CAPITOLO V

NE COSTITUÍ DODICI CHE STESSERO CON LUI

 

La formazione dei candidati al sacerdozio

 

Vivere al seguito di Cristo come gli apostoli

 

 

42. "Salí sul monte, chiamò a sé quelli che volle ed essi andarono da lui. Ne costituí Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni". [274] "Che stessero con lui": in queste parole non è difficile leggere "l'accompagnamento vocazionale" degli apostoli da parte di Gesú. Dopo averli chiamati e prima di mandarli, anzi per poterli mandare a predicare, Gesú chiede loro un "tempo" di formazione destinato a sviluppare un rapporto di comunione e di amicizia profonde con se stesso. Ad essi egli riserva una catechesi piú approfondita rispetto a quella della gente [275] e li vuole testimoni della sua silenziosa preghiera al Padre. [276] Nella sua sollecitudine nei riguardi delle vocazioni sacerdotali la Chiesa di tutti i tempi si ispira all'esempio di Cristo. Sono state, e in parte lo sono tuttora, molto diverse le forme concrete secondo cui la Chiesa si è impegnata nella pastorale vocazionale, destinata non solo a discernere ma anche ad "accompagnare" le vocazioni al sacerdozio.

Ma lo spirito, che le deve animare e sostenere, rimane identico: quello di portare al sacerdozio solo coloro che sono stati chiamati e di portarli adeguatamente formati, ossia con una risposta cosciente e libera di adesione e di coinvolgimento di tutta la loro persona a Gesú Cristo che chiama all'intimità di vita con lui e alla condivisione della sua missione di salvezza. In questo senso il seminario nelle sue diverse forme e in modo analogo la "casa" di formazione dei sacerdoti religiosi, prima che essere un luogo, uno spazio materiale, rappresenta uno spazio spirituale, un itinerario di vita, un'atmosfera che favorisce ed assicura un processo formativo cosí che colui che è chiamato da Dio al sacerdozio possa divenire, con il sacramento dell'Ordine, un'immagine vivente di Gesú Cristo Capo e Pastore della Chiesa. Nel loro Messaggio finale i Padri sinodali hanno colto in modo immediato e profondo il significato originale e qualificante della formazione dei candidati al sacerdozio, dicendo che "vivere in seminario, scuola del Vangelo, significa vivere al seguito di Cristo come gli apostoli; è lasciarsi iniziare da lui al servizio del Padre e degli uomini, sotto la guida dello Spirito Santo; è lasciarsi configurare al Cristo buon Pastore per un migliore servizio sacerdotale nella Chiesa e nel mondo. Formarsi al sacerdozio significa abituarsi a dare una risposta personale alla questione fondamentale di Cristo: "Mi ami tu?". La risposta per il futuro sacerdote non può essere che il dono totale della propria vita". [277] Si tratta di tradurre questo spirito, che non potrà mai venir meno nella Chiesa, nelle condizioni sociali, psicologiche, politiche e culturali del mondo attuale, peraltro cosí varie oltre che complesse, come hanno testimoniato i Padri sinodali in rapporto alle diverse Chiese particolari. Gli stessi Padri, con accenti carichi di pensosa preoccupazione ma anche di grande speranza, hanno potuto conoscere e riflettere a lungo sullo sforzo di ricerca e di aggiornamento dei metodi di formazione dei candidati al sacerdozio in atto in tutte le loro Chiese. Questa Esortazione intende raccogliere il frutto dei lavori sinodali, stabilendo alcuni punti acquisiti, mostrando alcune mete irrinunciabili, mettendo a disposizione di tutti la ricchezza di esperienze e di itinerari formativi già positivamente sperimentati. In questa Esortazione si considera distintamente la formazione "iniziale" e la formazione "permanente", senza però mai dimenticare il profondo legame che le unisce e che deve fare delle due un unico organico percorso di vita cristiana e sacerdotale. L'Esortazione si sofferma sulle diverse dimensioni della formazione, umana, spirituale, intellettuale e pastorale, come pure sugli ambienti e sui soggetti responsabili della formazione stessa dei candidati al sacerdozio.

 

 

I. Le dimensioni della formazione sacerdotale

 

43. "Senza un'opportuna formazione umana l'intera formazione sacerdotale sarebbe priva del suo necessario fondamento". [278] Quest'affermazione dei Padri sinodali esprime non soltanto un dato quotidianamente suggerito dalla ragione e confermato dall'esperienza, ma un'esigenza che trova la sua motivazione piú profonda e specifica nella natura stessa del presbitero e del suo ministero. Il presbitero, chiamato ad essere immagine viva di Gesú Cristo Capo e Pastore della Chiesa, deve cercare di riflettere in sé, nella misura del possibile, quella perfezione umana che risplende nel Figlio di Dio fatto uomo e che traspare con singolare efficacia nei suoi atteggiamenti verso gli altri, cosí come gli evangelisti li presentano. Il ministero poi del sacerdote è sí di annunciare la Parola, celebrare il Sacramento, guidare nella carità la comunità cristiana "nel nome e nella persona di Cristo", ma questo rivolgendosi sempre e solo a uomini concreti: "Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio". [279] Per questo la formazione umana del sacerdote rivela la sua particolare importanza in rapporto ai destinatari della sua missione: proprio perché il suo ministero sia umanamente il piú credibile ed accettabile, occorre che il sacerdote plasmi la sua personalità umana in modo da renderla ponte e non ostacolo per gli altri nell'incontro con Gesú Cristo Redentore dell'uomo; è necessario che, sull'esempio di Gesú che "sapeva quello che c'è in ogni uomo", [280] il sacerdote sia capace di conoscere in profondità l'animo umano, di intuire difficoltà e problemi, di facilitare l'incontro e il dialogo, di ottenere fiducia e collaborazione, di esprimere giudizi sereni e oggettivi. Non solo, dunque, per una giusta e doverosa maturazione e realizzazione di sé, ma anche in vista del ministero i futuri presbiteri devono coltivare una serie di qualità umane necessarie alla costruzione di personalità equilibrate, forti e libere, capaci di portare il peso delle responsabilità pastorali. Occorre allora l'educazione all'amore per la verità, alla lealtà, al rispetto per ogni persona, al senso della giustizia, alla fedeltà alla parola data, alla vera compassione, alla coerenza e, in particolare, all'equilibrio di giudizio e di comportamento. [281] Un programma semplice e impegnativo per questa formazione umana è proposto dall'apostolo Paolo ai Filippesi: "Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtú e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri". [282] È interessante rilevare come Paolo, proprio in queste qualità profondamente umane, presenti se stesso come modello ai suoi fedeli: "Ciò che avete imparato - prosegue immediatamente -, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare". [283] Di particolare importanza è la capacità di relazione con gli altri, elemento veramente essenziale per chi è chiamato ad essere responsabile di una comunità e ad essere "uomo di comunione". Questo esige che il sacerdote non sia né arrogante né litigioso, ma sia affabile, ospitale, sincero nelle parole e nel cuore, [284] prudente e discreto, generoso e disponibile al servizio, capace di offrire personalmente, e di suscitar in tutti, rapporti schietti e fraterni, pronto a comprendere, perdonare e consolare. [285] L'umanità di oggi, spesso condannata a situazioni di massificazione e di solitudine, soprattutto nelle grandi concentrazioni urbane, si fa sempre piú sensibile al valore della comunione: questo è oggi uno dei segni piú eloquenti ed una delle vie piú efficaci del messaggio evangelico. In questo contesto si inserisce, come momento qualificante e decisivo, la formazione del candidato al sacerdozio alla maturità affettiva, quale esito dell'educazione all'amore vero e responsabile.

44. La maturazione affettiva suppone la consapevolezza della centralità dell'amore nell'esistenza umana. In realtà, come ho scritto nell'enciclica "Redemptor Hominis", "l'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente". [286] Si tratta di un amore che coinvolge l'intera persona, nelle sue dimensioni e componenti fisiche, psichiche e spirituali, e che si esprime nel "significato sponsale" del corpo umano, grazie al quale la persona dona se stessa all'altra e la accoglie. Alla comprensione e alla realizzazione di questa "verità" dell'amore umano tende l'educazione sessuale rettamente intesa. Si deve, infatti, registrare una situazione sociale e culturale diffusa "che "banalizza" in larga parte la sessualità umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e impoverito, collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico". [287] Spesso le stesse situazioni familiari, dalle quali provengono le vocazioni sacerdotali, presentano al riguardo non poche carenze e talvolta anche gravi squilibri. In un simile contesto si fa piú difficile, ma diventa piú urgente, un'educazione alla sessualità che sia veramente e pienamente personale e che, pertanto, faccia posto alla stima e all'amore per la castità, quale "virtú che sviluppa l'autentica maturità della persona e la rende capace di rispettare e di promuovere il "significato sponsale" del corpo". [288] Ora l'educazione all'amore responsabile e la maturazione affettiva della persona risultano del tutto necessarie per chi, come il presbitero, è chiamato al celibato, ossia ad offrire, con la grazia dello Spirito e con la libera risposta della propria volontà, la totalità del suo amore e della sua sollecitudine a Gesú Cristo e alla Chiesa. In vista dell'impegno celibatario la maturità affettiva deve saper includere, all'interno di rapporti umani di serena amicizia e di profonda fraternità, un grande amore, vivo e personale, nei riguardi di Gesú Cristo. Come hanno scritto i Padri sinodali, "è di massima importanza nel suscitare la maturità affettiva l'amore di Cristo, prolungato in una dedizione universale. Cosí il candidato, chiamato al celibato, troverà nella maturità affettiva un fermo fulcro per vivere la castità nella fedeltà e nella gioia". [289] Poiché il carisma del celibato, anche quando è autentico e provato, lascia intatte le inclinazioni dell'affettività e le pulsioni dell'istinto, i candidati al sacerdozio hanno bisogno di una maturità affettiva capace di prudenza, di rinuncia a tutto ciò che può insidiarla, di vigilanza sul corpo e sullo spirito, di stima e di rispetto nelle relazioni interpersonali con uomini e donne. Un aiuto prezioso può essere dato da un'adeguata educazione alla vera amicizia, ad immagine dei vincoli di fraterno affetto che Cristo stesso ha vissuto nella sua esistenza. [290] La maturità umana, e quella affettiva in particolare, esigono una formazione limpida e forte ad una libertà che si configura come obbedienza convinta e cordiale alla "verità" del proprio essere, al "significato" del proprio esistere, ossia al "dono sincero di sé" quale via e fondamentale contenuto dell'autentica realizzazione di sé. [291] Cosí intesa, la libertà esige che la persona sia veramente padrona di sé stessa, decisa a combattere e a superare le diverse forme di egoismo e di individualismo che insidiano la vita di ciascuno, pronta ad aprirsi agli altri, generosa nella dedizione e nel servizio al prossimo. Ciò è importante per la risposta da darsi alla vocazione, e a quella sacerdotale in specie, e per la fedeltà ad essa e agli impegni che vi sono connessi, anche nei momenti difficili. In questo itinerario educativo verso una matura libertà responsabile un aiuto può venire dalla vita comunitaria del Seminario. [292] Intimamente congiunta con la formazione alla libertà responsabile è l'educazione della coscienza morale: questa, mentre sollecita dall'intimo del proprio "io" l'obbedienza alle obbligazioni morali, rivela il significato profondo di tale obbedienza, quello di essere una risposta cosciente e libera, e dunque per amore, alle richieste di Dio e del suo amore. "La maturità umana del sacerdote - scrivono i Padri sinodali - deve includere specialmente la formazione della sua coscienza. Il candidato infatti, perché possa fedelmente assolvere alle sue obbligazioni verso Dio e la Chiesa e perché possa sapientemente guidare le coscienze dei fedeli, deve abituarsi ad ascoltare la voce di Dio, che gli parla nel cuore, e ad aderire con amore e fermezza alla sua volontà". [293]

45. La stessa formazione umana, se sviluppata nel contesto di un'antropologia che accoglie l'intera verità dell'uomo, si apre e si completa nella formazione spirituale. Ogni uomo, creato da Dio e redento dal sangue di Cristo, è chiamato ad essere rigenerato "dall'acqua e dallo Spirito" [294] e a divenire "figlio nel Figlio". Sta in questo disegno efficace di Dio il fondamento della dimensione costitutivamente religiosa dell'essere umano, peraltro intuita e riconosciuta dalla semplice ragione: l'uomo è aperto al trascendente, all'assoluto; possiede un cuore che è inquieto sino a che non riposa nel Signore. [295] È da questa fondamentale e insopprimibile esigenza religiosa che parte e si snoda il processo educativo di una vita spirituale intesa come rapporto e comunione con Dio. Secondo la rivelazione e l'esperienza cristiana, la formazione spirituale possiede l'inconfondibile originalità che proviene dalla "novità" evangelica. Infatti, "essa è opera dello Spirito e impegna la persona nella sua totalità; introduce nella comunione profonda con Gesú Cristo, buon Pastore; conduce a una sottomissione di tutta la vita allo Spirito, in un atteggiamento filiale nei confronti del Padre e in un attaccamento fiducioso alla Chiesa. Essa si radica nell'esperienza della croce per poter introdurre, in una comunione profonda, alla totalità del mistero pasquale". [296] Come si vede, si tratta di una formazione spirituale che è comune a tutti i fedeli, ma che chiede di strutturarsi secondo quei significati e quelle connotazioni che derivano dall'identità del presbitero e del suo ministero. E come per ogni fedele la formazione spirituale deve dirsi centrale e unificante in rapporto al suo essere e al suo vivere da cristiano, ossia da creatura nuova in Cristo che cammina nello Spirito, cosí per ogni presbitero la formazione spirituale costituisce il cuore che unifica e vivifica il suo essere prete e il suo fare il prete. In tal senso, i Padri del Sinodo affermano che "senza la formazione spirituale la formazione pastorale procederebbe senza fondamento" [297] e che la formazione spirituale costituisce "come l'elemento di massima importanza nell'educazione sacerdotale". [298] Il contenuto essenziale della formazione spirituale in un preciso itinerario verso il sacerdozio è bene espresso dal decreto conciliare "Optatam Totius": "La formazione spirituale ...sia impartita in modo tale che gli alunni imparino a vivere in intima comunione e familiarità col Padre per mezzo del suo Figlio Gesú Cristo nello Spirito Santo. Destinati a configurarsi a Cristo sacerdote per mezzo della sacra ordinazione, si abituino anche a vivere intimamente uniti a lui, come amici, in tutta la loro vita. Vivano il mistero pasquale di Cristo in modo da sapervi iniziare un giorno il Popolo che sarà loro affidato. Si insegni loro a cercare Cristo nella fedele meditazione della Parola di Dio; nell'attiva partecipazione ai misteri sacrosanti della Chiesa, soprattutto nell'Eucaristia e nell'ufficio divino; nel Vescovo che li manda e negli uomini ai quali sono inviati, specialmente nei poveri, nei piccoli, negli infermi, nei peccatori e negli increduli. Con fiducia filiale amino e venerino la Beatissima Vergine Maria che fu data come madre da Gesú morente in croce al suo discepolo". [299]

46. Il testo conciliare merita un'accurata e amorosa meditazione, dalla quale si possono facilmente enucleare alcuni fondamentali valori ed esigenze del cammino spirituale del candidato al sacerdozio. S'impone, innanzitutto, il valore e l'esigenza di "vivere intimamente uniti" a Gesú Cristo. L'unione al Signore Gesú, fondata sul Battesimo e alimentata con l'Eucaristia, domanda di esprimersi, rinnovandola radicalmente, nella vita di ogni giorno. L'intima comunione con la Santissima Trinità, ossia la vita nuova della grazia che rende figli di Dio, costituisce la "novità" del credente: una novità che coinvolge l'essere e l'operare. Costituisce il "mistero" dell'esistenza cristiana che sta sotto l'influsso dello Spirito: deve costituire, di conseguenza, l'"ethos" della vita del cristiano. Gesú ci ha insegnato questo meraviglioso contenuto della vita cristiana, che è anche il cuore della vita spirituale, con l'allegoria della vite e dei tralci: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo... Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, cosí anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla". [300] Nella cultura attuale non mancano, certo, dei valori spirituali e religiosi e l'uomo, nonostante ogni apparenza contraria, rimane instancabilmente un affamato e un assetato di Dio. Ma spesso la religione cristiana rischia di essere considerata una religione fra le tante o di essere ridotta ad una pura etica sociale a servizio dell'uomo. Cosí non sempre emerge la sua sconvolgente novità nella storia: essa è "mistero", è l'evento del Figlio di Dio che si fa uomo e dà a quanti l'accolgono il "potere di diventare figli di Dio", [301] è l'annuncio, anzi il dono di un'alleanza personale di amore e di vita di Dio con l'uomo. Solo se i futuri sacerdoti, attraverso un'adeguata formazione spirituale, avranno fatto conoscenza profonda ed esperienza crescente di questo "mistero", potranno comunicare agli altri tale sorprendente e beatificante annuncio. [302] Il testo conciliare, pur consapevole dell'assoluta trascendenza del mistero cristiano, connota l'intima comunione dei futuri presbiteri con Gesú con la sfumatura dell'amicizia.

Non è, questa, un'assurda pretesa dell'uomo. È semplicemente il dono inestimabile di Cristo, che ai suoi apostoli ha detto: "Non vi chiamo piú servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi". [303] Il testo conciliare prosegue indicando un secondo grande valore spirituale: la ricerca di Gesú". Si insegni loro a cercare Cristo". È questo, insieme al quaerere Deum, un tema classico della spiritualità cristiana, che trova una sua specifica applicazione proprio nell'ambito della vocazione degli apostoli. Giovanni, nel raccontare la sequela di Gesú da parte dei primi due discepoli, mette in luce il posto occupato da questa "ricerca". È Gesú stesso che pone la domanda: "Che cercate?". E i due rispondono: "Rabbí, dove abiti?". L'evangelista prosegue: "Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui". [304] In un certo senso la vita spirituale di chi si prepara al sacerdozio è dominata da questa ricerca: da questa e dal "trovare" il Maestro, per seguirlo, per stare in comunione con lui. Anche nel ministero e nella vita sacerdotale questa "ricerca" dovrà continuare, tanto è inesauribile il mistero dell'imitazione e della partecipazione alla vita di Cristo. Cosí come dovrà continuare questo "trovare" il Maestro, in ordine ad additarlo agli altri, meglio ancora in ordine a suscitare negli altri il desiderio di cercare il Maestro. Ma ciò è veramente possibile se agli altri viene proposta una "esperienza" di vita, un'esperienza che meriti di essere condivisa. È stata questa la strada seguita da Andrea per condurre il fratello Simone da Gesú: Andrea, scrive l'evangelista Giovanni, "incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo) "e lo condusse da Gesú". [305] E cosí anche Simone sarà chiamato, come apostolo, alla sequela del Messia: "Gesú, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)"". [306] Ma che significa, nella vita spirituale, cercare Cristo? e dove trovarlo? "Rabbí, dove abiti?". Il decreto conciliare "Optatam Totius" sembra indicare una triplice strada da percorrere: la fedele meditazione della Parola di Dio, l'attiva partecipazione ai misteri sacrosanti della Chiesa, il servizio della carità ai "piccoli". Sono tre grandi valori ed esigenze che definiscono ulteriormente il contenuto della formazione spirituale del candidato al sacerdozio.

47. Elemento essenziale della formazione spirituale è la lettura meditata e orante della Parola di Dio (lectio divina), è l'ascolto umile e pieno d'amore di Colui che parla. È, infatti, nella luce e nella forza della Parola di Dio che può essere scoperta, compresa, amata e seguita la propria vocazione e compiuta la propria missione, al punto che l'intera esistenza trova il suo significato unitario e radicale nell'essere il termine della Parola di Dio che chiama l'uomo e il principio della parola dell'uomo che risponde a Dio. La familiarità con la Parola di Dio faciliterà l'itinerario della conversione, non solo nel senso di distaccarsi dal male per aderire al bene, ma anche nel senso di alimentare nel cuore i pensieri di Dio, cosí che la fede, quale risposta alla Parola, diventi il nuovo criterio di giudizio e di valutazione degli uomini e delle cose, degli avvenimenti e dei problemi. Purché la Parola di Dio sia accostata e accolta nella sua vera natura: essa, infatti, fa incontrare Dio stesso, Dio che parla all'uomo; fa incontrare Cristo, il Verbo di Dio, la Verità che insieme è anche Via e Vita. [307] Si tratta di leggere le "scritture" ascoltando le "parole", la "Parola" di Dio, come ci ricorda il Concilio: "Le Sacre Scritture contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola di Dio". [308] E ancora lo stesso Concilio: "Con questa rivelazione infatti Dio invisibile [309] nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici [310] e si intrattiene con essi, [311] per invitarli e ammetterli alla comunione con sé". [312] La conoscenza amorosa e la familiarità orante con la Parola di Dio rivestono un significato specifico per il ministero profetico del sacerdote, per il cui adeguato svolgimento diventano una condizione imprescindibile soprattutto nel contesto della "nuova evangelizzazione", alla quale la Chiesa oggi è chiamata. Il Concilio ammonisce: "È necessario che tutti i chierici, in primo luogo i sacerdoti di Cristo e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della Parola, conservino un contatto continuo con le Scritture, mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi "vano predicatore della Parola di Dio all'esterno colui che non l'ascolta di dentro" [313. [314] La prima e fondamentale forma di risposta alla Parola è la preghiera, che costituisce senz'alcun dubbio un valore ed un'esigenza primari della formazione spirituale. Questa deve condurre i candidati al sacerdozio a conoscere e a sperimentare il senso autentico della preghiera cristiana, quello di essere un incontro vivo e personale col Padre per mezzo del Figlio unigenito sotto l'azione dello Spirito, un dialogo che si fa partecipazione del colloquio filiale che Gesú ha col Padre. Un aspetto non certo secondario della missione del sacerdote è quello di essere "educatore di preghiera". Ma solo se il sacerdote è stato formato e continua a formarsi alla scuola di Gesú orante, potrà formare gli altri a questa stessa scuola. Questo chiedono al sacerdote gli uomini: "Il sacerdote è l'uomo di Dio, colui che appartiene a Dio e fa pensare a Dio. Quando la Lettera agli Ebrei parla di Cristo, lo presenta come un "sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio" [315] "...I cristiani sperano di trovare nel sacerdote non solo un uomo che li accoglie, che li ascolta volentieri e testimonia loro una sincera simpatia, ma anche e soprattutto un uomo che li aiuta a guardare Dio, a salire verso di lui. Occorre dunque che il sacerdote sia formato a una profonda intimità con Dio. Coloro che si preparano al sacerdozio devono comprendere che tutto il valore della loro vita sacerdotale dipenderà dal dono che essi sapranno fare di se stessi a Cristo e, per mezzo di Cristo, al Padre". [316] In un contesto di agitazione e di rumore, come quello della nostra società, una necessaria pedagogia alla preghiera è l'educazione al senso umano profondo e al valore religioso del silenzio, quale atmosfera spirituale indispensabile per percepire la presenza di Dio e per lasciarsene conquistare. [317]

48. Il vertice della preghiera cristiana è l'Eucaristia, che a sua volta si pone come "culmine e fonte" dei Sacramenti e della Liturgia delle Ore. E per la formazione spirituale di ogni cristiano, e in specie di ogni sacerdote, è del tutto necessaria l'educazione liturgica, nel senso pieno di un inserimento vitale nel mistero pasquale di Gesú Cristo morto e risorto, presente e operante nei sacramenti della Chiesa. La comunione con Dio, fulcro dell'intera vita spirituale, è dono e frutto dei sacramenti; e nello stesso tempo è compito e responsabilità che i sacramenti affidano alla libertà del credente, affinché viva questa stessa comunione nelle decisioni, scelte, atteggiamenti e azioni della sua quotidiana esistenza. In tal senso, la "grazia" che fa "nuova" la vita cristiana è la grazia di Gesú Cristo morto e risorto, che continua ad effondere il suo Spirito santo e santificatore nei sacramenti; cosí come la "legge nuova" che deve guidare e normare l'esistenza del cristiano è scritta dai sacramenti nel "cuore nuovo". Ed è legge di carità verso Dio e i fratelli, quale risposta e prolungamento della carità di Dio verso l'uomo significata e comunicata dai sacramenti. Si può immediatamente comprendere il valore di una partecipazione "piena, consapevole e attiva" [318] alle celebrazioni sacramentali per il dono e il compito di quella "carità pastorale" che costituisce l'anima del ministero sacerdotale. Ciò vale soprattutto nella partecipazione all'Eucaristia, memoriale della morte sacrificale di Cristo e della sua gloriosa risurrezione, "sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità", [319] convito pasquale nel quale "ci nutriamo di Cristo, ...l'anima è ricolma di grazia, ci è donato il pegno della gloria". [320] Ora i sacerdoti, nella loro qualità di ministri delle cose sacre, sono soprattutto i ministri del Sacrificio della Messa: [321] il loro ruolo è del tutto insostituibile, perché senza sacerdote non vi può essere offerta eucaristica. Questo spiega l'importanza essenziale dell'Eucaristia per la vita e per il ministero sacerdotale e, conseguentemente, nella formazione spirituale dei candidati al sacerdozio. Con grande semplicità e all'insegna della massima concretezza ripeto: "Converrà pertanto che i seminaristi partecipino ogni giorno alla celebrazione eucaristica, di modo che, in seguito, assumano come regola della loro vita sacerdotale questa celebrazione quotidiana.

Essi saranno inoltre educati a considerare la celebrazione eucaristica come il momento essenziale della loro giornata, al quale parteciperanno attivamente, mai accontentandosi di una assistenza soltanto abitudinaria. Infine, i candidati al sacerdozio saranno formati alle intime disposizioni che l'Eucaristia promuove: la riconoscenza per i benefici ricevuti dall'alto, poiché Eucaristia è azione di grazie; l'atteggiamento oblativo che li spinge a unire all'offerta eucaristica di Cristo la propria offerta personale; la carità nutrita da un sacramento che è segno di unità e di condivisione; il desiderio di contemplazione e di adorazione davanti a Cristo realmente presente sotto le specie eucaristiche". [322] Doveroso e quanto mai urgente è il richiamo a riscoprire, all'interno della formazione spirituale, la bellezza e la gioia del Sacramento della Penitenza. In una cultura che, con rinnovate e piú sottili forme di auto-giustificazione, rischia di perdere fatalmente il "senso del peccato" e, di conseguenza, la gioia consolante della richiesta di perdono [323] e dell'incontro con Dio "ricco di misericordia", [324] urge educare i futuri presbiteri alla virtú della penitenza, che è sapientemente alimentata dalla Chiesa nelle sue celebrazioni e nei tempi dell'anno liturgico e che trova la sua pienezza nel Sacramento della Riconciliazione. Di qui scaturiscono il senso dell'ascesi e della disciplina interiore, lo spirito di sacrificio e di rinuncia, l'accettazione della fatica e della croce. Si tratta di elementi della vita spirituale, che spesso si rivelano particolarmente ardui per molti candidati al sacerdozio cresciuti in condizioni relativamente comode e agiate e resi meno inclini e sensibili a questi stessi elementi dai modelli di comportamento e dagli ideali veicolati dai mezzi di comunicazione sociale, anche nei paesi dove piú povere sono le condizioni di vita e piú austera la situazione giovanile. Per questo, ma soprattutto per realizzare sull'esempio di Cristo buon Pastore la "radicale donazione di sé" propria del sacerdote, i Padri sinodali hanno scritto: "È necessario inculcare il senso della croce, che sta al cuore del mistero pasquale. Grazie a questa identificazione con Cristo crocifisso, in quanto servo, il mondo può ritrovare il valore dell'austerità, del dolore ed anche del martirio, dentro l'attuale cultura imbevuta di secolarismo, di avidità e di edonismo". [325]

49. La formazione spirituale comporta anche di cercare Cristo negli uomini. La vita spirituale, infatti, è sí vita interiore, vita d'intimità con Dio, vita di preghiera e di contemplazione. Ma proprio l'incontro con Dio, e con il suo amore di Padre di tutti, pone l'esigenza indeclinabile dell'incontro con il prossimo, del dono di sé agli altri, nel servizio umile e disinteressato che Gesú ha proposto a tutti come programma di vita con la lavanda dei piedi agli apostoli: "Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi". [326] La formazione al dono generoso e gratuito di sé, favorito anche dalla forma comunitaria normalmente assunta dalla preparazione al sacerdozio, rappresenta una condizione irrinunciabile per chi è chiamato a farsi epifania e trasparenza del buon Pastore che dà la vita. [327] Sotto questo aspetto la formazione spirituale possiede e deve sviluppare la sua intrinseca dimensione pastorale o caritativa, e può utilmente servirsi anche di una giusta, ossia forte e tenera, devozione al Cuore di Cristo, come hanno sottolineato i Padri del Sinodo: "Formare i futuri sacerdoti nella spiritualità del Cuore del Signore implica condurre una vita che corrisponde all'amore e all'affetto di Cristo Sacerdote e buon Pastore: al suo amore verso il Padre nello Spirito Santo, al suo amore verso gli uomini sino a donare nell'immolazione la sua vita". [328] Il sacerdote è, dunque, l'uomo della carità, ed è chiamato ad educare gli altri all'imitazione di Cristo e al comandamento nuovo dell'amore fraterno. [329] Ma ciò esige che lui stesso si lasci continuamente educare dallo Spirito alla carità di Cristo. In tal senso la preparazione al sacerdozio non può non implicare una seria formazione alla carità, in particolare all'amore preferenziale per i "poveri" nei quali la fede scopre la presenza di Gesú [330] e all'amore misericordioso per i peccatori. Nella prospettiva della carità, che consiste nel dono di sé per amore, trova il suo posto nella formazione spirituale del futuro sacerdote l'educazione all'obbedienza, al celibato e alla povertà. [331] In questo senso sta l'invito del Concilio: "In modo ben chiaro gli alunni sappiano di non essere destinati né al dominio né agli onori, ma di dover mettersi al completo servizio di Dio e del ministero pastorale. Con particolare sollecitudine vengano educati all'obbedienza sacerdotale, a un tenore di vita povera, allo spirito di abnegazione di sé, in modo da abituarsi a rinunziare prontamente anche alle cose per sé lecite ma non convenienti e a vivere in conformità con Cristo crocifisso". [332]

50. La formazione spirituale di chi è chiamato a vivere il celibato deve riservare un'attenzione particolare a preparare il futuro sacerdote a conoscere, stimare, amare e vivere il celibato nella sua vera natura e nelle sue vere finalità, quindi nelle sue motivazioni evangeliche, spirituali e pastorali. Presupposto e contenuto di questa preparazione è la virtú della castità, che qualifica tutte le relazioni umane e che conduce "a sperimentare e a manifestare... un amore sincero, umano, fraterno, personale e capace di sacrifici, sull'esempio di Cristo, verso tutti e verso ciascuno". [333] Il celibato dei sacerdoti connota la castità di alcune caratteristiche, grazie alle quali essi "rinunziando alla vita coniugale per il regno dei cieli, [334] possono aderire a Dio con un amore indivisibile rispondente intimamente alla nuova legge, danno testimonianza della futura risurrezione [335] e ricevono un aiuto grandissimo per l'esercizio continuo di quella perfetta carità che li renderà capaci nel ministero sacerdotale di farsi tutto a tutti". [336] In tal senso il celibato sacerdotale non è da considerarsi come semplice norma giuridica, né come una condizione del tutto esteriore per essere ammessi all'ordinazione, bensí come un valore profondamente connesso con l'ordinazione sacra, che configura a Gesú Cristo buon Pastore e Sposo della Chiesa, e quindi come la scelta di un amore piú grande e senza divisioni per Cristo e per la sua Chiesa nella disponibilità piena e gioiosa del cuore per il ministero pastorale. Il celibato è da considerare come una grazia speciale, come un dono: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso". [337] Certamente una grazia che non dispensa, ma esige con singolare forza la risposta cosciente e libera da parte di chi la riceve. Questo carisma dello Spirito racchiude anche la grazia perché colui che lo riceve rimanga fedele per tutta la vita e compia con generosità e con gioia gli impegni che vi sono connessi. Nella formazione al celibato sacerdotale dovrà essere assicurata la coscienza del "prezioso dono di Dio", [338] che condurrà alla preghiera e alla vigilanza perché il dono sia custodito da tutto ciò che lo può minacciare. Vivendo il suo celibato il sacerdote potrà meglio compiere il suo ministero nel Popolo di Dio. In particolare, mentre testimonierà il valore evangelico della verginità, potrà sostenere gli sposi cristiani a vivere in pienezza il "grande sacramento" dell'amore di Cristo Sposo per la Chiesa sua sposa, cosí come la sua fedeltà nel celibato sarà di aiuto per la fedeltà degli sposi. [339] L'importanza e la delicatezza della preparazione al celibato sacerdotale, specialmente nelle attuali situazioni sociali e culturali, hanno portato i Padri sinodali ad una serie di richieste, la cui validità permanente è peraltro confermata dalla saggezza della Chiesa madre. Le ripropongo autorevolmente come criteri da seguirsi nella formazione alla castità nel celibato: "I Vescovi insieme ai rettori e ai direttori spirituali dei seminari stabiliscano principii, offrano criteri e diano aiuti per il discernimento in questa materia. Di massima importanza per la formazione alla castità nel celibato sono la sollecitudine del Vescovo e la vita fraterna tra i sacerdoti. In seminario, durante il periodo di formazione, il celibato deve essere presentato con chiarezza, senza alcuna ambiguità e in modo positivo. Il seminarista deve avere un adeguato grado di maturità psichica e sessuale, nonché una vita assidua ed autentica di preghiera, e deve porsi sotto la direzione di un padre spirituale. Il direttore spirituale deve aiutare il seminarista perché egli stesso giunga ad una decisione matura e libera, che sia fondata nella stima dell'amicizia sacerdotale e dell'autodisciplina, come pure nell'accettazione della solitudine e in un retto stato personale fisico e psicologico. Per questo i seminaristi conoscano bene la dottrina del Concilio Vaticano II, l'enciclica Sacerdotalis Caelibatus e l'Istruzione per la formazione al celibato sacerdotale edita dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica nel 1974. Perché il seminarista possa abbracciare con decisione libera il celibato sacerdotale per il Regno dei cieli è necessario che conosca la natura cristiana e veramente umana nonché il fine della sessualità nel matrimonio e nel celibato. È necessario anche istruire ed educare i fedeli laici circa le motivazioni evangeliche, spirituali e pastorali proprie del celibato sacerdotale cosí che aiutino i presbiteri con l'amicizia, la comprensione e la collaborazione". [340]

51. La formazione intellettuale, pur avendo una sua specificità, si connette profondamente, sino a costituirne un'espressione necessaria, con la formazione umana e quella spirituale: si configura, infatti, come un'esigenza insopprimibile dell'intelligenza con la quale l'uomo "partecipa della luce della mente di Dio" [341] e cerca di acquisire una sapienza, che a sua volta, si apre e punta sulla conoscenza e sull'adesione a Dio. La formazione intellettuale dei candidati al sacerdozio trova la sua specifica giustificazione nella natura stessa del ministero ordinato e manifesta la sua urgenza attuale di fronte alla sfida della "nuova evangelizzazione" alla quale il Signore chiama la Chiesa alle soglie del terzo millennio. "Se già ogni cristiano - scrivono i Padri sinodali - deve essere pronto a difendere la fede e a rendere ragione della speranza che vive in noi, [342] molto di piú i candidati al sacerdozio e i presbiteri devono avere diligente cura del valore della formazione intellettuale nell'educazione e nell'attività pastorale, dal momento che per la salvezza dei fratelli e delle sorelle devono cercare una piú profonda conoscenza dei misteri divini". [343] La situazione attuale poi, pesantemente segnata dall'indifferenza religiosa e insieme da una sfiducia diffusa nei riguardi della reale capacità della ragione di raggiungere la verità oggettiva e universale, e da problemi e interrogativi inediti provocati dalle scoperte scientifiche e tecnologiche, esige con forza un livello eccellente di formazione intellettuale, tale cioè da rendere i sacerdoti capaci di annunciare, proprio in un simile contesto, l'immutabile Vangelo di Cristo e di renderlo credibile di fronte alle legittime esigenze della ragione umana. Si aggiunga, inoltre, che l'attuale fenomeno del pluralismo quanto mai accentuato, nell'ambito non solo della società umana ma anche della stessa comunità ecclesiale, chiede una particolare attitudine al discernimento critico: è un ulteriore motivo che dimostra la necessità di una formazione intellettuale quanto mai seria. Questa motivazione "pastorale" della formazione intellettuale riconferma quanto già detto sull'unità del processo educativo nelle sue diverse dimensioni. L'impegno di studio, che occupa non poca parte della vita di chi si prepara al sacerdozio, non è affatto una componente esteriore e secondaria della sua crescita umana, cristiana, spirituale e vocazionale: in realtà attraverso lo studio, soprattutto della teologia, il futuro sacerdote aderisce alla Parola di Dio, cresce nella sua vita spirituale e si dispone a compiere il suo ministero pastorale. È questo il molteplice e unitario scopo dello studio teologico indicato dal Concilio [344] e riproposto dall'Instrumentum laboris del Sinodo: "Affinché possa essere pastoralmente efficace, la formazione intellettuale va integrata in un cammino spirituale segnato dall'esperienza personale di Dio, in modo tale da superare una pura scienza nozionistica e pervenire a quella intelligenza del cuore che sa "vedere" prima ed è in grado poi di comunicare il mistero di Dio ai fratelli". [345]

52. Un momento essenziale della formazione intellettuale è lo studio della filosofia, che conduce ad una piú profonda comprensione e interpretazione della persona, della sua libertà, delle sue relazioni con il mondo e con Dio. Essa si rivela di grande urgenza, non solo per il legame che esiste tra gli argomenti filosofici e i misteri della salvezza studiati in teologia alla luce superiore della fede [346] ma anche di fronte ad una situazione culturale quanto mai diffusa che esalta il soggettivismo come criterio e misura della verità: solo una sana filosofia può aiutare i candidati al sacerdozio a sviluppare una coscienza riflessa del rapporto costitutivo che esiste tra lo spirito umano e la verità, quella verità che si rivela a noi pienamente in Gesú Cristo. Né è da sottovalutare l'importanza della filosofia per garantire quella "certezza di verità" che, sola, può stare alla base della donazione personale totale a Gesú e alla Chiesa. Non è difficile capire come alcune questioni molto concrete, quali l'identità del sacerdote e il suo impegno apostolico e missionario, sono profondamente legate alla questione, tutt'altro che astratta, della verità: se non si è certi della verità, come è possibile mettere in gioco l'intera propria vita ed avere la forza per interpellare sul serio la vita degli altri? La filosofia aiuta non poco il candidato ad arricchire la sua formazione intellettuale del "culto della verità", cioè di una specie di venerazione amorosa della verità, la quale conduce a riconoscere che la verità stessa non è creata e misurata dall'uomo ma all'uomo è data in dono dalla Verità suprema, Dio; che, sia pure con limiti e a volte con difficoltà, la ragione umana può raggiungere la verità oggettiva e universale, anche quella riguardante Dio e il senso radicale dell'esistenza; che la fede stessa non può prescindere dalla ragione e dalla fatica di "pensare" i suoi contenuti, come testimoniava la grande mente di Agostino: "Ho desiderato vedere con l'intelletto ciò che ho creduto, e ho molto disputato e faticato". [347] Per una piú profonda comprensione dell'uomo e dei fenomeni e delle linee evolutive della società, in ordine all'esercizio il piú possibile "incarnato" del ministero pastorale, di non poca utilità possono essere le cosiddette "scienze dell'uomo", come la sociologia, la psicologia, la pedagogia, la scienza dell'economia e della politica, la scienza della comunicazione sociale. Sia pure nell'ambito ben preciso delle scienze positive o descrittive, queste aiutano il futuro sacerdote a prolungare la "contemporaneità" vissuta da Cristo. "Cristo, diceva Paolo VI, si è fatto contemporaneo ad alcuni uomini e ha parlato nel loro linguaggio. La fedeltà a lui chiede che questa contemporaneità continui". [348]

53. La formazione intellettuale del futuro sacerdote si basa e si costruisce soprattutto sullo studio della sacra doctrina, della teologia. Il valore e l'autenticità della formazione teologica dipendono dal rispetto scrupoloso della natura propria della teologia, che i Padri sinodali hanno cosí compendiato: "La vera teologia proviene dalla fede e intende condurre alla fede". [349] È questa la concezione che la Chiesa cattolica, e il suo Magistero in specie, hanno costantemente proposto. È questa la linea seguita dai grandi teologi, che hanno arricchito il pensiero della Chiesa cattolica lungo i secoli. San Tommaso è oltremodo esplicito, quando afferma che la fede è come l'habitus della teologia, ossia il suo principio operativo permanente, [350] e che tutta la teologia è ordinata a nutrire la fede. [351] Il teologo è, dunque, anzitutto un credente, un uomo di fede. Ma è un credente che s'interroga sulla propria fede (fides quaerens intellectum), che s'interroga al fine di raggiungere una comprensione piú profonda della fede stessa. I due aspetti, la fede e la riflessione matura, sono profondamente connessi, intrecciati: proprio la loro intima coordinazione e compenetrazione decide della vera natura della teologia, e conseguentemente decide dei contenuti, delle modalità e dello spirito secondo cui la sacra doctrina va elaborata e studiata. Poiché poi la fede, punto di partenza e di arrivo della teologia, opera un rapporto personale del credente con Gesú Cristo nella Chiesa, anche la teologia possiede delle intrinseche connotazioni cristologiche ed ecclesiali, che il candidato al sacerdozio deve consapevolmente assumere, non solo per le implicazioni che riguardano la sua vita personale ma anche per quelle che toccano il suo ministero pastorale. Se è accoglienza della Parola di Dio, la fede si risolve in un "sí" radicale del credente a Gesú Cristo, Parola piena e definitiva di Dio al mondo. [352] Di conseguenza, la riflessione teologica trova il suo centro nell'adesione a Gesú Cristo, Sapienza di Dio: la stessa riflessione matura deve dirsi una partecipazione al "pensiero" di Cristo [353] nella forma umana di una scienza (scientia fidei). Nello stesso tempo, la fede inserisce il credente nella Chiesa e lo rende partecipe della vita della Chiesa, quale comunità di fede. Di conseguenza, la teologia possiede una dimensione ecclesiale, perché è una riflessione matura sulla fede della Chiesa e da parte del teologo che è membro della Chiesa. [354] Queste prospettive cristologiche ed ecclesiali, che sono connaturali alla teologia, aiutano a sviluppare nei candidati al sacerdozio, insieme al rigore scientifico, un grande e vivo amore a Gesú Cristo e alla sua Chiesa: quest'amore, mentre nutre la loro vita spirituale, li orienta al generoso compimento del loro ministero. Proprio questo era, in definitiva, l'intento del Concilio Vaticano II che sollecitava il riordinamento degli studi ecclesiastici disponendo meglio le varie discipline filosofiche e teologiche e facendole "convergere concordemente alla progressiva apertura delle menti degli alunni verso il mistero di Cristo, il quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella Chiesa e opera principalmente attraverso il ministero sacerdotale". [355] Formazione intellettuale teologica e vita spirituale, in particolare vita di preghiera, s'incontrano e si rafforzano a vicenda, senza nulla togliere né alla serietà della ricerca né al sapore spirituale della preghiera. San Bonaventura ci avverte: "Nessuno creda che gli basti la lettura senza l'unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza lo stupore, l'osservazione senza l'esultanza, l'attività senza la pietà, la scienza senza la carità, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio senza la grazia divina, l'indagine senza la sapienza dell'ispirazione divina". [356]

54. La formazione teologica è opera quanto mai complessa e impegnativa. Essa deve condurre il candidato al sacerdozio a possedere una visione delle verità rivelate da Dio in Gesú Cristo e dell'esperienza di fede della Chiesa che sia completa e unitaria: di qui la duplice esigenza di conoscere "tutte" le verità cristiane, senza operare delle scelte arbitrarie, e di conoscerle in modo organico. Ciò esige che l'alunno sia aiutato ad operare una sintesi che sia il frutto degli apporti delle diverse discipline teologiche, la cui specificità acquista autentico valore solo nella loro profonda coordinazione. Nella sua riflessione matura sulla fede, la teologia si muove in due direzioni. La prima è quella dello studio della Parola di Dio: la parola scritta nel Libro sacro, celebrata e vissuta nella Tradizione viva della Chiesa, autorevolmente interpretata dal Magistero della Chiesa. Di qui lo studio della Sacra Scrittura, "che deve essere come l'anima di tutta la teologia", [357] dei Padri della Chiesa e della liturgia, come pure della storia della Chiesa e dei pronunciamenti del Magistero. La seconda direzione è quella dell'uomo, interlocutore di Dio: l'uomo chiamato a "credere", a "vivere", a "comunicare" agli altri la fides e l'ethos cristiani. Di qui lo studio della dogmatica, della teologia morale, della teologia spirituale, del diritto canonico e della teologia pastorale. Il riferimento all'uomo credente conduce la teologia ad avere una particolare attenzione, da un lato, all'istanza fondamentale e permanente del rapporto fede-ragione, dall'altro, ad alcune esigenze piú collegate con la situazione sociale e culturale d'oggi. Dal primo punto di vista, si ha lo studio della teologia fondamentale, che ha per oggetto il fatto della rivelazione cristiana e la sua trasmissione nella Chiesa. Dall'altro punto di vista, si impongono discipline che hanno conosciuto e conoscono un piú deciso sviluppo come risposte a problemi oggi fortemente sentiti. Cosí lo studio della dottrina sociale della Chiesa, che "appartiene... al campo della teologia e, specialmente, della teologia morale" [358] e che è da annoverarsi tra le "componenti essenziali" della "nuova evangelizzazione", di cui costituisce uno strumento. [359] Cosí lo studio della missione, dell'ecumenismo, del giudaismo, dell'Islam e delle altre religioni non cristiane.

55. La formazione teologica attuale deve prestare attenzione ad alcuni problemi che non poche volte sollevano difficoltà, tensioni, confusioni all'interno della vita della Chiesa. Si pensi al rapporto tra i pronunciamenti del Magistero e le discussioni teologiche, un rapporto che non sempre si configura come dovrebbe essere, all'insegna cioè della collaborazione. Certamente "il Magistero vivo della Chiesa e la teologia, pur avendo doni e funzioni diverse, hanno ultimamente il medesimo fine: conservare il Popolo di Dio nella verità che libera e farne cosí la "luce delle nazioni". Questo servizio alla comunità ecclesiale mette in relazione reciproca il teologo con il Magistero. Quest'ultimo insegna autenticamente la dottrina degli Apostoli e, traendo vantaggio dal lavoro teologico, respinge le obiezioni e le deformazioni della fede, proponendo inoltre con l'autorità ricevuta da Gesú Cristo nuovi approfondimenti, esplicitazioni e applicazioni della dottrina rivelata. La teologia invece acquisisce, in modo riflesso, un'intelligenza sempre piú profonda della Parola di Dio, contenuta nella Scrittura e trasmessa fedelmente dalla Tradizione viva della Chiesa sotto la guida del Magistero, cerca di chiarire l'insegnamento della Rivelazione di fronte all'istanza della ragione, ed infine gli dà una forma organica e sistematica". [360] Quando però, per una serie di motivi, questa collaborazione viene meno, occorre non prestarsi a equivoci e a confusioni, sapendo distinguere accuratamente "la dottrina comune della Chiesa dalle opinioni dei teologi e dalle tendenze che presto passano (le cosiddette "mode")". [361] Non si dà un magistero "parallelo", perché l'unico magistero è quello di Pietro e degli apostoli, del Papa e dei vescovi. [362] Un altro problema, avvertito soprattutto là dove gli studi seminaristici sono affidati ad istituzioni accademiche, riguarda il rapporto tra il rigore scientifico della teologia e la sua destinazione pastorale, e pertanto la natura pastorale della teologia. Si tratta, in realtà, di due caratteristiche della teologia e del suo insegnamento che non solo non si oppongono tra loro, ma che concorrono, sia pure sotto profili diversi, alla piú completa intelligenza della fede. Infatti la pastoralità della teologia non significa una teologia meno dottrinale o addirittura destituita della sua scientificità; significa, invece, che essa abilita i futuri sacerdoti ad annunciare il messaggio evangelico attraverso i modi culturali del loro tempo e a impostare l'azione pastorale secondo un'autentica visione teologica.

E cosí, da un lato, uno studio rispettoso della scientificità rigorosa delle singole discipline teologiche contribuirà alla piú completa e profonda formazione del pastore d'anime come maestro della fede; dall'altro lato, l'adeguata sensibilità alla destinazione pastorale renderà veramente formativo per i futuri presbiteri lo studio serio e scientifico della teologia. Un ulteriore problema è dato dall'esigenza, oggi fortemente sentita, dell'evangelizzazione delle culture e dell'inculturazione del messaggio della fede. È questo un problema eminentemente pastorale, che deve entrare con maggiore ampiezza e sensibilità nella formazione dei candidati al sacerdozio: "Nelle attuali circostanze nelle quali, in varie regioni del mondo, la religione cristiana è considerata come qualcosa di estraneo alle culture sia antiche sia moderne, è di grande importanza che in tutta la formazione intellettuale e umana si ritenga come necessaria ed essenziale la dimensione dell'inculturazione". [363] Ma ciò preesige una teologia autentica, ispirata ai principii cattolici circa l'inculturazione. Questi principii si collegano con il mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio e con l'antropologia cristiana e illuminano il senso autentico dell'inculturazione: questa, di fronte alle piú diverse e talvolta contrapposte culture, presenti nelle varie parti del mondo, vuole essere un'obbedienza al comando di Cristo di predicare il Vangelo a tutte le genti sino agli estremi confini della terra. Una simile obbedienza non significa né sincretismo né semplice adattamento dell'annuncio evangelico, ma che il Vangelo penetra vitalmente nelle culture, si incarna in esse, superandone gli elementi culturali incompatibili con la fede e con la vita cristiana ed elevandone i valori al mistero della salvezza che proviene da Cristo. [364] Il problema dell'inculturazione può avere un interesse specifico quando i candidati al sacerdozio provengono essi stessi da antiche culture: avranno bisogno, allora, di vie adeguate di formazione, sia per superare il pericolo di essere meno esigenti e di sviluppare un'educazione piú debole ai valori umani, cristiani e sacerdotali, sia per valorizzare gli elementi buoni e autentici delle loro culture e tradizioni. [365]

56. Seguendo l'insegnamento e gli orientamenti del Concilio Vaticano II e le indicazioni applicative della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, si è determinato nella Chiesa un vasto aggiornamento dell'insegnamento delle discipline filosofiche e soprattutto teologiche nei seminari. Pur bisognoso in alcuni casi di ulteriori emendamenti e sviluppi, questo aggiornamento ha contribuito nel suo insieme a qualificare sempre piú la proposta educativa nell'ambito della formazione intellettuale. Al riguardo" i Padri sinodali hanno nuovamente affermato, con frequenza e con chiarezza, la necessità, anzi l'urgenza che venga applicato nei seminari e nelle case di formazione il piano fondamentale degli studi, sia universale che delle singole nazioni o Conferenze episcopali". [366] È necessario contrastare con decisione la tendenza a ridurre la serietà e l'impegno degli studi, che si manifesta in alcuni contesti ecclesiali, come conseguenza anche di una preparazione di base insufficiente e lacunosa degli alunni che iniziano il curricolo filosofico e teologico. È la stessa situazione contemporanea ad esigere sempre piú dei maestri che siano veramente all'altezza della complessità dei tempi e siano in grado di affrontare, con competenza e con chiarezza e profondità di argomentazioni, le domande di senso degli uomini d'oggi, alle quali solo il Vangelo di Gesú Cristo dà la piena e definitiva risposta.

57. L'intera formazione dei candidati al sacerdozio è destinata a disporli in un modo piú particolare a comunicare alla carità di Cristo, buon Pastore. Questa formazione, dunque, nei suoi diversi aspetti, deve avere un carattere essenzialmente pastorale. Lo affermava chiaramente il decreto conciliare "Optatam Totius" in rapporto ai seminari maggiori: "L'educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formare veri pastori d'anime sull'esempio di nostro Signore Gesú Cristo maestro, sacerdote e pastore. Gli alunni perciò vengano preparati: al ministero della parola, in modo da penetrare sempre meglio la Parola di Dio rivelata, rendersela propria con la meditazione e saperla esprimere con la parola e con la vita; al ministero del culto e della santificazione, in modo che pregando e celebrando le azioni liturgiche sappiano esercitare l'opera della salvezza per mezzo del Sacrificio eucaristico e dei Sacramenti; al servizio di pastore, per essere in grado di rappresentare agli uomini Cristo, il quale "non venne per essere servito, ma per servire e dare la sua vita a redenzione di molti" [367] e di guadagnare molti, facendosi servi di tutti [368]". [369] Il testo conciliare insiste sulla profonda coordinazione che esiste tra i diversi aspetti della formazione umana, spirituale, intellettuale e, nello stesso tempo, sulla loro specifica finalizzazione pastorale. In tal senso il fine pastorale assicura alla formazione umana, spirituale e intellettuale determinati contenuti e precise caratteristiche, cosí come unifica e specifica l'intera formazione dei futuri sacerdoti. Come ogni altra formazione, anche quella pastorale si sviluppa attraverso la riflessione matura e l'applicazione operativa, e affonda le sue radici vive in uno spirito, che di tutto costituisce il fulcro e la forza di impulso e di sviluppo. Si esige, dunque, lo studio di una vera e propria disciplina teologica: la teologia pastorale o pratica, che è una riflessione scientifica sulla Chiesa nel suo edificarsi quotidiano, con la forza dello Spirito, dentro la storia; sulla Chiesa, quindi, come "sacramento universale di salvezza", [370] come segno e strumento vivo della salvezza di Gesú Cristo nella Parola, nei Sacramenti e nel servizio della Carità. La pastorale non è soltanto un'arte né un complesso di esortazioni, di esperienze, di metodi; possiede una sua piena dignità teologica, perché riceve dalla fede i principii e i criteri dell'azione pastorale della Chiesa nella storia, di una Chiesa che "genera" ogni giorno la Chiesa stessa, secondo la felice espressione di S. Beda il Venerabile: "Nam et Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam". [371] Tra questi principii e criteri si dà quello particolarmente importante del discernimento evangelico della situazione socio-culturale ed ecclesiale entro cui si sviluppa l'azione pastorale. Lo studio della teologia pastorale deve illuminare l'applicazione operativa mediante la dedizione ad alcuni servizi pastorali che i candidati al sacerdozio, con necessaria gradualità e sempre in armonia con gli altri impegni formativi, devono assolvere: si tratta di "esperienze" pastorali, che possono confluire in un vero e proprio "tirocinio pastorale", che può durare anche per diverso tempo e che chiede di essere verificato in maniera metodica. Ma lo studio e l'attività pastorali rimandano ad una sorgente interiore, che la formazione avrà cura di custodire e di valorizzare: è la comunione sempre piú profonda con la carità pastorale di Gesú, la quale, come ha costituito il principio e la forza del suo agire salvifico, cosí, grazie all'effusione dello Spirito Santo nel sacramento dell'Ordine, deve costituire il principio e la forza del ministero del presbitero. Si tratta di una formazione destinata non soltanto ad assicurare una competenza pastorale scientifica e un'abilità operativa, ma anche e soprattutto a garantire la crescita di un modo di essere in comunione con i medesimi sentimenti e comportamenti di Cristo, buon Pastore: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesú". [372]

58. Cosí intesa, la formazione pastorale non può certo ridursi ad un semplice apprendistato, rivolto a familiarizzarsi con qualche tecnica pastorale. La proposta educativa del seminario si fa carico di una vera e propria iniziazione alla sensibilità del pastore, all'assunzione consapevole e matura delle sue responsabilità, all'abitudine interiore di valutare i problemi e di stabilire le priorità e i mezzi di soluzione, sempre in base a limpide motivazioni di fede e secondo le esigenze teologiche della pastorale stessa. Attraverso l'iniziale e graduale sperimentazione nel ministero, i futuri sacerdoti potranno essere inseriti nella viva tradizione pastorale della loro Chiesa particolare, impareranno ad aprire l'orizzonte della loro mente e del loro cuore alla dimensione missionaria della vita ecclesiale, si eserciteranno in alcune prime forme di collaborazione tra loro e con i presbiteri accanto ai quali saranno mandati. A questi ultimi compete, in collegamento con la proposta del seminario, una responsabilità educativa pastorale di non poca importanza. Nella scelta dei luoghi e dei servizi adatti all'esercizio pastorale si dovrà avere particolare riguardo per la parrocchia, [373] cellula vitale delle esperienze pastorali settoriali e specializzate, nella quale essi verranno a trovarsi di fronte ai problemi particolari del loro futuro ministero. I Padri sinodali hanno offerto una serie di esempi concreti, come la visita ai malati; la cura degli emigrati, degli esiliati e dei nomadi; lo zelo della carità che si traduce in diverse opere sociali. In particolare essi scrivono: "È necessario che il presbitero sia testimone della carità di Cristo stesso che è passato facendo del bene; [374] il presbitero deve anche essere il segno visibile della sollecitudine della Chiesa che è Madre e Maestra. E poiché l'uomo oggi è colpito da tante disgrazie, specialmente l'uomo che è travolto da una povertà disumana, dalla cieca violenza e dall'ingiusto potere, è necessario che l'uomo di Dio ben preparato ad ogni opera buona [375] rivendichi i diritti e la dignità dell'uomo. Si guardi però dall'aderire a false ideologie e dal dimenticare, mentre intende promuoverne la perfezione, che il mondo è redento dalla sola croce di Cristo". [376] L'insieme di queste ed altre attività pastorali educa il futuro sacerdote a vivere come "servizio" la propria missione di autorità nella comunità, allontanandosi da ogni atteggiamento di superiorità o di esercizio di un potere che non sia sempre e solo giustificato dalla carità pastorale. Per un'adeguata formazione è necessario che le diverse esperienze dei candidati al sacerdozio assumano un chiaro carattere ministeriale, restando intimamente collegate con tutte le esigenze che sono proprie della preparazione al presbiterato e (non, certo, a scapito dello studio) in riferimento ai servizi dell'annuncio della Parola, del culto e della presidenza. Questi servizi possono diventare la traduzione concreta dei ministeri del Lettorato, dell'Accolitato e del Diaconato.

59. Poiché l'azione pastorale è destinata per sua natura ad animare la Chiesa, che è essenzialmente "mistero", "comunione", "missione", la formazione pastorale dovrà conoscere e vivere queste dimensioni ecclesiali nell'esercizio del ministero. Fondamentale risulta essere la coscienza che la Chiesa è "mistero", opera divina, frutto dello Spirito di Cristo, segno efficace della grazia, presenza della Trinità nella comunità cristiana: una simile coscienza, mentre non attenuerà il senso di responsabilità proprio del pastore, lo renderà convinto che la crescita della Chiesa è opera gratuita dello Spirito e che il suo servizio - dalla stessa grazia divina affidato alla libera responsabilità umana - è quello evangelico del servo inutile. [377] La coscienza poi della Chiesa quale "comunione" preparerà il candidato al sacerdozio a realizzare una pastorale comunitaria, in cordiale collaborazione con i diversi soggetti ecclesiali: sacerdoti e Vescovo, sacerdoti diocesani e religiosi, sacerdoti e laici. Ma una simile collaborazione presuppone la conoscenza e la stima dei diversi doni e carismi, delle varie vocazioni e responsabilità che lo Spirito offre ed affida ai membri del Corpo di Cristo; esige un senso vivo e preciso della propria e dell'altrui identità nella Chiesa; chiede mutua fiducia, pazienza, dolcezza, capacità di comprensione e di attesa; si radica soprattutto su di un amore alla Chiesa piú grande dell'amore a se stessi e alle aggregazioni alle quali si appartiene. Di particolare importanza è preparare i futuri sacerdoti alla collaborazione con i laici. "Siano pronti - dice il Concilio - ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell'attività umana, in modo da poter assieme a loro riconoscere i segni dei tempi". [378] Anche il recente Sinodo ha insistito sulla sollecitudine pastorale verso i laici: "Occorre che l'alunno diventi capace di proporre e di introdurre i fedeli laici, soprattutto i giovani, alle diverse vocazioni (al matrimonio, ai servizi sociali, all'apostolato, ai ministeri e alle responsabilità nell'assumere l'attività pastorale, alla vita consacrata, a guidare la vita politica e sociale, alla ricerca scientifica, all'insegnamento). Soprattutto è necessario insegnare e sostenere i laici e la loro vocazione a permeare e a trasformare il mondo con la luce del Vangelo, riconoscendo il loro compito e rispettandolo". [379] Infine, la coscienza della Chiesa quale comunione "missionaria", aiuterà il candidato al sacerdozio ad amare e a vivere l'essenziale dimensione missionaria della Chiesa e delle diverse attività pastorali; ad essere aperto e disponibile a tutte le possibilità oggi offerte all'annuncio del Vangelo, senza dimenticare il prezioso servizio che al riguardo può e deve essere dato dai mezzi della comunicazione sociale; [380] a prepararsi ad un ministero che gli potrà chiedere la concreta disponibilità allo Spirito Santo e al Vescovo per essere mandato a predicare il Vangelo oltre i confini del suo paese. [381]

 

 

II. Gli ambienti della formazione sacerdotale

 

60. La necessità del Seminario Maggiore - e dell'analoga Casa religiosa - per la formazione dei candidati al sacerdozio, autorevolmente affermata dal Concilio Vaticano II, [382] è stata riaffermata dal Sinodo con queste parole: "L'istituzione del Seminario Maggiore, come luogo ottimo di formazione, è certamente da riaffermarsi quale normale spazio, anche materiale, di una vita comunitaria e gerarchica, anzi quale casa propria per la formazione dei candidati al sacerdozio, con superiori veramente consacrati a questo ufficio. Questa istituzione ha dato moltissimi frutti lungo i secoli e continua a darli in tutto il mondo". [383] Il seminario si presenta sí come un tempo e uno spazio; ma si presenta soprattutto come una comunità educativa in cammino: è la comunità promossa dal Vescovo per offrire a chi è chiamato dal Signore a servire come gli apostoli la possibilità di rivivere l'esperienza formativa che il Signore ha riservato ai Dodici. In realtà, una prolungata e intima consuetudine di vita con Gesú viene presentata nei Vangeli come necessaria premessa al ministero apostolico. Essa richiede ai Dodici di realizzare in modo particolarmente chiaro e specifico il distacco, in qualche misura proposto a tutti i discepoli, dall'ambiente di origine, dal lavoro consueto, dagli affetti anche piú cari. [384] Piú volte abbiamo riportato la tradizione di Marco che sottolinea il legame profondo che unisce gli apostoli con Cristo e tra di loro: prima di essere mandati a predicare e a guarire, sono chiamati a "stare con lui". [385] L'identità profonda del seminario è di essere, a suo modo, una continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesú, in ascolto della sua Parola, in cammino verso l'esperienza della Pasqua, in attesa del dono dello Spirito per la missione. Una simile identità costituisce l'ideale normativo che stimola il seminario, nelle piú diverse forme e nelle molteplici vicissitudini, che in quanto istituzione umana registra nella storia, a trovare una concreta realizzazione, fedele ai valori evangelici ai quali si ispira e capace di rispondere alle situazioni e necessità dei tempi.

Il seminario è, in se stesso, un'esperienza originale della vita della Chiesa: in esso il Vescovo si rende presente attraverso il ministero del rettore e il servizio di corresponsabilità e di comunione da lui animato con gli altri educatori, per la crescita pastorale e apostolica degli alunni. I vari membri della comunità del seminario, riuniti dallo Spirito in un'unica fraternità, collaborano, ciascuno secondo il proprio dono, alla crescita di tutti nella fede e nella carità, perché si preparino adeguatamente al sacerdozio e quindi a prolungare nella Chiesa e nella storia la presenza salvifica di Gesú Cristo, il buon Pastore. Già sotto un profilo umano, il Seminario Maggiore deve tendere a diventare "una comunità compaginata da una profonda amicizia e carità, cosí da poter essere considerata una vera famiglia che vive nella gioia". [386] Sotto il profilo cristiano, il seminario si deve configurare, continuano i Padri sinodali, come "comunità ecclesiale", come "comunità dei discepoli del Signore nella quale si celebra la stessa Liturgia (che permea la vita di spirito di preghiera), formata ogni giorno nella lettura e nella meditazione della Parola di Dio e con il sacramento dell'Eucaristia e nell'esercizio della carità fraterna e della giustizia, una comunità nella quale, nel progresso della vita comunitaria e nella vita di ciascun suo membro, risplendono lo Spirito di Cristo e l'amore verso la Chiesa". [387] A conferma e a sviluppo concreto dell'essenziale dimensione ecclesiale del seminario, i Padri sinodali continuano: "Come comunità ecclesiale, sia diocesana che interdiocesana, sia anche religiosa, il seminario alimenti il senso della comunione dei candidati con il loro Vescovo e con il loro presbiterio, cosí che partecipino alla loro speranza e alle loro angosce e sappiano estendere questa apertura alle necessità della Chiesa universale". [388] È essenziale per la formazione dei candidati al sacerdozio e al ministero pastorale, che per sua natura è ecclesiale, che il seminario sia sentito non in un modo esteriore e superficiale, ossia come un semplice luogo di abitazione e di studio, ma in un modo interiore e profondo: come una comunità, una comunità specificamente ecclesiale, una comunità che rivive l'esperienza del gruppo dei Dodici uniti a Gesú. [389]

61. Il seminario è, dunque, una comunità ecclesiale educativa, anzi una particolare comunità educante. Ed è il fine specifico a determinarne la fisionomia, ossia l'accompagnamento vocazionale dei futuri sacerdoti, e pertanto il discernimento della vocazione, l'aiuto a corrispondervi e la preparazione a ricevere il sacramento dell'Ordine con le grazie e le responsabilità proprie, per le quali il sacerdote è configurato a Gesú Cristo Capo e Pastore ed è abilitato e impegnato a condividerne la missione di salvezza nella Chiesa e nel mondo. In quanto comunità educante, l'intera vita del seminario, nelle sue piú diverse espressioni, è impegnata nella formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale dei futuri presbiteri: è una formazione che, pur avendo tanti aspetti comuni con la formazione umana e cristiana di tutti i membri della Chiesa, presenta contenuti, modalità e caratteristiche che discendono in modo specifico dal fine perseguito di preparare al sacerdozio. Ora i contenuti e le forme dell'opera educativa esigono che il seminario abbia una sua precisa programmazione, un programma di vita cioè che si caratterizzi, sia per la sua organicità-unità, sia per la sua sintonia o corrispondenza con l'unico fine che giustifica l'esistenza del seminario: la preparazione dei futuri presbiteri. In questo senso i Padri sinodali scrivono: "In quanto comunità educativa, (il seminario) deve servire ad un programma chiaramente definito che, come nota caratteristica, abbia l'unità della direzione manifestata nella figura del Rettore e dei collaboratori, nella coerenza dell'ordinamento di vita, dell'attività formativa e delle esigenze fondamentali della vita comunitaria, la quale comporta anche gli aspetti essenziali del compito formativo. Questo programma deve essere al servizio, senza esitazione e indeterminazione, della finalità specifica che sola giustifica l'esistenza del seminario, la formazione cioè dei futuri presbiteri, pastori della Chiesa". [390] E perché la programmazione sia veramente adatta ed efficace occorre che le grandi linee programmatiche si traducano piú concretamente in dettaglio, mediante alcune norme particolari destinate ad ordinare la vita comunitaria, stabilendo alcuni strumenti e alcuni ritmi temporali precisi. Un altro aspetto è qui da sottolineare: l'opera educativa, per sua natura, è l'accompagnamento delle persone storiche concrete che camminano verso la scelta e l'adesione a determinati ideali di vita. Proprio per questo l'opera educativa deve saper armonicamente conciliare la proposta chiara della meta da raggiungere, la richiesta di camminare con serietà verso la meta stessa, l'attenzione al "viandante", ossia al soggetto concreto impegnato in questa avventura, e dunque ad una serie di situazioni, di problemi, di difficoltà, di ritmi diversificati di cammino e di crescita. Ciò esige una sapiente elasticità, che non significa affatto compromesso né sui valori né sull'impegno cosciente e libero, ma amore vero e rispetto sincero per chi, nelle sue condizioni personali, sta camminando verso il sacerdozio. Questo vale non solo in rapporto alla singola persona, ma anche in rapporto ai diversi contesti sociali e culturali entro cui vivono i seminari e alla diversa storia che essi hanno. In questo senso l'opera educativa esige un continuo rinnovamento. I Padri l'hanno rilevato con forza anche in rapporto alla configurazione dei seminari: "Salva la validità delle forme classiche del seminario, il Sinodo desidera che il lavoro di consultazione delle Conferenze episcopali sulle necessità attuali della formazione prosegua come si è stabilito nel decreto "Optatam Totius" [391] e nel Sinodo del 1967. Si rivedano opportunamente le Rationes delle singole nazioni o riti, sia in occasione delle richieste fatte dalle Conferenze episcopali, sia nelle visite apostoliche nei seminari delle diverse nazioni, per integrare in esse diverse forme di formazione collaudate che devono rispondere alle necessità dei popoli di cultura cosiddetta indigena, delle vocazioni di uomini adulti, delle vocazioni per le missioni, ecc.". [392]

62. La finalità e la configurazione educativa specifica del Seminario Maggiore esigono che i candidati al sacerdozio vi entrino con una qualche preparazione previa. Una simile preparazione non poneva problemi particolari, almeno sino a qualche decennio fa, allorquando i candidati al sacerdozio provenivano abitualmente dai seminari minori e la vita cristiana delle comunità ecclesiali offriva facilmente a tutti, indistintamente, una discreta istruzione ed educazione cristiana. La situazione è in molte parti cambiata. Si dà una forte discrepanza tra lo stile di vita e la preparazione di base dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, anche se cristiani e talvolta impegnati nella vita della Chiesa, da un lato, e dall'altro lo stile di vita del seminario e le sue esigenze formative. In questo contesto, in comunione con i Padri sinodali, chiedo che vi sia un periodo adeguato di preparazione che preceda la formazione del seminario: "È utile che ci sia un periodo di preparazione umana, cristiana, intellettuale e spirituale per i candidati al Seminario Maggiore. Questi candidati devono però presentare determinate qualità: la retta intenzione, un grado sufficiente di maturità umana, una conoscenza abbastanza ampia della dottrina della fede, una qualche introduzione ai metodi di preghiera e costumi conformi alla tradizione cristiana. Abbiano anche attitudini proprie delle loro regioni, mediante le quali viene espresso lo sforzo di trovare Dio e la fede". [393] "Una conoscenza abbastanza ampia della dottrina della fede", di cui parlano i Padri sinodali, è richiesta prima della teologia: non si può sviluppare una "intellegentia fidei", se non si conosce la "fides" nel suo contenuto. Una simile lacuna potrà essere piú facilmente colmata dal prossimo Catechismo universale. Mentre si fa comune la convinzione della necessità di una simile preparazione previa al Seminario Maggiore, si dà una diversa valutazione dei suoi contenuti e delle sue caratteristiche, ossia dello scopo prevalente, se di formazione spirituale per il discernimento vocazionale o di formazione intellettuale e culturale. D'altra parte, non si possono dimenticare le molte e profonde diversità che esistono, non solo in rapporto ai singoli candidati, ma anche in rapporto alle varie regioni e paesi. Ciò suggerisce una fase ancora di studio e di sperimentazione, perché si possano definire in modo piú opportuno e significativo i diversi elementi di questa preparazione previa o "periodo propedeutico": il tempo, il luogo, la forma, i temi di questo periodo, che peraltro è da coordinarsi con gli anni successivi della formazione nel seminario. In questo senso assumo e ripropongo alla Congregazione per l'Educazione Cattolica la richiesta formulata dai Padri sinodali: "Il Sinodo chiede che la Congregazione per l'Educazione Cattolica raccolga tutte le informazioni sulle esperienze iniziali fatte o che si stanno facendo. A tempo opportuno, la Congregazione comunichi alle Conferenze episcopali le informazioni su questo argomento". [394]

63. Come attesta una larga esperienza, la vocazione sacerdotale ha un suo primo momento di manifestazione spesso negli anni della preadolescenza o nei primissimi anni della gioventú. Ed anche in soggetti che arrivano a decidere l'ingresso in seminario piú avanti nel tempo non è raro costatare la presenza della chiamata di Dio in periodi molto precedenti. La storia della Chiesa è una testimonianza continua di chiamate che il Signore rivolge anche in tenera età. San Tommaso, ad esempio, spiega la predilezione di Gesú verso l'apostolo Giovanni "per la sua tenera età" e ne trae la seguente conclusione: "Questo ci fa capire come Dio ami in modo speciale coloro che si danno al suo servizio fin dalla prima giovinezza". [395] La Chiesa si prende cura di questi germi di vocazione seminati nei cuori dei fanciulli, curandone, attraverso l'istituzione dei Seminari Minori, un premuroso, benché iniziale, discernimento e accompagnamento. In varie parti del mondo, questi seminari continuano a svolgere una preziosa opera educativa, finalizzata a custodire e a far sviluppare i germi della vocazione sacerdotale, affinché gli alunni la possano piú facilmente riconoscere e siano resi piú capaci di corrispondervi. La loro proposta educativa tende a favorire in modo tempestivo e graduale quella formazione umana, culturale e spirituale che condurrà il giovane a intraprendere il cammino nel Seminario Maggiore con una base adeguata e solida. "Prepararsi a seguire Cristo Redentore con animo generoso e cuore puro": questo è lo scopo del Seminario Minore indicato dal Concilio nel decreto "Optatam Totius", che cosí ne delinea il volto educativo: gli alunni "sotto la guida paterna dei superiori, coadiuvati opportunamente dai genitori, conducano un tenore di vita conveniente all'età, allo spirito e allo sviluppo degli adolescenti e in piena armonia con le norme della sana psicologia, senza trascurare una conveniente esperienza delle cose umane e i rapporti con la propria famiglia". [396] Il Seminario Minore potrà essere nella Diocesi anche un punto di riferimento della pastorale vocazionale, con opportune forme di accoglienza e offerta di occasioni informative per quegli adolescenti che sono alla ricerca della vocazione o che, già determinati a seguirla, sono costretti a procrastinare l'ingresso in seminario per diverse circostanze, familiari o scolastiche.

64. Dove il Seminario Minore - che in molte regioni sembra necessario e molto utile - non trova possibilità di attuazione, occorre provvedere a costituire altre "istituzioni", [397] come potrebbero essere i gruppi vocazionali per adolescenti e per giovani. Pur non essendo permanenti, questi gruppi potranno offrire, in un contesto comunitario, una guida sistematica per la verifica e la crescita vocazionale. Pur vivendo in famiglia e frequentando la comunità cristiana che li aiuta nel loro cammino formativo, questi ragazzi e questi giovani non devono essere lasciati soli. Essi hanno bisogno di un gruppo particolare o di una comunità di riferimento cui appoggiarsi per compiere quello specifico itinerario vocazionale che il dono dello Spirito Santo ha iniziato in loro. Come è sempre avvenuto nella storia della Chiesa, e con qualche caratteristica di confortante novità e frequenza nelle attuali circostanze, va registrato il fenomeno di vocazioni sacerdotali che si verificano in età adulta, dopo una piú o meno lunga esperienza di vita laicale e di impegno professionale. Non è sempre possibile, e spesso non è neppure conveniente, invitare gli adulti a seguire l'itinerario educativo del Seminario Maggiore. Si deve piuttosto provvedere, dopo un accurato discernimento dell'autenticità di queste vocazioni, a programmare una qualche forma specifica di accompagnamento formativo cosí da assicurare, mediante opportuni adattamenti, la necessaria formazione spirituale e intellettuale. [398] Un giusto rapporto con gli altri candidati al sacerdozio e periodi di presenza nella comunità del Seminario maggiore potranno garantire il pieno inserimento di queste vocazioni nell'unico presbiterio e la loro intima e cordiale comunione con esso.

 

 

III. I protagonisti della formazione sacerdotale.

 

65. Poiché la formazione dei candidati al sacerdozio appartiene alla pastorale vocazionale della Chiesa, si deve dire che è la Chiesa come tale il soggetto comunitario che ha la grazia e la responsabilità di accompagnare quanti il Signore chiama a divenire suoi ministri nel sacerdozio. In tal senso proprio la lettura del mistero della Chiesa ci aiuta a precisare meglio il posto e il compito che i suoi diversi membri, sia come singoli sia come membri di un corpo, hanno nella formazione dei candidati al presbiterato. Ora la Chiesa è per sua intima natura la "memoria", il "sacramento" della presenza e dell'azione di Gesú Cristo in mezzo a noi e per noi. È alla sua presenza salvifica che si deve la chiamata al sacerdozio: non solo la chiamata, ma anche l'accompagnamento perché il chiamato possa riconoscere la grazia del Signore e possa darle risposta con libertà e con amore. È lo Spirito di Gesú che fa luce e dona forza nel discernimento e nel cammino vocazionale. Non si dà, allora, autentica opera formativa al sacerdozio senza l'influsso dello Spirito di Cristo. Ogni formatore umano deve esserne pienamente cosciente. Come non vedere una "risorsa" totalmente gratuita e radicalmente efficace, che ha il suo "peso" decisivo nell'impegno formativo verso il sacerdozio? E come non gioire di fronte alla dignità di ogni formatore umano, che si configura, in un certo senso, quale visibile rappresentante di Cristo per il candidato al sacerdozio? Se la formazione al sacerdozio è essenzialmente la preparazione del futuro "pastore" ad immagine di Gesú Cristo buon Pastore, chi meglio di Gesú stesso, mediante l'effusione del suo Spirito, può donare e portare a maturità quella carità pastorale che egli ha vissuto sino al dono totale di sé [399] e che vuole sia rivissuta da tutti i presbiteri? Primo rappresentante di Cristo nella formazione sacerdotale è il Vescovo. Si potrebbe dire del Vescovo, di ogni Vescovo, quanto l'evangelista Marco ci dice nel testo piú volte citato: "Chiamò a sé quelli che volle ed essi andarono da lui. Ne costituí Dodici che stessero con lui e anche per mandarli...". [400] In realtà la chiamata interiore dello Spirito ha bisogno di essere riconosciuta come autentica chiamata dal Vescovo. Se tutti possono "andare" dal Vescovo perché Pastore e Padre di tutti, lo possono in una maniera particolare i suoi presbiteri per la comune partecipazione al medesimo sacerdozio e ministero: il Vescovo, dice il Concilio, deve considerarli e trattarli come "fratelli e amici". [401] E questo, in modo analogico, si può dire di quanti si preparano al sacerdozio. A proposito dello stare con lui, con il Vescovo, risulta già quanto mai significativo della sua responsabilità formativa nei riguardi dei candidati al sacerdozio che il Vescovo li visiti spesso e in qualche modo "stia" con loro. La presenza del Vescovo ha un valore particolare, non solo perché aiuta la comunità del seminario a vivere il suo inserimento nella Chiesa particolare e la sua comunione con il Pastore che la guida, ma anche perché autentica e stimola quella finalità pastorale che costituisce lo specifico dell'intera formazione dei candidati al sacerdozio. Soprattutto, con la sua presenza e con la condivisione con i candidati al sacerdozio di tutto ciò che riguarda il cammino pastorale della Chiesa particolare, il Vescovo offre un apporto fondamentale alla formazione del "senso della Chiesa", quale valore spirituale e pastorale centrale nell'esercizio del ministero sacerdotale.

66. La comunità educativa del seminario si articola attorno a diversi formatori: il rettore, il direttore o padre spirituale, i superiori e i professori. Questi devono sentirsi profondamente uniti al Vescovo, che a diverso titolo e in vario modo lo rappresentano, e devono essere tra loro in convinta e cordiale comunione e collaborazione: questa unità degli educatori non solo rende possibile un'adeguata realizzazione del programma educativo, ma anche e soprattutto offre ai candidati al sacerdozio l'esempio significativo e la concreta introduzione a quella comunione ecclesiale che costituisce un valore fondamentale della vita cristiana e del ministero pastorale. È evidente che gran parte dell'efficacia formativa dipende dalla personalità matura e forte dei formatori sotto il profilo umano ed evangelico. Per questo diventano particolarmente importanti, da un lato, la scelta accurata dei formatori e, dall'altro, lo stimolo ai formatori perché si rendano costantemente sempre piú idonei al compito loro affidato. Consapevoli che proprio nella scelta e nella formazione dei formatori risiede l'avvenire della preparazione dei candidati al sacerdozio, i Padri sinodali si sono soffermati a lungo nel precisare l'identità degli educatori. In particolare hanno scritto: "Il compito della formazione dei candidati al sacerdozio certamente esige non solo una qualche preparazione speciale dei formatori, che sia veramente tecnica, pedagogica, spirituale, umana e teologica, ma anche lo spirito di comunione e di collaborazione nell'unità per sviluppare il programma, cosí che sempre sia salvata l'unità nell'azione pastorale del seminario sotto la guida del rettore. Il gruppo dei formatori dia testimonianza di una vita veramente evangelica e di totale dedizione al Signore. È opportuno che goda di una qualche stabilità ed abbia residenza abituale nella comunità del seminario.

Sia intimamente congiunto con il Vescovo, quale primo responsabile della formazione dei sacerdoti". [402] I Vescovi per primi devono sentire la loro grave responsabilità circa la formazione di coloro che saranno incaricati dell'educazione dei futuri presbiteri. Per questo ministero devono essere scelti sacerdoti di vita esemplare, in possesso di diverse qualità: "la maturità umana e spirituale, l'esperienza pastorale, la competenza professionale, la stabilità nella propria vocazione, la capacità alla collaborazione, la preparazione dottrinale nelle scienze umane (specialmente la psicologia) corrispondente all'ufficio, la conoscenza dei modi per lavorare in gruppo". [403] Fatte salve la distinzione tra foro interno e foro esterno, l'opportuna libertà di scelta dei confessori e la prudenza e discrezione che convengono al ministero del direttore spirituale, la comunità presbiterale degli educatori si senta solidale nella responsabilità di educare i candidati al sacerdozio. Ad essa, sempre in riferimento all'autorevole valutazione sintetica del Vescovo e del rettore, spetta in primo luogo il compito di promuovere e verificare l'idoneità dei candidati quanto alle doti spirituali, umane e intellettuali, soprattutto in riferimento allo spirito di preghiera, all'assimilazione profonda della dottrina della fede, alla capacità di autentica fraternità e al carisma del celibato. [404] Tenendo presenti - come i Padri sinodali hanno pure ricordato - le indicazioni dell'Esortazione Christifideles Laici e della Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem, [405] che rilevano l'utilità di un sano influsso della spiritualità laicale e del carisma della femminilità su ogni itinerario educativo, è opportuno coinvolgere, in forme prudenti e adattate ai vari contesti culturali, la collaborazione anche dei fedeli laici, uomini e donne, nell'opera formativa dei futuri sacerdoti. Sono da scegliersi con cura, nel quadro delle leggi della Chiesa e secondo i loro particolari carismi e le loro provate competenze. Dalla loro collaborazione, opportunamente coordinata e integrata alle responsabilità educative primarie dei formatori dei futuri presbiteri, è lecito attendersi benefici frutti per una crescita equilibrata del senso della Chiesa e per una percezione piú precisa della propria identità sacerdotale da parte dei candidati al presbiterato. [406]

67. Quanti introducono e accompagnano i futuri sacerdoti nella sacra doctrina con l'insegnamento teologico hanno una particolare responsabilità educativa, che l'esperienza dice essere spesso piú decisiva, nello sviluppo della personalità presbiterale, di quella degli altri educatori. La responsabilità degli insegnanti di teologia, prima che riguardare il rapporto di docenza che devono instaurare con i candidati al sacerdozio, riguarda la concezione che essi stessi devono avere della natura della teologia e del ministero sacerdotale, come pure lo spirito e lo stile secondo cui devono sviluppare l'insegnamento teologico. In questo senso i Padri sinodali hanno giustamente affermato che "il teologo deve rimanere consapevole che con il suo insegnamento non si autorizza da sé, ma deve aprire e comunicare l'intelligenza della fede ultimamente nel nome del Signore e della Chiesa. In questo modo, il teologo, pur utilizzando tutte le possibilità scientifiche, esercita il suo compito su mandato della Chiesa e collabora con il Vescovo nel compito di insegnare. Poiché i teologi e i Vescovi sono al servizio della stessa Chiesa nel promuovere la fede, devono sviluppare e coltivare una reciproca fiducia e in questo spirito superare anche le tensioni e i conflitti [407]". [408] L'insegnante di teologia, come ogni altro educatore, deve rimanere in comunione e collaborare cordialmente con tutte le altre persone impegnate nella formazione dei futuri sacerdoti e presentare con rigore scientifico, generosità, umiltà e passione il suo contributo originale e qualificato, che non è solo la semplice comunicazione di una dottrina - sia pure la sacra doctrina -, ma è soprattutto l'offerta della prospettiva che unifica nel disegno di Dio tutti i diversi saperi umani e le varie espressioni di vita. In particolare, la specificità e l'incisività formativa degli insegnanti di teologia si misura sul loro essere, anzitutto, "uomini di fede e pieni di amore per la Chiesa, convinti che il soggetto adeguato della conoscenza del mistero cristiano resta la Chiesa come tale, persuasi pertanto che il loro compito d'insegnare è un autentico ministero ecclesiale, ricchi di senso pastorale per discernere non solo i contenuti ma anche le forme adatte nell'esercizio di questo ministero. In particolare, dagli insegnanti è richiesta la fedeltà piena al Magistero. Insegnano, infatti, a nome della Chiesa e per questo sono testimoni della fede". [409]

68. Le comunità da cui proviene il candidato al sacerdozio, pur con il necessario distacco che la scelta vocazionale comporta, continuano ad esercitare un influsso non indifferente sulla formazione del futuro sacerdote. Devono allora essere coscienti della loro specifica parte di responsabilità. È da ricordare, anzitutto, la famiglia: i genitori cristiani, come anche i fratelli e le sorelle e gli altri membri del nucleo familiare, non dovranno mai cercare di ricondurre il futuro presbitero negli angusti limiti di una logica troppo umana, se non mondana, pur sostenuta da sincero affetto. [410] Animati essi stessi dal medesimo proposito di "compiere la volontà di Dio" sapranno, invece, accompagnare il cammino formativo con la preghiera, il rispetto, il buon esempio delle virtú domestiche e l'aiuto spirituale e materiale, soprattutto nei momenti difficili. L'esperienza insegna che, in tanti casi, questo aiuto molteplice si è rivelato decisivo per il candidato al sacerdozio. Anche nel caso di genitori e familiari indifferenti o contrari alla scelta vocazionale, il confronto chiaro e sereno con la loro posizione e gli stimoli che ne derivano possono essere di grande aiuto, perché la vocazione sacerdotale maturi in modo piú consapevole e determinato. In profondo collegamento con le famiglie sta la comunità parrocchiale, e le une e l'altra si integrano sul piano dell'educazione alla fede; spesso poi la parrocchia, con una specifica pastorale giovanile e vocazionale, esercita un ruolo di supplenza nei riguardi della famiglia. Soprattutto, in quanto realizzazione locale piú immediata del mistero della Chiesa, la parrocchia offre un contributo originale e particolarmente prezioso alla formazione del futuro sacerdote. La comunità parrocchiale deve continuare a sentire come parte viva di sé il giovane in cammino verso il sacerdozio, lo deve accompagnare con la preghiera, accogliere cordialmente nei periodi di vacanza, rispettare e favorire nel formarsi della sua identità presbiterale, offrendogli occasioni opportune e stimoli forti per provare la sua vocazione alla missione sacerdotale. Anche le associazioni e i movimenti giovanili, segno e conferma della vitalità che lo Spirito assicura alla Chiesa, possono e devono contribuire alla formazione dei candidati al sacerdozio, in particolare di quelli che escono dall'esperienza cristiana, spirituale e apostolica di queste realtà aggregative. I giovani che hanno ricevuto la loro formazione di base in tali aggregazioni e che si riferiscono ad esse per la loro esperienza di Chiesa, non dovranno sentirsi invitati a sradicarsi dal loro passato ed a interrompere le relazioni con l'ambiente che ha contribuito al determinarsi della loro vocazione, né dovranno cancellare i tratti caratteristici della spiritualità che là hanno imparato e vissuto, in tutto ciò che di buono, edificante ed arricchente essi contengono. [411]

Anche per loro, questo ambiente d'origine continua ad essere fonte di aiuto e di sostegno nel cammino formativo verso il sacerdozio. Le occasioni di educazione alla fede e di crescita cristiana ed ecclesiale, che lo Spirito offre a tanti giovani, attraverso molteplici forme di gruppi, movimenti e associazioni di varia ispirazione evangelica, devono essere sentite e vissute come il dono di un'anima alimentatrice dentro l'istituzione e al suo servizio. Un movimento o una spiritualità particolare, infatti, "non è una struttura alternativa all'istituzione. È invece sorgente di una presenza che continuamente ne rigenera l'autenticità esistenziale e storica. Il sacerdote deve perciò trovare in un movimento la luce e il calore che lo rende capace di fedeltà al suo Vescovo, che lo rende pronto alle incombenze dell'istituzione e attento alla disciplina ecclesiastica, cosí che piú fertile sia la vibrazione della sua fede ed il gusto della sua fedeltà". [412] È quindi necessario che, nella nuova comunità del Seminario nella quale sono riuniti dal Vescovo, i giovani provenienti da associazioni e da movimenti ecclesiali imparino "il rispetto delle altre vie spirituali e lo spirito di dialogo e di cooperazione", si riferiscano con coerenza e cordialità alle indicazioni formative del Vescovo e agli educatori del Seminario, affidandosi con schietta fiducia alla loro guida e alle loro valutazioni. [413] Questo atteggiamento, infatti, prepara e in qualche modo anticipa la genuina scelta presbiterale di servizio all'intero Popolo di Dio, nella comunione fraterna del presbiterio e in obbedienza al Vescovo. La partecipazione del seminarista e del presbitero diocesano a particolari spiritualità o aggregazioni ecclesiali è certamente, in se stessa, un fattore benefico di crescita e di fraternità sacerdotale. Ma questa partecipazione non deve ostacolare, bensí aiutare l'esercizio del ministero e la vita spirituale che sono propri del sacerdote diocesano, il quale "resta sempre il pastore dell'insieme. Non solo è il "permanente", disponibile a tutti, ma presiede all'incontro di tutti - in particolare è a capo delle parrocchie - affinché tutti trovino l'accoglienza che sono in diritto di attendere nella comunità e nell'Eucaristia che li riunisce, qualunque sia la loro sensibilità religiosa e il loro impegno pastorale". [414]

69. Non si può dimenticare, infine, che lo stesso candidato al sacerdozio deve dirsi protagonista necessario e insostituibile della sua formazione: ogni formazione, anche quella sacerdotale, è ultimamente un'autoformazione. Nessuno, infatti, può sostituirci nella libertà responsabile che abbiamo come singole persone. Certamente anche il futuro sacerdote, lui per primo, deve crescere nella consapevolezza che il protagonista per antonomasia della sua formazione è lo Spirito Santo che, con il dono del cuore nuovo, configura e assimila a Gesú Cristo buon Pastore: in tal senso il candidato affermerà nella forma piú radicale la sua libertà nell'accogliere l'azione formativa dello Spirito. Ma accogliere questa azione significa anche, da parte del candidato al sacerdozio, accogliere le mediazioni umane di cui lo Spirito si serve. Per questo l'azione dei vari educatori risulta veramente e pienamente efficace solo se il futuro sacerdote offre ad essa la sua personale convinta e cordiale collaborazione.

 

 

 

CAPITOLO VI

TI RICORDO DI RAVVIVARE IL DONO DI DIO CHE È IN TE

 

La formazione permanente dei sacerdoti

 

70. "Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te". [415] Le parole dell'Apostolo al vescovo Timoteo si possono legittimamente applicare a quella formazione permanente alla quale sono chiamati tutti i sacerdoti in forza del "dono di Dio" che hanno ricevuto con l'ordinazione sacra. Esse ci introducono a cogliere la verità intera e l'originalità inconfondibile della formazione permanente dei presbiteri. In questo siamo aiutati anche da un altro testo di Paolo, che allo stesso Timoteo scrive: "Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri. Abbi premura di queste cose, dedicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: cosí facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano". [416] L'Apostolo chiede a Timoteo di "ravvivare", ossia di riaccendere come si fa per il fuoco sotto la cenere, il dono divino, nel senso di accoglierlo e di viverlo senza mai perdere o dimenticare quella "novità permanente" che è propria di ogni dono di Dio, di Colui che fa nuove tutte le cose, [417] e dunque di viverlo nella sua intramontabile freschezza e bellezza originaria. Ma quel "ravvivare" non è solo l'esito di un compito affidato alla responsabilità personale di Timoteo, non è solo il risultato di un impegno della sua memoria e della sua volontà. È l'effetto di un dinamismo di grazia intrinseco al dono di Dio: è Dio stesso, dunque, a ravvivare il suo stesso dono, meglio, a sprigionare tutta la straordinaria ricchezza di grazia e di responsabilità che in esso è racchiusa. Con l'effusione sacramentale dello Spirito Santo che consacra e manda, il presbitero viene configurato a Gesú Cristo Capo e Pastore della Chiesa e viene mandato a compiere il ministero pastorale. In tal modo, il sacerdote è segnato per sempre e in modo indelebile nel suo essere come ministro di Gesú e della Chiesa ed è inserito in una condizione permanente e irreversibile di vita ed è incaricato di un ministero pastorale che, radicato nell'essere, coinvolge tutta la sua esistenza, ed è esso pure permanente. Il sacramento dell'Ordine conferisce al sacerdote la grazia sacramentale, che lo rende partecipe non solo del "potere" e del "ministero" salvifici di Gesú, ma anche del suo "amore" pastorale; nello stesso tempo assicura al sacerdote tutte quelle grazie attuali che gli verranno date ogniqualvolta saranno necessarie e utili per il degno e perfetto compimento del ministero ricevuto.

La formazione permanente trova cosí il suo fondamento proprio e la sua motivazione originale nel dinamismo del sacramento dell'Ordine. Certo non mancano ragioni anche semplicemente umane che sollecitano il sacerdote a realizzare una formazione permanente. Questa è un'esigenza della sua progressiva realizzazione: ogni vita è un cammino incessante verso la maturità, e questa passa attraverso la continua formazione. È esigenza, inoltre, del ministero sacerdotale, sia pure colto nella sua natura generica e comune alle altre professioni, e quindi come servizio rivolto agli altri: ora non c'è professione o impegno o lavoro che non esiga un continuo aggiornamento, se vuole essere attuale ed efficace. L'esigenza di "tenere il passo" con il cammino della storia è un'altra ragione umana che giustifica la formazione permanente. Ma queste ed altre ragioni vengono assunte e specificate dalle ragioni teologiche ora ricordate e che si possono ulteriormente approfondire. Il sacramento dell'Ordine, per la natura di "segno", che è propria di tutti i sacramenti, può considerarsi, come realmente è, Parola di Dio: è Parola di Dio che chiama e manda, è l'espressione piú forte della vocazione e della missione del sacerdote. Mediante il sacramento dell'Ordine Dio chiama coram Ecclesia il candidato "al" sacerdozio. Il "vieni e seguimi" di Gesú trova la sua proclamazione piena e definitiva nella celebrazione del sacramento della sua Chiesa: si manifesta e si comunica attraverso la voce della Chiesa, che risuona sulle labbra del Vescovo che prega e impone le mani. E il sacerdote dà risposta, nella fede, alla chiamata di Gesú: "vengo e ti seguo". Da questo momento ha inizio quella risposta che, come scelta fondamentale, deve riesprimersi e riaffermarsi lungo gli anni del sacerdozio in numerosissime altre risposte, tutte radicate e vivificate dal "sí" dell'Ordine sacro. In questo senso si può parlare di una vocazione "nel" sacerdozio. In realtà Dio continua a chiamare e a mandare, rivelando il suo disegno salvifico nello sviluppo storico della vita del sacerdote e nelle vicende della Chiesa e della società.

E proprio in questa prospettiva emerge il significato della formazione permanente: essa è necessaria in ordine a discernere e a seguire questa continua chiamata o volontà di Dio. Cosí l'apostolo Pietro è chiamato a seguire Gesú anche dopo che il Risorto gli ha affidato il suo gregge: "Gli rispose Gesú: "Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri piú giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi". Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: "Seguimi"". [418] C'è, dunque, un "seguimi" che accompagna la vita e la missione dell'apostolo. È un "seguimi" che attesta l'appello e l'esigenza della fedeltà sino alla morte, [419] un "seguimi" che può significare una sequela Christi con il dono totale di sé nel martirio. [420] I Padri sinodali hanno espresso la ragione che giustifica la necessità della formazione permanente e che nello stesso tempo ne rivela la natura profonda, qualificandola come "fedeltà" al ministero sacerdotale e come "processo di continua conversione". [421] È lo Spirito Santo, effuso con il sacramento, che sostiene il presbitero in questa fedeltà e che lo accompagna e lo stimola in questo cammino di incessante conversione. Il dono dello Spirito non dispensa, ma sollecita la libertà del sacerdote, perché cooperi responsabilmente e assuma la formazione permanente come compito che gli è affidato. In tal modo la formazione permanente è espressione ed esigenza della fedeltà del sacerdote al suo ministero, anzi al suo stesso essere. È dunque amore a Gesú Cristo e coerenza con se stessi. Ma è anche atto di amore verso il Popolo di Dio, al cui servizio il sacerdote è posto. Anzi, atto di vera e propria giustizia: egli è debitore verso il Popolo di Dio, essendo chiamato a riconoscerne e a promuoverne il "diritto", quello fondamentale, di essere destinatario della Parola di Dio, dei Sacramenti e del servizio della Carità, che sono il contenuto originale e irrinunciabile del ministero pastorale del sacerdote. La formazione permanente è necessaria perché il sacerdote sia in grado di rispondere, nel modo dovuto, a tale diritto del Popolo di Dio. Anima e forma della formazione permanente del sacerdote è la carità pastorale: lo Spirito Santo, che infonde la carità pastorale, introduce e accompagna il sacerdote a conoscere sempre piú profondamente il mistero di Cristo che è insondabile nella sua ricchezza [422] e, di riflesso, a conoscere il mistero del sacerdozio cristiano. La stessa carità pastorale spinge il sacerdote a conoscere sempre piú le attese, i bisogni, i problemi, le sensibilità dei destinatari del suo ministero: destinatari colti nelle loro concrete situazioni personali, familiari, sociali. A tutto questo tende la formazione permanente intesa come cosciente e libera proposta al dinamismo della carità pastorale e dello Spirito Santo, che ne è la sorgente prima e l'alimento continuo. In questo senso la formazione permanente è un'esigenza intrinseca al dono e al ministero sacramentale ricevuto e si rivela necessaria in ogni tempo. Oggi però risulta essere particolarmente urgente, non solo per il rapido mutarsi delle condizioni sociali e culturali degli uomini e dei popoli entro cui si svolge il ministero presbiterale, ma anche per quella "nuova evangelizzazione" che costituisce il compito essenziale e indilazionabile della Chiesa alla fine del secondo millennio.

71. La formazione permanente dei sacerdoti, sia diocesani sia religiosi, è la continuazione naturale e assolutamente necessaria di quel processo di strutturazione della personalità presbiterale che si è iniziato e sviluppato in Seminario o nella Casa religiosa con il cammino formativo in vista dell'Ordinazione. È di particolare importanza avvertire e rispettare l'intrinseco legame che esiste tra la formazione precedente l'ordinazione e quella successiva. Se, infatti, ci fosse una discontinuità o perfino una difformità tra queste due fasi formative, deriverebbero immediatamente gravi conseguenze sull'attività pastorale e sulla comunione fraterna tra i presbiteri, in particolare tra quelli di differente età. La formazione permanente non è una ripetizione di quella acquisita in Seminario, semplicemente riveduta o ampliata con nuovi suggerimenti applicativi. Essa si sviluppa con contenuti e soprattutto attraverso metodi relativamente nuovi, come un fatto vitale unitario che, nel suo progresso - affondando le radici nella formazione seminaristica - richiede adattamenti, aggiornamenti e modifiche, senza però subire rotture o soluzioni di continuità. E viceversa, fin dal Seminario Maggiore occorre preparare la futura formazione permanente, e aprire ad essa l'animo e il desiderio dei futuri presbiteri, dimostrandone la necessità, i vantaggi e lo spirito, e assicurando le condizioni del suo realizzarsi. Proprio perché la formazione permanente è una continuazione di quella del Seminario, il suo fine non può essere un puro atteggiamento per cosí dire professionale, ottenuto con l'apprendimento di alcune tecniche pastorali nuove. Deve essere piuttosto il mantenere vivo un generale e integrale processo di continua maturazione, mediante l'approfondimento sia di ciascuna delle dimensioni della formazione - umana, spirituale, intellettuale e pastorale -, sia del loro intimo e vivo collegamento specifico, a partire dalla carità pastorale e in riferimento ad essa.

72. Un primo approfondimento riguarda la dimensione umana della formazione sacerdotale. Nel contatto quotidiano con gli uomini, nella condivisione della loro vita di ogni giorno, il sacerdote deve crescere e approfondire quella sensibilità umana che gli permette di comprendere i bisogni ed accogliere le richieste, di intuire le domande inespresse, di spartire le speranze e le attese, le gioie e la fatiche del vivere comune; di essere capace di incontrare tutti e di dialogare con tutti. Soprattutto conoscendo e condividendo, cioè facendo propria, l'esperienza umana del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, dall'indigenza alla malattia, dall'emarginazione all'ignoranza, alla solitudine, alle povertà materiali e morali, il sacerdote arricchisce la propria umanità e la rende piú autentica e trasparente in un crescente e appassionato amore all'uomo. Nel portare a maturità la sua formazione umana, il sacerdote riceve un particolare aiuto dalla grazia di Gesú Cristo: la carità del buon Pastore, infatti, si è espressa non solo con il dono della salvezza agli uomini, ma anche con la condivisione della loro vita, della quale il Verbo, che si è fatto "carne", [423] ha voluto conoscere la gioia e la sofferenza, sperimentare la fatica, spartire le emozioni, consolare la pena. Vivendo da uomo fra gli uomini e con gli uomini, Gesú Cristo offre la piú assoluta, genuina e perfetta espressione di umanità: lo vediamo far festa alle nozze di Cana, frequentare una famiglia di amici, commuoversi per la folla affamata che lo segue, restituire figli malati o morti ai genitori, piangere la perdita di Lazzaro... Del sacerdote, maturato sempre piú nella sua sensibilità umana, il Popolo di Dio deve poter dire qualcosa di analogo a quanto di Gesú dice la Lettera agli Ebrei: "Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato". [424] La formazione del presbitero nella sua dimensione spirituale è un'esigenza della vita nuova ed evangelica alla quale egli è chiamato in modo specifico dallo Spirito Santo effuso nel sacramento dell'Ordine. Lo Spirito, consacrando il sacerdote e configurandolo a Gesú Cristo Capo e Pastore, crea un legame che, situato nell'essere stesso del sacerdote, chiede di essere assimilato e vissuto in maniera personale, cioè cosciente e libera, mediante una comunione di vita e di amore sempre piú ricca e una condivisione sempre piú ampia e radicale dei sentimenti e degli atteggiamenti di Gesú Cristo. In questo legame tra il Signore Gesú e il sacerdote, legame ontologico e psicologico, sacramentale e morale, sta il fondamento e nello stesso tempo la forza per quella "vita secondo lo Spirito" e per quel "radicalismo evangelico" al quale è chiamato ogni sacerdote e che viene favorito dalla formazione permanente nel suo aspetto spirituale. Questa formazione risulta necessaria anche in ordine al ministero sacerdotale, alla sua autenticità e fecondità spirituale. "Eserciti la cura d'anime?", si chiedeva san Carlo Borromeo. E cosí rispondeva nel discorso rivolto ai sacerdoti: "Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso. Comprendete, fratelli, che niente è cosí necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò. [425] Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate; e "tutto si faccia tra voi nella carità". [426] Cosí potremo superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito affidatoci. Se cosí faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri". [427] In particolare la vita di preghiera dev'essere continuamente "riformata" nel sacerdote.

L'esperienza, infatti, insegna che nell'orazione non si vive di rendita: ogni giorno occorre, non solo riconquistare la fedeltà esteriore ai momenti di preghiera, soprattutto a quelli destinati alla celebrazione della "Liturgia delle Ore" e a quelli lasciati alla scelta personale e non sostenuti da scadenze e orari del servizio liturgico, ma anche e specialmente rieducare la continua ricerca di un vero incontro personale con Gesú, di un fiducioso colloquio con il Padre, di una profonda esperienza dello Spirito. Quanto l'apostolo Paolo dice di tutti i credenti, che devono giungere "a formare l'uomo maturo, al livello di statura che attua la pienezza del Cristo", [428] può essere applicato in modo specifico ai sacerdoti chiamati alla perfezione della carità e quindi alla santità, anche perché il loro stesso ministero pastorale li vuole modelli viventi per tutti i fedeli. Anche la dimensione intellettuale della formazione chiede di essere continuata e approfondita durante tutta la vita del sacerdote, in particolare mediante lo studio e l'aggiornamento culturale serio ed impegnato. Partecipe della missione profetica di Gesú e inserito nel mistero della Chiesa Maestra di verità, il sacerdote è chiamato a rivelare in Gesú Cristo agli uomini il volto di Dio, e con ciò il vero volto dell'uomo. [429] Ma questo esige che il sacerdote stesso ricerchi tale volto e lo contempli con venerazione e amore: [430] solo cosí lo può far conoscere agli altri. In particolare la continuazione dello studio teologico risulta anche necessaria perché il sacerdote possa adempiere con fedeltà il ministero della Parola, annunciandola senza confusioni e ambiguità, distinguendola dalle semplici opinioni umane, anche se rinomate e diffuse. Cosí potrà porsi veramente al servizio del Popolo di Dio, aiutandolo a rendere ragione, a quanti lo chiedono, della speranza cristiana. [431]

Inoltre, "il sacerdote, nell'applicarsi con coscienza e costanza allo studio teologico, è in grado di assimilare in forma sicura e personale la genuina ricchezza ecclesiale. Può quindi compiere la missione, che lo impegna nel rispondere alle difficoltà circa l'autentica dottrina cattolica, e superare l'inclinazione, propria e altrui, al dissenso e all'atteggiamento negativo riguardo al Magistero e alla Tradizione". [432] L'aspetto pastorale della formazione permanente è bene espresso dalle parole dell'apostolo Pietro: "Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio". [433] Per vivere ogni giorno secondo la grazia ricevuta occorre che il sacerdote sia sempre piú aperto ad accogliere la carità pastorale di Gesú Cristo, donatagli dal suo Spirito con il sacramento ricevuto. Come tutta l'attività del Signore è stata il frutto e il segno della carità pastorale, cosí deve essere anche per l'operosità ministeriale del sacerdote. La carità pastorale è un dono e, insieme, un compito, una grazia e una responsabilità alla quale occorre essere fedeli: occorre cioè accoglierla e viverne il dinamismo sino alle esigenze piú radicali. Questa stessa carità pastorale, come si è detto, spinge e stimola il sacerdote a conoscere sempre meglio la condizione reale degli uomini ai quali è mandato, a discernere nelle circostanze storiche nelle quali è inserito gli appelli dello Spirito, a ricercare i metodi piú adatti e le forme piú utili per esercitare oggi il suo ministero. Cosí la carità pastorale anima e sostiene gli sforzi umani del sacerdote per un'operosità pastorale che sia attuale, credibile ed efficace. Ma ciò esige una permanente formazione pastorale. Il cammino verso la maturità non richiede solo che il sacerdote continui ad approfondire le diverse dimensioni della sua formazione, ma anche e soprattutto che sappia integrare sempre piú armonicamente tra loro queste stesse dimensioni, raggiungendone progressivamente l'unità interiore: ciò sarà reso possibile dalla carità pastorale. Questa, infatti, non solo coordina e unifica i diversi aspetti, ma li specifica connotandoli come aspetti della formazione del sacerdote in quanto tale, ossia del sacerdote come trasparenza, immagine viva, ministro di Gesú buon Pastore. La formazione permanente aiuta il sacerdote a superare la tentazione di ricondurre il suo ministero ad un attivismo fine a se stesso, ad una impersonale prestazione di cose, sia pure spirituali o sacre, ad una funzione impiegatizia al servizio dell'organizzazione ecclesiastica. Solo la formazione permanente aiuta il prete a custodire con vigile amore il "mistero" che porta in sé per il bene della Chiesa e dell'umanità.

73. Le diverse e complementari dimensioni della formazione permanente ci aiutano a coglierne il significato profondo: essa tende ad aiutare il prete ad essere e a fare il prete nello spirito e secondo lo stile di Gesú buon Pastore. La verità è da farsi! Cosí ci ammonisce san Giacomo: "Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi". [434] I sacerdoti sono chiamati a "fare la verità" del loro essere, ossia a vivere "nella carità" [435] la loro identità e il loro ministero nella Chiesa e per la Chiesa. Sono chiamati a prendere coscienza sempre piú viva del dono di Dio, a farne continua memoria. È questo l'invito di Paolo a Timoteo: "Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi". [436] Nel contesto ecclesiologico piú volte ricordato si può considerare il significato profondo della formazione permanente del sacerdote in ordine alla sua presenza e azione nella Chiesa "mysterium, communio et missio". Entro la Chiesa "mistero" il sacerdote è chiamato, mediante la formazione permanente, a conservare e sviluppare nella fede la coscienza della verità intera e sorprendente del suo essere: egli è ministro di Cristo e amministratore dei misteri di Dio. [437] Paolo chiede espressamente ai cristiani che lo considerino secondo questa identità; ma lui stesso, per primo, vive nella consapevolezza del dono sublime ricevuto dal Signore. Cosí dev'essere di ogni sacerdote, se vuole rimanere nella verità del suo essere. Ma ciò è possibile solo nella fede, solo con lo sguardo e con gli occhi di Cristo. In questo senso si può dire che la formazione permanente tende a far sí che il prete sia un credente e lo diventi sempre piú: che si veda sempre nella sua verità, con gli occhi di Cristo. Egli deve custodire questa verità con amore grato e gioioso. Deve rinnovare la sua fede quando esercita il ministero sacerdotale: sentirsi ministro di Gesú Cristo, sacramento dell'amore di Dio per l'uomo, ogniqualvolta è tramite e strumento vivo del conferimento della grazia di Dio agli uomini. Deve riconoscere questa stessa verità nei confratelli: è il principio della stima e dell'amore verso gli altri sacerdoti.

74. La formazione permanente aiuta il sacerdote, entro la Chiesa "comunione", a maturare la coscienza che il suo ministero è ultimamente ordinato a riunire la famiglia di Dio come fraternità animata dalla carità e a condurla al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. [438] Il sacerdote deve crescere nella consapevolezza della profonda comunione che lo lega al Popolo di Dio: non è soltanto "davanti" alla Chiesa, ma anzitutto "nella" Chiesa. È fratello tra fratelli. Con il Battesimo, insignito della dignità e della libertà dei figli di Dio nel Figlio unigenito, il sacerdote è membro dello stesso e unico Corpo di Cristo. [439] La coscienza di questa comunione sfocia nel bisogno di suscitare e sviluppare la corresponsabilità nella comune e unica missione di salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre ai credenti per l'edificazione della Chiesa. È soprattutto nel compimento del ministero pastorale, per sua natura ordinato al bene del Popolo di Dio, che il sacerdote deve vivere e testimoniare la sua profonda comunione con tutti, come scriveva Paolo VI: "Bisogna farsi fratelli degli uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori, padri e maestri. Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio". [440] In modo piú specifico il sacerdote è chiamato a maturare la coscienza dell'essere membro della Chiesa particolare nella quale è incardinato, ossia inserito con un legame insieme giuridico, spirituale e pastorale. Una simile coscienza suppone e sviluppa l'amore particolare alla propria Chiesa. Questa, in realtà, è il termine vivo e permanente della carità pastorale che deve accompagnare la vita del prete e che lo conduce a condividere di questa stessa Chiesa particolare la storia o esperienza di vita nelle sue ricchezze e fragilità, nelle sue difficoltà e speranze, a lavorare in essa per la sua crescita. Sentirsi, dunque, insieme arricchiti dalla Chiesa particolare e impegnati attivamente alla sua edificazione, prolungando, ciascun sacerdote e con gli altri, quell'operosità pastorale che ha contraddistinto i confratelli che li hanno preceduti. Un'esigenza insopprimibile della carità pastorale verso la propria Chiesa particolare e il suo domani ministeriale è la sollecitudine che il sacerdote deve avere di trovare, per cosí dire, qualcuno che lo sostituisca nel sacerdozio. Il sacerdote deve maturare nella coscienza della comunione che sussiste tra le diverse Chiese particolari, una comunione radicata nel loro stesso essere di Chiese che vivono in loco la Chiesa unica e universale di Cristo. Una simile coscienza di comunione interecclesiale favorirà lo "scambio dei doni", a cominciare dai doni vivi e personali, quali sono gli stessi sacerdoti. Di qui la disponibilità, anzi l'impegno generoso per il realizzarsi di una equa distribuzione del clero. [441] Tra queste Chiese particolari sono da ricordarsi quelle che "prive di libertà, non possono avere vocazioni proprie", come pure le "Chiese recentemente uscite dalla persecuzione e quelle povere alle quali sono stati dati già per lungo tempo e da parte di molti degli aiuti con animo grande e fraterno, e tuttora vengono dati". [442] All'interno della comunione ecclesiale, il sacerdote è chiamato in particolare a crescere, nella sua formazione permanente, nel e con il proprio presbiterio unito al Vescovo. Il presbiterio nella sua verità piena è un mysterium: infatti è una realtà soprannaturale perché si radica nel sacramento dell'Ordine. Questo è la sua fonte, la sua origine. È il "luogo" della sua nascita e della sua crescita. Infatti, "i presbiteri mediante il sacramento dell'Ordine sono collegati con un vincolo personale e indissolubile con Cristo unico sacerdote. L'Ordine viene conferito ad essi come singoli, ma sono inseriti nella comunione del presbiterio congiunto con il Vescovo [443]". [444] Questa origine sacramentale si riflette e si prolunga nell'ambito dell'esercizio del ministero presbiterale: dal mysterium al ministerium. "L'unità dei presbiteri con il Vescovo e tra di loro non si aggiunge dall'esterno alla natura propria del loro servizio, ma ne esprime l'essenza in quanto è la cura di Cristo sacerdote nei riguardi del Popolo adunato dall'unità della Santissima Trinità". [445] Questa unità presbiterale, vissuta nello spirito della carità pastorale, rende i sacerdoti testimoni di Gesú Cristo, che ha pregato il Padre "perché tutti siano una cosa sola". [446]

La fisionomia del presbiterio è, dunque, quella di una vera famiglia, di una fraternità, i cui legami non sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia dell'Ordine: una grazia che assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacerdoti; una grazia che si espande, penetra e si rivela e si concretizza nelle piú varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali ma anche quelle materiali. La fraternità presbiterale non esclude nessuno, ma può e deve avere le sue preferenze: sono quelle evangeliche, riservate a chi ha piú grande bisogno di aiuto o di incoraggiamento. Tale fraternità "ha una cura speciale per i giovani presbiteri, tiene un cordiale e fraterno dialogo con quelli di media e maggior età e con quelli che per ragioni diverse sperimentano difficoltà; anche i sacerdoti che hanno abbandonato questa forma di vita o che non la seguono, non solo non li abbandona ma li segue ancor piú con fraterna sollecitudine". [447] Dell'unico presbiterio fanno parte, a titolo diverso, anche i presbiteri religiosi residenti e operanti in una Chiesa particolare. La loro presenza costituisce un arricchimento per tutti i sacerdoti e i vari carismi particolari da essi vissuti, mentre sono un richiamo perché i presbiteri crescano nella comprensione del sacerdozio stesso, contribuiscono a stimolare e ad accompagnare la formazione permanente dei sacerdoti. Il dono della vita religiosa, nella compagine diocesana, quando è accompagnato da sincera stima e da giusto rispetto delle particolarità di ogni istituto e di ogni tradizione spirituale, allarga l'orizzonte della testimonianza cristiana e contribuisce in vario modo ad arricchire la spiritualità sacerdotale, soprattutto in riferimento al corretto rapporto e al reciproco influsso tra i valori della Chiesa particolare e quelli dell'universalità del Popolo di Dio. Da parte loro, i religiosi saranno attenti a garantire uno spirito di vera comunione ecclesiale, una partecipazione cordiale al cammino della Diocesi e alle scelte pastorali del Vescovo, mettendo volentieri a disposizione il proprio carisma per l'edificazione di tutti nella carità. [448] Infine, nel contesto della Chiesa comunione e del presbiterio si può meglio affrontare il problema della solitudine del sacerdote, sulla quale si sono fermati i Padri sinodali. Si dà una solitudine che fa parte dell'esperienza di tutti e che è qualcosa di assolutamente normale. Ma si dà anche una solitudine che nasce da difficoltà varie e che a sua volta provoca ulteriori difficoltà. In questo senso, "l'attiva partecipazione al presbiterio diocesano, i contatti regolari con il Vescovo e con gli altri sacerdoti, la mutua collaborazione, la vita comune o fraterna tra sacerdoti, come anche l'amicizia e la cordialità con i fedeli laici che sono attivi nelle parrocchie, sono mezzi molto utili per superare gli effetti negativi della solitudine che alcune volte il sacerdote può sperimentare". [449] La solitudine non crea però solo difficoltà, offre anche opportunità positive per la vita del sacerdote: "Accettata in spirito di offerta e ricercata nell'intimità con Gesú Cristo Signore, la solitudine può essere un'opportunità per l'orazione e lo studio, come pure un aiuto per la santificazione e la crescita umana". [450] Senza dire che una certa forma di solitudine è elemento necessario per la formazione permanente. Gesú sapeva ritirarsi, spesso, da solo a pregare. [451] La capacità di reggere una buona solitudine è condizione indispensabile alla cura della vita interiore. Si tratta di una solitudine abitata dalla presenza del Signore, che ci mette in contatto, nella luce dello Spirito, con il Padre. In questo senso, la cura del silenzio e la ricerca di spazi e tempi di "deserto" sono necessari alla formazione permanente sia in campo intellettuale, sia in campo spirituale e pastorale. In questo senso ancora, si può affermare che non è capace di vera e fraterna comunione chi non sa vivere bene la propria solitudine.

75. La formazione permanente è destinata a far crescere nel sacerdote la coscienza della sua partecipazione alla missione salvifica della Chiesa. Nella Chiesa "missione" la formazione permanente del sacerdote entra non solo come necessaria condizione, ma anche come mezzo indispensabile per rimettere costantemente a fuoco il senso della missione e per garantirne una realizzazione fedele e generosa. Con tale formazione il sacerdote è aiutato ad avvertire tutta la gravità, ma nello stesso tempo la splendida grazia, da un lato, di un'obbligazione che non lo può lasciare tranquillo - come Paolo deve poter dire: "Per me evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il Vangelo!" [452] - e, dall'altro lato, di una richiesta, esplicita o implicita, che prepotente viene dagli uomini, che Dio instancabilmente chiama alla salvezza. Solo un'adeguata formazione permanente riesce a sostenere il sacerdote in ciò che è essenziale e decisivo per il suo ministero, ossia la fedeltà, come scrive l'apostolo Paolo: "Ora, quanto si richiede negli amministratori (dei misteri di Dio) è che ognuno risulti fedele". [453] Il sacerdote dev'essere fedele, nonostante le piú diverse difficoltà incontrate, anche nelle condizioni piú disagiate o di comprensibile stanchezza, con tutte le energie di cui dispone, e sino alla fine della vita. La testimonianza di Paolo dev'essere di esempio e di stimolo per ogni sacerdote: "Da parte nostra - scrive ai cristiani di Corinto - non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, sapienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto". [454]

76. La formazione permanente, proprio perché "permanente", deve accompagnare i sacerdoti sempre, quindi in ogni periodo e condizione della loro vita, come pure ad ogni livello di responsabilità ecclesiale: evidentemente con quelle possibilità e caratteristiche che si collegano al variare dell'età, della condizione di vita e dei compiti affidati. La formazione permanente è dovere, anzitutto, per i giovani sacerdoti: deve avere quella frequenza e quella sistematicità di incontri che, mentre prolungano la serietà e la solidità della formazione ricevuta in seminario, introducono progressivamente i giovani a comprendere e a vivere la singolare ricchezza del "dono" di Dio - il sacerdozio - e ad esprimere le loro potenzialità e attitudini ministeriali, anche mediante un inserimento sempre piú convinto e responsabile nel presbiterio, e quindi nella comunione e nella corresponsabilità con tutti i confratelli. Se si può comprendere un certo senso di "sazietà" che può prendere il giovane prete appena uscito dal seminario di fronte a nuovi momenti di studio e di incontro, si deve respingere come assolutamente falsa e pericolosa l'idea che la formazione presbiterale si concluda con il terminare della presenza in seminario. Partecipando agli incontri della formazione permanente i giovani sacerdoti potranno offrirsi un reciproco aiuto con lo scambio di esperienze e di riflessioni sulla traduzione concreta di quell'ideale presbiterale e ministeriale che hanno assimilato negli anni del seminario. Nello stesso tempo la loro attiva partecipazione agli incontri formativi del presbiterio potrà essere di esempio e di stimolo agli altri sacerdoti che sono piú avanti negli anni, testimoniando cosí il proprio amore all'intero presbiterio e la propria passione per la Chiesa particolare bisognosa di sacerdoti ben formati. Per accompagnare i sacerdoti giovani in questa prima delicata fase della loro vita e del loro ministero, è quanto mai opportuno, se non addirittura necessario oggi, creare un'apposita struttura di sostegno, con guide e maestri appropriati, nella quale essi possano trovare, in modo organico e continuativo, gli aiuti necessari ad iniziare bene il loro servizio sacerdotale. In occasione di incontri periodici, sufficientemente lunghi e frequenti, possibilmente condotti in un ambiente comunitario, in modo residenziale, saranno loro garantiti momenti preziosi di riposo, di preghiera, di riflessione e di scambio fraterno. Sarà cosí per loro piú facile dare, fin dall'inizio, un'impostazione evangelicamente equilibrata alla loro vita presbiterale. E se le singole Chiese particolari non potessero offrire questo servizio ai propri giovani sacerdoti, sarà opportuno che si uniscano tra loro le Chiese vicine e insieme investano risorse ed elaborino programmi adatti.

77. La formazione permanente costituisce un dovere anche per i presbiteri di mezza età. In realtà, sono molteplici i rischi che possono correre, proprio in ragione dell'età, come ad esempio un attivismo esagerato e una certa routine nell'esercizio del ministero. Cosí il sacerdote è tentato di presumere di sé, come se la propria personale esperienza, ormai collaudata, non dovesse piú confrontarsi con nulla e con nessuno. Non di rado, il sacerdote adulto soffre di una specie di stanchezza interiore pericolosa, segno di una delusione rassegnata di fronte alle difficoltà e agli insuccessi. La risposta a questa situazione è data dalla formazione permanente, da una continua ed equilibrata revisione di sé e del proprio agire, dalla ricerca costante di motivazioni e di strumenti per la propria missione: cosí il sacerdote manterrà lo spirito vigile e pronto alle perenni e pure sempre nuove istanze di salvezza che ciascuno pone al prete, "uomo di Dio". La formazione permanente deve interessare anche quei presbiteri che per l'età avanzata sono indicati come anziani e che in alcune Chiese sono la parte piú numerosa del presbiterio. Questo deve riservare loro gratitudine per il fedele servizio che hanno riservato a Cristo e alla Chiesa e concreta solidarietà per la loro condizione. Per questi presbiteri la formazione permanente non comporterà tanto impegni di studio, di aggiornamento e di dibattito culturale, quanto la conferma serena e rassicurante del ruolo che ancora sono chiamati a svolgere nel presbiterio: non solo per il proseguimento, sia pure in forme diverse, del ministero pastorale, ma anche per la possibilità che essi hanno, grazie alla loro esperienza di vita e di apostolato, di diventare loro stessi validi maestri e formatori di altri sacerdoti. Anche i sacerdoti, che per le fatiche o le malattie si trovano in una condizione di debilitazione fisica o di stanchezza morale, possono essere aiutati da una formazione permanente che li stimoli a proseguire in modo sereno e forte il loro servizio alla Chiesa, a non isolarsi né dalla comunità né dal presbiterio, a ridurre l'attività esterna per dedicarsi a quegli atti di relazione pastorale e di personale spiritualità capaci di sostenere le motivazioni e la gioia del loro sacerdozio. La formazione permanente li aiuterà, in particolare, a mantenere viva quella convinzione che essi stessi hanno inculcato nei fedeli, la convinzione cioè di continuare ad essere membri attivi nell'edificazione della Chiesa anche e specialmente in forza della loro unione a Gesú Cristo sofferente e a tanti altri fratelli e sorelle che nella Chiesa prendono parte alla Passione del Signore, rivivendo l'esperienza spirituale di Paolo che diceva: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa". [455]

78. Le condizioni in cui spesso e in piú parti si svolge attualmente il ministero dei presbiteri non rendono facile un impegno serio di formazione: il moltiplicarsi dei compiti e dei servizi, la complessità della vita umana in genere e di quella delle comunità cristiane in particolare, l'attivismo e l'affanno tipico di tante aree della nostra società privano spesso i sacerdoti del tempo e delle energie indispensabili a "vigilare su se stessi". [456] Questo deve far crescere in tutti la responsabilità, cosicché le difficoltà siano superate, anzi diventino una sfida per elaborare e realizzare una formazione permanente che risponda in modo adeguato alla grandezza del dono di Dio e alla gravità delle richieste ed esigenze del nostro tempo. I responsabili della formazione permanente dei sacerdoti sono da ricercare nella Chiesa "comunione". In tal senso, è l'intera Chiesa particolare che, sotto la guida del Vescovo, viene investita della responsabilità di stimolare e di curare in vari modi la formazione permanente dei sacerdoti. Questi non sono per se stessi, ma per il Popolo di Dio: per questo, la formazione permanente, mentre assicura la maturità umana, spirituale, intellettuale e pastorale dei sacerdoti, si risolve in un bene di cui è destinatario lo stesso Popolo di Dio. Del resto, lo stesso esercizio del ministero pastorale conduce ad un continuo e fecondo scambio reciproco tra la vita di fede dei presbiteri e quella dei fedeli. Proprio la condivisione di vita tra il presbitero e la comunità, se sapientemente condotta e utilizzata, costituisce un fondamentale contributo alla formazione permanente, peraltro non riconducibile a qualche episodio o iniziativa isolata, ma estesa e attraversante tutto il ministero e la vita del presbitero. Infatti, l'esperienza cristiana delle persone semplici e umili, gli slanci spirituali delle persone innamorate di Dio, le applicazioni coraggiose della fede alla vita da parte dei cristiani impegnati nelle varie responsabilità sociali e civili, vengono accolti dal presbitero che, mentre li illumina con il suo servizio sacerdotale, ne ricava un prezioso alimento spirituale. Anche i dubbi, le crisi e i ritardi di fronte alle piú svariate condizioni personali e sociali, le tentazioni di rifiuto o di disperazione nel momento del dolore, della malattia, della morte: insomma, tutte le circostanze difficili che gli uomini incontrano sul cammino della fede, vengono fraternamente vissute e sinceramente sofferte nel cuore del presbitero che, nel cercare le risposte per gli altri, è continuamente stimolato a trovarle innanzitutto per sé. Cosí l'intero Popolo di Dio, in tutti i suoi membri, può e deve offrire un prezioso aiuto alla formazione permanente dei suoi sacerdoti. In questo senso deve lasciare ai sacerdoti spazi di tempo per lo studio e per la preghiera, chiedere loro ciò per cui sono stati mandati da Cristo e non altro, offrire collaborazione nei vari ambiti della missione pastorale, specialmente in quelli attinenti la promozione umana e il servizio della carità, assicurare rapporti cordiali e fraterni con loro, agevolare nei sacerdoti la coscienza di non essere "padroni della fede" ma "collaboratori della gioia" di tutti i fedeli. [457] La responsabilità formativa della Chiesa particolare nei riguardi dei sacerdoti si concretizza e si specifica in rapporto ai diversi membri che la compongono, a cominciare dal sacerdote stesso.

79. In un certo senso, è proprio lui, il singolo sacerdote, il primo responsabile nella Chiesa della formazione permanente: in realtà su ciascun sacerdote incombe il dovere, radicato nel sacramento dell'Ordine, di essere fedele al dono di Dio e al dinamismo di conversione quotidiana che viene dal dono stesso. I regolamenti o le norme dell'autorità ecclesiastica al riguardo, come pure lo stesso esempio degli altri sacerdoti, non bastano a rendere appetibile la formazione permanente, se il singolo non è personalmente convinto della sua necessità e non è determinato a valorizzarne le occasioni, i tempi, le forme. La formazione permanente mantiene la "giovinezza" dello spirito, che nessuno può imporre dall'esterno, ma che ciascuno deve ritrovare continuamente dentro se stesso. Solo chi conserva sempre vivo il desiderio di imparare e di crescere possiede questa "giovinezza". Fondamentale è la responsabilità del Vescovo, e con lui del presbiterio. Quella del Vescovo si fonda sul fatto che i presbiteri ricevono attraverso di lui il loro sacerdozio e condividono con lui la sollecitudine pastorale verso il Popolo di Dio. Egli è responsabile di quella formazione permanente che è destinata a far sí che tutti i suoi presbiteri siano generosamente fedeli al dono e al ministero ricevuto, cosí come il Popolo di Dio li vuole e ha "diritto" di averli. Questa responsabilità conduce il Vescovo, in comunione con il presbiterio, a delineare un progetto e a stabilire una programmazione capaci di configurare la formazione permanente non come qualcosa di episodico, ma come una proposta sistematica di contenuti, che si snoda per tappe e si riveste di modalità precise. Il Vescovo vivrà la sua responsabilità, non soltanto assicurando al suo presbiterio luoghi e momenti di formazione permanente, ma rendendosi presente personalmente e partecipandovi in modo convinto e cordiale. Spesso sarà opportuno, o anche necessario, che i Vescovi di piú diocesi confinanti o di una regione ecclesiastica si accordino tra loro ed uniscano le loro forze per poter offrire iniziative piú qualificate e veramente stimolanti per la formazione permanente, come sono i corsi di aggiornamento biblico, teologico e pastorale, le settimane residenziali, i cicli di conferenze, i momenti di riflessione e di verifica sul cammino pastorale del presbiterio e della comunità ecclesiale. Il Vescovo assolverà la sua responsabilità sollecitando anche l'apporto che può venire dalle facoltà e dagli istituti teologici e pastorali, dai seminari, dagli organismi o federazioni che riuniscono persone - sacerdoti, religiosi e fedeli laici - impegnate nella formazione presbiterale. Nell'ambito della Chiesa particolare un posto significativo è riservato alle famiglie: ad esse, infatti, nella loro dimensione di "chiese domestiche", fa riferimento concreto la vita delle comunità ecclesiali animate e guidate dai sacerdoti. In particolare è da rilevarsi il ruolo della famiglia d'origine. Questa, in unione e in comunione di intenti, può offrire alla missione del figlio un proprio specifico importante contributo. Portando a compimento il piano provvidenziale che l'ha voluta culla del germe vocazionale, indispensabile aiuto per la sua crescita e il suo sviluppo, la famiglia del sacerdote, nel piú assoluto rispetto di questo figlio che ha scelto di donarsi a Dio e al prossimo, deve rimanere sempre come fedele, incoraggiante testimone della sua missione, affiancandola e condividendola con dedizione e rispetto.

80. Se ogni momento può essere un "tempo favorevole" [458] nel quale lo Spirito Santo conduce il sacerdote ad una diretta crescita nella preghiera, nello studio e nella coscienza delle proprie responsabilità pastorali, ci sono però momenti "privilegiati", anche se piú comuni e prestabiliti. Sono qui da ricordarsi, anzitutto, gli incontri del Vescovo con il suo presbiterio, siano essi liturgici (in particolare la concelebrazione della Messa Crismale del Giovedí Santo), siano essi pastorali e culturali, in ordine cioè al confronto sull'attività pastorale o allo studio su determinati problemi teologici. Ci sono poi gli incontri di spiritualità sacerdotale, come gli esercizi spirituali, le giornate di ritiro e di spiritualità, ecc. Sono un'occasione per una crescita spirituale e pastorale, per una preghiera piú prolungata e calma, per un ritorno alle radici dell'essere prete, per ritrovare freschezza di motivazioni per la fedeltà e lo slancio pastorale. Importanti sono anche gli incontri di studio e di riflessione comune: impediscono l'impoverimento culturale e l'arroccamento su posizioni di comodo anche in campo pastorale, frutto di pigrizia mentale; assicurano una sintesi piú matura tra i diversi elementi della vita spirituale, culturale e apostolica; aprono la mente e il cuore alle nuove sfide della storia e ai nuovi appelli che lo Spirito rivolge alla Chiesa.

81. Molteplici sono gli aiuti e i mezzi di cui ci si può servire perché la formazione permanente diventi sempre piú una preziosa esperienza vitale per i sacerdoti. Tra questi ricordiamo le diverse forme di vita comune tra i sacerdoti, sempre presenti, anche se in modalità e intensità differenti, nella storia della Chiesa: "Oggi non si può non raccomandarle, soprattutto tra coloro che vivono o sono impegnati pastoralmente nello stesso luogo. Oltre che a giovare alla vita e all'azione apostolica, questa vita comune del clero offre a tutti, compresbiteri e laici, un esempio luminoso di carità e di unità". [459] Altro aiuto può essere dato dalle associazioni sacerdotali, in particolare dagli istituti secolari sacerdotali, che presentano come nota specifica la diocesanità, in forza della quale i sacerdoti si uniscono piú strettamente al Vescovo e costituiscono "uno stato di consacrazione nel quale i sacerdoti mediante voti o altri legami sacri sono consacrati ad incarnare nella vita i consigli evangelici". [460] Tutte le forme di "fraternità sacerdotale" approvate dalla Chiesa sono utili non solo per la vita spirituale, ma anche per la vita apostolica e pastorale. Anche la pratica della direzione spirituale contribuisce non poco a favorire la formazione permanente dei sacerdoti. È un mezzo classico, che nulla ha perso di preziosità non solo per assicurare la formazione spirituale, ma anche per promuovere e sostenere una continua fedeltà e generosità nell'esercizio del ministero sacerdotale. Come scriveva il futuro Paolo VI, "la direzione spirituale ha una funzione bellissima e si può dire indispensabile per l'educazione morale e spirituale della gioventú, che voglia interpretare e seguire con assoluta lealtà la vocazione, qualunque essa sia, della propria vita; e conserva sempre importanza benefica per ogni età della vita, quando al lume e alla carità d'un consiglio pio e prudente si chieda la verifica della propria rettitudine ed il conforto al compimento generoso dei propri doveri. È mezzo pedagogico molto delicato, ma di grandissimo valore; è arte pedagogica e psicologica di grave responsabilità in chi la esercita; è esercizio spirituale di umiltà e di fiducia in chi la riceve". [461]

 

 

 

CONCLUSIONE

 

82. "Vi darò pastori secondo il mio cuore". [462] Ancora oggi, questa promessa di Dio è viva e operante nella Chiesa: essa si sente, in ogni tempo, fortunata destinataria di queste parole profetiche; vede il loro realizzarsi quotidiano in tante parti della terra, meglio, in tanti cuori umani, soprattutto di giovani. E desidera, di fronte alle gravi e urgenti necessità proprie e del mondo, che sulle soglie del terzo millennio questa divina promessa si compia in un modo nuovo, piú ampio, intenso, efficace: quasi una straordinaria effusione dello Spirito della Pentecoste. La promessa del Signore suscita nel cuore della Chiesa la preghiera, l'implorazione fiduciosa e ardente nell'amore del Padre che, come ha mandato Gesú il buon Pastore, gli apostoli, i loro successori, una schiera senza numero di presbiteri, cosí continui a manifestare agli uomini d'oggi la sua fedeltà e la sua bontà. E la Chiesa è pronta a rispondere a questa grazia. Sente che il dono di Dio esige una risposta corale e generosa: tutto il Popolo di Dio deve instancabilmente pregare e lavorare per le vocazioni sacerdotali; i candidati al sacerdozio devono prepararsi con grande serietà ad accogliere e a vivere il dono di Dio, consapevoli che la Chiesa e il mondo hanno assoluto bisogno di loro; devono innamorarsi di Cristo buon Pastore, modellare sul suo il loro cuore, essere pronti ad uscire per le strade del mondo come sua immagine per proclamare a tutti Cristo Via, Verità e Vita. Un appello particolare rivolgo alle famiglie: che i genitori, e specialmente le mamme, siano generosi nel donare al Signore, che li chiama al sacerdozio, i loro figli, e collaborino con gioia al loro itinerario vocazionale, consapevoli che in questo modo rendono piú grande e profonda la loro fecondità cristiana ed ecclesiale e che possono sperimentare, in un certo senso, la beatitudine della Vergine Madre Maria: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo". [463]

E ai giovani d'oggi dico: siate piú docili alla voce dello Spirito, lasciate risuonare nel profondo del cuore le grandi attese della Chiesa e dell'umanità, non temete di aprire il vostro spirito alla chiamata di Cristo Signore, sentite su di voi lo sguardo d'amore di Gesú e rispondete con entusiasmo alla proposta di una sequela radicale. La Chiesa risponde alla grazia mediante l'impegno che i sacerdoti assumono per realizzare quella formazione permanente che è richiesta dalla dignità e dalla responsabilità loro conferite dal sacramento dell'Ordine. Tutti i sacerdoti sono chiamati ad avvertire la singolare urgenza della loro formazione nell'ora presente: la nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti che si impegnano a vivere il loro sacerdozio come cammino specifico verso la santità. La promessa di Dio è di assicurare alla Chiesa non pastori qualunque, ma pastori "secondo il suo cuore". Il "cuore" di Dio si è rivelato a noi pienamente nel cuore di Cristo buon Pastore. E il cuore di Cristo continua oggi ad avere compassione delle folle e a donare loro il pane della verità e il pane dell'amore e della vita, [464] e chiede di palpitare in altri cuori - quelli dei sacerdoti -: "Voi stessi date loro da mangiare". [465] La gente ha bisogno di uscire dall'anonimato e dalla paura, ha bisogno di essere conosciuta e chiamata per nome, di camminare sicura sui sentieri della vita, di essere ritrovata se perduta, di essere amata, di ricevere la salvezza come supremo dono dell'amore di Dio: proprio questo fa Gesú, il buon Pastore; Lui e i presbiteri con lui. Ed ora, al termine di questa Esortazione, volgo lo sguardo alla moltitudine di aspiranti al sacerdozio, di seminaristi e di sacerdoti che, in tutte le parti del mondo, nelle condizioni anche piú difficili e qualche volta drammatiche, e sempre nella gioiosa fatica della fedeltà al Signore e dell'instancabile servizio al suo gregge, offrono quotidianamente la propria vita per la crescita della fede, della speranza e della carità nei cuori e nella storia degli uomini e delle donne del nostro tempo. Voi, carissimi sacerdoti, lo fate perché il Signore stesso, con la forza del suo Spirito, vi ha chiamati a ripresentare nei vasi di creta della vostra semplice vita il tesoro inestimabile del suo amore di Pastore buono.

In comunione con i Padri sinodali e a nome di tutti i Vescovi del mondo e dell'intera comunità ecclesiale esprimo tutta la riconoscenza che la vostra fedeltà e il vostro servizio si meritano. [466] E mentre auguro a tutti voi la grazia di rinnovare ogni giorno il dono di Dio ricevuto con l'imposizione delle mani, [467] di sentire il conforto della profonda amicizia che vi lega a Gesú e vi unisce tra voi, di sperimentare la gioia della crescita del gregge di Dio verso un amore sempre piú grande a Lui e a ogni uomo, di coltivare la rasserenante persuasione che colui che ha iniziato in voi questa opera buona la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesú, [468] con tutti e con ciascuno di voi mi rivolgo in preghiera a Maria, madre ed educatrice del nostro sacerdozio. Ogni aspetto della formazione sacerdotale può essere riferito a Maria come alla persona umana che piú di ogni altra ha corrisposto alla vocazione di Dio, che si è fatta serva e discepola della Parola sino a concepire nel suo cuore e nella sua carne il Verbo fatto uomo per donarlo all'umanità, che è stata chiamata all'educazione dell'unico ed eterno sacerdote fattosi docile e sottomesso alla sua autorità materna. Con il suo esempio e la sua intercessione, la Vergine Santissima continua a vigilare sullo sviluppo delle vocazioni e della vita sacerdotale nella Chiesa. Per questo noi sacerdoti siamo chiamati a crescere in una solida e tenera devozione alla Vergine Maria, testimoniandola con l'imitazione delle sue virtú e con la preghiera frequente.

Madre di Gesú Cristo e Madre dei sacerdoti, ricevi questo titolo che noi tributiamo a te per celebrare la tua maternità e contemplare presso di te il Sacerdozio del tuo Figlio e dei tuoi figli, Santa Genitrice di Dio. Madre di Cristo, al Messia Sacerdote hai dato il corpo di carne per l'unzione del Santo Spirito a salvezza dei poveri e contriti di cuore, custodisci nel tuo cuore e nella Chiesa i sacerdoti, Madre del Salvatore. Madre della fede, hai accompagnato al tempio il Figlio dell'uomo, compimento delle promesse date ai Padri, consegna al Padre per la sua gloria i sacerdoti del Figlio tuo, Arca dell'Alleanza. Madre della Chiesa, tra i discepoli nel Cenacolo pregavi lo Spirito per il Popolo nuovo ed i suoi Pastori, ottieni all'ordine dei presbiteri la pienezza dei doni, Regina degli Apostoli. Madre di Gesú Cristo, eri con Lui agli inizi della sua vita e della sua missione, lo hai cercato Maestro tra la folla, lo hai assistito innalzato da terra, consumato per il sacrificio unico eterno, e avevi Giovanni vicino, tuo figlio, accogli fin dall'inizio i chiamati, proteggi la loro crescita, accompagna nella vita e nel ministero i tuoi figli, Madre dei sacerdoti. Amen!

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 marzo, solennità dell'Annunciazione del Signore, dell'anno 1992, decimoquarto del mio Pontificato.

Ioannes Paulus Pp. II

 

 

 

 

 

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