza di Dio. Il Nuovo Testamento, che completa e realizza l'Antico, superandolo, afferma nel prologo del Vangelo di Giovanni: "Il Verbo s'è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi". La Parola diviene così Persona e in essa si manifesta la gloria di Dio. Sarà Betlemme, la piccola città del re David, ad accogliere per prima questo messaggio rivelato ai piccoli e non ai sapienti e agli intelligenti di questo mondo (Mt 11,25). Per questo è stato scritto: «E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti» (Mi 5,1). In essa la Sapienza ha eretto veramente la sua tenda ponendo le sue delizie tra i figli dell'uomo (Pr 8,31).
Nella storia della salvezza i Padri della Chiesa, furono i massimi cantori e i poeti di questa novità che apre all'umanità le porte di una speranza senza confini. Ireneo di Lione, erede della tradizione giovannea, celebra la novità assoluta dell'Incarnazione. Dio fa nuove tutte le cose (Ap 21,5). La nascita del Verbo rigenera il mondo che languiva nella vecchiaia portandovi un soffio di giovinezza eterna. Tutto ciò che è vecchio e segnato dalla morte indietreggia davanti alla nascita di Gesú. Colui che viene da Dio porta con sé la novità radicale: "Cieli nuovi e terra nuova", scrisse il profeta Isaia (Is 65,17). La nascita del Bambino di Betlemme manifesta dunque una dimensione cosmica. Tutta la creazione, infatti, attende la liberazione, perché era stata sottomessa al peccato (Rm 8,9-23).
Alla luce del mistero dell'incarnazione comprendiamo come la Parola di Dio, il Verbo, prenda corpo in noi, perché noi diventiamo ciò che essa è. Il cielo trasforma la terra al momento dell'Incarnazione per mezzo di colui che si fa "il coltivatore di Dio", secondo l'espressione di Clemente d'Alessandria. Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventi Dio, ripeteranno i Padri della Chiesa: si è fatto povero per arricchirci; si è fatto piccolo per farci grandi. L'Incarnazione del Figlio di Dio rivela la vocazione dell'uomo alla divinizzazione. "Figli di Dio noi lo siamo realmente", afferma San Giovanni nella sua prima Lettera (1Gv 3,1). Riconoscere questa dignità è il solo modo per non restare confusi dinanzi all'assurdità di un mondo corrotto dal peccato. La condizione umana è stata nobilitata sì che in ogni creatura brilla una scintilla divina (Rm 1,18-20). Lo Spirito di Dio che ha coperto Maria della sua ombra (Lc 1,35) opera allo stesso modo in ogni umana creatura ricolmandola di grazia.
Agostino con la sua eccelsa intelligenza speculativa e pastorale scrive: "Dio che aveva fatto l'uomo è divenuto opera, affinché opera non perisse. Senza'Incarnazione di Dio sarebbe rimasta incompiuta incompleta. Parola si incarnata prendendo ciò aveva, perdere era". Nelle sue opere manifesta così grandezza bellezza: "Bello Dio, Verbo presso [...]. È bello in cielo, terra; nel seno, braccia dei genitori, nei miracoli, supplizi; nell'invitare alla vita curarsi della morte;'abbandonare riprenderla; nella Croce, sepolcro, cielo. Ascoltate il cantico con intelligenza, debolezza carne distolga i vostri occhi dallo splendore bellezza" (S. Agostino, Enar. in Psal. 44,3: PL 36, 495-496).
Paolo, nella sua Lettera ai Colossesi, aveva affermato che tutto è stato creato per il Cristo (Col 1,16). Il grande movimento di "umanizzazione" - come scrisse Teilhard de Chardin - culmina nell'Incarnazione del Figlio di Dio. San Leone Magno nelle Omelie sulla Natività pone in risalto la stupefacente sinfonia dell'alleanza tra Dio e l'uomo. Egli è il cantore eccelso delle nozze fra'eterno temporaneo, lo spirituale corporeo, terrestre celestiale, poiché'uno non può crescere giungere a compimento senza radicarsi profondamente nell'altro.
Molti autori spirituali, nel meditare il mistero del Verbo incarnato, hanno parlato del Verbo abbreviato. La lunga Parola del Vecchio Testamento che ha ispirato molti profeti nel corso dei secoli si fa breve nel Bambino che nasce a Betlemme e chiede di nascere nel cuore di ogni credente. Francesco di Assisi dirà così che il predicatore deve parlare brevemente, poiché Cristo è la Parola breve del Padre, quella che riassume la legge e i profeti (cfr. RegB 9). Il Cristo, Parola breve, riassume, infatti, il suo insegnamento in un solo comandamento, quello dell'amore. È sufficiente così che il predicatore evangelico basi il suo discorso su questo tema fondamentale.
Giusto di Gand - sec. XV - Pinacoteca di Urbino (particolare)
Il beato Giovanni Duns Scoto ha scrutato profondamente il mistero dell'Incarnazione alla luce dei testi paolini. La principale intuizione della sua teologia è l'affermazione del primato universale di Cristo come sottolineato dalla Lettera di Paolo ai Colossesi: un dato di fede che la teologia cristiana sembrava aver dimenticato. L'Incarnazione di Gesú, infatti, era generalmente presentata come una riparazione del peccato. Diventava cosí un evento accidentale, una sorta di progetto secondario, una reazione di Dio alla caduta iniziale - quasi fosse imprevista - dell'uomo. Anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica il capitolo sul Cristo viene sviluppato nel paragrafo sulla caduta di Adamo. La Cristologia così sembra ridotta a Soteriologia, cioè a teologia della salvezza.
Duns Scoto invece contesta il fatto che il peccato d'origine sia una sorta di pietra angolare del dogma cristiano. L'Incarnazione del Figlio di Dio non può essere tributaria del peccato degli uomini. Anche se l'uomo non avesse peccato, il Cristo sarebbe venuto tra noi. L'uomo, creato a immagine di Dio, è già l'uomo destinato ad essere identificato, incorporato al Cristo per partecipare con Lui alla vita stessa di Dio. È l'amore, infatti, e non certo il peccato il motivo predominante dell'Incarnazione. E poiché il Cristo è il capo di tutta la creazione, l'amore è la sorgente stessa di tutto il creato. Duns Scoto si ricollega qui al pensiero giudaico. Infatti, secondo la tradizione sinagogale il primo versetto della Genesi: "In principio Dio ha creato il cielo e la terra", veniva interpretato cosí: "È nel principio, che è la Sapienza, che Dio ha creato. La creazione dunque esiste in vista di quel medesimo principio". La Lettera di Paolo ai Colossesi s'ispira proprio a questo principio: "Tutto è stato creato in Lui e per Lui".
Il Vaticano II nella Gaudium et spes n. 45 ritrova gli accenti di Duns Scoto e di Teilhard de Chardin per celebrare il Cristo come il vertice, il "punto verso il quale convergono i desideri della storia e della civilizzazione". La Parola che s'incarna smaschera e annulla tutto ciò che è disincarnato, ristretto, contorto ed effimero. Essa non è piú semplicemente un oggetto di studio e di approfondimento intellettuale. Poiché la Parola si è fatta persona, esige adorazione, contemplazione e rispetto. Duns Scoto, dunque, fa un passo decisivo sciogliendo l'Incarnazione dal suo legame essenziale con il peccato dell'uomo ed assegnandole, come motivo primario, la gloria di Dio. Scrive, infatti: "In primo luogo Dio ama se stesso, in secondo luogo si ama attraverso altri diversi da sé con un amore puro; in terzo luogo vuole essere amato da un altro che lo possa amare in modo sommo, parlando s'intende dell'amore di qualcuno fuori di lui". Il motivo dell'incarnazione è, dunque, che Dio vuole avere, fuori di sé, qualcuno che lo ami in modo sommo e degno di sé. E questi non può essere altri che l'uomo-Dio Gesú Cristo. Cristo si sarebbe incarnato anche se Adamo non avesse peccato, perché egli è il coronamento stesso della creazione, l'opera suprema di Dio.
Il problema del perché Dio si fece uomo divenne, in breve, l'oggetto di una delle piú accese dispute nella storia della teologia. Da una parte i tomisti sostenevano il motivo della redenzione dal peccato, dall'altra gli scotisti sostenevano il motivo che potremmo chiamare della gloria di Dio. Oggi non ci si appassiona piú a queste dispute come un tempo, resta comunque la domanda: "Perché Dio si è fatto uomo"? È una domanda troppo importante per essere ignorata. Ignorarla significherebbe restare sempre alla superficie del mistero del Natale; significherebbe non comprenderne mai il senso profondo, l'unico senso capace di riempire davvero il cuore di stupore, di gratitudine, di gioia. La riscoperta del vero volto del Dio della Bibbia, in atto nella teologia odierna, insieme con l'abbandono di alcuni tratti ereditati dal "dio dei filosofi" ereditato dal tomismo, ci aiuta a scoprire l'anima di verità racchiusa nell'intuizione dei grandi pensatori medievali, ma soprattutto a completarla e a superarla.
Nella sua risposta alla domanda: "Perché Dio si è fatto uomo?", Anselmo di Aosta parte dal concetto della giustizia di Dio da soddisfare. Ci troviamo senza alcun dubbio dinanzi ad un residuo della concezione greca di Dio, nella quale Dio è concepito "come giustizia e come sommo principio di compensazione". La giustizia è l'essenza di questo Dio al quale, in senso stretto, non è possibile rivolgere alcuna preghiera. Per Aristotele Dio è, essenzialmente, la condizione ultima e sufficiente per l'esistenza dell'ordine cosmico e anche la Bibbia conosce il concetto della "giustizia di Dio" rimarcandola spesso. Ma c'è una differenza fondamentale: la giustizia di Dio, specialmente nel Nuovo Testamento ed in san Paolo, non indica tanto l'atto mediante il quale Dio ristabilisce l'ordine morale turbato dal peccato, punendo il trasgressore, quanto piuttosto l'atto mediante il quale Dio comunica all'uomo la sua giustizia e lo "giustifica", ossia "lo rende giusto". La riparazione o espiazione della colpa non è la condizione per ottenere il perdono di Dio, ma la sua inevitabile conseguenza.
Anche nella dottrina di Scoto tuttavia il punto debole sta nel fatto che si parte ancora da un'idea piú aristotelico-tomista che biblica di Dio. Scoto dice che Dio decreta l'incarnazione del Figlio per avere qualcuno, fuori si sé, che lo ami in modo sommo. Tuttavia che Dio... "sia amato"... è la cosa piú importante e, anzi, la sola possibile per Aristotele e la filosofia greca, ma non certo per la Bibbia. Per la Bibbia invece la cosa piú importante è che Dio ama ed ama per primo (1Gv 4,10.19).
Finché dunque in teologia, al posto di "un Dio che ama", dominava l'idea di "un Dio che è da amare", non si poteva dare una risposta soddisfacente alla domanda sul... perché Dio si è fatto uomo! La rivelazione del Dio-amore sconvolge tutto quello che il mondo aveva finora pensato della divinità. Ricordare l'Incarnazione alla luce dei Vangeli dunque significa restituire tutta l'originalità al pensiero cristiano. Il Figlio di Dio che condivide la condizione dell'uomo è il nuovo Adamo, colui che realizza pienamente la vocazione divina dell'uomo. È la Sapienza di Dio annunziata nel Vecchio Testamento che stabilisce la sua dimora fra gli uomini (Pr 8,31). È l'Emmanuele che soffre e si unisce all'umanità riconducendola verso il Padre nello Spirito. Dio ha scelto di venire in mezzo a noi in modo tale che non gli è piú possibile ritrovare lo splendore della sua gloria senza il cosmo e senza l'uomo. Iniziando dal Natale tutto s'incammina sotto la spinta dell'amore verso il Volto del Padre. Il tempo è già avvolto di eternità, perché l'eternità si è impegnata nel tempo. La notte del mondo si trasforma progressivamente in chiarore.
Quando il Figlio di Dio diventa figlio dell'uomo si lascia contenere in un punto dello spazio e del tempo. Piú ancora si lega ad una lingua, ad una cultura e ad una storia concreta. In realtà è Lui che contiene l'universo. Attraverso il suo corpo Egli non vuole appropriarsi del mondo come di uno spazio di conquista, ma lo fa corpo d'unità, diventa carne cosmica ed eucaristica. In Lui il mondo diventa corporeità trasfigurata, vivificata dallo Spirito. Egli infonde la sua corporeità luminosa nel nostro corpo sofferente, affinché sulla croce tutto s'illumini: non solamente l'universo, ma anche tutto lo sforzo dell'uomo per trasformarlo. Scrive S. Cirillo: "La bellezza del Figlio è maturata nel tempo perché noi siamo condotti come per mano verso la bellezza di Colui che lo genera". Tale bellezza è maturata nel tempo dell'Incarnazione e della Passione, bellezza di un Volto insanguinato e risorto, vincitore della Morte. L'uomo dei dolori, senza bellezza né splendore, si rivela come il trasfigurato. La croce, in cui la ricerca è placata per l'epifania dell'Amore, ci svela l'icona del suo Volto. Soltanto il Volto di Dio nell'uomo ci permette di decifrare il volto di tutto l'uomo in Dio e di decodificare nella comunione dei santi l'enigma dei volti che circondano l'uomo contemporaneo. Non è il Volto di Dio senza l'uomo che Mosè ha contemplato sul Sinai. Non è il volto dell'uomo senza Dio che svanisce nel nulla. È il Volto dell'Emmanuele, di Dio con noi.