* La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che pubblica il presente documento, dà allo stesso valore di «Istruzione», secondo il can. 34 del Codice di Diritto Canonico.
Si tratta di disposizioni ed orientamenti approvati dal Santo Padre e proposti dal Dicastero in vista di esplicitare le norme del Diritto e di aiutare ad applicarle.
Tali disposizioni ed orientamenti suppongono quindi le prescrizioni giuridiche già in vigore in forza del diritto cui fanno riferimento all'occasione, non derogando da alcuna di esse.
INTRODUZIONE
SCOPO DELLA FORMAZIONE DEI RELIGIOSI
1. Il rinnovamento degli Istituti religiosi dipende principalmente dalla formazione dei loro membri. La vita religiosa raduna discepoli di Cristo che vanno aiutati ad accogliere «quel dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e che essa conserva mediante la grazia». [1] È per questo che le migliori forme di adeguamento non porteranno i loro frutti se non sono animate da un profondo rinnovamento spirituale. La formazione dei candidati, che ha per fine immediato quello di iniziare la vita religiosa e di far prendere loro coscienza della specificità della vita religiosa nella Chiesa, deve dunque mirare soprattutto, attraverso l'armonica fusione dei suoi elementi, spirituale, apostolico, dottrinale e pratico, ad aiutare i religiosi a realizzare la loro unità in Cristo per mezzo dello Spirito. [2]
PREOCCUPAZIONE COSTANTE
2. Già prima del Concilio Vaticano II la Chiesa si era preoccupata della formazione dei religiosi. [3] Il Concilio, a sua volta, ha dato dei principi dottrinali e delle norme generali nel capitolo IV della Costituzione dogmatica Lumen gentium e nel decreto Perfectae caritatis. Il Papa Paolo VI, da parte sua, ha ricordato ai religiosi che, qualunque sia la verità delle forme di vita e dei carismi, tutti gli elementi della vita religiosa devono sempre essere ordinati alla costruzione de "l'uomo interiore". [4] Il Santo Padre Giovanni Paolo II è spesso intervenuto sin dall'inizio del suo pontificato ed in numerosi discorsi da lui pronunciati, sulla formazione dei religiosi. [5] Il Codice di Diritto canonico ha infine tradotto in forme piú precise le esigenze necessarie per un conveniente rinnovamento della formazione. [6]
L'AZIONE POST-CONCILLARE DELLA CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA
3. La Congregazione, sin dal 1969, ritoccava alcune disposizioni canoniche ora in vigore dell'Istruzione Renovationis causam per «meglio adeguare l'insieme del ciclo della formazione alla mentalità delle nuove generazioni, alle condizioni presenti, come alla natura e al fine particolare di ciascun istituto». [7]
Altri documenti pubblicati successivamente dal Dicastero, sebbene non riguardino direttamente la formazione dei religiosi, tuttavia si riferiscono ad essa sotto l'uno o l'altro aspetto. Sono Mutuae relationes del 1978, [8] Religiosi e promozione umana e Dimensione contemplativa della vita religiosa del 1980, [9] Elementi essenziali dell'insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa del 1983. [10] Sarà utile ricorrere a questi vari documenti affinché la formazione dei religiosi sia fatta in piena armonia con gli orientamenti pastorali della Chiesa universale e delle Chiese particolari e per favorire l'integrazione tra «interiorità e attività» dei religiosi dediti all'apostolato. [11] Cosi l'attività «per il Signore» non cesserà li condurli al Signore «sorgente di ogni attività». [12]
LA RAGIONE D'ESSERE DI QUESTO DOCUMENTO ED I SUOI DESTINATARI
4. La Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica pensa che sia utile, ed anche necessario, proporre ai superiori maggiori degli istituti religiosi ed ai loro fratelli e sorelle incaricati della formazione, comprese le monache ed i monaci, oltre a tutti coloro che lo hanno richiesto, il presente documento. Fa ciò in virtú della sua missione di dare agli istituti orientamenti che potranno aiutarli ad elaborare il loro piano di formazione (ratio) di cui il diritto generale della Chiesa fa loro obbligo. [13] D'altra parte, le religiose ed i religiosi hanno il diritto di conoscere qual è la posizione della Santa Sede sui problema attuali della formazione e le soluzioni che avrebbe da suggerire per risolverli. Il documento si ispira a numerose esperienze già tentate dopo il Concilio Vaticano II e si fa eco di questioni spesso sollevate dai superiori maggiori. Ricorda a tutti alcune esigenze del diritto in funzione delle circostanze e dei bisogni presenti. Infine, spera di rendere servizio soprattutto agli istituti nascenti e a quelli che, per il momento, non dispongono che di pochi mezzi di formazione e di informazione.
5. Il documento non riguarda che gli istituti religiosi. Esso si centra su ciò che la vita religiosa ha di piú specifico e dedica solo un capitolo alle esigenze richieste per accedere al ministero diaconale e presbiterale. Queste ultime hanno costituito l'oggetto di istruzioni esaurienti da parte del dicastero competente, e riguardano anche i religiosi candidati a tali ministeri. [14] Esso cerca di dare orientamenti validi per la vita religiosa nel suo insieme. Spetterà a ciascun istituto utilizzarli secondo il proprio carattere.
Il contenuto del documento vale ugualmente per gli istituti maschili e femminili, a meno che dal contesto e dalla natura delle cose non appaia diversamente. [15]
II
CONSACRAZIONE RELIGIOSA E FORMAZIONE
IDENTITÀ RELIGIOSA E FORMAZIONE
6. Il fine primario della formazione è quello di permettere ai candidati alla vita religiosa ed ai giovani professi di scoprire prima, di assimilare ed approfondire poi, in che cosa consista l'identità del religioso. Solo a queste condizioni la persona consacrata a Dio si inserirà nel mondo come un testimone significativo, efficace e fedele. [1] Conviene dunque ricordare, all'inizio di un documento sulla formazione, ciò che rappresenta per la Chiesa la grazia della consacrazione religiosa.
LA VITA RELIGIOSA E CONSACRATA SECONDO IL DIRITTO DELLA CHIESA
7. «In quanto consacrazione di tutta la persona, la vita religiosa manifesta nella Chiesa l'ammirabile unione sponsale stabilita da Dio, segno della vita futura. Cosi il religioso compie la sua piena donazione come un sacrificio offerto a Dio, per cui tutta la sua esistenza diviene un culto continuo reso a Dio nella carità».
«La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici» - di cui la vita religiosa è una specie - «è la forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo piú da vicino, per l'azione dello Spirito Santo, si donano totalmente a Dio amato sopra ogni cosa, per dedicarsi con nuovo e speciale titolo al suo onore, all'edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannunciano la gloria celeste». [2]
«Questa forma di vita, negli istituti di vita consacrata eretti canonicamente dalla competente autorità della Chiesa, i fedeli la assumono liberamente e, mediante i voti o altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano di voler osservare i consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza per mezzo della carità alla quale i consigli stessi conducono, si congiungono a modo speciale alla Chiesa e al suo mistero». [3]
VOCAZIONE DIVINA PER UNA MISSIONE DI SALVEZZA
8. All'origine della consacrazione religiosa c'è una chiamata di Dio che si piega solo con l'amore che Egli nutre per la persona chiamata. Questo amore assolutamente gratuito, personale ed unico. Investe la persona al punto che essa non appartiene piú a se stessa ma appartiene a Cristo. [4] Riveste cosí il carattere di una alleanza. Lo sguardo che Gesú posò sul giovane ricco manifesta questo carattere: «posando lo sguardo su di lui, Gesú lo amò» (Mc 10, 21). Il dono dello Spirito lo manifesta e lo esprime. Questo dono impegna la persona che Dio chiama, a seguire Cristo mediante la pratica dei consigli evangelici di castità, povertà ed obbedienza. È a un "dono divino che la Chiesa ha ricevuto d suo Signore e che, per sua grazia, conserva fedelmente». [5] E per questo «la firma ultima della vita religiosa» sarà di «seguire Cristo secondo l'insegnamento del Vangelo». [6]
UNA RISPOSTA PERSONALE
9. La chiamata di Cristo, che è l'espressione di un amore redentivo, «investe la persona intera, anima e corpo, si tratti di un uomo o di una donna; nella sua entità personale è assolutamente unica». [7] Essa «prende nel cuore del chiamato la forma concreta della professione dei consigli evangelici». [8] In questa orma, quelle e quelli che Dio chiama donano a loro volta a Cristo Redentore una risposta di amore: un amore che si abbandona interamente e senza riserve che si perde nell'offerta di tutta la persona «come ostia viva, santa, gradita a Dio» (Rom 12, 1). Solo questo amore, anch'esso di carattere nuziale, che impegna tutta l'affettività della persona, permetterà di motivare e di sostenere le rinunce e le croci che incontra necessariamente colui che vuole «perdere la sua vita» a causa di Cristo e del Vangelo (cf. Mc 8, 35). [9] Questa risposta personale è parte integrante della consacrazione religiosa.
LA PROFESSIONE RELIGIOSA UN ATTO DELLA CHIESA CHE CONSACRA E INCORPORA
10. Secondo l'insegnamento della Chiesa, «con la professione religiosa i membri assumono con voto pubblico l'obbligo di osservare i tre consigli evangelici, sono consacrati a Dio mediante il mistero della Chiesa e vengono incorporati all'istituto con i diritti e i doveri definiti dal diritto». [10] Nell'atto della professione religiosa, che è un atto della Chiesa, tramite l'autorità di colui o di colei che riceve i voti, convergono l'azione di Dio e la risposta della persona. [11] Questo atto incorpora in un istituto. I membri vi «conducono in comune la vita fraterna» [12] e l'istituto assicura loro «l'aiuto di una maggiore stabilità nella loro forma di vita, di una dottrina provata per raggiungere la perfezione, di una comunione fraterna della milizia di Cristo, di una libertà fortificata nell'obbedienza al fine di poter adempiere con sicurezza e custodire fedelmente la loro professione religiosa, progredendo nella gioia spirituale sul cammino della carità». [13]
L'appartenenza dei religiosi e delle religiose a un istituto li conduce a rendere a Cristo e alla Chiesa una testimonianza pubblica di distacco «dallo spirito del mondo» (I Cor 2, 12) e dai comportamenti che esso esige, e nel medesimo tempo di presenza nel mondo secondo «la saggezza di Dio» (I Cor 2, 7).
LA VITA SECONDO I CONSIGLI EVANGELICI
11. «La professione religiosa pone nel cuore di ognuno e di ognuna (...) l'amore del Padre, quell'amore che è nel cuore di Gesú Cristo, Redentore del mondo. È amore, questo, che abbraccia il mondo e tutto ciò che in esso viene dal Padre e che al tempo stesso tende a sconfiggere tutto ciò che nel mondo non viene dal Padre». [14] (...)
"Un tale amore deve sgorgare (...) dalla fonte stessa di quella particolare consacrazione che, sulla base sacramentale del santo battesimo, è l'inizio della nuova creazione". [15]
12. La fede, la speranza e la carità spingono le religiose e i religiosi ad impegnarsi con i voti a praticare e a professare i consigli evangelici e a testimoniare cosí l'attualità e il senso delle Beatitudini nel mondo. [16] I consigli sono come l'asse portante della vita religiosa; essi esprimono in maniera completa e significativa il radicalismo evangelico che la caratterizza.
Infatti, «con la professione dei consigli evangelici fatta nella Chiesa (il religioso) intende liberarsi dagli impedimenti che potrebbero distoglierlo dal fervore della carità e dalla perfezione del culto divino, e si consacra piú intimamente al servizio di Dio». [17] Essi raggiungono la persona umana a livello delle tre componenti essenziali della sua esistenza e delle sue relazioni: l'affettività, l'avere e il potere. Questo radicamento antropologico spiega come la tradizione spirituale della Chiesa li abbia frequentemente messi in relazione con le tre concupiscenze ricordate da San Giovanni. [18] La loro pratica ben condotta favorisce la maturazione della persona, la libertà spirituale, la purificazione del cuore, il fervore della carità ed aiuta il religioso a cooperare alla costruzione della città terrena. [19]
I consigli vissuti nella maniera piú autentica possibile rivestono un grande significato per tutti gli uomini [20] poiché ogni voto dà una risposta specifica alle grandi tentazioni del nostro tempo. Per mezzo di essi la Chiesa continua ad indicare al mondo le vie della sua trasfigurazione nel Regno di Dio. Importa quindi che sia posta una cura attenta ad iniziare, teoricamente e praticamente, i candidati alla vita religiosa, alle esigenze concrete dei tre voti.
LA CASTITÀ
13. «Il consiglio evangelico della castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita futura e fonte di una piú ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l'obbligo della perfetta continenza nel celibato». [21] La sua pratica comporta che la persona consacrata mediante i voti religiosi metta al centro della sua vita affettiva una relazione «piú immediata» (ET 13) con Dio per mezzo del Cristo, nello Spirito.
«Poiché l'osservanza della continenza perfetta tocca intimamente le inclinazioni profonde della natura umana, i candidati alla professione della castità non abbraccino questo stato, né siano ammessi, se non dopo una prova veramente sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una conveniente maturità psicologica ed affettiva. Essi non solo siano preavvertiti circa i pericoli ai quali va incontro la castità, ma devono essere educati in maniera tale da abbracciare il celibato consacrato a Dio anche come un bene per lo sviluppo integrale della propria persona». [22]
Una tendenza istintiva porta la persona umana ad assolutizzare l'amore umano. Tendenza caratterizzata dall'egoismo affettivo che si afferma con il dominio sulla persona amata, come se da tale dominio potesse nascere la felicità. D'altra parte, l'uomo fa fatica a comprendere che l'amore possa essere vissuto nel dono intero di se stesso, senza necessariamente esigere l'espressione sessuale. Quindi, l'educazione alla castità dovrà mirare ad aiutare ciascuna e ciascuno a controllare e a padroneggiare i suoi impulsi sessuali, evitando nello stesso tempo l'egoismo affettivo orgogliosamente soddisfatto dalla propria fedeltà nella purezza. Non è a caso che gli antichi Padri dessero all'umiltà una priorità sulla castità, giacché - come prova l'esperienza - la purezza può anche andare d'accordo con la durezza del cuore.
La castità rende libero in maniera speciale il cuore dell'uomo (I Cor 7, 32-35), cosí da accenderlo sempre piú di carità verso Dio e verso tutti gli uomini. Uno dei piú grandi contributi che il religioso può apportare agli uomini oggi è certamente quello di rivelare loro, con la sua vita piú che con le sue parole, la possibilità di una vera dedizione ed apertura agli altri, condividendo le loro gioie, rimanendo fedele e costante nell'amore, senza atteggiamento di dominio e di esclusività.
Di conseguenza, la pedagogia della castità consacrata procurerà di:
- mantenere la gioia e l'azione di grazie per l'amore personale con cui ciascuno è guardato e scelto da Cristo;
- incoraggiare la pratica frequente del sacramento della riconciliazione, il ricorso ad una direzione spirituale regolare e lo scambio di un vero amore fraterno in comunità, concretizzato in relazioni franche e cordiali;
- spiegare il valore del corpo e il suo significato e formare ad un'igiene corporale elementare (sonno, sport, sollievo, nutrimento, ecc);
- dare nozioni fondamentali sulla sessualità maschile e femminile con le loro connotazioni fisiche, psicologiche, spirituali;
- aiutare al controllo di sé, sul piano sessuale ed affettivo, ed anche in quello che riguarda altri bisogni istintivi o acquisiti (golosità, tabacco, alcool);
- aiutare ciascuno ad assumere le proprie esperienze passate, sia positive per renderne grazie, sia negative per individuare i punti deboli, umiliarsi serenamente davanti a Dio e rimanere vigilante per l'avvenire;
- mettere in luce la fecondità della castità, la paternità spirituale (Gal 4, 19) che genera vita per la Chiesa;
- creare un clima di confidenza tra i religiosi e i loro educatori, che devono essere pronti a comprendere tutto e ad ascoltare affettuosamente per illuminare e sostenere;
- comportarsi con la prudenza dovuta nell'uso dei mezzi di comunicazione sociale e nelle relazioni personali che potrebbero essere di ostacolo ad una pratica coerente del consiglio di castità (cf. cc. 277, 2 e 666). Esercitare tale prudenza spetta non solo ai religiosi, ma anche ai loro superiori.
LA POVERTÀ
14. "Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo che essendo ricco si è fatto povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito, da condursi in operosa sobrietà che non indulga alle ricchezze terrene, comporta la limitazione e la dipendenza nell'usare e nel disporre dei beni, secondo il diritto proprio dei singoli istituti" [23]
La sensibilità alla povertà non è nuova, né nella Chiesa né nella vita religiosa. Ciò che forse è nuovo, è che la sensibilità particolare verso i poveri e la povertà nel mondo caratterizza oggi la vita religiosa. Oggi esistono forme di povertà in grande scala, vissute da individui o sopportate da società intere: la fame, l'ignoranza, la malattia, la disoccupazione, la soppressione delle libertà fondamentali, la dipendenza economica e politica, la corruzione nel funzionamento delle amministrazioni, il fatto soprattutto che la società umana sembra organizzata in modo da produrre queste diverse povertà.
In queste condizioni, i religiosi sono spinti ad una maggiore prossimità nei confronti dei miseri e dei bisognosi, quelli stessi che Gesú sempre preferí, per i quali si disse inviato [24] ed ai quali si identificò. [25] Questa prossimità li induce ad adottare uno stile di vita personale e comunitario piú coerente con il loro impegno a seguire piú da vicino Cristo povero e umile. Questa "scelta preferenziale" [26] ed evangelica dei religiosi per i poveri implica il distacco interiore, una austerità di vita comunitaria, a volte la condivisione della loro vita e delle loro lotte, senza dimenticare tuttavia che la missione specifica dei religiosi è di testimoniare che le beatitudini costituiscono la legge nuova del cristiano, che la vita religiosa e il progetto apostolico non possono ridursi ad un impegno generoso ma semplicemente temporale, che, nella Chiesa, l'annuncio del Vangelo è piú importante della denuncia dei mali e delle ingiustizie e che questa non può fare a meno di quello che le dona il suo vero fondamento e la forza della piú alta motivazione. [27]
Dio ama tutti gli uomini e vuole riunirli tutti senza esclusioni. [28] È anche per i religiosi, una forma di povertà giacché i veri poveri si trovano dappertutto. Ciò vale ugualmente, tenuto conto della specificità del loro carisma, per gli istituti votati ad un servizio presso le classi sociali piú sfavorite.
Lo studio dell'insegnamento sociale della Chiesa e particolarmente quello dell'Enciclica Sollicitudo rei socialis e dell'Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione, [29] aiuterà ad operare scelte adeguate per una pratica attuazione della povertà apostolica.
L'educazione alla povertà evangelica sarà attenta ai seguenti punti:
- prima di entrare nella vita religiosa, alcuni giovani hanno goduto di una certa autonomia sul piano finanziario e sono stati abituati a procurarsi tutto ciò di cui avevano voglia, altri trovano nella comunità religiosa un livello di vita piú elevato di quello della loro infanzia e dei loro anni di studio o di lavoro. La pedagogia della povertà deve tener conto della storia di ciascuno. Si deve ricordare anche che in certe culture le famiglie contano di approfittare di ciò che appare come una promozione per i loro figli;
- spetta alla virtú della povertà impegnarsi in una vita laboriosa, in atti concreti ed umili di rinuncia alla proprietà, di spoliazione, che rendono piú liberi per la missione; di ammirare e di rispettare la creazione e gli oggetti materiali messi a disposizione; di rimettersi alla comunità per il livello di vita; di voler realmente che «tutto sia in comune» e «che si dia a ciascuno secondo i suoi bisogni» (Atti 4, 32.35).
Tutto ciò si compia al fine di incentrare la propria vita su Gesú povero, contemplato, amato e seguito. Senza ciò, la povertà religiosa, sotto la forma della solidarietà e della condivisione, diventa facilmente ideologica e politica. Solo un cuore di povero che si mette alla sequela del Cristo povero può essere sorgente una autentica solidarietà e di un vero distacco.
L'OBBEDIENZA
15. «Il consiglio evangelico dell'obbedienza, accolto con spirito di fede e amore per seguire Cristo obbediente fino alla morte, obbliga a sottomettere a volontà ai legittimi superiori, quali rappresentanti di Dio, quando comandano secondo le costituzioni proprie». [30] Inoltre, tutti i religiosi «sono per un titolo peculiare soggetti alla suprema autorità della Chiesa stessa (...) (e) tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro supremo Superiore, anche a motivo del vincolo sacro di obbedienza» [31] «Lungi dal diminuire la dignità della persona umana, (l'obbedienza) la fa pervenire al suo pieno sviluppo, favorendo la crescita della libertà dei figli di Dio». [32]
L'obbedienza religiosa è nello stesso tempo imitazione di Cristo e partecipazione alla sua missione. Essa si preoccupa di fare ciò che Gesú ha fatto ed insieme di ciò che Egli farebbe nella situazione concreta nella quale il religioso si trova oggi. In un istituto, sia che si eserciti l'autorità sia che non la si eserciti, non può né comandare né obbedire senza riferirsi alla missione. Quando il religioso obbedisce pone la sua obbedienza in continuità con l'obbedienza di Gesú per salvare il mondo. Perciò, tutto quello che nell'esercizio dell'autorità o dell'obbedienza deriva da un compromesso, da una soluzione diplomatica o da pressione da ogni altro tipo di combinazione umana, tradisce l'aspirazione fondamentale dell'obbedienza religiosa che è di accordarsi con la missione di Gesú e di attuare nel tempo, anche se questo impegno è oneroso.
Un superiore che favorisce il dialogo educa ad una obbedienza responsabile e attiva. A lui tocca tuttavia di «usare la sua autorità quando bisogna decidere comandare ciò che deve essere fatto». [33]
Riguardo la pedagogia dell'obbedienza, si dovrà ricordare:
- che per donarsi nell'obbedienza è necessario prima esistere: i candidati hanno bisogno di uscire dall'anonimato del mondo tecnico, di riconoscersi e di essere riconosciuti come persone, di essere stimati ed amati;
- che questi stessi candidati hanno bisogno di trovare la vera libertà, per passare personalmente da «ciò che piace a loro» a «ciò che piace al Padre»: perciò le strutture della comunità di formazione, pur essendo sufficientemente chiare e ferme lasceranno un largo posto alle iniziative ed alle decisioni responsabili;
- che la volontà di Dio si esprime piú di sovente ed in forma privilegiata attraverso la mediazione della Chiesa ed il suo magistero e, piú specificamente per i religiosi, per le costituzioni loro proprie;
- che in fatto di obbedienza, la testimonianza degli anziani in comunità ha piú peso sui giovani di ogni altra considerazione teorica.
Tuttavia, Ia persona che si sforza di obbedire come Cristo e in Cristo può giungere a passare oltre in presenza di esempi meno edificanti.
L'educazione all'obbedienza religiosa si farà dunque con tutta la lucidità e l'esigenza richiesta affinché non si devii dal «cammino» che è Cristo in missione. [34]
GLI ISTITUTI RELIGIOSI: UNA DIVERSITÀ DI DONI DA COLTIVARE E MANTENERE
16. La varietà degli istituti religiosi somiglia ad «un albero che si ramifica in modo mirabile e si moltiplica nel campo del Signore a partire da un germe seminato da Dio». [35] Per mezzo di essi, «la Chiesa manifesta Cristo ai fedeli e agli infedeli: sia nella sua contemplazione sulla montagna, sia nel suo annuncio del Regno di Dio alle folle, sia ancora quando guarisce i malati e gli infermi e converte i peccatori ad una vita feconda, quando benedice i fanciulli e spande su tutti i suoi benefici, compiendo in tutto ciò la volontà del Padre che lo manda». [36]
Questa varietà si spiega con la diversità del «carisma del fondatori» [37] che si rivela come un'esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita. Per questo "la Chiesa difende e sostiene l'indole propria dei vari istituti religiosi"». [38]
Cosí non vi è un modo uniforme di osservare i consigli evangelici, ma ogni istituto deve stabilire il proprio modo «tenendo conto dell'indole e delle finalità proprie». [39] E questo non solo per quanto riguarda la pratica dei consigli evangelici, ma anche per tutto ciò che concerne lo stile di vita dei suoi membri, in vista di tendere alla perfezione del loro stato. [40]
VITA UNIFICATA NELLO SPIRITO SANTO
17. «Coloro che professano i consigli evangelici cercano Dio e amano sopra ogni cosa Lui che ci ha amati per primo (I Gv 4, 10), e in tutte le circostanze essi cercano di stare nella vita nascosta con Cristo in Dio (cf. Col 3, 3); da ciò deriva e si fa pressante l'amore del prossimo per la salvezza del mondo e l'edificazione della Chiesa». [41] Questa carità, che comanda e vivifica la pratica stessa dei consigli evangelici, è diffusa nei cuori dallo Spirito di Dio, che è Spirito di unità, di armonia e di riconciliazione della persona stessa. Per questo la vita personale di un religioso o di una religiosa non dovrebbe soffrire divisioni né tra il fine generico della sua vita religiosa e il fine specifico del suo istituto, né tra la vita religiosa in quanto tale da una parte e le attività apostoliche dall'altra. Non esiste concretamente una vita religiosa «in sé» sulla quale si innesterebbe, come un'aggiunta sussidiaria, il fine specifico ed il carisma particolare di ogni istituto. Non esiste, negli istituti dediti all'apostolato, ricerca della santità o professione dei consigli evangelici, o vita votata a Dio e al suo servizio, che non sia intrinsecamente legata al servizio della Chiesa e del mondo. [42] Piú ancora, «l'azione apostolica e caritatevole rientra nella natura stessa della vita religiosa» al punto che «tutta la vita religiosa (...) deve essere compenetrata di spirito apostolico, e tutta l'azione apostolica animata da spirito religioso». [43] Il servizio del prossimo non divide né separa il religioso da Dio. Se è mosso da una carità veramente teologale, questo servizio prende valore di servizio di Dio. [44]
E si può anche affermare giustamente, che «l'apostolato di tutti i religiosi consiste in primo luogo nella testimonianza della loro vita consacrata». [45]
18. Spetterà ad ogni persona verificare in qual modo nella propria vita l'attività deriva dalla sua intima unione con Dio e se, simultaneamente, conserva e fortifica questa unione. [46] Da questo punto di vista, l'obbedienza alla volontà di Dio manifestata qui e adesso nella missione ricevuta, è il mezzo immediato per cui si può realizzare una certa unità di vita, pazientemente ricercata ma mai raggiunta. Questa obbedienza non si spiega che per la volontà di seguire Cristo piú da vicino, essa stessa vivificata e stimolata da un amore personale per Cristo. Questo amore è il principio di unità interiore di ogni vita consacrata.
La verifica di unità di vita può farsi in funzione di quattro gradi di fedeltà: fedeltà a Cristo e al Vangelo, fedeltà alla Chiesa e alla sua missione nel mondo, fedeltà alla vita religiosa e al carisma proprio dell'Istituto, fedeltà all'uomo e al nostro tempo. [47]
ASPETTI COMUNI A TUTTE LE TAPPE DELLA FORMAZIONE ALLA VITA RELIGIOSA
A) ATTORI E MEZZI DI FORMAZIONE
LO SPIRITO DI DIO
19. E Dio stesso che chiama alla vita consacrata in seno alla Chiesa. È lui che lungo Ia vita del religioso, mantiene l'iniziativa. "È fedele colui che vi ha chiamato e farà anche questo". [1] Come Gesú non si accontentò di chiamare i suoi discepoli, ma pazientemente li formò durante la vita pubblica, cosí, dopo la risurrezione, continuò per mezzo del suo Spirito a «guidarli alla verità tutta intera». [2] Questo Spirito, la cui azione è di un ordine diverso dai dati della psicologia o della storia visibile ma opera anche attraverso queste, agisce nell'intimo del cuore di ciascuno di noi per poi manifestarsi in frutti ben visibili: è lo Spirito di verità che «insegna», «richiama», «guida». [3]
È «l'Unzione» che «fa gustare», apprezzare, giudicare, scegliere. [4] È l'avvocato-consolatore che [5] «viene in aiuto alla nostra debolezza», sostiene e dona lo spirito filiale. Questa presenza discreta, ma decisiva, dello Spirito di Dio esige due atteggiamenti fondamentali:
1) l'umiltà di chi si affida alla sapienza di Dio;
2) la scienza e la pratica del discernimento spirituale per saper riconoscere la presenza dello Spirito in tutti gli aspetti della vita e della storia e attraverso le mediazioni umane, fra le quali bisogna notare l'apertura a una guida spirituale, suscitata dal desiderio di veder chiaro in se stesso e dalla disponibilità a lasciarsi consigliare ed orientare al fine di discernere correttamente la volontà di Dio.
LA VERGINE MARIA
20. All'opera dello Spirito è stata sempre associata la Vergine Maria, Madre di Dio e Madre di tutti i membri del Popolo di Dio. È per Lui che ella ha concepito nel suo seno il Verbo di Dio ed è lei che l'attendeva con gli Apostoli, perseverando nella preghiera (cf. LG 52 e 59), all'indomani dell'Ascensione del Signore. Perciò, dall'inizio alla fine di un itinerario di formazione, religiose e religiosi incontrano la presenza della Vergine Maria.
«Tra tutte le persone consacrate senza riserva a Dio, lei è la prima. Lei, la Vergine di Nazaret, è anche la piú pienamente consacrata a Dio, consacrata nel modo piú perfetto. Il suo amore sponsale raggiunge il vertice nella maternità divina per la potenza dello Spirito Santo. Lei, che come madre porta Cristo sulle braccia, al tempo stesso realizza nel modo piú perfetto la sua chiamata: "Seguimi". E lei, la madre, lo segue, come suo Maestro, in castità, in povertà e in obbedienza (...). Se Maria è il primo modello per la Chiesa intera, a maggior ragione lo è per le persone e comunità consacrate all'interno della Chiesa». Ogni religioso è «invitato a ravvivare la (propria) consacrazione religiosa secondo il modello della consacrazione della stessa Genitrice di Dio». [6]
Il religioso incontra Maria non solo a titolo esemplare, ma anche a titolo materno. «Lei è Madre dei religiosi in quanto è Madre di colui che fu consacrato e mandato dal Padre. Nel suo "fiat" e nel suo "magnificat" la vita religiosa trova la totalità del suo abbandonarsi d'azione consacrante di Dio e il palpito della gioia che ne deriva». [7]
LA CHIESA E IL «SENSO DELLA CHIESA»
21. Tra Maria e la Chiesa esistono molteplici e stretti legami. Lei ne è il membro piú eminente ed è sua Madre. Ne è il modello nella fede, nella carità e nella perfetta unione a Cristo. È per essa un segno di sicura speranza e di consolazione fino alla venuta del Giorno del Signore (cf. LG 53.63.68).
La vita religiosa mantiene anche un legame particolare con il mistero della Chiesa. Essa appartiene alla sua vita e alla sua santità. [8] «È un modo particolare di partecipare alla natura "sacramentale" del Popolo di Dio». [9] Il suo dono totale a Dio «congiunge (il religioso) in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero e lo sospinge ad operare con indivisa dedizione per il bene di tutto il Corpo». [10] E la Chiesa, per il ministero dei suoi Pastori, «non solo eleva con la sua sanzione la professione religiosa alla dignità di stato canonico, ma con la sua azione liturgica la presenta pure come stato di consacrazione a Dio». [11]
22. Nella Chiesa, religiose e religiosi ricevono ciò di cui nutrire la loro vita battesimale e la loro consacrazione religiosa. In essa prendono il pane della vita dalla mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo. In effetti, durante una celebrazione liturgica, S. Antonio, considerato a buon diritto come Padre della vita religiosa, intese la parola vivente ed efficace che lo persuase a lasciare tutto per mettersi alla sequela di Cristo. [12] È nella Chiesa che la lettura della Parola di Dio, accompagnata dalla preghiera, stabilisce il dialogo fra Dio e il religioso [13] e spinge agli slanci generosi e alle rinunce indispensabili. La Chiesa associa l'offerta che le religiose e i religiosi fanno della propria vita al sacrificio eucaristico di Cristo. [14] Per il sacramento della riconciliazione celebrato con frequenza infine essi ricevono la misericordia di Dio e il perdono dei loro peccati e sono riconciliati con la Chiesa e con la loro comunità che il peccato ha ferito. [15] La liturgia della Chiesa diviene cosí per loro il culmine per eccellenza a cui tende l'intera comunità e la sorgente da cui scaturisce il suo vigore evangelico (cf. SC 2, 10).
23. Proprio il lavoro di formazione si svolgerà necessariamente in comunione con la Chiesa di cui i religiosi sono figli e nell'obbedienza filiale ai propri Pastori. La Chiesa, «la quale è piena della Trinità», [16] come dice Origene, è ad immagine e dipendenza della sua sorgente, una comunione universale nella carità. Da lei riceviamo il Vangelo, che lei ci aiuta a comprendere, grazie alla sua Tradizione e d'interpretazione autentica del magistero. [17] Poiché la Chiesa è una comunione organica, [18] si mantiene grazie agli Apostoli e ai loro successori, sotto l'autorità di Pietro, «principio e fondamento visibile e perpetuo dell'unità di fede e di comunione». [19]
24. Bisognerà dunque sviluppare presso le religiose e i religiosi una maniera di «sentire» non solo «con» ma, come dice anche S. Ignazio di Loyola, «dentro» la Chiesa. [20] Questo senso della Chiesa consiste nell'avere coscienza che si appartiene a un popolo in cammino.
Un popolo che prende la sua origine nella comunione trinitaria, che si radica nella storia dell'umanità e che non ha bisogno di essere reinventato ogni giorno; che si appoggia sul fondamento degli Apostoli e sul ministero pastorale dei loro successori e che riconosce nel successore di Pietro il vicario di Cristo e il capo visibile di tutta la Chiesa.
Un popolo che trova nella Scrittura, nella Tradizione e nel Magistero il triplice ed unico canale per cui gli giunge la Parola di Dio; che aspira all'unità visibile con le altre comunità cristiane non cattoliche. Un popolo che non ignora né i cambiamenti intervenuti nel corso dei secoli, né le legittime diversità attuali nella Chiesa, ma che si applica piuttosto a scoprire la continuità e l'unità ancora piú reali.
Un popolo che si identifica con il Corpo di Cristo e che non disgiunge l'amore del Cristo da quello che deve avere per la sua Chiesa, cosciente che essa rappresenta il mistero, il mistero stesso di Dio in Gesú Cristo per opera del suo Spirito, distribuito e comunicato all'umanità di oggi e di sempre. Un popolo, di conseguenza, che non accetta di essere percepito né analizzato dal solo punto di vista sociologico o politico, perché la parte piú autentica della sua vita sfugge all'attenzione dei saggi di questo mondo.
Un popolo missionario, infine, che non si contenta di vedere la Chiesa restare un «piccolo gregge» ma che brama che il Vangelo sia annunciato a tutti gli uomini e che il mondo sappia che «non c'è sotto il cielo un altro nome dato agli uomini per il quale noi dobbiamo essere salvati» (Atti 4, 12) se non quello di Gesú Cristo (cf. LG 9).
25. Il senso della Chiesa comporta anche il senso della comunione ecclesiale. In virtú della affinità tra la vita religiosa e il mistero di una Chiesa, di cui lo Spirito Santo «assicura l'unità (...) nella comunione e nel servizio», [21] i religiosi, comunità ecclesiale, sono (...) chiamati ad essere nella Chiesa e nel mondo «esperti di comunione», testimoni ed artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell'uomo secondo Dio. [22] E questo, per mezzo della professione dei consigli evangelici che libera da ogni impedimento il fervore della carità e li fa diventare segno profetico dell'intima comunione con Dio sommamente amato e, per mezzo della quotidiana esperienza di una comunione di vita, di preghiera e di apostolato, componenti essenziali e distintivi della loro forma di vita consacrata, che li rende segni di comunione fraterna. [23]
Per questo, soprattutto durante la formazione iniziale, «la vita comune vista particolarmente in quanto esperienza e testimonianza di comunione», [24] sarà considerata come un ambiente indispensabile e un mezzo privilegiato di formazione.
LA COMUNITÀ
26. In seno alla Chiesa e in comunione con la Vergine Maria, la comunità di vita ha un compito privilegiato nella formazione, quali che siano le tappe e questa in gran parte dipende dalla qualità della comunità. Tale qualità risulta dal suo clima generale e dallo stile di vita dei suoi membri, in conformità con il carattere proprio e lo spirito dell'istituto. Ciò vuol dire che una comunità sarà tale quale la faranno i suoi membri, che essa ha esigenze proprie e che prima che ci si serva di essa come mezzo di formazione, essa merita di essere servita e amata per quello che è nella vita religiosa come la concepisce la Chiesa.
L'ispirazione fondamentale rimane evidentemente la prima comunità cristiana, frutto della Pasqua del Signore. [25] Ma nel tendere verso questo ideale bisogna essere coscienti delle sue esigenze. Un umile realismo e la fede devono animare gli sforzi di formazione alla vita fraterna. La comunità è costituita e rimane tale non perché i suoi membri si trovano bene insieme per affinità di pensiero, di carattere o di opzioni, ma perché il Signore li ha raccolti e li tiene uniti con una comune consacrazione e per una missione comune nella Chiesa. Alla mediazione particolare esercitata dal superiore, tutti aderiscono in una obbedienza di fede. [26] D'altra parte, non bisogna dimenticare che la pace e la gioia pasquale di una comunità sono sempre il frutto della morte a se medesimi e dell'accoglienza del dono dello Spirito. [27]
27. Una comunità è formatrice nella misura in cui permette a ciascuno dei suoi membri di crescere nella fedeltà al Signore secondo il carisma dell'istituto. Per questo, i membri devono aver chiarito insieme le ragioni d'essere e gli obiettivi fondamentali di tale comunità. I loro rapporti interpersonali saranno improntati a semplicità e a confidenza, essendo basati principalmente sulla fede e sulla carità. A tale scopo, la comunità si costruisce ogni giorno sotto l'azione dello Spirito Santo, lasciandosi giudicare e convertire dalla parola di Dio, purificare dalla penitenza, costruire dall'Eucaristia, vivificare dalla celebrazione dell'anno liturgico. Essa accresce la sua comunione con il vicendevole aiuto generoso e con lo scambio continuo dei beni materiali e spirituali, in spirito di povertà e grazie all'amicizia e al dialogo. Vive profondamente lo spirito del fondatore e la regola dell'istituto. I superiori considereranno come missione loro propria il cercare di edificare tale comunità fraterna su Cristo (cf. c. 619). Allora, cosciente della propria responsabilità in seno alla comunità, ciascuno è stimolato a crescere, non solo per se stesso, ma per il bene di tutti. [28]
Religiose e religiosi in formazione devono poter trovare in seno alla loro comunità un'atmosfera spirituale, un'austerità di vita e uno slancio apostolico capaci di attirarli a seguire Cristo in conformità al radicalismo della loro consacrazione.
Conviene richiamare qui i termini del messaggio del Papa Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile: «Sarà bene dunque che i giovani, durante il periodo di formazione, risiedano in comunità dove non deve mancare nessuna delle condizioni richieste per una formazione completa: spirituale, intellettuale, culturale, liturgica, comunitaria e pastorale; condizioni che sono raramente riunite tutte nelle piccole comunità. E dunque indispensabile andare ad attingere nell'esperienza pedagogica della Chiesa tutto ciò che può far riuscire ad arricchire la formazione, in una comunità adattata alle persone e alla loro vocazione religiosa e, occorrendo, alla loro vocazione sacerdotale» (IDGP IX, 2, 243-244).
28. Bisogna qui richiamare il problema che si pone con l'inserimento di una comunità religiosa di formazione in un ambiente povero. Piccole comunità religiose inserite in un ambiente popolare nella periferia delle grandi città o nelle zone piú interne e piú povere della campagna esprimono significativamente «l'opzione preferenziale per i poveri» poiché non basta lavorare per loro, ma si tratta di vivere con loro e, nei limiti del possibile, come loro. Questa esigenza deve tuttavia essere regolata secondo la situazione in cui si trova il religioso stesso. Bisogna dire anzitutto, in linea generale, che le esigenze della formazione devono prevalere su certi vantaggi apostolici dell'inserimento in ambiente povero. La solitudine e il silenzio, per esempio, indispensabili durante tutto il tempo di formazione iniziale, devono poter essere realizzati e mantenuti. D'altra parte, il tempo di formazione, ivi compreso il noviziato, comprende dei periodi di attività apostoliche in cui questa dimensione della vita religiosa si potrà esprimere, a condizione che queste piccole comunità inserite rispondano a certi criteri che assicurino la loro autenticità religiosa, cioè: che esse offrano la possibilità di vivere una vera vita religiosa in accordo con le finalità dell'istituto; che, in queste comunità, la vita di preghiera comunitaria e personale e, di conseguenza, dei tempi e dei luoghi di silenzio, possano essere mantenuti; che le motivazioni della presenza di questi religiosi e religiose siano anzitutto evangeliche; che queste comunità siano sempre disponibili a rispondere alle esigenze dei superiori dell'istituto; che la loro attività apostolica non risponda ad una scelta personale, ma ad una scelta dell'istituto, in armonia con la pastorale diocesana della quale il Vescovo è il primo responsabile.
Bisogna considerare infine che, nelle culture dei Paesi in cui l'ospitalità costituisce un valore particolarmente apprezzato, la comunità religiosa in quanto tale deve poter disporre di tutta la sua autonomia ed indipendenza in rapporto agli ospiti, dal punto di vista del tempo e dei luoghi. Ciò è senza dubbio piú difficile da realizzarsi nelle case religiose di dimensioni modeste, ma deve essere preso in considerazione quando la comunità stabilisce il suo progetto di vita comunitaria.
È IL RELIGIOSO STESSO IL RESPONSABILE DELLA SUA FORMAZIONE
29. È lo stesso religioso che ha la responsabilità primaria di dire «sí» alla chiamata che ha ricevuto e di accettare tutte le conseguenze di tale risposta, la quale non è tanto di ordine intellettuale, ma piuttosto di ordine vitale. La chiamata e l'azione di Dio, come il suo amore, sono sempre nuovi: le situazioni storiche non si ripetono mai. Il chiamato, quindi, è incessantemente invitato a dare una risposta attenta, nuova e responsabile. Il suo cammino ricorda quello del popolo di Dio dell'Esodo, come pure la lenta evoluzione dei discepoli «tardi a credere» [29] , ma che finiscono per ardere di fervore quando il Signore risuscitato si manifesta loro. [30] Ciò vuol dire fino a qual punto la formazione del religioso debba essere personalizzata. Si tratterà dunque di richiamarsi vigorosamente alla sua coscienza personale e alla sua personale responsabilità, perché interiorizzi i valori della vita religiosa e nello stesso tempo la regola di vita che gli è proposta dai suoi maestri e maestre di formazione, per cui trovi in se stesso la giustificazione delle sue opzioni pratiche e, nello Spirito creatore, il suo dinamismo fondamentale. Si deve, quindi, trovare un giusto equilibrio tra la formazione di gruppo e quella di ciascuna persona, tra il rispetto dei tempi previsti per ciascuna fase della formazione e il loro adattamento al ritmo di ciascuno.
EDUCATORI O FORMATORI SUPERIORI E RESPONSABILI DELLA FORMAZIONE
30. Lo Spirito di Gesú risuscitato si fa presente ed operante attraverso un insieme di mediazioni ecclesiali. Tutta la tradizione religiosa della Chiesa attesta il carattere decisivo del ruolo degli educatori per la riuscita dell'opera di formazione. Loro compito è di discernere l'autenticità della chiamata alla vita religiosa nella fase iniziale di formazione e di aiutare i religiosi a ben condurre il loro dialogo personale con Dio, scoprendo nello stesso tempo le vie nelle quali sembra che Dio voglia farli progredire. Spetta anche a loro di accompagnare il religioso sulle strade del Signore [31] attraverso un dialogo diretto e regolare, nel rispetto della competenza del confessore e del direttore spirituale propriamente detto. Uno dei compiti principali dei responsabili della formazione è proprio quello di vigilare che i novizi e i giovani professi e professe siano effettivamente guidati da un direttore spirituale.
Essi devono offrire ai religiosi un solido nutrimento dottrinale e pratico, in funzione delle tappe di formazione in cui si trovano. Infine, devono verificare e valutare progressivamente il cammino compiuto da coloro di cui essi hanno cura, alla luce dei frutti dello Spirito, e giudicare pure se il chiamato ha le capacità richieste in quel momento dalla Chiesa e dall'istituto.
31. Oltre ad una buona conoscenza della dottrina cattolica riguardo la fede e il costume, «l'esigenza di qualità adeguate risulta dunque evidente per coloro che assumono responsabilità di formazione:
- capacità umane d'intuito e di accoglienza;
- esperienza sviluppata di Dio e della preghiera;
- sapienza derivante dall'attento, prolungato ascolto della parola di Dio;
- amore della liturgia e comprensione del suo ruolo nell'educazione spirituale ed ecclesiale;
- competenza culturale necessaria;
- disponibilità di tempo e buona volontà per dedicarsi alla cura personale dei singoli candidati e non soltanto del gruppo». [32]
Questo compito dunque richiede serenità interiore, disponibilità, pazienza, comprensione ed un vero affetto per coloro che sono stati affidati alla responsabilità pastorale dell'educatore.
32. Se, sotto la responsabilità personale del responsabile di formazione, esiste un'équipe formatrice, i membri devono agire d'accordo, vivamente coscienti della loro comune responsabilità. «Sotto la guida del superiore siano in strettissima unità di spirito e di azione e formino una famiglia unita fra loro e con quelli che devono formare». [33] Non meno necessarie sono la coesione e la collaborazione continua tra i responsabili delle diverse tappe della formazione.
L'intera opera di formazione è il frutto della collaborazione tra i responsabili di formazione e i loro discepoli. Se è vero che il discepolo ne è il primo responsabile umano, questa responsabilità non si può esercitarla che all'interno di una tradizione specifica, quella dell'istituto, di cui i responsabili di formazione sono i testimoni e gli attori immediati.
B) LA DIMENSIONE UMANA E CRISTIANA DELLA FORMAZIONE
33. Il Concilio Vaticano II, nella sua dichiarazione sull'educazione cristiana, ha enunciato i fini e i mezzi di ogni vera educazione a servizio della famiglia umana. È bene tenerli presenti nell'accoglienza e nella formazione dei candidati alla vita religiosa, essendo prima esigenza di tale formazione il poter incontrare nella persona un presupposto umano e cristiano. Molti fallimenti della vita religiosa possono infatti essere attribuiti a delle falle non percepite e non colmate in questo campo. Non soltanto deve essere verificata l'esistenza di questa base umana e cristiana all'entrata nella vita religiosa, ma bisogna assicurarne la messa a punto utile durante il ciclo di formazione, in funzione della evoluzione delle persone e degli avvenimenti.
34. La formazione integrale della persona comporta una dimensione fisica, morale, intellettuale e spirituale. Sono note le sue finalità e le sue esigenze. Il Concilio Vaticano II le riporta nella Costituzione pastorale Gaudium et spes [34] e nella dichiarazione sull'educazione cristiana Gravissimum educationis. [35] Il decreto sulla formazione dei sacerdoti Optatam totius propone criteri che permettono di giudicare il livello di maturità umana richiesta dai candidati al ministero presbiterale. [36] Tali criteri possono applicarsi agevolmente ai candidati alla vita religiosa, vista la natura di quest'ultima e la missione che il religioso è chiamato a compiere nella Chiesa. Il decreto Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa richiama infine la radice battesimale della consacrazione religiosa [37] e perciò, implicitamente, induce a non ammettere al noviziato che i candidati che vivono già, in modo conveniente alla loro età, tutti gli impegni del loro battesimo. Cosí pure, una buona formazione alla vita religiosa li dovrebbe confermare, in tutte le tappe della vita e soprattutto nei periodi piú difficili in cui si è chiamati a scegliere di nuovo liberamente ciò che è stato una volta per tutte, la professione di fede e gli impegni del battesimo.
35. Nonostante l'insistenza che il presente documento pone sulla dimensione culturale ed intellettuale della formazione, la dimensione spirituale rimane prioritaria. «La formazione religiosa nelle sue varie fasi, iniziale e permanente, ha lo scopo precipuo di immergere i religiosi nell'esperienza di Dio e aiutarli a perfezionarla progressivamente nella propria vita». [38]
C) L'ASCESI
36. «Il cammino al seguito di Cristo conduce a condividere sempre piú coscientemente e concretamente il mistero della sua passione, morte e risurrezione. Il mistero pasquale deve essere come il cuore dei programmi di formazione, in quanto sorgente di vita e di maturità. È su questo fondamento che si forma l'uomo nuovo, il religioso e l'apostolo». [39] Questo ci porta a ricordare l'indispensabile necessità dell'ascesi nella formazione e nella vita dei religiosi. In un mondo di erotismo, di consumismo e di abusi di ogni genere, vi è bisogno di testimoni del mistero pasquale di Cristo, la cui prima tappa passa obbligatoriamente attraverso la croce. Questo passaggio conduce a porre nel programma di una formazione integrale un'ascesi personale quotidiana che porti i candidati, novizi e professi, all'esercizio delle virtú di fede, di speranza, di carità, di prudenza, di giustizia, di fortezza e di temperanza. Questo programma non ha età e non può passare di moda. È sempre attuale e sempre necessario. Non si può vivere il proprio battesimo senza adottare questo programma e ancor meno essere fedele alla propria vocazione religiosa. Questo programma sarà tanto piú seguito, come tutto l'insieme della vita cristiana, se è motivato dall'amore di nostro Signore Gesú Cristo e dalla gioia di servirlo. Inoltre, il popolo cristiano ha bisogno di trascinatori che l'aiutino a percorrere la «via regale della santa croce». Ha bisogno di testimoni che rinuncino a ciò che San Giovanni chiama «il mondo» e «le sue concupiscenze», e anche a questo «mondo» creato e conservato dall'amore del creatore e ad alcuni suoi valori. Il regno di Dio, di cui la vita religiosa «manifesta che esso supera le cose terrestri», [40] non è di questo mondo. C'è bisogno di testimoni che lo dicano. Naturalmente ciò suppone nel corso della formazione una riflessione sul senso cristiano dell'ascesi e l'acquisto di convinzioni correttamente fondate su Dio e sui suoi rapporti con il mondo uscito dalle sue mani, giacché si tratta di guardarsi contemporaneamente sia da un ottimismo beato e naturalista, sia da un pessimismo dimentico del mistero di Cristo creatore e redentore del mondo.
37. L'ascesi, d'altronde, che comporta un rifiuto di seguire i nostri impulsi e gli istinti spontanei e primari, è un'esigenza antropologica prima di essere specificamente cristiana. Gli psicologi fanno notare che i giovani, soprattutto, hanno bisogno per strutturare la loro personalità di incontrare degli ostacoli (gli educatori, un regolamento, ecc.), a cui resistere. Ma ciò non vale solo per i giovani, sicché la strutturazione di una persona non è mai completata. La pedagogia messa in opera dalla formazione dei religiosi e delle religiose dovrà aiutarli ad entusiasmarsi per un'impresa che reclama qualche sforzo. È cosí che Dio stesso conduce la persona umana che Egli ha creato.
38. L'ascesi inerente alla vita religiosa richiama, tra altri elementi, un'iniziazione al servizio ed alla solitudine, anche negli istituti dediti all'apostolato. È necessario «che in queste famiglie religiose venga osservata con fedeltà quella legge di ogni vita spirituale, che consiste nello stabilire, durante il corso della propria vita, un proporzionato avvicendamento tra i periodi riservati alla solitudine con Dio e a quelli dedicati alle diverse attività ed alle relazioni umane che esse comportano» [41] La solitudine, se è liberamente accettata, porta al silenzio interiore e questo esige il silenzio materiale. Il regolamento di ogni comunità religiosa, e non soltanto delle case di formazione, deve assolutamente prevedere tempi e luoghi di solitudine e di silenzio, per favorire l'ascolto e l'assimilazione della Parola di Dio insieme alla maturazione spirituale della persona e ad una vera comunione fraterna in Cristo.
D) SESSUALITÀ E FORMAZIONE
39. Le generazioni di oggi sono spesso cresciute in un ambiente di coeducazione, senza che i ragazzi e le ragazze siano sempre aiutati a conoscere le loro ricchezze e i loro rispettivi limiti. I contatti di apostolato di ogni genere, maggiore collaborazione che si è instaurata tra i religiosi e le religiose, con correnti culturali attuali, rendono particolarmente utile una formazione in questo campo. La promiscuità prematura e la collaborazione stretta e frequente sono necessariamente una garanzia di maturità nelle relazioni tra gli uni e le altre. Converrà dunque prendere le misure per promuovere e affermare questa maturità, in vista di educare alla pratica della castità perfetta.
Inoltre, uomini e donne devono prendere conoscenza della loro specifica situazione nel piano di Dio, del contributo originale che apportano rispettivamente all'opera della salvezza. Cosí si offrirà ai futuri religiosi la possibilità di una riflessione sul ruolo della sessualità nel disegno divino di creazione e di salvezza.
In questo contesto, si esporranno e si comprenderanno le ragioni che giustificano il fatto di scartare dalla vita religiosa quelle e quelli che non giungeranno a padroneggiare le tendenze omosessuali e che pretendessero di poter adottare una terza via «vissuta come uno stato ambiguo tra il celibato e il matrimonio» [42]
40. Dio non ha fatto un mondo indifferenziato. Creando l'uomo a sua immagine e somiglianza (Gen 1,26-27), in quanto creatura ragionevole e libera, capace di conoscerlo ed amarlo, non l'ha voluto solo, ma in relazione con un'altra persona umana, la donna (Gen 2, 18). Fra i due si stabilisce una relazione reciproca, dell'uomo riguardo alla donna e della donna riguardo all'uomo. [43] "La donna è un altro io nella loro comune umanità». [44] Perciò «l'uomo e la donna sono chiamati fin dal principio non solo a vivere l'uno accanto all'altra, a insieme, ma anche a vivere reciprocamente l'uno per l'altra». [45]
Si comprenderà facilmente l'interesse di questi principi antropologici quando si tratta di formare quelli e quelle che, per una grazia speciale, hanno fatto liberamente professione di castità perfetta per il Regno dei cieli.
41. «Uno studio approfondito dei fondamenti antropologici della condizione maschile o femminile» porterà a «precisare l'identità personale propria della donna nella sua relazione di diversità e di complementarietà reciproca con l'uomo; e ciò non solo per quanto riguarda i ruoli da ricoprire e le funzioni da assicurare, ma anche e piú profondamente per quanto riguarda la struttura della persona e il suo significato. [46] La storia della vita religiosa prova che molte donne, nel chiostro o nel mondo, vi hanno trovato un posto ideale di servizio a Dio e agli uomini, le condizioni favorevoli all'espansione della propria femminilità e, di conseguenza, una piú profonda comprensione della loro identità. Questo approfondimento deve essere ancora perseguito grazie alla riflessione teologica e all'«apporto offerto dalle diverse scelte umane e dalle varie culture». [47]
Non bisogna dimenticare infine, per una migliore perfezione della specificità della vita religiosa femminile, che «la figura di Maria di Nazaret proietta una luce sulla donna in quanto tale, per il fatto stesso che Dio, nel sublime evento dell'incarnazione del Figlio, è ricorso al servizio libero e attivo di una donna. Si può dunque affermare che la donna, se guarda a Maria, trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità e realizzare la sua vera promozione. Alla luce di Maria, la Chiesa scopre nel volto della donna i riflessi di una bellezza che è come lo specchio dei sentimenti piú elevati di cui il cuore umano è capace: la pienezza del dono di sé suscitato dall'amore; la forza che sa resistere alle piú grandi sofferenze; la fedeltà senza limiti e l'attività instancabile; la capacità di armonizzare l'intuizione penetrante con la parola di sostegno e di incoraggiamento». [48]
III
LE TAPPE DELLA FORMAZIONE DEI RELIGIOSI
A) LE TAPPE PRELIMINARI ALL'ENTRATA IN NOVIZIATO SUA RAGIONE DI ESSERE
42. Nelle circostanze attuali e in modo piuttosto generale, si può dire che la diagnosi della Renovationis causam [1] conserva tutta la sua attualità: «La maggior parte delle difficoltà incontrate ai nostri giorni nella formazione dei novizi derivano dal fatto che essi, al momento della loro ammissione al noviziato, non possedevano quel minimo di maturità necessaria». Certamente, non si esige che il candidato sia in condizione di assumere immediatamente tutti gli obblighi dei religiosi, ma deve essere ritenuto capace di giungervi progressivamente. Il poter giudicare su tale capacità giustifica che si diano il tempo e i mezzi per giungervi. Questo è lo scopo della tappa preparatoria al noviziato, qualunque sia il nome che le si dia: postulato, prenoviziato, ecc. Spetta unicamente al diritto proprio degli istituti precisarne le modalità di esecuzione ma, comunque sia, "nessuno può essere ammesso senza una adeguata preparazione». [2]
SUO CONTENUTO
43. Tenuto conto di quanto sarà detto (nn. 86 ss.) sulla situazione dei giovani nel mondo moderno, questa tappa preparatoria, che non bisogna temere di prolungare, dovrà applicarsi a verificare e a chiarire alcuni punti che permettano ai superiori di pronunciarsi sull'opportunità e il momento dell'ammissione al noviziato. Si baderà a non precipitare la data di questa ammissione né a differirla indebitamene, purché si giunga a un giudizio certo sulle garanzie offerte dalla persona dei candidati.
Questa ammissione comporta condizioni che vengono fissate dal diritto generale, e il diritto proprio può aggiungerne altre. [3] I punti messi in risalto sono i seguenti:
- il grado di maturità umana e cristiana [4] richiesto perché si possa iniziare il noviziato senza dover retrocedere al livello di un corso di formazione generale di base o di un semplice catecumenato. Accade, infatti, che i candidati che si presentano non abbiano tutti compiuto la loro iniziazione cristiana (sacramentale, dottrinale e morale) e manchino di alcuni elementi di una vita cristiana ordinaria;
- la cultura generale di base, che deve corrispondere a quella che generalmente ci si attende da un giovane che ha ultimato la preparazione scolastica normale nel suo Paese. Soprattutto, bisogna che i futuri novizi pratichino con facilità la lingua in uso durante il noviziato.
Trattandosi della cultura di base, converrà tuttavia tener conto della situazione di certi paesi o ambienti sociali dove il tasso di scolarizzazione è relativamente basso e dove, tuttavia, il Signore chiama dei candidati alla vita religiosa. Bisognerà allora, nel medesimo tempo, essere attenti a promuovere la cultura senza assimilarla ad una cultura straniera. E all'interno della loro propria cultura i candidati e le candidate devono riconoscere la chiamata del Signore e rispondervi in maniera originale;
- l'equilibrio dell'affettività, particolarmente l'equilibrio sessuale, che suppone l'accettazione dell'altro, uomo o donna, nel rispetto della sua differenza. Sarà bene ricorrere ad un esame psicologico, rispettando il diritto di ciascuno a preservare la propria intimità; [5]
- la capacità di vivere in comunità sotto l'autorità dei superiori, in tale istituto. Detta capacità certamente si verificherà meglio nel corso del noviziato, ma la questione si dovrà porre prima. I candidati devono soprattutto sapere che, per donare tutta la propria vita al Signore, esistono altre vie oltre a quella di entrare in un istituto religioso.
LE FORME DI REALIZZAZIONE
44. Possono essere diverse: accoglienza in una comunità dell'istituto, senza tuttavia condividerne tutta la vita, eccetto la comunità di noviziato che è sconsigliato per questo (salvo il caso delle claustrali); periodi di contatti con l'istituto o con qualcuno dei suoi rappresentanti, vita comune in una casa di accoglienza per candidati, ecc. Ma nessuna di queste forme deve lasciar credere che gli interessati siano già diventati membri dell'istituto. L'accostamento personale dei candidati ha, in ogni caso, piú importanza delle strutture di accoglienza.
Uno o piú religiosi provvisti della necessaria qualifica, saranno designati dai superiori a seguire i candidati e a discernere la loro vocazione. Collaboreranno attivamente con il maestro o la maestra dei novizi.
B) IL NOVIZIATO E LA PRIMA PROFESSIONE
SCOPO
45. «Il noviziato, con il quale si inizia la vita nell'istituto, è ordinato a far sí che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, quale è propria dell'istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo tesso siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità». [6]
Tenendo conto delle diversità dei carismi e degli istituti, si potrebbe in altri termini definire lo scopo del noviziato come un tempo di iniziazione integrale alla forma di vita che il Figlio di Dio ha abbracciato ed ha proposto a noi nel Vangelo [7] nell'uno o nell'altro aspetto del suo servizio o del suo mistero. [8]
CONTENUTO
46. «I novizi devono essere aiutati a coltivare le virtú umane e cristiane; introdotti in un piú impegnativo cammino di perfezione, mediante l'orazione e il rinnegamento di sé; guidati alla contemplazione del mistero della salvezza e alla lettura e meditazione delle sacre Scritture; preparati a rendere culto a Dio nella sacra liturgia; formati alle esigenze della vita consacrata a Dio e agli uomini in Cristo, attraverso la pratica dei consigli evangelici; informati infine sull'indole e lo spirito, la finalità e la disciplina, la storia e la vita dell'istituto, ed educati all'amore verso la Chiesa ed i suoi sacri Pastori». [9]
47. Come appare da questa legge generale, l'iniziazione integrale che caratterizza il noviziato va ben al di là di un semplice insegnamento. Essa è:
- iniziazione alla conoscenza profonda e viva di Cristo e del Padre. Ciò suppone uno studio meditato della Scrittura, la celebrazione della liturgia secondo lo spirito e il carattere dell'istituto, un'iniziazione all'orazione personale ed la pratica, come pure all'abitudine e al gusto di accostarsi ai grandi autori della tradizione spirituale della Chiesa, senza limitarsi a letture spirituali di moda;
- iniziazione al mistero pasquale di Cristo con il distacco da se stessi, soprattutto nella pratica dei consigli evangelici, secondo lo spirito dell'istituto, E ascesi evangelica gioiosamente voluta ed una accettazione coraggiosa del mistero della croce;
- iniziazione alla vita fraterna evangelica. Infatti, la fede si approfondisce diventa comunione nella comunità, e la carità trova le sue molteplici manifestazioni nel concreto della vita quotidiana;
- iniziazione alla storia, alla missione propria ed alla spiritualità dell'istituto. Vi interviene, tra gli altri elementi, e per gli istituti dediti all'apostolato, il fatto che «per integrare Ia formazione dei novizi, le costituzioni possono stabilire oltre al tempo in cui al par. 1 (cioè i dodici mesi da trascorrere nella comunità noviziato), uno o piú periodi di esercitazioni apostoliche, da compiersi fuori a comunità del noviziato». [10] Questi periodi hanno come obiettivo quello di insegnare ai novizi «a realizzare a poco a poco nella propria vita le condizioni quell'armoniosa unità che associa la contemplazione e l'azione apostolica; unità che è dei valori fondamentali dei medesimi istituti». [11] L'ordinamento di questi periodi deve tener conto dei dodici mesi da trascorrere nella comunità del noviziato, durante i quali «i novizi non saranno occupati in studi o incarichi non direttamente finalizzati a tale formazione». [12]
Il programma di formazione del noviziato deve essere stabilito dal diritto proprio. [13]
È sconsigliabile che il noviziato sia trascorso in un luogo estraneo alla cultura e alla lingua di origine dei novizi: sono preferibili infatti dei piccoli noviziati, purché siano radicati in questa cultura. Il motivo essenziale è quello di non moltiplicare i problemi nel corso di una tappa di formazione in cui gli equilibri fondamentali della persona si devono mettere a posto, in cui le relazioni tra i novizi e il maestro dei novizi devono essere facili e permettere di esplicarsi mutuamente con tutte le sfumature richieste da un cammino spirituale iniziale e intenso. Inoltre, il trasferimento in un'altra cultura, in quel momento, comporta il rischio di accogliere false vocazioni e di non percepire eventuali false motivazioni.
IL LAVORO PROFESSIONALE NEL CORSO DEL NOVIZIATO
48. È bene fare qui menzione del problema del lavoro professionale durante il noviziato. In parecchi paesi industrializzati, per motivi che a volte un intento apostolico giustifica e che possono anche dipendere dalla legislazione sociale in tali paesi, alcuni candidati titolari di un impiego salariato, chiedano al loro datore di lavoro, al momento dell'ingresso in noviziato, soltanto un congedo di un anno «per motivi personali». Ciò permetterà loro di non perdere l'impiego nel caso dovessero tornare nel mondo e di non correre cosí il rischio della disoccupazione. Ciò induce talvolta anche a riprendere il lavoro professionale nel secondo anno di noviziato con le motivazioni di tirocinio di attività apostoliche.
In proposito, crediamo di dover enunciare il principio seguente. Negli istituti che hanno due anni di noviziato, i novizi non possono esercitare il lavoro professionale a tempo pieno che alle seguenti condizioni:
- che questo lavoro corrisponda effettivamente alla finalità apostolica dell'istituto;
- che lo si faccia nel secondo anno di noviziato;
- che corrisponda alle esigenze di cui al can. 684, 2, cioè che contribuisca a completare la formazione dei novizi a vivere nell'istituto e che esso costituisca veramente un'attività apostolica.
ALCUNE CONDIZIONI DA OSSERVARE
49. Per l'ammissione saranno osservate rigorosamente le condizioni canoniche di liceità e di validità sia riguardo ai candidati sia riguardo all'autorità competente ad ammettere. Questo permette di evitare in seguito molte difficoltà. [14] Riguardo ai candidati ai ministeri del diaconato e del presbiterato, ci si assicurerà, in modo particolare, sin da quel momento, che nessuna irregolarità impedisca piú tardi il conferimento degli ordini sacri, fermo restando che i superiori maggiori degli istituti clericali di diritto pontificio possono dispensare dalle irregolarità non riservate alla Santa Sede. [15]
Prima di ammettere al noviziato un chierico secolare, i superiori devono consultare l'Ordinario proprio e sollecitare una testimonianza da parte sua (cc. 644 e 645, 2).
50. Le circostanze di tempo e di luogo necessarie per lo svolgimento del no viziato sono enunciate dal diritto. Se ne manterrà la flessibilità, ricordando tuttavia che la prudenza può sconsigliare ciò che il diritto non impone. [16] I superiori maggiori ed i responsabili della formazione sappiano che per i novizi le circostanze presenti reclamano senza dubbio, piú che non in passato, condizioni sufficienti di stabilità che permettano alla crescita spirituale in corso di svolgersi in modo profondo e sereno. E questo vale tanto piú in quanto numerosi candidati hanno già fatto esperienza di vita nel mondo. Infatti, i novizi hanno bisogno di esercitarsi alla pratica dell'orazione prolungata, della solitudine e del silenzio. Perciò il fattore tempo occupa un posto determinante. Essi possono provare un maggiore bisogno di allontanarsi dal mondo che di «andare» nel mondo; e questo bisogno non è unicamente soggettivo. Per questo il tempo e il luogo del noviziato dovranno essere organizzati in modo tale che i novizi possano trovarvi il clima propizio ad un radicamento in profondità nella vita con Cristo. Ciò che non si ottiene se non partendo dal distacco da sé, da tutto ciò che nel mondo resiste a Dio ed anche da valori del mondo «che indiscutibilmente meritano stima». [17] Di conseguenza, è affatto sconsigliato di compiere il tempo del noviziato in comunità inserite. Come è stato già detto (n. 28) le esigenze della formazione devono prevalere su alcuni vantaggi apostolici dell'inserimento in ambiente povero.
PEDAGOGIA
51. I novizi non entrano in noviziato tutti allo stesso livello di cultura umana e cristiana. Quindi, bisogna prestare un'attenzione tutta particolare ad ogni persona per camminare al suo passo e adattarle il contenuto e la pedagogia della formazione che le si propone.
IL MAESTRO E LA MAESTRA DEI NOVIZI E I LORO COLLABORATORI
52. La direzione dei novizi è riservata solo al maestro dei novizi sotto l'autorità dei suoi superiori maggiori. Egli dovrà essere liberato da tutti gli altri impegni che gli impedirebbero di compiere pienamente il suo incarico di educatore. Se ha dei collaboratori, essi dipendono da lui per ciò che riguarda il programma di formazione e la direzione del noviziato. Essi hanno con lui una parte importante nel discernimento e nella decisione. [18]
Nei noviziati nei quali intervengono, sia per l'insegnamento, sia per il sacramento della riconciliazione, sacerdoti secolari o altri religiosi esterni, ed anche laici, essi dovranno lavorare in stretta collaborazione con il maestro dei novizi, con grande discrezione da una parte e dall'altra.
Il maestro dei novizi è l'accompagnatore spirituale chiamato a questo scopo per tutti e per ciascuno dei novizi. Il noviziato è il luogo del suo ministero, e per conseguenza quello di una permanente disponibilità accanto a coloro che gli sono affidati. Egli non potrà facilmente adempiere al suo compito se i novizi non danno prova nei suoi riguardi di un'apertura libera e completa. Tuttavia, né lui né il suo aiutante, negli istituti clericali, possono ascoltare le confessioni sacramentali dei novizi, a meno che in casi particolari essi non lo chiedano spontaneamente. [19]
Maestri e maestre dei novizi ricordino infine che i soli mezzi psicopedagogici non potranno sostituirsi ad una autentica guida spirituale.
53. «I novizi, consapevoli della propria responsabilità, si impegnino ad una collaborazione con il proprio maestro per poter rispondere fedelmente alla grazia della vocazione divina». [20] «I membri dell'istituto si adoperino nel cooperare alla formazione dei novizi, per la parte che loro spetta, con l'esempio della vita e con la preghiera». [21]
LA PROFESSIONE RELIGIOSA
54. Durante la celebrazione liturgica, la Chiesa riceve, attraverso i legittimi superiori, i voti di coloro che emettono la professione, ed associa la loro oblazione al sacrificio eucaristico. [22] L'Ordo professionis [23] dà lo schema della celebrazione, pur lasciando posto alle legittime tradizioni degli istituti.
Questa azione liturgica manifesta il radicamento ecclesiale della professione. Partendo dal mistero cosí celebrato, si potrà sviluppare una comprensione piú vitale e piú profonda della consacrazione.
55. Durante il noviziato, si farà anche risaltare l'eccellenza e la possibilità di un impegno perpetuo a servizio del Signore. «La qualità di una persona si può giudicare dalla natura dei suoi vincoli. Perciò, si può dire con gioia che la vostra libertà si è legata liberamente a Dio per un servizio volontario, in amorosa servitú. E, facendolo, la vostra umanità ha raggiunto la maturità. "Umanità aperta", ho scritto nell'enciclica Redemptor hominis, significa il pieno uso del dono della libertà che noi abbiamo ottenuto dal Creatore quando egli chiama all'esistenza l'uomo, fatto a sua immagine e somiglianza. Tale dono trova la sua piena realizzazione nella donazione senza riserva della persona tutta intera, in uno spirito di amore nuziale verso Cristo e, con Cristo, verso tutti coloro ai quali egli manda gli uomini e le donne che sono totalmente consacrati a lui secondo i consigli evangelici». [24] Non si dà la propria vita a Cristo «in prova». È, d'altra parte, Lui che prende l'iniziativa di chiederla a noi. I religiosi testimoniano che ciò è possibile, grazie soprattutto alla fedeltà di Dio, e che ciò rende libero e felice, se il dono si rinnova ogni giorno.
56. La professione perpetua suppone una preparazione prolungata ed un tirocinio perseverante. Questo giustifica che la Chiesa la faccia precedere da un periodo di professione temporanea. «Pur conservando il carattere di prova per il fatto che è temporanea, la professione dei primi voti rende tuttavia il candidato partecipe della consacrazione propria dello stato religioso» [25] Questo tempo di professione temporanea ha dunque lo scopo di confermare la fedeltà dei giovani professi e professe, quali che siano le soddisfazioni di cui la vita quotidiana «al seguito di Cristo» può gratificarli o no. La celebrazione liturgica distingue con cura la professione perpetua della professione temporanea che deve essere celebrata «senza alcuna solennità particolare». [26] La professione perpetua si svolgerà invece «con la solennità dovuta e con il concorso dei religiosi e del popolo» [27] poiché «essa è segno dell'unione indissolubile di Cristo con la Chiesa sua sposa (cf. LG 44)».
57. Si osservino con cura tutte le disposizioni di diritto concernenti le condizioni di validità e le scadenze della professione temporanea e perpetua. [29]
C) LA FORMAZIONE DEI PROFESSI TEMPORANEI CIÒ CHE PRESCRIVE LA CHIESA
58. Trattandosi della formazione dei professi temporanei, la Chiesa prescrive che «in ogni istituto, dopo la prima professione, si continui la formazione di tutti i membri perché possano condurre integralmente la vita propria dell'istituto e rendersi meglio idonei a realizzare la missione. Pertanto, il diritto proprio deve stabilire il programma e la durata di questa formazione, tenendo presenti le necessità della Chiesa e le condizioni delle persone e dei tempi, secondo quanto esigono le finalità e l'indole dell'istituto». [30]
«La formazione deve essere sistematica, adeguata alla capacità dei membri, spirituale e apostolica, dottrinale e insieme pratica, e portare anche al conseguimento dei titoli convenienti, sia ecclesiastici sia civili, secondo l'opportunità. Durante il periodo di questa formazione non si affidino ai religiosi compiti ed opere che ne ostacolino l'attuazione». [31]
SIGNIFICATO ED ESIGENZE DI QUESTA TAPPA
59. La prima professione inaugura una nuova fase della formazione, che beneficia del dinamismo e della stabilità derivanti dalla professione. Per il religioso, si tratta di raccogliere i frutti delle tappe precedenti e di continuare la propria crescita umana e spirituale con la pratica coraggiosa di ciò in cui si è impegnato. Il mantenimento dello slancio spirituale dato dalla tappa precedente è tanto piú necessario in quanto, negli istituti dediti all'apostolato, il passaggio ad uno stile di vita piú aperto e ad attività troppo impegnative comporta spesso rischi di disorientamento e di aridità. Negli istituti votati alla contemplazione, si tratterà piuttosto di abitudine, di stanchezza e di pigrizia spirituale. Gesú formò i suoi discepoli attraverso le crisi che essi subirono. Con annunci successivi alla Passione, li preparò a diventare discepoli autentici. [32] La pedagogia di questa tappa deve quindi mirare a permettere al giovane religioso di camminare veramente, con tutta la sua esperienza, secondo una unità di prospettive e di vita, quella della propria vocazione in quel momento della sua esistenza, nella prospettiva della professione perpetua.
CONTENUTO E MEZZI DI FORMAZIONE
60. L'istituto ha la grave responsabilità di prevedere l'organizzazione e la durata di questa fase della formazione e di fornire al giovane religioso le condizioni favorevoli per una reale crescita della donazione al Signore. Anzitutto, offrirà una vigorosa comunità formatrice e la presenza di educatori validi. Infatti, a questo livello della formazione, contrariamente a ciò che è stato detto a proposito del noviziato (cf. n. 47), vale meglio una comunità piú numerosa, ben provvista di mezzi di formazione e ben guidata, che una piccola comunità senza veri formatori. Come durante la sua vita religiosa, il religioso deve sforzarsi a meglio comprendere praticamente l'importanza della vita comunitaria secondo la vocazione propria del suo istituto, ad accettare la realtà di tale vita e ad assumere le condizioni di progresso, a rispettare gli altri nella loro differenza ed a sentirsi responsabile in seno alla suddetta comunità. Per proseguire a questo livello ed in modo specifico la missione del maestro dei novizi, sarà designato dai superiori un responsabile della formazione dei professi temporanei. Tale formazione dovrà durare almeno tre anni.
61. Le proposte di programma che seguono hanno valore indicativo e non esitano a guardare in alto, vista la necessità di formare religiose e religiosi all'altezza delle attese e dei bisogni del mondo contemporaneo. Sarà impegno degli istituti e dei formatori e delle formatrici di procedere all'adattamento richiesto dalle persone, dai tempi e dai luoghi. Nel programma di studi si dovrà porre in risalto la teologia biblica, dogmatica, spirituale e pastorale e in particolare l'approfondimento dottrinale della vita consacrata e del carisma dell'istituto. La formulazione di questo programma e la sua messa in opera devono tener presente l'unità interna dell'insegnamento e l'armonizzazione delle diverse discipline. I religiosi devono aver coscienza che non sono diverse scienze, ma una sola che devono imparare: la scienza della fede e del Vangelo. A questo proposito, bisogna evitare di mettere insieme troppe discipline e corsi. Inoltre, per rispetto alle persone, i religiosi non devono essere introdotti prematuramente in una problematica esageratamente critica, se ancora non hanno compiuto il cammino necessario per affrontarla serenamente.
Si dovrà vegliare per dare, in maniera adatta, una formazione filosofica di base che permetta di acquisire una conoscenza di Dio e una visione cristiana del mondo in stretta connessione con le questioni agitate nel nostro tempo, che faccia risaltare l'armonia che esiste tra il sapere della ragione e quello della fede in vista della ricerca dell'unica verità. In questo modo, i religiosi saranno preservati da tentazioni, sempre minacciose, di un razionalismo critico da una parte, del pietismo e del fondamentalismo dall'altra.
Il programma di studi teologici sarà concepito giudiziosamente e le differenti parti saranno ben articolate in modo che ne risulti la «gerarchia» delle verità della dottrina cattolica in ragione del loro rapporto con i fondamenti della fede cristiana. [33] La composizione di questo programma potrà ispirarsi, adattandolo, alle indicazioni date dalla Congregazione per l'Educazione cattolica per la formazione dei candidati al ministero presbiterale, [34] facendo attenzione a non omettere nulla di quanto può aiutare alla buona intelligenza della fede e della vita cristiana nella Chiesa: storia, liturgia, diritto canonico, ecc.
62. Infine, la maturazione del religioso richiede, a questo punto, un impegno apostolico ed una partecipazione progressiva ad esperienze ecclesiali e sociali, nella linea del carisma del proprio istituto e tenendo conto delle proprie attitudini e delle aspirazioni personali. Al riguardo di queste esperienze, religiosi e religiose si ricordino che non devono esercitare la loro azione pastorale, sia nel periodo della formazione iniziale che dopo, e che il loro impegno in un servizio ecclesiale e soprattutto sociale obbedisce necessariamente a criteri di discernimento (cf. n. 18).
63. Benché i superiori siano designati giustamente come «maestri di spirito in relazione al progetto evangelico del proprio istituto», [35] i religiosi devono avere a loro disposizione per il foro interno, anche non sacramentale, quello che si è convenuto di chiamare direttore o consigliere spirituale. «Seguendo la tradizione dei primi Padri del deserto e di tutti i grandi fondatori a proposito della guida spirituale, ciascun istituto religioso disponga di membri particolarmente qualificati e designati per aiutare i fratelli in questo campo. La loro funzione varia a seconda del grado di vita spirituale raggiunto dal religioso. Le loro responsabilità principali sono: discernere l'azione di Dio, accompagnare il fratello nelle vie del Signore, nutrire la vita di solida dottrina e la pratica della preghiera. In modo particolare, alle prime fasi occorre anche valutare il cammino percorso». [36]
Questa direzione spirituale, che «non potrà essere sostituita da ritrovati psico-pedagogici », [37] e per la quale il Concilio richiede una «giusta libertà», [38] dovrà dunque essere «favorita con la disponibilità di persone competenti e qualificate». [39]
Tali disposizioni, indicate particolarmente per questa tappa della formazione dei religiosi, valgono per tutto il resto della loro vita. Nelle comunità religiose, soprattutto in quelle che riuniscono un maggior numero di membri e specialmente in quelle dove dimorano professi temporanei, è necessario che almeno un religioso sia designato ufficialmente come guida e consigliere spirituale dei suoi fratelli.
64. Diversi istituti prevedono, prima della professione perpetua, un periodo di preparazione piú intenso, escludendo le occupazioni abituali. Quest'uso merita di essere incoraggiato ed esteso.
65. Se, come prevede il diritto, giovani professi vengono inviati dal loro superiore a compiere degli studi, [40] «tali studi siano programmati non quasi fossero una male intesa realizzazione di se, per raggiungere finalità individuali, ma affinché valgano a rispondere alle esigenze di progetti apostolici della loro famiglia religiosa in armonia con le necessità della Chiesa». [41] Lo svolgimento di questi studi e il conseguimento dei diplomi siano, a giudizio dei superiori maggiori e dei responsabili di formazione, convenientemente armonizzati con il resto del programma previsto per questa tappa di formazione.
D) LA FORMAZIONE CONTINUA DEI PROFESSI PERPETUI
66. «Per tutta la vita, i religiosi proseguono assiduamente la propria formazione spirituale, dottrinale e pratica; i superiori poi procurino loro i mezzi e il tempo necessari» [42] «Ogni istituto religioso, quindi, ha il dovere di progettare e di realizzare un programma di formazione permanente adeguato per tutti i suoi membri. Un programma che tenda non soltanto alla formazione dell'intelligenza, ma anche di tutta la persona, principalmente nella sua missione spirituale, affinché ogni religioso possa vivere in tutta la sua pienezza la propria consacrazione a Dio, nella missione specifica che la Chiesa gli affida». [43]
PERCHÉ LA FORMAZIONE CONTINUA?
67. La formazione continua è motivata anzitutto dalla chiamata di Dio, il quale chiama ciascuno dei suoi in ogni momento ed in nuove circostanze. Il carisma della vita religiosa in un determinato istituto è una grazia vivente che richiede di essere ricevuta e vissuta in condizioni di esistenza spesso inedite. «Il carisma dei fondatori (ET 11) si rivela come un'esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita (...). La nota caratteristica propria di qualsiasi istituto esige, sia nel fondatore che nei suoi discepoli, una continua verifica della fedeltà verso il Signore, della docilità verso il suo Spirito, dell'attenzione intelligente alle circostanze e della visione cautamente rivolta ai segni dei tempi, della volontà d'inserimento nella Chiesa, della disponibilità di subordinazione alla gerarchia, dell'ardimento nelle iniziative, della costanza nel donarsi, dell'umiltà nel sopportare i contrattempi (...). Il nostro tempo in modo particolare esige dai religiosi quella stessa genuinità carismatica, vivace e ingegnosa nelle sue inventive, che spiccatamente eccelle nei fondatori...». [44]
La formazione permanente esige che si presti un'attenzione particolare ai segni dello Spirito nel nostro tempo e che ci si lasci sensibilizzare, per poter dare loro una risposta appropriata.
Inoltre, la formazione continua è un dato sociologico che, ai nostri giorni, riguarda tutti i rami dell'attività professionale. Essa condiziona molto spesso la permanenza in una professione o il passaggio obbligato da una professione ad un'altra.
Mentre la formazione iniziale era ordinata all'acquisto da parte della persona di una sufficiente autonomia per vivere in fedeltà i propri impegni religiosi, la formazione continua aiuta il religioso ad integrare la creatività nella fedeltà, poiché la vocazione cristiana e religiosa richiede una crescita dinamica ed una fedeltà nelle circostanze concrete dell'esigenza. Ciò esige una formazione spirituale interiormente unificante, ma duttile ed attenta agli avvenimenti quotidiani della vita personale e del mondo.
«Seguire Cristo» significa mettersi sempre in cammino, guardarsi dalla sclerosi e dall'anchilosi, per essere capace di rendere una testimonianza viva e verace del Regno di Dio in questo mondo.
Si possono ritenere in altri termini tre ragioni fondamentali che motivano la formazione permanente;
- la prima nasce dalla funzione stessa della vita religiosa in seno alla Chiesa. Essa vi esercita un ruolo carismatico ed escatologico molto significativo che suppone nelle religiose e nei religiosi un'attenzione speciale alla vita dello spirito, tanto nella storia personale di ciascuno e di ciascuna, quanto nella speranza e angoscia dei popoli;
- la seconda deriva dalla sfida che viene dal futuro della fede cristiana in un mondo che cambia a velocità accelerata; [45]
- la terza concerne la vita stessa degli istituti religiosi e soprattutto il loro avvenire, che dipende in parte dalla formazione permanente dei loro membri.
SUO CONTENUTO
68. La formazione continua è un processo globale di rinnovamento che si estende a tutti gli aspetti della persona del religioso ed all'insieme dello stesso istituto. Essa si deve svolgere tenendo conto che i suoi diversi aspetti sono inseparabili e che si influenzano mutuamente nella vita di ogni religioso e di ogni comunità. Possono essere ricordati i seguenti aspetti:
- la vita secondo lo Spirito o spiritualità: deve avere il primato poiché include un approfondimento della fede e del senso della professione religiosa. Quindi, bisogna privilegiare gli esercizi spirituali annuali e i tempi di ripresa spirituale sotto forme diverse;
- la partecipazione alla vita della Chiesa secondo il carisma dell'istituto e soprattutto l'aggiornamento dei metodi e dei contenuti delle attività pastorali, in collaborazione con gli altri agenti della pastorale locale;
- il riciclaggio dottrinale e professionale, che comprende l'approfondimento biblico e teologico, lo studio dei documenti del magistero universale e particolare, una migliore conoscenza delle culture dei luoghi in cui si vive e si agisce, la riqualificazione professionale e tecnica, se c'è motivo;
- la fedeltà al proprio carisma, con una sempre migliore conoscenza del fondatore, della storia dell'istituto, del suo spirito, della sua missione, ed uno sforzo correlativo per viverli, personalmente ed in comunità.
69. Capita che buona parte della formazione permanente si svolga in centri di formazione interistituti. In tali casi, bisogna ricordare che un istituto non può delegare ad organizzazioni esterne tutto il compito di formazione continua dei suoi membri, troppo legata, in molti dei suoi aspetti, ai valori propri del suo carisma. Ciascuno di essi, secondo le necessità e le possibilità, deve quindi suscitare ed organizzare diverse iniziative e strutture.
I TEMPI FORTI DELLA FORMAZIONE CONTINUA
70. Bisogna comprendere queste tappe in modo molto elastico. Conviene combinarle concretamente con quelle che può suscitare l'iniziativa imprevedibile dello Spirito Santo. Riteniamo in particolare, come tappe significative:
- il passaggio dalla formazione iniziale alla prima esperienza di vita piú autonoma, in cui il religioso deve scoprire un nuovo modo di essere fedele a Dio;
- al termine di circa dieci anni di professione perpetua, quando si presenta il rischio di una vita «abitudinaria» e la perdita di ogni slancio. A quel punto sembra che si imponga un periodo prolungato in cui si prendono le proprie distanze in rapporto alla vita ordinaria per «rileggerla» alla luce del Vangelo e del pensiero del fondatore. Alcuni istituti offrono ai loro membri questo tempo di approfondimento nel «terzo anno», detto a volte anche «secondo noviziato» o «seconda probazione», ecc. È desiderabile che questo tempo si trascorra in una comunità dell'istituto;
- la piena maturità spesso comporta il pericolo di uno sviluppo dell'individualismo, soprattutto nei temperamenti vigorosi ed efficienti;
- al momento di forti crisi, che possono sopraggiungere ad ogni età, sotto la spinta di fattori esterni (cambio di posto o di lavoro, insuccesso, incomprensione, sentimento di emarginazione, ecc.) o di fattori piú direttamente personali (malattia fisica o psichica, aridità spirituale, forti tentazioni, crisi di fede o sentimentale o ambedue insieme, ecc.). In queste circostanze, il religioso deve essere aiutato a superare positivamente la crisi, nella fede;
- al momento del ritiro progressivo dall'azione, religiose e religiosi risentono piú profondamente nel loro essere l'esperienza che Paolo descrisse in un contesto di cammino verso la risurrezione: «non ci scoraggiamo; ma se anche l'uomo esterno si corrompe, l'interno nostro si rinnova, tuttavia di giorno in giorno». [46] Lo stesso Pietro, dopo aver ricevuto il compito immenso di pascere il gregge del Signore, si sentí dire: «quando sarai vecchio, tenderai le mani e un altro ti cingerà e ti porterà dove non vorrai». [47] Il religioso può vivere questi momenti come una fortuna unica di lasciarsi penetrare dall'esperienza pasquale del Signore Gesú fino a desiderare di morire per «essere con Cristo», in coerenza con la sua opzione di partenza: conoscere Cristo, l'efficacia della sua risurrezione, e la partecipazione ai suoi patimenti, conformandosi a lui nella morte, con la speranza di giungere anche lui alla risurrezione dai morti. [48] La vita religiosa non segue altro iter.
71. In ogni istituto sarà designato dai superiori un responsabile della formazione permanente. Ma si dovrà anche badare che i religiosi, durante tutta la loro vita, possano avere a disposizione guide o consiglieri spirituali, secondo la pedagogia già usata durante la formazione iniziale e secondo modalità adatte alla maturità acquisita ed alle circostanze che essi attraversano.
IV
LA FORMAZIONE NEGLI ISTITUTI DEI RELIGIOSI INTERAMENTE DEDITI ALLA CONTEMPLAZIONE
SPECIALMENTE DELLE MONACHE (PC 7)
72. Quanto si è detto nei capitoli precedenti, si applica anche a questi istituti nel rispetto del loro carisma, della loro tradizione e della loro legislazione.
IL POSTO DI QUESTI ISTITUTI NELLA CHIESA
73. «Gli istituti dediti interamente alla contemplazione, i cui membri si occupano soltanto di Dio nella solitudine e nel silenzio, in continua preghiera ed intensa penitenza, pur nella urgente necessità di apostolato attivo, conservano un posto assai eminente nel Corpo mistico di Cristo, in cui "nessun membro ha la stessa funzione" (Rom 12, 4). Essi infatti offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode, e producendo frutti abbondantissimi di santità sono di esempio al popolo di Dio, cui danno incremento con una misteriosa fecondità apostolica. Cosicché costituiscono una gloria per la Chiesa ed una sorgente di grazie celesti». [1]
In seno ad una Chiesa particolare, «la loro vita contemplativa è il loro primo e fondamentale apostolato, perché è il loro modo tipico e caratteristico, secondo uno speciale disegno di Dio, di essere Chiesa, di vivere nella Chiesa, di realizzare la comunione con la Chiesa, di compiere una missione nella Chiesa». [2]
Dal punto di vista della formazione dei loro membri, e per le ragioni date or ora, questi istituti richiedono un'attenzione tutta particolare sia nella formazione iniziale che in quella permanente.
L'IMPORTANZA CHE VI HA LA FORMAZIONE
74. Lo studio della Parola di Dio, della tradizione dei Padri, dei documenti del magistero della Chiesa ed una riflessione teologica sistematica non dovranno essere tenuti in minore stima nei luoghi in cui delle persone hanno scelto di ordinare l'insieme della loro vita in vista della ricerca prioritaria, se non esclusiva, di Dio. Questi religiosi e religiose dediti interamente alla contemplazione imparino dalla Scrittura come Dio non si stanca di ricercare la sua creatura per fare alleanza con lei e come, a sua volta, tutta la vita dell'uomo non possa essere che una ricerca incessante di Dio. Essi stessi si impegnino pazientemente in questa ricerca.
La creatura, sotto la pesantezza dei suoi limiti, va a tentoni ma, nello stesso tempo, Dio la rende capace di appassionarvisi. Si tratta dunque di aiutare questi religiosi ad accostarsi al mistero di Dio, non senza essere attenti alle esigenze critiche della ragione umana. Bisogna anche cogliere le certezze che offre la Rivelazione sul mistero di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, pur restando modesto riguardo all'esito di una ricerca che finirà soltanto quando vedremo Dio, faccia a faccia, quale Egli è. La prima preoccupazione di questi contemplativi non è e non deve essere, di acquistare una vasta scienza, né di conseguire gradi accademici. Essa è, e deve essere, di fortificare la fede, «realtà di cose sperate e convincimento di cose che non si vedono». [3] Nella fede si trovano il fondamento e le promesse di una contemplazione autentica. Essa certamente fa entrare su strade sconosciute: «Abramo partí senza sapere dove andava», [4] ma permette di tener duro nella prova come se si vedesse l'invisibile. [5] Essa guarisce, approfondisce ed allarga lo sforzo dell'intelligenza che cerca e che contempla ciò che al presente non coglie che «attraverso uno specchio e come un enigma». [6]
ALCUNI PUNTI SU CUI INSISTERE
75. Tenendo conto della specificità di questi istituti e dei mezzi indicati per mantenerla fedelmente, il loro piano di formazione avrà alcuni punti d'insistenza, da trattare gradualmente nelle tappe successive della formazione. Bisogna notare all'inizio che il cammino di formazione sarà per loro meno intenso e piú informale, vista la stabilità dei loro membri e l'assenza di attività esterne nel monastero. Si deve aggiungere, infine, che nel contesto del mondo attuale c'è da aspettarsi anche dai membri di tali istituti un livello di cultura umana e religiosa corrispondente alle esigenze del nostro tempo.
LA "LECTIO DIVINA"
76. Piú dei loro fratelli e sorelle dediti all'apostolato, i membri degli istituti dediti interamente alla contemplazione occupano una buona parte del loro tempo quotidiano nello studio della Parola di Dio e nella «lectio divina», sotto i suoi quattro aspetti di lettura, meditazione, preghiera e contemplazione. Quali che siano le parole impiegate secondo le diverse tradizioni spirituali ed il senso preciso che si dà loro, ciascuno di questi aspetti conserva la sua necessità e la sua originalità. La «lectio divina» si nutre della Parola di Dio, vi trova il suo punto di partenza e vi ritorna. La serietà di uno studio biblico, quindi, garantisce, in parte, la ricchezza della «lectio». Che questa abbia per oggetto il testo medesimo della Bibbia, che si tratti di un testo liturgico o di una pagina spirituale della tradizione cattolica, è una eco fedele della Parola di Dio che bisogna ascoltare e forse anche, alla maniera degli antichi, sussurrare. Questa iniziazione richiede un coraggioso esercizio durante il tempo di formazione e su di essa poggiano tutte le tappe successive.
LA LITURGIA
77. La liturgia, soprattutto la celebrazione dell'Eucaristia e della liturgia delle ore, in questi istituti occupa un posto speciale. Se gli antichi paragonavano volentieri la vita monastica alla vita angelica, era, tra gli altri motivi, perché gli angeli sono dei «liturghi» di Dio. [7] La liturgia, nella quale si uniscono la terra e il cielo e che perciò dona come un pregustamento della liturgia celeste, è la vetta alla quale tende tutta la Chiesa e la sorgente da cui deriva tutta la sua forza. Essa non esaurisce tutta l'attività della Chiesa, ma è, per coloro che «si dedicano unicamente alle cose di Dio», il luogo e il mezzo privilegiato di celebrare, a nome della Chiesa, nella gioia e nell'azione di grazie, l'opera della salvezza compiuta da Cristo, della quale lo svolgimento dell'anno liturgico ci offre periodicamente il memoriale. [8] Quindi sarà celebrata non solo con cura secondo le tradizioni ed i riti propri dei diversi istituti, ma anche studiata nella sua storia, nella varietà delle sue forme e nel suo significato teologico.
78. Nella tradizione di alcuni istituti, i religiosi ricevono il ministero presbiterale e celebrano l'Eucaristia quotidiana sebbene non siano destinati ad esercitare un apostolato. Questa pratica trova la sua giustificazione tanto in ciò che concerne il ministero presbiterale quanto in ciò che riguarda il sacramento dell'Eucaristia. Infatti, da una parte esiste un'armonia interna tra la consacrazione religiosa e la consacrazione al ministero ed è legittimo che questi religiosi siano ordinati sacerdoti, anche se non esercitano il ministero né all'interno né all'esterno del monastero. «L'unione nella stessa persona della consacrazione religiosa, che l'offre totalmente a Dio, e del carattere sacerdotale, la configura in modo speciale a Cristo che è insieme sacerdote e vittima». [9]
Dall'altra parte, l'Eucaristia «è sempre un atto di Cristo e della Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli» [10] e merita perciò di essere celebrata in quanto tale perché «l'opportunità di offrire il sacrificio non va considerata solo in rapporto ai fedeli cristiani, ai quali si devono somministrare i sacramenti, ma principalmente in rapporto a Dio, cui si offre il sacrificio nella consacrazione di questo sacramento» [11] Infine, bisogna ricordare l'affinità che esiste tra la vocazione contemplativa ed il mistero dell'Eucaristia. Infatti, «tra gli atti della vita contemplativa, i principali sono quelli riguardanti la celebrazione dei divini misteri» [12]
IL LAVORO
79. Il lavoro è una legge comune alla quale religiose e religiosi sanno di essere tenuti e converrà, nel periodo di formazione, metterne in rilievo il senso nel caso in cui si compia nell'ambito del monastero. Il lavoro per vivere non è un ostacolo alla Provvidenza di Dio che si prende cura dei minimi dettagli delle nostre vite, ma entra nei suoi piani. Può essere considerato come un servizio alla comunità, un mezzo per esercitarvi una certa responsabilità e per collaborare con gli altri. Permette di esercitare una certa disciplina personale e di equilibrare gli aspetti piú interni che l'orario quotidiano comporta. Nei sistemi di previdenza sociale che entrano progressivamente in vigore nei vari paesi, il lavoro permette anche ai religiosi di prendere parte alla solidarietà nazionale alla quale nessun cittadino ha il diritto di sottrarsi. Piú generalmente, è un elemento di solidarietà con tutti i lavoratori del mondo. Il lavoro risponde cosí, non solo ad una necessità economica e sociale, ma anche ad una esigenza evangelica. Nessuno, in comunità, può identificarsi con un determinato lavoro rischiando di farlo sua proprietà, ma tutti devono essere disponibili per qualsiasi lavoro potrà essere loro richiesto. Durante il tempo di formazione iniziale, specialmente durante il noviziato, il tempo riservato al lavoro non deve usurpare quello che normalmente è riservato agli studi o ad altre attività in rapporto diretto con la formazione.
L'ASCESI
80. Essa occupa un posto particolare negli istituti dediti esclusivamente alla contemplazione, dove religiose e religiosi dovranno soprattutto capire come, nonostante le esigenze dell'abbandono del mondo che sono loro proprie, la loro consacrazione religiosa li rende presenti agli uomini e al mondo «in modo piú profondo nella tenerezza di Cristo» [13] «È monaco colui che è separato da tutti e unito a tutti». [14] Unito a tutti perché unito a Cristo. Unito a tutti perché porta in cuore l'adorazione, il ringraziamento, la lode, le angosce e la sofferenza dei suoi contemporanei. Unito a tutti perché Dio lo chiama in un luogo dove rivela all'uomo i suoi segreti. Non soltanto presenti al mondo, ma anche al cuore della Chiesa, cosí sono i religiosi dediti totalmente alla contemplazione. La liturgia che essi celebrano svolge una funzione essenziale della comunità ecclesiale. La carità che li anima e che essi si sforzano di rendere perfetta, vivifica, nello stesso tempo, il Corpo mistico di Cristo. In questo amore, essi toccano la prima sorgente di quanto esiste - «amor fontalis» - e, per questo, si trovano nel cuore del mondo e della Chiesa. «Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l'amore». [15] Questa è la loro vocazione e la loro missione.
L'ATTUAZIONE
81. La norma generale è che tutto il ciclo della formazione iniziale e permanente si svolga all'interno del monastero. È questo, per tali religiosi, il luogo piú conveniente dove può compiersi il cammino di conversione, di purificazione e di ascesi in vista di conformare la propria vita a Cristo. Questa esigenza ha ugualmente il vantaggio di favorire l'armonia della comunità. Infatti, è tutta la comunità, e non soltanto alcune persone o gruppi piú iniziati, che deve beneficiare dei vantaggi di una formazione ben ordinata.
82. Quando un monastero non può bastare a se stesso, per mancanza di insegnanti o di un numero sufficiente di candidati, alcuni servizi d'insegnamento (corsi, sessioni, ecc.) comuni a piú monasteri della stessa Federazione, del medesimo Ordine, o di vocazione fondamentale comune, si organizzeranno utilmente in uno dei monasteri, con periodicità conveniente alla natura contemplativa dei monasteri interessati. E per tutti i casi in cui le esigenze della formazione avranno incidenza sulla disciplina della clausura, bisognerà attenersi alla legislazione in vigore. [16] Per la formazione ci si può rivolgere anche a persone esterne al monastero ed allo stesso Ordine, provvedendo, però, che esse entrino nella prospettiva specifica dei religiosi che dovranno istruire.
83. L'associazione di monasteri di monache ad istituti maschili, a norma del c. 614, può ugualmente servire in modo vantaggioso alla formazione delle monache. Essa garantisce la fedeltà al carisma, allo spirito ed alle tradizioni di una stessa famiglia spirituale.
84. Ogni monastero veglierà per creare le condizioni favorevoli allo studio personale e alla lettura, con l'aiuto di una buona biblioteca costantemente aggiornata ed, eventualmente, di corsi per corrispondenza.
85. E richiesto agli ordini e congregazioni monastiche maschili, alle federazioni di monache ed ai monasteri non federati o non associati, di elaborare un piano di formazione («ratio») che farà parte del loro diritto proprio e che comporterà norme concrete di applicazione, conformemente ai cc. 650, 1 e 659-661.
V
QUESTIONI ATTUALI CONCERNENTI LA FORMAZIONE DEI RELIGIOSI
Vengono qui riunite questioni o posizioni alcune delle quali risultano da un'analisi succinta e che, di conseguenza, meritano probabilmente discussioni, sfumature e complementi. Per altro, sono enunciati orientamenti e principi, la cui applicazione concreta non può essere fatta che a livello di Chiese particolari.
A) I GIOVANI CANDIDATI ALLA VITA RELIGIOSA E LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
86. I giovani sono «la speranza della Chiesa», [1] essa ha «tante cose da dire ai giovani e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa». [2] Sebbene vi siano degli adulti candidati alla vita religiosa, i giovani dai 18 ai 25 anni rappresentano oggi la maggioranza. Nella misura in cui essi sono toccati da ciò che si è convenuto chiamare «la modernità», si possono trarre con sufficiente esattezza, sembra, alcuni tratti comuni. Il ritratto risente del modello nord-occidentale, ma questo modello tende ad universalizzarsi, nei suoi valori e nelle sue debolezze, e ciascuna cultura vi apporterà i ritocchi richiesti dalla sua propria originalità.
87. «La sensibilità dei giovani percepisce profondamente i valori della giustizia, della non-violenza e della pace. Il loro cuore è aperto alla fraternità, all'amicizia e alla solidarietà. Essi si mobilitano al massimo in favore delle cause che riguardano la qualità della vita e la conservazione della natura». [3] Essi generalmente, e a volte ardentemente, aspirano ad un mondo migliore e non è raro che si impegnino in associazioni politiche, sociali, culturali e caritative per contribuire a migliorare la situazione dell'umanità. A meno che non siano stati sviati da ideologie di tipo totalitario, per la maggior parte sono ardenti sostenitori della liberazione dell'uomo in fatto di razzismo, di sottosviluppo, di guerre, di ingiustizie. Tale atteggiamento non sempre è suggerito - e a volte è lontano dall'esserlo - da motivi di ordine religioso, filosofico e politico, ma non si può negarne la sincerità e la grande generosità. Tra questi ve ne sono alcuni che hanno n profondo senso religioso, che tuttavia ha bisogno di essere evangelizzato. Molti, infine, e non è necessariamente una minoranza, hanno condotto una vita cristiana molto esemplare e si sono impegnati coraggiosamente nell'apostolato, sperimentando ciò che può significare «seguire Gesú Cristo piú da vicino».
88. Stando cosí le cose, i capisaldi dottrinali ed etici tendono a relativizzarsi, al punto che non sempre sanno molto bene se esistono dei punti solidi di riferimento per conoscere la verità dell'uomo, del mondo e delle cose. La scarsità all'insegnamento della filosofia nei programmi scolastici ne è spesso responsabile. Esitano a dire chi sono e ciò che essi sono chiamati a divenire. Se hanno alcune convinzioni sull'esistenza del bene e del male, il senso di questi termini sembra essersi spostato in rapporto a ciò che esso era per le generazioni precedenti. Spesso vi è una sproporzione tra il livello delle loro conoscenze profane, a volte molto specializzate, e quello della loro crescita psicologica e della loro vita quotidiana. Non tutti hanno fatto una felice esperienza nella famiglia, data crisi che attraversa l'istituto familiare, sia dove la cultura non è stata profondamente impregnata di cristianesimo, sia in culture di tipo post-cristiano dove si impone l'urgenza di una nuova evangelizzazione, sia anche nelle culture evangelizzate da molto tempo. Essi imparano attraverso l'immagine, e la pedagogia scolastica in vigore a volte favorisce tale mezzo, ma leggono meno. Accade che loro cultura si caratterizzi per una quasi assenza di dimensione storica, come il nostro mondo cominciasse oggi. La società dei consumi, con le delusioni che essa genera, non li risparmia. Arrivando, a volte con fatica, a trovare il loro posto nel mondo, alcuni si lasciano sedurre dalla violenza, dalla droga e dall'erotismo. E sempre meno raro trovare, tra i candidati alla vita religiosa, giovani che non abbiano fatto esperienze infelici in questo campo.
89. Urgono allora i problemi che la ricchezza e la complessità di questo tessuto umano pongono alla pastorale delle vocazioni e nello stesso tempo alla formazione. È qui in causa il discernimento delle vocazioni. Soprattutto in certi paesi alcuni candidati e candidate si presenteranno per cercare piú o meno coscientemente una promozione sociale ed una sicurezza per l'avvenire; altri vedranno la vita religiosa come il luogo ideale di un impegno ideologico per la giustizia; altri, infine, di spirito piú conservatore, si aspetteranno che la vita religiosa sia il luogo di salvaguardia della loro fede in questo mondo considerato soprattutto come ostile e corrotto. Queste motivazioni rappresentano il risvolto di un certo numero di valori, ma richiedono di essere purificate e raddrizzate.
Nei paesi cosiddetti sviluppati, bisognerà promuovere soprattutto l'equilibrio umano e spirituale, a base di rinuncia, di fedeltà duratura, di generosità serena e costante, di gioia autentica e di amore. Ecco un programma esigente, ma necessario, per le religiose ed i religiosi incaricati della pastorale delle vocazioni e della formazione.
B) LA FORMAZIONE DEI RELIGIOSI E LA CULTURA
90. Il termine generale di cultura sembra possa riassumere, come lo propone la Costituzione pastorale Gaudium et spes, «quell'insieme di dati personali e sociali che contrassegnano l'uomo permettendogli di assumere e di dominare la sua condizione e il suo destino» (GS 53-62). [4] È perciò che si può dire che la cultura è «ciò per cui l'uomo diventa maggiormente uomo» e «si situa sempre in relazione essenziale e necessaria con ciò che l'uomo è». [5] D'altra parte, «la professione dei consigli evangelici, quantunque comporti la rinuncia di beni certamente apprezzabili, tuttavia non si oppone al vero progresso della persona umana, ma per sua natura gli è di grandissimo giovamento». [6]
Esiste dunque un'affinità tra la vita religiosa e la cultura.
91. Concretamente, questa affinità richiama la nostra attenzione su alcuni punti. Gesú Cristo e il suo Vangelo trascendono ogni cultura, anche se la presenza del Cristo risuscitato e del suo Spirito le penetrano tutte nell'intimo. [7] D'altra parte, ogni cultura deve essere evangelizzata, cioè purificata e sanata dalle ferite del peccato. Nello stesso tempo, la sapienza che porta in se è sorpassata, arricchita e completata dalla saggezza della Croce. [8]
Converrà dunque, sotto ogni aspetto:
- tener conto del livello di cultura generale del candidato, senza dimenticare che la cultura non si limita alla dimensione intellettuale della persona;
- verificare come le religiose e i religiosi riescono ad inculturare la loro fede nella loro cultura d'origine ed aiutarli in questo. Ciò non deve condurre a trasformare le case di formazione alla vita religiosa in una sorta di laboratorio di inculturazione. I responsabili di formazione non possono tuttavia mancare di vigilare nella guida personale della loro fede e del radicamento nella vita di tutta la persona, essi non possono dimenticare che il Vangelo introduce in una cultura di verità ultima dei valori che essa porta e che, d'altra parte, la cultura esprime il Vangelo in modo originale e ne manifesta nuovi aspetti; [9]
- iniziare le religiose ed i religiosi, che vivono e lavorano in una cultura estranea alla loro cultura di origine, alla conoscenza e alla stima di tale cultura, secondo le raccomandazioni del Decreto conciliare Ad gentes, n. 22;
- promuovere nelle giovani Chiese, in comunione con l'intera Chiesa locale sotto la guida del suo pastore, una vita religiosa inculturata, conformemente al Decreto Ad gentes, n. 18.
C) VITA RELIGIOSA E MOVIMENTI ECCLESIALI
92. «Nella Chiesa-comunione, gli stati di vita sono cosí uniti tra loro da essere coordinati l'uno all'altro. Il loro senso profondo è il medesimo, è unico per quello di essere un modo di vivere l'uguale dignità cristiana e la vocazione universale alla santità nella perfezione dell'amore. Le modalità sono nello stesso tempo diverse e complementari, in modo che ciascuna di esse ha la sua fisionomia originale che non si può confondere, e, nello stesso tempo, ciascuna si pone in relazione con tutte le altre e a loro servizio». [10]
Ciò è confermato dalle numerose esperienze attuali di condivisione, non solo di lavoro, ma anche talvolta di preghiera e di mensa tra religiosi e laici, Il nostro proposito non è quello di cominciare qui uno studio d'insieme su questa situazione, ma di considerare unicamente le relazioni religiosi-laici sotto l'aspetto dei movimenti ecclesiali, dovuti per la maggior parte all'iniziativa dei laici.
Da sempre, in seno al popolo di Dio si sono manifestati movimenti ecclesiali da un desiderio di vivere piú intensamente il Vangelo e di annunciarlo agli uomini. Alcuni di essi erano legati abbastanza strettamente ad istituti religiosi, di cui condividevano la spiritualità specifica. Ai giorni nostri, e specialmente da alcuni decenni, sono apparsi nuovi movimenti, piú indipendenti dei primi dalle strutture e dallo stile della vita religiosa, e la cui influenza benefica per la Chiesa è stata spesso ricordata durante il Sinodo dei vescovi sulla vocazione e missione dei laici (1987), purché obbediscano ad un certo numero di criteri di ecclesialità. [11]
93. Per mantenere una felice comunione tra questi movimenti e gli istituti religiosi, tanto piú che numerose vocazioni religiose sono, qua e là, sorte da questi movimenti, bisogna riflettere sulle seguenti esigenze e sulle conseguenze concrete che esse comportano per i membri di questi istituti:
- Un istituto, tale quale l'ha voluto il fondatore e tale quale l'ha approvato la Chiesa, ha una coerenza interna che riceve dalla sua natura, dal suo fine, dal suo spirito, dal suo carattere e dalle sue tradizioni. Tutto questo patrimonio costituisce l'asse intorno al quale si mantiene insieme l'identità e l'unità dell'istituto stesso [12] e l'unità di vita di ciascuno dei suoi membri. È un dono dello Spirito alla Chiesa che non può sopportare interferenze né mescolanze. Il dialogo e la condivisione in seno alla Chiesa suppongono che ciascuno abbia perfetta coscienza di ciò che si è.
- Un candidato alla vita religiosa proveniente dall'uno o dall'altro di questi movimenti ecclesiali si pone liberamente, quando entra nel noviziato, sotto l'autorità dei superiori e dei formatori legittimamente incaricati di formarlo. Non può, quindi, dipendere nello stesso tempo da un responsabile esterno all'istituto al quale ormai appartiene, anche se prima di entrare apparteneva a tale movimento. Qui si tratta dell'unità dell'istituto e dell'unità di vita dei novizi.
- Queste esigenze rimangono al di là della professione religiosa, al fine di eliminare ogni fenomeno di pluri-appartenenza, sul piano della vita spirituale del religioso e sul piano della sua missione. Se non fossero rispettate, la necessaria comunione tra i religiosi e i laici rischierebbe di degenerare in confusione tra i due piani indicati sopra.
D) IL MINISTERO EPISCOPALE E LA VITA RELIGIOSA
94. Questa questione è divenuta attuale dopo la pubblicazione del documento Mutuae relationes e dopo che il S. Padre Giovanni Paolo II ha sottolineato in piú circostanze l'impatto della carica pastorale dei Vescovi sulla vita religiosa.
Il ministero del Vescovo e quello di un superiore religioso non sono in concorrenza. Esiste certamente un ordine interno degli istituti che possiede il suo campo proprio di competenza in vista del mantenimento e della crescita della vita religiosa. Questo ordine interno, gode di una vera autonomia, ma quest'ultima si dovrà esercitare necessariamente nel quadro di una comunione ecclesiale organica. [13]
95. In effetti, "è riconosciuta ai singoli istituti una giusta autonomia di vita specialmente di governo, mediante la quale abbiano nella Chiesa una propria disciplina e possano conservare integro il proprio patrimonio (...). È compito degli ordinari dei luoghi conservare e tutelare tale autonomia". [14] Nel quadro di questa autonomia, «il diritto proprio (degli istituti) deve stabilire il regolamento e la "durata della formazione", tenendo presenti le necessità della Chiesa e le condizioni delle persone e dei tempi, secondo quanto esigono le finalità e l'indole dell'istituto ». [15]
«Quanto all'ufficio di insegnare, i superiori religiosi hanno la competenza e l'autorità dei maestri di spirito in relazione al progetto evangelico del proprio istituto: in tale ambito, quindi, devono esplicare una vera direzione spirituale dell'intera congregazione e delle singole comunità della medesima, in sincera concordia con l'autentico magistero della gerarchia» [16]
96. D'altra parte, i Vescovi, in quanto «dottori autentici» e «testimoni della verità divina e cattolica», [17] hanno una «responsabilità circa l'insegnamento dottrinale della fede, sia nei centri dove se ne coltiva lo studio, sia nell'impiego dei mezzi di trasmetterla». [18] Spetta ai Vescovi, quali maestri autentici e guide di perfezione per tutti i membri della loro diocesi (cf. ChD 12.15.35/2: LG 25, 45), di essere i custodi anche della fedeltà alla vocazione religiosa nello spirito di ciascun istituto», [19] secondo le norme del diritto (cf. cc. 386.387.591.593.678).
97. A ciò non si oppone affatto l'autonomia di vita, e in particolare di governo riconosciuta agli istituti religiosi. Se, nell'esercizio della sua giurisdizione, il Vescovo è limitato dal rispetto di questa autonomia, non è pertanto dispensato dal vegliare sul cammino dei religiosi verso la santità. Compete infatti ad un successore degli Apostoli, in quanto ministro della Parola di Dio, di invitare in generale i cristiani a seguire Cristo e, in special modo, quelli che ricevono la grazia di seguirlo «piú da vicino» (c. 573, 1). L'istituto al quale essi appartengono rappresenta già per se stesso e per loro una scuola di perfezione e una via verso la santità, ma la vita religiosa che propone è un bene della Chiesa e, come tale, comporta la responsabilità del Vescovo. Il rapporto del Vescovo con le religiose ed i religiosi, generalmente percepito a livello di apostolato, si radica piú profondamente nel suo compito di ministro del Vangelo, al servizio della santità della Chiesa e dell'integrità della sua fede.
In questo spirito e sulla base di questi principi, è conveniente che i Vescovi delle Chiese particolari siano per lo meno informati dai superiori maggiori dei programmi di formazione in vigore nei centri o servizi di formazione dei religiosi situati sul territorio di cui essi sono i pastori. Ogni difficoltà rilevata dalla responsabilità episcopale e concernente il funzionamento di questi servizi o centri sarà esaminata tra il Vescovo ed i superiori maggiori, conformemente al diritto ed agli orientamenti dati dal documento Mutuae relationes (nn. 24-25) ed, eventualmente, con l'aiuto degli organi di coordinamento indicati dallo stesso documento ai nn. 52-67.
E) LA COLLABORAZIONE INTER-ISTITUTI A LIVELLO DELLA FORMAZIONE
98. La prima responsabilità della formazione dei religiosi appartiene di diritto a ciascun istituto e sono i superiori maggiori degli istituti, con l'aiuto dei loro responsabili qualificati, che hanno l'importante missione di vigilarvi. Ogni istituto deve, d'altra parte, secondo il diritto, stabilire il proprio programma di formazione (ratio). [20]
Frattanto, diverse circostanze hanno costretto numerosi istituti, in tutti i continenti, a mettere in comune i loro mezzi di formazione (personale ed istituzioni) allo scopo di collaborare a questa opera cosí importante che non era loro piú possibile compiere da soli.
99. Questa collaborazione si effettua per mezzo di centri permanenti o di servizi periodici.
Si chiama centro inter-istituti un centro di studio per religiosi, posto sotto la responsabilità collettiva dei superiori maggiori di istituti i cui membri partecipano a questo centro. Suo scopo è di assicurare la formazione dottrinale e pratica richiesta dalla missione specifica degli istituti e conformemente alla loro natura. Esso è distinto dalla comunità di formazione propria di ciascun istituto e in seno alla quale il novizio e il religioso sono iniziati alla vita comunitaria, spirituale e pastorale dell'istituto. Quando un istituto partecipa ad un centro inter-istituti, dovrà esser messa a punto una complementarietà tra la comunità di formazione e il centro, in vista di una formazione armoniosa ed integrale.
I centri di formazione in seno ad una federazione obbediscono a norme scritte negli statuti della federazione e qui non vengono trattati. Lo stesso avviene dei centri o servizi di studi posti sotto la responsabilità di un solo istituto, ma che accolgono come ospiti religiose e religiosi di altri istituti.
100. La collaborazione inter-istituti per la formazione dei giovani professi e professe, la formazione permanente e la formazione dei formatori, può effettuarsi nell'ambito di un centro. Quella dei novizi, al contrario, non può essere data che sotto forma di servizi periodici, in quanto la comunità propriamente detta del noviziato non può essere che una comunità omogenea propria di ciascun istituto.
Il nostro Dicastero pubblicherà prossimamente un documento circostanziato e normativo concernente l'attuazione della collaborazione inter-istituti nel campo della formazione.
VI
I RELIGIOSI CANDIDATI AI MINISTERI DIACONALE E PRESBITERALE
101. Le questioni sollevate da questo tipo di religiosi meritano di essere esposte a parte, visto il loro carattere particolare. Esse sono di tre ordini. Le une riguardano la formazione ai ministeri in quanto tali; altre la specificità religiosa dei religiosi-sacerdoti e diaconi; altre infine l'inserimento del religioso-sacerdote in seno al presbiterio diocesano.
LA FORMAZIONE
102. In alcuni istituti, definiti dalla loro legislazione come clericali, talvolta è stato proposto di dare la medesima formazione ai fratelli laici e ai candidati ai ministeri ordinati. A livello del noviziato, una formazione comune agli uni e agli altri sembra anzi talvolta imposta dal carisma specifico dell'istituto. Ne derivano conseguenze benefiche quanto al livello ed alla integralità della formazione dottrinale dei fratelli laici e alla loro integrazione nella comunità. Ma in tutti i casi, la durata e il contenuto degli studi preparatori al ministero presbiterale, segnatamente, dovranno essere rigorosamente osservati ed eseguiti.
103. «La formazione dei membri che si preparano a ricevere gli ordini sacri è regolata dal diritto universale e dal "piano di studi" proprio dell'istituto». [1] Cosí i religiosi candidati al ministero presbiterale si conformeranno alle norme della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis [2] e i candidati al diaconato permanente alle disposizioni previste in proposito dal diritto proprio degli istituti. Non ritorniamo qui sull'integrità di questa «Ratio» le cui linee maestre figurano nel diritto canonico. [3] Ci accontenteremo di ricordare, affinché siano osservate dai superiori maggiori, alcune tappe del «cursus» di formazione.
104. Gli studi di filosofia e di teologia condotti successivamente o congiuntamente, comprenderanno almeno sei anni completi, in modo che due anni interi siano dedicati alle discipline filosofiche e quattro anni interi agli studi teologici. I superiori maggiori vigileranno sull'osservanza di queste disposizioni, soprattutto quando dovessero affidare i loro giovani religiosi a centri inter-istituti o ad università.
105. Nonostante che tutta la formazione dei candidati al ministero presbiterale persegua un fine pastorale, tuttavia si avrà una formazione pastorale propriamente detta, adatta alla finalità dell'istituto. Il programma di questa formazione si ispirerà al Decreto Optatam totius e, per i religiosi chiamati a lavorare nelle culture estranee alla loro cultura di origine, al Decreto Ad gentes. [4]
106. I religiosi sacerdoti dediti alla contemplazione, monaci o altri, chiamati dai loro superiori a tenersi a disposizione degli ospiti per il ministero della riconciliazione o della direzione spirituale, saranno provvisti di una formazione pastorale appropriata per questo ministero. Si conformeranno ugualmente agli orientamenti pastorali della Chiesa particolare nella quale essi si trovano.
107. Saranno osservate in proposito tutte le condizioni richieste per gli ordinandi, tenendo conto della natura e degli obblighi propri dello stato religioso. [5]
LA SPECIFICITÀ RELIGIOSA DEI RELIGIOSI SACERDOTI E DIACONI
108. «Un sacerdote religioso, immerso nella pastorale accanto a sacerdoti diocesani, dovrà mostrare chiaramente con i suoi atteggiamenti di essere religioso», [6] perché appaia sempre nel religioso-sacerdote o diacono «ciò che caratterizza la vita religiosa e i religiosi e dia loro un volto», [7] sembra che debbano essere realizzate molte condizioni, sulle quali è bene che i religiosi candidati al ministero presbiterale e diaconale, si interroghino durante il tempo della loro formazione iniziale e nel corso della formazione permanente:
che abbiano una chiara percezione e convinzioni ben fondate sulla natura del ministero presbiterale e diaconale, che appartiene alla struttura della Chiesa, e della vita religiosa che appartiene alla sua santità e alla sua vita, [8] pur mantenendo il principio che il loro ministero pastorale appartiene alla natura della loro vita religiosa; [9]
- che attingano, per la loro vita spirituale, alle sorgenti dell'istituto al quale appartengono ed accolgano in se il dono che tale istituto rappresenta per la Chiesa;
- che testimonino un'esperienza spirituale personale che si ispiri alla testimonianza ed all'insegnamento del fondatore;
- che conducano la loro vita in maniera conforme alla regola di vita che si sono impegnati ad osservare;
- che vivano in comunità secondo il diritto;
- che siano disponibili e mobili per il servizio della Chiesa universale, se i superiori dell'istituto ve li chiamano.
Se queste condizioni vengono osservate, il religioso-sacerdote o diacono giungerà ad armonizzare convenientemente queste due dimensioni della sua unica vocazione.
IL POSTO DEL RELIGIOSO SACERDOTE NEL CLERO DIOCESANO
109. La formazione del religioso sacerdote deve tener conto del suo futuro inserimento nel clero di una Chiesa particolare, soprattutto se deve esercitarvi un ministero, «tenuto conto tuttavia del carattere proprio di ciascun istituto». [10] Infatti, «la Chiesa particolare costituisce lo spazio storico in cui una vocazione si esprime nella realtà e realizza il suo impegno apostolico» [11] I religiosi sacerdoti possono a buon diritto considerarla come «la patria della (loro) vocazione». [12]
I principi fondamentali che regolano questo inserimento sono stati dati dal Decreto conciliare Christus Dominus (nn. 34-35). I religiosi sacerdoti sono i «collaboratori dell'ordine episcopale», «a un certo titolo veridico, essi appartengono al clero della diocesi in quanto partecipano alla cura delle anime e alle opere di apostolato sotto l'autorità dei Vescovi». [13]
A proposito di questo inserimento, il documento Mutuae relationes (nn. 15-23) mette in rilievo l'influenza reciproca tra i valori universali e particolari. Se è richiesto ai religiosi, «anche se appartengono ad un istituto di diritto pontificio, di sentirsi veramente partecipi della famiglia diocesana» [14], il diritto canonico riconosce loro una giusta autonomia perché sia mantenuto il carattere universale e missionario. [15] Poiché l'attività del Popolo di Dio nel mondo è di per e stessa universale e missionaria, sia per il carattere medesimo della Chiesa (LG 17) che per il comando di Cristo che conferisce all'apostolato un'universalità senza frontiere. [16]
Abitualmente, la situazione dei religiosi sacerdoti in una Chiesa particolare è regolata con una convenzione scritta [17] tra il Vescovo diocesano ed il superiore competente dell'istituto o della persona interessata.
CONCLUSIONE
110. Questo documento ha inteso tener conto delle esperienze già tentate dopo il Concilio e farsi ugualmente eco di questioni sollevate dai superiori maggiori. Esso ricorda a tutti alcune esigenze di diritto in funzione delle circostanze e dei bisogni presenti. Spera, infine, di essere utile agli istituti religiosi affinché tutti progrediscano nella comunione ecclesiale sotto la guida del Papa e dei Vescovi, ai quali «compete il ministero di discernere e di armonizzare; e ciò comporta l'abbondanza di speciali doni dello Spirito e il peculiare carisma dell'ordinamento dei vari ruoli in intima docilità d'animo verso l'unico Spirito vivificante». [1]
Vi è indicato, anzitutto, che la formazione dei religiosi ha come fine primario di iniziarli alla vita religiosa e di aiutarli a prender coscienza della loro identità di consacrati per la professione dei consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza, in un istituto religioso. Tra gli agenti della formazione, viene dato il primato allo Spirito Santo, poiché la formazione dei religiosi è un'opera essenzialmente teologale, nella sua sorgente e nel suo obiettivo. Vi si insiste sulla necessità di formare guide qualificate, senza attendere che coloro i quali attualmente sono in carica abbiano finito il loro mandato. L'ufficio di primo piano che compiono il religioso stesso e la sua comunità, fanno di questo compito un luogo di esercizio privilegiato della responsabilità personale e comunitaria. Sono state sollevate diverse questioni attuali, che non ricevono tutte una risposta perentoria, ma che provocano, almeno, la riflessione. Un posto a parte è dato anche agli istituti dediti alla contemplazione, considerata la loro collaborazione nel cuore della Chiesa e la specificità della loro vocazione.
Non rimane ora che chiedere per tutti, superiori, educatori e formatori, religiosi, la grazia della fedeltà alla loro vocazione, ad esempio e sotto la protezione della Vergine Maria. Nel suo cammino nel corso dei tempi, la Chiesa «procede ricalcando l'itinerario compiuto dalla Vergine Maria, la quale avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione con il Figlio fino alla croce». [2] Il tempo di formazione aiuta il religioso a percorrere questo itinerario alla luce del mistero di Cristo che «illumina pienamente» [3] il mistero di Maria, nello stesso tempo che il mistero di Maria «è per la Chiesa come un suggello del mistero dell'Incarnazione», [4] cosí come apparve al Concilio di Efeso. Maria presente alla nascita e alla formazione di una vocazione religiosa. Ella è associata intimamente a tutta la sua crescita nello Spirito Santo. La missione che ella ha svolto accanto a Gesú la completa a beneficio del suo Corpo che è la Chiesa ed in ciascuno dei cristiani, specialmente in coloro che si impegnano a seguire Gesú Cristo piú da vicino. [5] Per questo, un clima mariano, sorretto da un'autentica teologia, assicurerà alla formazione dei religiosi l'autenticità, la solidità e la gioia senza le quali la loro missione nel mondo non potrebbe essere pienamente compiuta.
Nel corso dell'udienza concessa il 10 novembre 1989 al sottoscritto Cardinale Prefetto, il Santo Padre ha approvato il presente documento della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e ne ha autorizzato la pubblicazione con il titolo: Direttive sulla formazione negli istituti religiosi.
Roma, dalla sede della Congregazione, il 2 febbraio 1990, Presentazione del Signore.
fr. Jérome card. Hamer, Praefectus
+ Vincentius Fagiolo, Arch. em. Theatin.-Vast. - Secretarius
Note
____________________
INTRODUZIONE - NOTE
[1] LG 43.
[2] Cf. PC 18, 3.
[3] Per ordine cronologico: S.C. DEI RELIGIOSI, Decreto Quo efficacius, 24-1-1944: AAS 36 (1944) 213; Lettera circolare Quantum conferat, 10.6.44: Enchiridion de statibus perfectionis, Romae 1949, nn. 382. 561-564; Costituzione apostolica Sedes Sapientiae, 31-5-1956: AAS 48 (1956) 354-365, e statuti generali annessi alla Costituzione.
[4] ET 32; cf. 2 Cor 4, 16; Rom 7, 22; Ef 4, 24; EV 996 ss.
[5] Giovanni Paolo II a Porto Alegre, 5-7-1980: IDGP III, 2, 128; Giovanni Paolo II a Bergamo, 26-4-1981: ibid. IV, 1, 1035; Giovanni Paolo II a Manila, 17-2-1981: IDGP IV, 1, 329; Giovanni Paolo II ai Gesuiti a Roma, 27-2-1982: IDGP V, 1, 704; Giovanni Paolo II ai maestri dei novizi dei Cappuccini a Roma, 28-9-1984: IDGP VII, 2, 689; Giovanni Paolo II a Lima, 1-2-1985: IDGP VIII, 1, 39; Giovanni Paolo II all'UISG a Roma, 7-5-1985: ibis 1212; Giovanni Paolo II a Bombay, 10-2-1986: IDGP IX, 1, 420; Giovanni Paolo II all'UISG, 22-5-1986: ibid. 1656; Giovanni Paolo II alla conferenza dei religiosi del Brasile, 11-7-1986: IDGP IX, 2, 237.
[6] Cf. CIC, cc. 641-661
[7] RC, Introduzione: AAS (1969) 103 ss.
[8] CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI E GLI ISTITUTI SECOLARI E CONGREGAZIONE PER I VESCOVI: AAS 70 978) 473 ss.
[9] CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI E GLI ISTITUTI SECOLARI, EV 7, 414 ss.
[10] CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI E GLI ISTITUTI SECOLARI, EV 9, 181.
[11] DCVR 4.
[12] Giovanni Paolo II alla Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari, 7-3-1980: IDGP III, 1,527.
[13] Cf. C. 659, 2 e 3.
[14] RI I, 2 MS 62 (1970) 321 SS.
[15] Cf. C. 606
PARTE II - CONSACRAZIONE RELIGIOSA E FORMAZIONE - NOTE
[1] Cf. Giovanni Paolo II all'UISG, 7-5-1985; vedi nota 5, Introduzione.
[2] Cc. 607 e 573, 1; cf. anche LG 44 e PC 1, 5 e 6.
[3] C. 573, 2.
[4] Cf. 1 Cor 6, 19.
[5] LG 43.
[6] PC 2a. Sulla vocazione divina, cf. LG 39.43b.44a.47; PC1c; RC preambolo, 2d; OPR I, 57.62.67.85.140.142; II 65.72; Appendice; OCV 17, 20; ET 3.6.8.12.19.31.55; MR 8a; cc. 574, 2. EE 2.5.6.7.12.14.23.44.53; RD 3c.6b.7d.10c.16a.
[7] RD 3.
[8] RD 8.
[9] Sulla responsabilità personale, cf. anche LG 44a.46b.47; PC 1c; RC 2a, c; 13,1; OPR 1,7.80; ET 1.4.7.8.31.; can. 573, 1; EE 4.5.30.44.49; RD 7a.8b.9b.
[10] C. 654.
[11] Cf. EE 13-17.
[12] C. 607, 2.
[13] LG 43a. Sul ministero della Chiesa nella consacrazione religiosa, cf. anche LG 44a. 45c; PC 1b, c;5b.11a; OPR, Appendix, Missa in die professionis perpetuae 1; Ritus promissionis 5; OCV 16; ET 7,47; MR 8; can. 573, 2 2.576.598.600-602; EE 7.8.11.13.40.42; RD 7a, b. 14c.
[14] RD 9: AAS 76 (1984) 513 ss.
[15] RD 8: ibid.
[16] LG 31.
[17] LG 44.
[18] Cf. 1 Gv 2, 15-17
[19] Cf. LG 46.
[20] Cf. LG 39.42.43.
[21] C. 599.
[22] PC 12.
[23] C. 600.
[24] Cf. Lc 4, 16-21.
[25] Cf. Lc 7, 18-23.
[26] Documento di Puebla, nn. 733-735; Giovanni Paolo II parla di "amore di predilezione" (discorso alla famiglia del Prado, a Lione, 7-10-1986).
[27] LG 31.
[28] Cf. GS 32.
[29] Congregazione per la Dottrina della Fede, 22.3.1986.
[30] C. 601.
[31] C. 590, 1 e 2.
[32] PC. 14.
[33] PC 14.
[34] Cf. Gv 14, 16.
[35] LG 43.
[36] LG 46.
[37] ET 11, cf. nota 4 Introduzione.
[38] PR 11; cf. nota 8 Introduzione.
[39] C. 598, 1.
[40] Cf. c. 598, 2.
[41] PC 6.
[42] Cf. PC 5
[43] PC 8.
[44] S. TOMMASO, Sem. Theol., II, q. 188; a. 1 e 2.
[45] C. 673.
[46] Cf. PC 8.
[47] Cf. RPU 13-21; cf. nota 9, Introduzione.
PARTE II - ASPETTI COMUNI A TUTTE LE TAPPE DELLA FORMAZIONE ALLA VITA RELIGIOSA - NOTE
[1] 1Ts 5, 23-24; cf. 2 Ts 3,3.
[2] Gv 16, 13.
[3] Cf. Gv 14, 26; 16, 12.
[4] Cf. 1Gv 2, 20-27.
[5] Cf. Rm 8, 15-26.
[6] RD 17: AAS 76 (1984) 513 ss.
[7] EE 11, 53; cf. nota 10, Introduzione; LG 53 e can. 663, 4; RM 42-45; Lettera di Giovanni Paolo II a tutte le persone consacrate, 22-5-1988.
[8] Cf. LG 44.
[9] MR 10; cf. nota 8, Introduzione.
[10] MR 10; cf. nota 8, Introduzione; cf. LG 44 3 c. 678.
[11] LG 45; MR 8; cf. nota 8, Introduzione.
[12] Cf. S. Atanasio, Vita S. Antonio: PG 26, 841-845.
[13] Cf. DV 25.
[14] Cf. LG 45.
[15] Cf. LG 11.
[16] PG 12, 1265.
[17] Cf. DV 10.
[18] Cf. MR 5; cf. nota 8, Introduzione.
[19] LG 18.
[20] Esercizi spirituali, nn. 351 e 352.
[21] LG 4.
[22] RPU 24; cf. nota 9, Introduzione.
[23] Ibid.; cf. anche Documento a Puebla, nn. 211-219.
[24] RPU 33c; cf. nota 9, Introduzione; cf. anche c. 602.
[25] Cf. At 2,42; Pc 15 e c. 602; cf. EE 18-22.
[26] Cf. cc. 601.618 e 619; PC 14.
[27] Cf. Gv 12, 24 e Gal 5, 22.
[28] ET 32-34; cf. nota 4, Introduzione; cf. anche EE 18-22.
[29] Lc 24,25.
[30] Cf. Lc 24, 32.
[31] Cf. Tb 5, 10.17.22.
[32] DCVR 20; cf. nota 9, introduzione.
[33] OT 5b.
[34] Cf. GS 12-22 e 61.
[35] Cf. GE 1 e 2.
[36] Cf. OT 11.
[37] Cf. PC 5.
[38] DCVR 17; cf. nota 9, Introduzione.
[39] Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile, 11.7.1986, n. 5; cf. nota 5 Introduzione.
[40] LG 44.
[41] RC 5; cf. nota 7, Introduzione.
[42] Documento finale del Sinodo particolare dei vescovi dei Paesi Bassi L'Osservatore Romano 2-2-1980, proposizione 32.
[43] MD 7.
[44] MD 6.
[45] MD 7.
[46] CL 50.
[47] Ibid. 50.
[48] RM 46.
PARTE III - LE TAPPE DELLA FORMAZIONE DEI RELIGIOSI - NOTE
[1] Cf. RC 4; nota 7, Introduzione.
[2] Cf. c. 597,2.
[3] Cf. cc. 641-645.
[4] Vedere sopra, nn. 90-91.
[5] Cf. c. 646.
[6] C. 646.
[7] LG 44.
[8] LG. 46.
[9] C. 652,2.
[10] C. 648, 2.
[11] RC 5; A. nota 7, Introduzione.
[12] C. 652, 5.
[13] C. 650, 1.
[14] Cf. c. 597, 1 e 2; cc. 641-645.
[15] Cf. c. 134, 1 e 1047, 4.
[16] Cf. cc. 647-649 e 653, 2.
[17] LG 46b.
[18] Cf. cc. 650-652, 1.
[19] Cf. c. 985.
[20] C. 652, 3.
[21] C. 652, 4
[22] Cf. LG 45
[23] Del 2-2-1970, Nuova edizione emendata nel 1975; EV 3, 1237.
[24] Giovanni Paolo Il a Madrid, 2-11-1982: AAS 75 (1983) 271.
[25] RC 7; nota 7, Introduzione.
[26] OPR 5; cf. nota 24.
[27] Ibid. 6.
[28] Ibid.
[29] Cf. cc. 655-658.
[30] C. 659, 1 e 2.
[31] C. 660, 1-2.
[32] Cf. Mc 8,31-39; 9,31-32; 10,32-34.
[33] UR 11.
[34] RI nn. 70-81 e nota 148; 90-93; EV 3, 1103.
[35] MR 13a; cf. nota 8, Introduzione.
[36] EE 11, 47; cf. nota 8, Introduzione.
[37] DCVR II, 11; cf. nota 9, Introduzione.
[38] PC 14; cf. anche c. 630.
[39] DCVR II, 11; cf. anche nota 9, Introduzione.
[40] Cf. c. 660, 1.
[41] MR 26; cf. nota 8, Introduzione.
[42] C, 661.
[43] Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile, 11-7-1986, n. 6, cf. nota 5, Introduzione.
[44] MR 11b.12b.23f; cf. nota 8, Introduzione.
[45] Cf. PC 2d.
[46] 2Cor 4, 16; cf. anche 5, 1-10.
[47] Gv 21, 15-19.
[48] Cf. Fil 3, 10; cf. 1, 20-26; cf. anche LG 48.
PARTE IV
LA FORMAZIONE NEGLI ISTITUTI DEI RELIGIOSI INTERAMENTE DEDITI ALLA CONTEMPLAZIONE
NOTE
[1] PC 7.
[2] DCVR 26 e 27; cf. nota 9, Introduzione.
[3] Eb 11, 8.
[4] ibid.
[5] Cf. Eb 11, 27.
[6] 1Cor 13, 12.
[7] ORIGENE, Peri Archon 1.8.1.
[8] Cf. LG 49.50; SC 5.8.9.10.
[9] Paolo VI ai superiori maggiori d'Italia: AAS 58 (1966) 1180; vedi anche Lettera ai Certosini, 18-4-1971: AAS 63 (1971) 448-449.
[10] cf. PAOLO VI, enciclica Mysterium fidei: AAS 57 (1965) 761-762.
[11] S. TOMMASO, Somma theol., III, q. 82, a. 10.
[12] Idem, II-II ae, q. 189, a. 8, ad 2um.
[13] LG 46.
[14] VS III, Introduzione e nota 27; EV 3, 865.
[15] S. TERESA DEL BAMBINO GESÚ, Manoscritti autobiografici, 1957, p. 229.
[16] Cf. c. 667.
PARTE V - QUESTIONI ATTUALI CONCERNENTI LA FORMAZIONE DEI RELIGIOSI - NOTE
[1] GE 2.
[2] CL 46; cf. anche Prop. 51 e 52 del VII Sinodo dei Vescovi (1987).
[3] CL 46.
[4] CIT 8.10.1985, n. 4, 1; EV 9, 1622.
[5] Giovanni Paolo II all'UNESCO, 1980, nn. 6-7; IDGP 1980, 1, 1636.
[6] LG 46.
[7] CIT, Fede e inculturazione, nn. 8-22. Civiltà Cattolica, gennaio 1989.
[8] Ibid.; cf. anche CL 44.
[9] CIT, nn. 4-2; cf. nota 4 di questo capitolo.
[10] CL 55.
[11] CL 30.
[12] Cf. c. 578.
[13] ChD 35, 3 e 4.
[14] C. 586.
[15] C. 659, 2; cf. anche c. 650, 1 per quello che riguarda specialmente il noviziato.
[16] MR 13a; d. nota 8, Introduzione.
[17] LG 25.
[18] MR 33; cf. nota 8, Introduzione; cf. anche cc. 753 e 212, 1.
[19] MR 28; cf. nota 8, Introduzione. Per il Vescovo «perfector», cf. Summa Theol., II-IIae q. 184.
[20] CC, 650, 1 e 659, 2. Vedere anche Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile, 11-7-1986, n. 5; cf. nota 5, Introduzione.
PARTE VI - I RELIGIOSI CANDIDATI AI MINISTERI DIACONALE E PRESBITERALE - NOTE
[1] C. 659,3.
[2] 1a Ed. 6-1-1970; 2a Ed. 19-3-85.
[3] Cf. cc. 242-256.
[4] Vedere OT 4 e 19-21; AG 25-26.
[5] Cf. cc. 1010-1054.
[6] Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile, 3-7-1980; cf. nota 5, Introduzione.
[7] Ibid.
[8] Cf. LG 44.
[9] Cf. PC 8.
[10] CD 35, 2.
[11] MR 23d.
[12] MR 37.
[13] CD 34. «ut Episcopis auxiliatores adsint et subsint», detto CD 35.
[14] MR 18b.
[15] Cf. c. 586, 1 e 2.
[16] Cf. c. 591 e MR 23.
[17] MR 57-58; cf. anche c. 520, 2.
CONCLUSIONE - NOTE
[1] MR 6; cf. nota 8, Introduzione.
[2] RM 2: AAS 79 (1987) 361 ss.
[3] RM 4: ibid.
[4] Ibid.
[5] LG 42.
_______________
SIGLE DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II
AG: Decreto Ad gentes, 1965.
ChD: Decreto Christus Dominus, 1965.
DV: Costituzione dogmatica Dei Verbum 1965.
GE: Dichiarazione Gravissimum educationis, 1965.
GS: Costituzione pastorale Gaudium et spes, 1965.
LG: Costituzione dogmatica Lumen gentium, 1965.
OT: Decreto Optatam totius, 1965.
PC: Decreto Perfectae caritatis, 1965.
PO: Decreto Presbyterorum ordinis, 1965.
UR: Decreto Unitatis redintegratio, 1964.
SC: Costituzione Sacrosantum Concilium, 1963.
DOCUMENTI DEI PAPI
ChL: Esortazione apostolica Christifideles laici, Giovanni Paolo II, 1989.
ET: Esortazione apostolica Evangelica testificatio, Paolo VI, 1971.
MD: Lettera apostolica Mulieris dignitatem, Giovanni Paolo II, 1988.
RD: Esortazione apostolica Redemptionis donum, Giovanni Paolo II, 1984.
RM: Enciclica Redemptoris Mater, Giovanni Paolo II, 1987.
ALTRI DOCUMENTI DELLA SANTA SEDE
CDC: Codice di diritto canonico, 1983.
c.o.cc.: canoni del codice di diritto canonico.
CDVR: Dimensione contemplativa della vita religiosa, Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA), 1980. Non esistendo la traduzione ufficiale in lingua latina di questo documento, utilizziamo le sigle del titolo dell'edizione italiana apparsa in OR, 12 novembre 1980.
EE: Elementi essenziali della vita religiosa applicati agli istituti consacrati all'apostolato, CIVCSVA, 1983.
FS: Lettera circolare circa alcuni aspetti piú urgenti della preparazione spirituale nei seminari, Congregazione per l'Educazione Cattolica, 1980. Idem, in OR, 12 aprile 1980.
MR: Documento Mutuae relationes, Congregazione per i Vescovi e CIVCSVA, 1978.
OCV: Ordo consecrationis virginum, Congregazione per il Culto Divino, 1970.
OPR: Ordo professionis religiosae, idem, 1970.
RC: Istruzione Renovationis causam, CIVCSVA, 1969.
RI: Ratio institutionis (...), Congregazione per l'Educazione Cattolica, 1970, 1985.
RPU: Religiosi e promozione umana, CIVCSVA, 1980.
VS: Istruzione Venite seorsum, CIVCSVA, 1969.
ALTRE SIGLE
AAS: Acta Apostolicae Sedis.
CIT: Commissione internazionale di teologia.
EV: Enchiridion Vaticanum, Edizioni Dehoniane, Bologna.
IDGP: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, libreria editrice vaticana.
OR: L'Osservatore Romano.
ORLF: L'Osservatore Romano in lingua francese.
PG: Patrologia greca.
UISG: Unione internazionale dei superiori generali.
N. B. Si raccomanda la consultazione dei testi originali presso il sito della Santa Sede. È inoltre possibile richiedere i documenti presso il sito della Libreria Editrice Vaticana.