66) Perché ci sono preti che possiedono beni di lusso visto che ci insegnano a vivere nell'umiltà, invitandoci ad arricchire l'anima e non le tasche?
Non è chiaro di quali beni di lusso si tratti, tuttavia una cosa è certa: tutti abbiamo il dovere di astenerci dal giudicare il prossimo, soprattutto di giudicarlo sommariamente dalle cose che ha o non ha. Occorre precisare subito che in linea generale il sacerdote diocesano non ha un voto di povertà. Il Concilio Vaticano II (cfr. Presbyterorum Ordinis, 17) invita vescovi e presbiteri a condurre uno stile di vita evangelico e povero, anzi, rivolge addiritttura un invito (non un obbligo) a scegliere volontariamente la povertà. Ecco il riassunto dei punti fondamentali del documento conciliare:
1. I presbiteri vivendo in mezzo al mondo devono sempre aver presente che, come ha detto il Signore, essi non appartengono al mondo. Perciò, usando del mondo come se non ne usassero, possono giungere a quella libertà da ogni preoccupazione disordinata che favorisce la docilità nell'ascolto della voce di Dio nella vita di ogni giorno.
2. Da questa libertà e docilità nasce la discrezione spirituale che consente di riconoscere il giusto rapporto con il mondo e con le realtà terrene: rapporto estremamente importante poiché la missione della Chiesa si svolge in mezzo al mondo, e i beni creati sono necessari allo sviluppo personale dell'uomo.
3. È indispensabile che i sacerdoti sappiano esaminare attentamente alla luce della fede tutto ciò che ad essi si offre, in modo da usare rettamente dei beni in conformità alla volontà di Dio, respingendo quanto possa nuocere alla loro missione. I sacerdoti infatti devono usare dei beni temporali solo per quei fini ai quali questi possono essere destinati secondo la dottrina di Cristo Signore e gli ordinamenti della Chiesa.
4. Quanto ai beni ecclesiastici (cioè di proprietà della Chiesa) i sacerdoti devono amministrarli a norma delle leggi ecclesiastiche e possibilmente con l'aiuto di esperti laici; devono sempre impiegarli per gli scopi per cui alla Chiesa è lecito possedere beni temporali, ossia: l'ordinamento del culto divino, il dignitoso mantenimento del clero, il sostenimento delle opere di apostolato e di carità, specialmente per i poveri.
5. Quanto ai beni provenienti dall'esercizio di qualche ufficio ecclesiastico (ossia i beni destinati al sostentamento personale), i presbiteri, come pure i vescovi, salvi restando eventuali diritti particolari, devono impiegarli anzitutto per il proprio onesto mantenimento e per l'assolvimento dei doveri del proprio stato; il rimanente devono impiegarlo per il bene della Chiesa e per le opere di carità.
6. I sacerdoti e i vescovi non devono considerare l'ufficio ecclesiastico come occasione di guadagno, né devono impiegare i redditi che ne derivano per aumentare le sostanze della propria famiglia (ovviamente non è precluso l'aiuto in caso di indigenza o di reale necessità).
7. I sacerdoti non devono affezionarsi in alcun modo alle ricchezze, ma devono evitare sempre ogni bramosia e astenersi attentamente da qualsiasi tipo di commercio (si intende il commercio a fini personali).
8. Essi sono invitati ad abbracciare la povertà volontaria, con cui possono conformarsi a Cristo in un modo piú evidente e svolgere il sacro ministero con maggiore prontezza.
9. I presbiteri, come pure i vescovi, devono evitare tutto ciò che possa in qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, ed eliminare nel proprio costume di vita ogni ombra di vanità. Devono sistemare la propria abitazione in modo tale che nessuno possa ritenerla inaccessibile; e nessuno, anche se di condizione molto umile, nell'accedervi deve sentirsi a disagio.
Il Codice di diritto canonico traduce il dettato del testo conciliare definendo in termini piú concreti e immediati quella che deve essere la povertà nella vita dei chierici:
Can. 282 - §1. I chierici conducano una vita semplice e si astengano da tutto quello che può avere sapore di vanità.
§2. I beni di cui vengono in possesso occasione dell'esercizio un ufficio ecclesiastico e che avanzano, dopo aver provveduto con essi al proprio onesto sostentamento all'adempimento tutti doveri del stato, siano da loro impiegati per il bene della Chiesa opere carità.
Can. 285 - §1. I chierici si astengano del tutto da ciò che è sconveniente al proprio stato, secondo le disposizioni del diritto particolare.
§2. Evitino ciò che, pur non essendo indecoroso, è alieno dallo stato clericale.
§3. È fatto divieto ai chierici di assumere uffici pubblici, che comportano una partecipazione all'esercizio del potere civile.
§4. Senza la licenza del proprio Ordinario non intraprendano amministrazione di beni riguardanti i laici né esercitino uffici secolari che comportino l'onere rendiconto; è loro proibita fideiussione, anche su propri beni, consultare il Ordinario; cosí pure si astengano dal firmare cambiali, quelle cioè con cui viene assunto'impegno pagare un debito una causa definita.
Can. 286 - È proibito ai chierici di esercitare, personalmente o tramite altri, l'attività affaristica e commerciale, sia per il proprio interesse, sia per quello degli altri, se non con la licenza della legittima autorità ecclesiastica.
Si noti che non si tratta mai di beni personali provenienti da altre fonti (beni di famiglia, donazioni, etc...) ma solo di quelli ecclesiastici (di proprietà della Chiesa) e di quelli derivanti dall'ufficio ecclesiastico (parrocchia, missione, etc...) e destinati al sostentamento del clero. È evidente che lo stile di vita del sacerdote varia anche in relazione alla missione che egli deve svolgere. Lo stile di vita del sacerdote impegnato nell'attività diplomatica non può essere certo uguale a quello di un missionario o di un parroco di una borgata popolare. Allo stesso modo un sacerdote dedito all'insegnamento ha un tenore di vita necessariamente diverso da quello di un cappellano militare. Ci sono missionari che per il loro servizio necessitano di mezzi fuoristrada di un certo livello o addiritura di velivoli, necessari per coprire le lunghe distanze spesso presenti nei territori di missione. Da quanto detto ne segue che è impossibile dare un giudizio affrettato circa la povertà personale. Un bene materiale può essere frutto di una donazione o di una buona occasione commerciale, oppure può essere una necessità dettata dalle circostanze.
È chiaro che l'attività affaristica e commerciale, sia per il proprio interesse, sia per quello degli altri, non è mai permessa ad un sacerdote o ad un vescovo, a meno che, in casi eccezionali, la superiore autorità ecclesiastica non abbia concesso un'apposita licenza: può verificarsi il caso, per esempio, in cui un sacerdote debba gestire i beni e le attività della propria famiglia assumendone provvisoriamente o a tempo indeterminato il controllo.
In ogni caso tuttavia giudicare una persona solo dai beni in suo possesso è ingiusto soprattutto se - come spesso accade - tutto si riduce a maldicenza quando non addirittura ad invidia. Cosa è l'invidia? Invidiare una persona significa dispiacersi del suo bene ed è cosa tanto piú detestabile se si pensa che quel bene spesso è stato acquistato onestamente e con sacrificio.
Ciò che piú importa è che il sacerdote eserciti il suo ministero con carità, rettitudine e responsabilità. Purtroppo non è raro che l'argomento "povertà" venga usato demagogicamente per giustificare invece la propria cattiva coscienza: ogni scusa è buona pur di evitare di mettersi in discussione davanti al Vangelo.