Cosa sono gli eserciti privati
Per “esercito” o “compagnia militare privata” (CMP) si intende un’impresa che, dietro compenso, fornisce consulenze o servizi di natura specificamente militare. In passato il termine “mercenario” aveva il medesimo senso ma con una connotazione generalmente spregiativa. Oggi, per riferirsi a questa realtà sono state coniate denominazioni piú altisonanti e rassicuranti, soprattutto nella lingua inglese, come Private military company, Private Security Contractors, Private Military Corporations, Private Military Firms oppure Military Service Providers. Del resto viviamo in un’epoca in cui la guerra è diventata “chirurgica”, quasi fosse un’inevitabile e salutare terapia, moralmente ammissibile. Nel corso della storia mai menzogna e illusione fu piú indecente ma abilmente propagandata.
I committenti dei “servizi” offerti da queste varie denominazioni sono principalmente altre imprese commerciali, organizzazioni internazionali e non governative e perfino le forze armate di vari Stati. Se le CMP possono agire piú liberamente, anche al di fuori dei limiti imposti dal diritto internazionale umanitario, di riflesso non godono dei conseguenti diritti, configurandosi spesso come “combattenti illegittimi”, con riferimento ad un concetto deducibile dalle Convenzioni di Ginevra e, ancor piú chiaramente, dal controverso United States Military Commissions Act of 2006, noto anche come HR-6166.
Non di rado esse affiancano le forze armate regolari in compiti che queste, per motivi giuridici e/o umanitari, non possono svolgere. Talvolta le CMP vengono utilizzate anche per addestrare o integrare le forze armate governative. Di norma esse trovano il loro terreno d’impiego nei conflitti a bassa intensità o in situazioni in cui il dispiegamento di forze armate regolari può essere politicamente, diplomaticamente, o economicamente compromettente o comunque non conveniente.
Brevi note storiche
Maximilian Weber (1864-1920) sosteneva che lo Stato è fondamentalmente definibile come un’entità che reclama il monopolio sull’uso legittimo della forza all’interno di un dato territorio (cfr. WEBER M., Wirtschaft und Gesellschaft, 1921, 29). È interessante notare quanto la nostra epoca mostri delle analogie, al riguardo, con la storia dello Stato romano in età tardo-imperiale. Esso infatti indebolí questo monopolio estendendo ai popoli barbari e agli schiavi il diritto, prima appartenente ai soli cittadini, di prestare il servizio militare.
Era frequente nell’antichità greca e romana che le persone di un certo rango impiegassero i propri schiavi come guardie del corpo oppure li incaricassero di commettere crimini e violenze in loro vece. Questa pratica perdurò fino all’età tardo antica. Per citare un esempio: dopo un terremoto, che nel 526 aveva colpito la città di Antiochia, un certo Tommaso, un alto ufficiale imperiale, aveva usato i suoi schiavi per derubare dei loro beni i cittadini in fuga (cfr. IOH. MAL, XVII, 16, p. 420). Sotto diversi aspetti gli schiavi erano gli esecutori perfetti per perpetrare atti di violenza: un padrone poteva sollecitare il suo schiavo a delinquere, senza ordinarglielo esplicitamente, aggirando cosí il problema del movente che avrebbe potuto renderlo responsabile del reato.
Nel 390 l’imperatore Valentiniano II emanò una legge indirizzata al prefetto urbano di Roma, per punire l’impiego criminoso degli schiavi. La cosa piú sorprendente tuttavia è che tale malcostume era diffuso anche tra gli ufficiali imperiali. Con il passare del tempo gli schiavi vennero armati anche dallo Stato romano per fornire personale ai propri eserciti. È ormai accertato, infatti, che nel periodo tardo antico l’esercito romano si affidò sempre piú all’aiuto di ausiliari barbari, i quali agivano non di rado agli ordini di comandanti di origine barbara. A partire dal V secolo diventò ancor piú difficile distinguere tra i barbari e i romani impiegati nelle forze armate. Il venir meno della distinzione tra soldato romano e barbaro portò anche ad una graduale confusione di status. Talvolta i soldati di origini barbare divennero nemici dello Stato che avevano servito ribellandosi in forze, soprattutto nell’epoca del tardo impero, quando la distinzione tra esercito statale ed eserciti privati diventò sempre meno chiara.
Nel tempo comparve una classe di soldati, noti con il termine latino di buccellarii. Gruppi militari identificabili come tali appaiono per la prima volta alla fine del IV secolo. Essi assunsero rilevanza sempre maggiore, sia come aiutanti, sia come guardie del corpo nel V secolo. Nel VI secolo essi avevano acquisito uno status quasi ufficiale nell’esercito bizantino, specie come guardie del corpo di ufficiali imperiali. In questa posizione ricoprirono un ruolo di spicco in diverse operazioni militari quali la riconquista dell’Africa e dell’Italia. Essendo il buccellariato il frutto di una commistione tra privato e pubblico rappresentò spesso, per lo Stato, un serio problema. Il governo infatti approvava l’utilizzo di questi soldati privati da parte dei generali dell’impero ma era molto meno favorevole al loro impiego da parte dei privati cittadini. Fu cosí che nel I secolo a.C. la Lex Iulia vietò di costituire bande armate o eserciti privati.
Ciò nonostante, verso il 440 e il 445, l’imperatore Valentiniano III concesse ai possidenti italici di difendersi contro le incursioni dei Vandali ricorrendo alle bande armate private (cfr. NOV. VALENT. IX, 1; XIII, 14; nov. Maior. VIII (de reddito iure armorum). Questi soldati, legati strettamente al loro comandante, si collocavano in uno stato intermedio tra liberi e schiavi, tuttavia venivano associati piú frequentemente agli schiavi, specie nelle fonti normative. Questa incertezza legislativa e disciplinare con il tempo portò ad un considerevole declino del potere dello Stato romano aggravando quella crisi che lo condusse fatalmente al crollo.
Dal Cinquecento in poi i moderni Stati europei si dotarono degli apparati militari che ritenevano piú idonei a raggiungere i propri obiettivi, tenendo nel dovuto conto i costi sociali dell’impresa. Per secoli, infatti, gli Stati non avevano fatto ricorso alla leva obbligatoria di massa, che costituí invece uno dei risultati piú significativi e tragici della pretesa rivoluzione libertaria francese. Le conseguenze di questo graduale processo sulla conduzione delle guerre possono essere riassunte in due linee di tendenza riguardanti, la prima la truppa e, la seconda, il corpo degli ufficiali. L’esercito, infatti, risultò a lungo composto per lo piú da mercenari. Forti delle disponibilità finanziarie degli Stati unitari e centralizzati i sovrani trasformarono la guerra da evento piú o meno locale ad evento internazionale. La discesa di Carlo VIII di Francia (1470-1498) in Italia, nel 1494, viene vista come l’impresa che segna questo infausto salto di qualità.
Tuttavia lo strumento bellico cosí creato presentava ancora parecchie problematiche, come la scarsa fedeltà in battaglia e la propensione al saccheggio dei territori conquistati, specie una volta esaurito il soldo. La soluzione adottata, alla fine, fu quella di trasformare i reparti dei mercenari in eserciti permanenti. Carlo V d’Asburgo (1500-1558) nelle provincie del suo vasto impero creò cosí dei presidii che diventarono vere e proprie scuole militari. Tuttavia, dati i costi di una simile struttura e le frequenti bancarotte, il ritorno al sistema del mercenarismo fu inevitabile. Solo in seguito, con il rafforzarsi delle economie statali, l’esercito diventerà un’istituzione permanente grazie anche all’introduzione di forme di coscrizione piú o meno estese ed efficaci. Nonostante ciò i reggimenti erano ancora composti per lo piú da volontari il cui reclutamento alimentava spesso corruzione e speculazione. Il vero esercito nazionale, in senso moderno, vedrà la luce sotto il governo di Gustavo II Adolfo di Svezia (1594-1633), soprattutto dopo la Guerra dei Trent’anni, quando fu istituita a Valmy, nel 1792, la leva obbligatoria di massa.
La cosiddetta professional revolution, ossia la trasformazione della categoria degli ufficiali in un’organizzazione di professionisti, iniziò all’indomani delle guerre napoleoniche (1779-1815), con il rigetto dell’idea di “nazione armata” da parte delle maggiori potenze conservatrici dell’epoca. La crescente modernizzazione dell’attività bellica contribuí nel tempo al sorgere di una vera e propria industria degli armamenti che, a partire dalla corsa al riarmo navale della Germania e della Gran Bretagna, verso la fine dell’Ottocento, alterò profondamente le dinamiche tra economia e politica. Gli Stati furono sempre piú costretti a rivolgersi al mercato privato, non disponendo di capitali sufficienti a coprire le spese crescenti imposte dai crescenti ritmi di innovazione tecnologica. La perdita del controllo della produzione degli armamenti implicò, tra l’altro, una crescente confusione dei ruoli e degli interessi pubblici e privati che favorirono la corruzione politica e la nascita di un’economia transnazionale, in grado di contrattare su basi di relativa parità con gli Stati. Economie tali, oltretutto, da rendere indispensabile lo sbocco su mercati sempre piú ampi. Si venne cosí a creare una situazione paradossale: il massimo grado di partecipazione pubblica all’impresa bellica coincise con il massimo della dinamica privatistica di mercato; una contraddizione che da allora ha suscitato sempre piú forti dubbi sulla reale capacità del potere politico di garantire il controllo degli eventi bellici.
Giungiamo cosí, dopo questa rapida sintesi, alle mutazioni nel sistema internazionale verificatesi dopo il 1989, con la fine del bipolarismo e della Guerra fredda (1989/1991). Da tale data il declino dei pubblici poteri e delle identità nazionali aumentò a vista d’occhio lasciando sempre piú spazio ai disvalori e all’anarchia di un mercato economico e finanziario sempre piú ingovernabile. Nonostante questo erano ancora gli Stati a gestire il “monopolio della violenza”. La significativa crescita delle istituzioni internazionali e della loro autorità normativa, associate ad una diffusa e incoraggiata crisi identitaria, crearono i presupposti per una crescita della tensione internazionale. Nella fase attuale gli Stati stanno attraversando una nuova fase di sviluppo nel processo di monopolizzazione: entità ancora formalmente democratiche celano una realtà ben piú dispotica, facendo dei cittadini i sudditi di una politica dominata dalla confusione dei ruoli e dall’accentramento delle forze economiche e politiche in poche mani. Una simile situazione non è compatibile con la coscrizione di massa, ragion per cui il soldato di leva viene sempre piú rimpiazzato dal professionista, ben piú controllabile e subordinato. Paesi come l’Italia, che fino ad un recente passato avevano esaltato la leva obbligatoria di massa come scuola di valori democratici e di amor patrio, l’hanno rapidamente abbandonata, quasi senza un vero dibattito pubblico, giustificando la scelta con ragioni di efficienza operativa. Si estende cosí, anche alla truppa, quella professional revolution che inizialmente aveva riguardato solo la categoria degli ufficiali. Anche il mercenario perciò è diventato sempre piú professionista, in una logica di mercato che coinvolge sempre piú la dimensione umana della guerra. Cosí, dopo la produzione industriale degli armamenti, anche gli eserciti privati vengono gestiti da nuove multinazionali (leggi: CMP) quotate in borsa e pubblicizzate sui mass-media.
Questi “attori privati della violenza” sono di nuovo al servizio dei governi che, come nel passato, possono trovare piú economico subappaltare a loro determinati “servizi”, ottenendo anche il vantaggio politico di non comparire ufficialmente in situazioni di conflitto. Nell’Ottocento la scomparsa di un analogo mercato era stata determinata dalla volontà politica della comunità internazionale, non cosí oggi dove, persino le Nazioni Unite, non oppongono serie obiezioni all’impiego di eserciti privati anche per lo svolgimento di operazioni di peace-keeping o peace-enforcing. In una simile situazione, quanto piú gli Stati tenderanno a trasformarsi in “imprese” tanto piú la distinguibilità rimarrà affidata a fattori ben difficilmente ponderabili, quali le motivazioni del singolo combattente, l’amore per la patria e la capacità di anteporre la fedeltà alle istituzioni all’obbedienza incondizionata agli ordini superiori.
Venendo ai nostri giorni, le CMP sono cresciute in misura notevole con la smobilitazione e la privatizzazione di parte dei servizi logistici dell’amministrazione militare USA, al termine della Guerra Fredda. Se sulla linea di combattimento delle forze statunitensi troviamo ancora il soldato, nelle immediate retrovie tutte le infrastrutture logistiche sono gestite dalle ditte private che si occupano di ogni incombenza; ditte che in realtà sono delle enormi corporations al seguito delle Forze Armate americane. Si tratta di multinazionali note come Halliburton, DynCorp, Vinnel e molte altre ancora, che ricevono commesse per centinaia di milioni di dollari dal Dipartimento della Difesa USA e che vedono i loro vertici sempre piú prossimi al potere politico. È il caso, per esempio, della Halliburton Industries, il cui amministratore delegato, Dick Cheney, si candidò alla vice-presidenza nella corsa alla Casa Bianca con George W. Bush nel 2000.
Se la privatizzazione della logistica con i suoi risvolti politici costituisce un fatto preoccupante, di gran lunga piú inquietante è che le forze combattenti siano CMP al soldo delle cosiddette “democrazie occidentali” e a fianco dei loro eserciti nazionali, per compiti non sempre chiari. Non mancano, anzi abbondano i resoconti dei giornalisti e dei militari presenti in tanti paesi, circa l’operato di queste forze paramilitari private; forze che spiccano per l’arroganza e la violenza verso le popolazioni locali con metodi degni delle peggiori dittature.
Insegna della britannica Compagnia delle Indie Orientali
Sulla falsariga della Compagnia delle Indie
Fra le brevi considerazioni storiche fin qui esposte merita una menzione particolare la storia della Compagnia delle Indie Orientali Britannica che durò dal 1600 fino al 1874. La Compagnia privata cominciò ad assumere dei ruoli militari, esterni al governo, attraverso il sistema della chartered company. Grazie ad esso le società per azioni ottenevano in licenza poteri monopolistici in una determinata regione, specie nei nuovi territori scoperti dagli europei. Le due imprese piú note al riguardo furono la Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische Compagnie (Compagnia delle Indie Orientali Olandese, che durò dal 1602 fino al 1800) e, appunto, la British East India Company (Compagnia delle Indie Orientali Britannica). Oltre ad esse si può menzionare anche la Compagnie française des Indes orientales (Compagnia francese delle Indie orientali) che durò in tutto, fra alterne vicende, dal 1664 al 1793.
Queste compagnie, dipendenti dai rispettivi governi, diventarono all’estero delle forze praticamente autonome. Non solo monopolizzarono il commercio delle spezie, della seta, dell’oro e perfino dell’oppio, ma presero tutte le precauzioni necessarie dotandosi di uno strumento militare spesso impressionante. Si trattava di veri e propri “Stati de facto” in cui ogni distinzione tra economia e politica, ambito statale e non statale, diritto di proprietà e potere sovrano, pubblico e privato finí per essere pressoché abolita. Cosí, oltre che accumulare enormi profitti, esse controllavano anche forze armate e territori di dimensioni tali da far sembrare minuscoli quelli della loro madrepatria. La Compagnia delle Indie Orientali Britannica arrivò ad assoldare mercenari di ogni provenienza: britannici, tedeschi, svizzeri e nativi locali (noti come Sepoy). Nel 1782 l’esercito della Compagnia contava piú di 100.000 uomini, molto piú grande dell’Esercito Inglese dell’epoca. Dal suo quartier generale a Londra, la sua oscura influenza si estese a macchia d’olio. La Compagnia presiedette alla creazione dell’India britannica, fondò Hong Kong e Singapore, impiantò la coltura del tè in India e fu implicata nel celebre Boston Tea Party, il casus belli della guerra d’indipendenza americana.
Nel 1670 il re Carlo II d’Inghilterra (1630-1685) accordò alla Compagnia il diritto di acquisire nuovi territori, di battere moneta, di comandare truppe armate e di amministrarvi la giustizia. Preoccupato per le sue pesanti ingerenze politiche il Parlamento britannico decise di infrangere il suo monopolio istituendo, nel 1698, una compagnia rivale, la English Company Trading to the East Indies (Compagnia Inglese per il Commercio verso le Indie Orientali). In realtà non essendo mai riuscita a competere con la vecchia Compagnia le due vennero fuse insieme nel 1702. Finalmente, nel 1773 il Parlamento votò la “Legge di Regolamentazione” (Regulating Act) che impose alla Compagnia una serie di riforme economiche e amministrative. Essa fu autorizzata a conservare il monopolio del commercio a determinate condizioni finanziarie, ciò che l’avrebbe portata nel tempo ad un progressivo declino. Nel 1784 il governo fece votare una nuova legge (la Indian Act) al fine di separare chiaramente il governo dei territori delle Indie Orientali, spettante solo alla Corona, dall’attività commerciale spettante alla Compagnia. Verso la metà del XIX secolo 1/5 della popolazione mondiale era posto sotto la sua autorità. Per risolvere i suoi problemi di liquidità nei suoi acquisti in Cina la Compagnia arrivò ad importarvi l’oppio indiano con tragiche conseguenze sociali. Il dilagare della tossicodipendenza indusse l’imperatore cinese Yongzheng a proibire nel 1729 la vendita e l’uso dell’oppio, ed a permetterne l’importazione solo per uso medico. Gli sforzi dell’Impero cinese, debole e male armato, per mettere fine a questo commercio criminale portarono alla guerra con la Gran Bretagna (le cosiddette “Guerre dell’oppio”), dal 1839 al 1842 e dal 1856 al 1860. La sconfitta dell’Impero Cinese costrinse il paese a tollerare il commercio dell’oppio e a firmare con gli inglesi i trattati di Nanchino e di Tientsin, che prevedevano l’apertura di nuovi porti al commercio e la cessione di Hong Kong alla Corona britannica. Numerose altre potenze europee seguirono questo triste esempio e firmarono trattati commerciali con la Cina; accordi spesso umilianti che alimentarono un sentimento nazionalista poi esploso nelle rivolte di Taiping (1850-1864) e dei Boxer (1899-1901). Anche l’Italia si assocerà, restando in Cina fino al 10 settembre 1943, quando le truppe giapponesi ne occuperanno la zona d’influenza facendo prigionieri civili e militari.
La Compagnia delle Indie, privata finalmente del suo monopolio commerciale nel 1813 e del commercio del tè della Cina vent’anni piú tardi, perse anche le sue funzioni amministrative nel 1858, in seguito ai Moti indiani del 1857 (Rivolta dei Sepoy o Guerra d’indipendenza indiana). Nel 1860 tutti i possedimenti della Compagnia passarono sotto il controllo della Corona e nel 1874, dopo oltre due secoli e mezzo di crimini e soprusi pressoché impuniti, fu definitivamente soppressa.
La situazione attuale
Fino ad alcuni anni fa erano tre gli “eserciti privati” piú noti: la Militar Professional Resources Inc. (MPRI), la Sandline International e la Executive Outcomes (EO). In realtà ce ne sono molti altri, meno noti, quasi tutti facenti capo a USA, UK, Israele e Sud Africa.
La Militar Professional Resources Inc. ha la sua base in Virginia ed è composta da ex-militari dell’esercito USA. Offre consulenze, training, organizzazione strategica e necessita dell’approvazione da parte del Dipartimento di Stato americano. L’aspetto preoccupante di questa organizzazione è che, non avendo bisogno dell’approvazione del Congresso, si configura come uno strumento rapido, economico e soprattutto riservato per le operazioni militari statunitensi.
La britannica Sandline International (ormai disciolta) dichiarava di lavorare solo per governi, movimenti di liberazione internazionalmente riconosciuti e istituzioni come le Nazioni Unite; inoltre affermava di non operare con regimi accusati di violazioni dei diritti umani, di commercio di droga, di terrorismo e di commercio illegale di armi. È significativo il fatto che essa si proponesse di collaborare con l’ONU e che presentasse una regolamentazione chiara al fine di persuadere Stati, organizzazioni internazionali e ONG ad usufruire dei suoi servizi di intelligence, training, organizzazione strategica e intervento militare. Il 16 aprile 2004 la Sandline International ha annunciato la cessazione delle attività pubblicando un significativo comunicato nel suo sito Internet; un annuncio che costituisce anche un grave atto di accusa contro il mondo politico ed economico internazionale: «On 16 April 2004 Sandline International announced the closure of the company’s operations. The general lack of governmental support for Private Military Companies willing to help end armed conflicts in places like Africa, in the absence of effective international intervention, is the reason for this decision. Without such support the ability of Sandline to make a positive difference in countries where there is widespread brutality and genocidal behaviour is materially diminished. - Il 16 aprile 2004 la Sandline International ha annunciato la chiusura delle attività della società. La generale mancanza di sostegno governativo per le Compagnie militari private disposte a contribuire alla fine dei conflitti armati in luoghi come l’Africa, in assenza di un intervento internazionale efficace, è il motivo di questa decisione. Senza tale sostegno la capacità di Sandline di fare una differenza in senso positivo, nei paesi in cui vi sono brutalità diffusa e comportamenti genocidi, è sostanzialmente diminuita». Probabilmente la storia di questa CMP è un chiaro indice di quanto la correttezza e l’interesse per la pace trovino consensi in un mercato internazionale interessato a ben altri... “valori”.
La Executive Outcomes è un esercito mercenario privato, fondato nel 1989, da soldati in gran parte provenienti dalla Legione straniera del Sud Africa. Si tratta di uno dei piú grandi e sofisticati eserciti privati del mondo comprendente aerei da trasporto, elicotteri e caccia. Tra le “missioni” svolte annovera quella della Sierra Leone nel 1995 (per il controllo della miniera di diamanti di Kono) e molte altre ancora, sempre su commissione di multinazionali del settore minerario o di governi fantoccio al servizio delle multinazionali.
La tendenza da parte degli eserciti privati a presentarsi come società di servizi dall’immagine pulita è di fatto correlata al crescente interesse verso di loro da parte dei governi e delle stesse Nazioni Unite. Per i governanti senza scrupoli esse rappresentano un metodo veloce ed economico per proteggersi o per ristabilire lo status quo e garantiscono l’indispensabile segretezza. Ma i committenti non sono solo dittatori o golpisti. Gli USA, per esempio, si sono largamente serviti del MPRI in Bosnia e in Croazia. Ma è nel contesto delle missioni ONU che per la prima volta si è iniziato a prendere in considerazione il loro impiego. Nei conflitti armati in Africa le truppe mercenarie sono spesso una costante di cui bisogna tenere conto e non solo nelle trattative. Insospettisce il fatto che negli ambienti dell’ONU, oltre alla ridefinizione del concetto di “mercenario”, si citino non di rado i validi risultati ottenuti dagli eserciti privati nel ristabilire la pace. la domanda è: a quale prezzo? Con quali reali esiti? Un prezzo spesso alto in termini di vite umane e di violenza indotta.
La storia ha spesso dimostrato come le truppe mercenarie raramente abbiano portato esiti positivi e tanto meno la pace. Esse si sono rivelate capaci solo di destabilizzare popoli e regioni o, al massimo, di proteggere obbiettivi ben determinati; non a caso il loro impiego consueto non concerne interessi comuni a lungo termine, ma specifici e immediati: le miniere di diamanti, i complessi petroliferi, gli impianti industriali e tutte le attività connesse all’esercizio di imprese con obbiettivi particolarmente sensibili e/o strategici. Gli eserciti privati non hanno mai manifestato reale efficacia, neppure quando sono gestiti da chi crede nell’uso della forza come strumento di peacekeeping, come ha dimostrato la storia della britannica Sandline International.
L’impiego piú diffuso delle CMP in realtà è la difesa di interessi locali da parte di multinazionali in qualche modo legate al territorio. È preoccupante il fatto che le Nazioni Unite e molti governi stiano progressivamente valutando il loro utilizzo, quasi che le medesime istituzioni ritenessero loro obiettivo principale la difesa degli interessi delle stesse multinazionali e dei gruppi economici, finanziari e bancari, che assicurano la continuità del potere politico. Si stanno cosí ripetendo in forme e modalità sempre piú subdole i peggiori crimini della storia passata in un continuo crescendo di corruzione e violenza.
L’ultima bandiera della britannica Compagnia delle Indie fra il 1801 e il 1858
Cenni sulla normativa internazionale
Lo status giuridico del personale impiegato presso le CMP, secondo le Convenzioni di Ginevra, è del tutto diverso da quello del personale militare che presta servizio in una forza armata regolare. Le CMP infatti non sono soggette né agli obblighi, né ai diritti previsti per le forze regolari. Questo relativo vuoto legislativo fa sí che esse non siano tenute al rispetto del diritto bellico e del diritto internazionale umanitario. I loro membri, se catturati, rischiano di non essere riconosciuti come prigionieri di guerra, perdendo tutte le protezioni giuridiche ad essi accordate. Dato il loro status piuttosto incerto le CMP affiancano le forze armate regolari in compiti che queste ultime, per motivi giuridici e/o umanitari, non possono o non vogliono svolgere.
La Terza Convenzione di Ginevra (GCIII) del 1949 non riconosce la differenza tra fornitori della difesa e CMP mentre definisce una categoria denominata supply contractors. Se questi ultimi sono stati muniti dall’esercito cui si affiancano di un valido documento identificativo, in caso di cattura hanno diritto al riconoscimento dello status di prigioniero di guerra (GCIII Articolo 4.1.4).
Se i contractor partecipano ai combattimenti possono essere classificati come mercenari (Protocol I Additional to the Geneva Conventions (Protocol I) Articolo 47.c), a meno che non ricadano in un’esenzione prevista dalla clausola dell’articolo 47. Se i contractors catturati vengono riconosciuti come mercenari e giudicati combattenti illegittimi perdono i benefici concernenti i prigionieri di guerra.
L’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite del 4 dicembre 1989 sull’utilizzo dei mercenari, con la legge 12 maggio 1995 n. 210; pertanto lo svolgimento di tale attività espone i responsabili ai rigori degli art. 244 e 288 del Codice Penale, modificati dalla legge di ratifica del 1995:
Art. 244 - Chiunque, senza l’approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra, è punito con la reclusione da sei a diciotto anni; se la guerra avviene, è punito con l’ergastolo. Qualora gli atti ostili siano tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni, la pena è della reclusione da tre a dodici anni. Se segue la rottura delle relazioni diplomatiche, o se avvengono le rappresaglie o le ritorsioni, la pena è della reclusione da cinque a quindici anni.
Art. 288 - Chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da quattro a quindici anni. La pena è aumentata se fra gli arruolati sono militari in servizio, o persone tuttora soggette agli obblighi del servizio militare.
Negli USA la base normativa che rende possibile la costituzione e l’attività delle CMP è il Logistics Civil Augmentation Program (LOGCAP), un programma varato dal Ministero della Difesa statunitense nel 1985, che consente alle Forze Armate di ottenere supporto ricorrendo al contributo di personale fornito da determinate aziende, a sostegno delle attività militari. Da sottolineare il fatto che gli USA non hanno ratificato il Protocollo I delle convenzioni di Ginevra, perché esso non richiede ai combattenti di attenersi alla convenzione per ottenerne le relative garanzie, né tanto meno quello relativo alla Corte Penale Internazionale (ICC).
Le Forze Armate americane fanno ampio ricorso alle CMP nelle zone sensibili di tutto il mondo. Alcuni contractors non intervengono direttamente ma svolgono il ruolo di consiglieri militari rendendo possibile un’azione tattica piú efficace. Una parte consistente dell’addestramento al peacekeeping, offerto dagli USA in alcuni paesi africani, in realtà è stato svolto dalle CMP, anche a causa del crescente disimpegno occidentale in queste costose missioni internazionali.
Secondo alcuni autori, ciò è un’inevitabile conseguenza del taglio dei costi riconducibile alla privatizzazione degli aspetti critici del settore militare; tendenza che costituisce fonte di preoccupazione, non essendo le CMP soggette ad un controllo parlamentare diretto ed essendo talvolta piú dispendiose delle Forze Armate regolari. Ulteriore preoccupazione, come già evidenziato, proviene dal peso che tali imprese hanno nella politica americana, dal momento che parecchie erogano cifre di rilievo nelle campagne elettorali per il Congresso degli Stati Uniti o per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti.
Sepoy dell'East India Company Service
Il Far West della guerra privata
Il 31 marzo 2004 fu la prima volta in cui, sulle pagine dei giornali di tutto il mondo, il nome della Blackwater apparve in relazione alla guerra in Iraq e, con esso, la presenza delle CMP sul campo. Una storia che vede queste imprese, oltre che in Iraq, in Salvador, in Cile (dove risultano essere stati reclutati anche ex agenti del regime di Pinochet), in Sudan, in Azerbaijan e in tanti altri luoghi. È la storia da Far West della immorale privatizzazione della guerra; un crimine o una triste necessità della quale per lungo tempo gli Stati si sono fatti carico assumendosi responsabilità storiche e morali immani; un crimine che oggi invece è diventato al contempo una fonte di guadagno, qualcosa di ancor piú immorale della guerra stessa. Una guerra non può mai essere una “cosa privata”, come non lo può essere l’amministrazione della giustizia o dell’ordine pubblico.
Capitalismo, politica, e talvolta fanatismo religioso, sono spesso componenti distintive nella storia di parecchie CMP. Negli USA è stato l’eccidio politico dell’11 settembre 2001 a fare la fortuna di queste imprese e, l’allora governo Bush, diede loro accessi e spazi virtualmente illimitati nelle operazioni belliche che ne seguirono, in scenari inammissibili, dove i militari USA arrivarono a prendere ordini dai mercenari. I problemi intrinseci, non solo al problema morale ed etico della privatizzazione della guerra, ma all’esistenza di un esercito parallelo che opera indipendentemente da quello regolare e che fa capo a programmi politici equivoci, emergono sempre piú grazie alle inchieste che affiorano nel tempo. Si tratta di problemi che tuttavia, al momento, appaiono solo come la punta di un iceberg di ben maggiori proporzioni.
Gli “eserciti a buon mercato”
In Italia il problema delle CMP è emerso soprattutto durante la guerra in Iraq (2003-2011) quando quattro connazionali operanti in qualità di “guardie private” vennero presi in ostaggio. I dipendenti di queste compagnie di sicurezza private, spesso precari e non sempre selezionati per la loro probità, rappresentano la modalità con cui le guerre potrebbero essere condotte negli anni a venire. Alcuni autori preferiscono parlare di private military firms, trattandosi in realtà di vere e proprie holdings. Una holding company è una società che possiede azioni o quote di altre società. Come già rilevato, la gestione privata della guerra c’è sempre stata, tuttavia fra il ‘700 e l’800 essa venne posta sotto l’egida degli Stati, ciò che rappresentò un passo avanti dal punto di vista etico, sebbene limitato. Occorre tenere presente che la conduzione della guerra ha seguito spesso il modello socio-economico dominante. Oggi, in un mondo globalizzato che vede l’egemonia di grandi corporation che assumono sempre piú funzioni “politiche”, questo modello è stato adottato anche dal mondo militare. Negli ultimi decenni si è assistito ad una “aziendalizzazione” crescente dell’apparato militare. Mentre per secoli le Forze Armate furono il paradigma per eccellenza dell’organizzazione sociale, con tutta l’idealità che le caratterizzava; oggi il paradigma per eccellenza è costituito dall’organizzazione aziendale, nella sua presunta efficienza operativa e soprattutto economica. Solo fino a qualche decennio fa definire l’esercito - qualunque esercito - un’azienda sarebbe suonato gravemente offensivo. Nella realtà odierna non pochi vertici politici e militari accolgono nel loro lessico, senza alcun problema, il concetto di “azienda Esercito”. Occorre rammentare con urgenza e con particolare veemenza che in tale terminologia v’è insito uno scadimento ideale, morale ed etico di immani proporzioni a cui occorre assolutamente reagire.
Come frutto di questa concezione etica decadente molte CMP sorgono negli anni ‘70 del Novecento come piccole società di consulenza composte da ex militari. Il vero esordio tuttavia - come già ricordato - arriva a partire dagli anni ‘80, come conseguenza delle politiche di privatizzazione del comparto sicurezza. In un primo momento tale tendenza era giustificata dalla necessità di contenere i costi; in realtà i fatti dimostrano che spesso non è possibile fare affidamento sul privato: i costi non di rado lievitano e se il contesto operativo diventa troppo rischioso la missione viene abbandonata. Le CMP infatti sono tutto fuorché una Forza Armata motivata da ragioni ideali. Anche uno Stato può non esser sempre motivato da ragioni etiche, tuttavia - soprattutto in un regime democratico - esso non può eludere facilmente le questioni di principio, alla stregua di un privato. Non a caso le CMP piú pericolose sono quelle di supporto alle compagnie di estrazione petrolifera o diamantifera, frutto di politiche ambigue come la cosiddetta foreign policy by proxy (politica estera per interposta persona) e la politica dello sfruttamento sic et simpliciter. Politica dello sfruttamento che pone in essere un vero e proprio neocolonialismo corporativo, in altre parole, una vera e propria svendita di blocchi del cosiddetto Terzo mondo ad intere corporation, che non esitano a ricorrere anche a metodi criminali. È il caso, per fare un esempio concreto, della Nigeria.
Nel Delta del Niger, regione ricca di petrolio del sud-est della Nigeria, l’attività delle multinazionali del petrolio (SHELL, EXXON - MOBIL, CHEVRON - TEXACO, TOTAL - FINA - ELF, ENI - AGIP) ha procurato gravi danni ambientali, sociali ed economici. L’attività di estrazione del greggio ha provocato l’inquinamento del bacino idrico e dei terreni, ha distrutto le coltivazioni di sussistenza ed espropriato i terreni alla popolazione locale. L’attività petrolifera ha contribuito alla diffusione di malattie, tra cui varie forme di cancro. La lotta per i proventi economici ha inoltre creato forti contrasti e divisioni tra le differenti comunità presenti sul territorio. Secondo Human Rights Watch l’opposizione della popolazione è stata violentemente repressa con migliaia di morti. Per chiedere la fine del saccheggio indiscriminato del territorio, infatti, le comunità rurali portano avanti da anni proteste e mobilitazioni e per questo motivo subiscono repressioni violente sia da parte dell’apparato militare dello Stato, sia dagli eserciti privati delle multinazionali. Nel periodo gennaio-maggio del 1993, l’esercito comandato dalla Giunta militare uccise 1.800 persone nello stato del Rivers, per porre fine alle contestazioni e permettere le trivellazioni da parte della SHELL. Il 10 novembre 1993 Il poeta e attivista Ken Saro Wiwa viene impiccato dal governo militare. L’assemblea generale delle Nazioni Unite condannò l’evento senza però emettere una formale risoluzione. Il 23 aprile 2009, Kimba Wood, giudice della Corte Federale del distretto Sud di New York, respinge la mozione della Royal Dutch Shell circa un caso di violazione dei diritti umani contro il responsabile del funzionamento della società in Nigeria, Brian Anderson. Le accuse mosse contro la multinazionale vertono su violazione massiccia dei diritti umani, tortura e complicità nell’uccisione di manifestanti pacifici, avvenuta nel 1995. Il procedimento nasce in conformità a due norme americane, l’Alien Tort Statute (ATS-1789), che consente ai cittadini stranieri di esporre denuncia per violazioni dei diritti umani compiute in altri paesi e la Legge per la Protezione delle Vittime della Tortura (TVPA). La multinazionale petrolifera è stata inoltre accusata di complicità con i dittatori nigeriani nella morte del poeta Ken Saro Wiwa, leader del Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni. Il caso include accuse di tortura, la detenzione e l’esilio forzato ai danni dei suoi familiari. Purtroppo il calvario della Nigeria perdura, né sembra destinato a finire presto.
Nel mercato internazionale le poche CMP italiane sono meno compromesse avendo anche un “mercato” ben piú limitato. Solo le grosse holdings hanno un mercato veramente esteso lasciando alle altre solo i subappalti. La fisionomia aziendale, infatti, determina il successo dei contractors, occultando l’idea del mercenarismo e consentendo loro, al contempo, di agire come persone giuridiche anziché puramente fisiche, con evidenti vantaggi in termini di responsabilità: in altre parole, se l’impresa viene accusata di qualcosa è sufficiente ridenominarla per ricominciare da capo. L’impiego delle CMP comporta anche dei vantaggi in termini sociali e mediatici, ma i vantaggi piú grandi li ottengono i vertici politici. Coinvolgere le CMP consente ai governi di reggere meglio la pressione dell’opinione pubblica; la mobilitazione militare percepita è di gran lunga minore; non ci sono esequie, né bare e onori militari pubblici per i caduti, che hanno sempre un grande impatto mediatico. Le CMP inoltre consentono ai governi di aggirare i limiti di bilancio, dato che spesso il pagamento di queste imprese comporta capitoli di spesa differenti da quelli destinati alle Forze Armate. Oltre a questo, il loro impiego consente ad un governo di negare il coinvolgimento diretto in un conflitto armato.
È la terribile menzogna delle guerre moderne, soprattutto nei conflitti asimmetrici: quando il sangue scorre è sufficiente occultarlo. Le moderne democrazie hanno malamente messo in pratica la saggezza popolare: occhio non vede, cuore non duole.
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