«Il Dio d'Israele dà forza e vigore al suo popolo, sia benedetto Dio» (Sal 68,36). La comunità umana sta vivendo un grande evento, proprio in questo periodo: il centenario della prima olimpiade, festa della pace, festa dello sport. Potrebbe sembrare un evento estraneo alla vita della Chiesa, di noi cristiani, ma non è cosí. Vogliamo provare insieme a vedere alcuni valori che possono essere insiti nel mondo dello sport? Per farlo tuttavia non ci serviremo di documenti sociali o di riflessioni puramente personali, ma solo della Scrittura e dei testi dei Padri della Chiesa. Potrà sembrare insolito, ma un tema apparentemente cosí nuovo era in realtà già presente ai Padri della Chiesa, ai grandi teologi dei primi sette secoli dopo Cristo.
Vediamo cosa dice la Scrittura. Vi sono circa nove passi nella Scrittura ove si allude alla vita sportiva applicandola alla vita spirituale. Il passo piú chiaro tuttavia lo troviamo nella Prima lettera ai Corinzi, dove S. Paolo scrive: «Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitú perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato» (1Cor 9,24-27).
Cosí S. Paolo spiega la differenza fra la lotta del cristiano e quella del pagano, di colui che aspira ad una conquista puramente materiale. È importante capire anche che il Signore vuole che conquistiamo il premio con le nostre mani. Cosí dice S. Giovanni Crisostomo: «Se qualcuno di coloro che presiedono ai giochi olimpici ha un amico atleta, non vorrà certo proclamarlo vincitore solo per pura grazia e amicizia, ma piuttosto per i suoi sforzi personali: e proprio per questo motivo si comporterà cosí, in quanto è suo amico e gli vuol bene.
Nello stesso modo agisce Cristo: quanto piú ama un'anima, tanto piú vuole che essa contribuisca con le sue forze alla propria gloria e non solo che l'ottenga grazie al suo aiuto» (cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di san Matteo, 55, 1). Scrive, sempre S. Giovanni Crisostomo, nello stesso passo: «Io voglio invece - [dice il Signore] - che il mio discepolo, il mio atleta lotti sino al sangue e affronti combattimenti fino alla morte. Se è necessario pertanto subire la morte e la morte piú vergognosa ed esecrabile, anche per un ingiusto sospetto, tutto devi sopportare coraggiosamente e, ancor piú, rallegrarti per questo. "E mi segua". Può accadere, infatti, che colui che soffre, non segua Cristo, in quanto non soffre per lui.
Perché allora nessuno pensi che basti semplicemente soffrire, Gesú sottolinea in particolare quale deve essere il motivo delle nostre sofferenze. Qual è? Che si faccia ogni cosa e si soffra, seguendo lui; che tutto si sopporti per amor suo e che si mettano in pratica anche le altre virtú». Da queste parole avrete capito che la lotta non è facile, per questo S. Ambrogio ci mette in guardia: «"Bada", dice, "a te stesso". Sta' saldo per non cadere, corri in modo da guadagnare il premio, gareggia cosí da resistere sino alla fine, perché la corona è dovuta soltanto a un combattimento regolare. Tu sei un soldato: spia con attenzione il nemico, perché di notte non strisci sino a te; sei un atleta: sta' piú vicino all'avversario con le mani che con il volto, perché non colpisca il tuo occhio.
Lo sguardo sia libero, astuto l'incedere per stendere a terra l'avversario quando ti si precipita contro, per serrarlo fra le braccia quando si ritrae, per evitare le ferite con la vigilanza dello sguardo, per impedirle assalendolo con decisione. Se poi sarai ferito, bada alla tua salute, corri dal medico, cerca il rimedio della penitenza. Bada a te stesso, perché hai una carne pronta a cadere. Venga a visitarti, medico buono delle anime, la parola divina, sparga su di te gli insegnamenti del Signore come rimedi salutari. Bada a te stesso, perché le parole celate nel tuo cuore non siano inique; serpeggiano infatti come veleno e causano contagi mortali. Bada a te stesso, per non dimenticare Iddio che ti ha creato e non pronunciare inutilmente il suo nome» (cfr. AMBROGIO, Hexaemeron, 6, 50).
In questo passo S. Ambrogio ricorda all'atleta cristiano quale deve essere il suo punto di riferimento, il suo "allenatore" e il suo "medico": Cristo. Parliamo di allenatore, perché senza un'adeguata preparazione è impossibile riuscire nella lotta. Dice S. Giovanni Crisostomo: «Chi sarà capace di combattere, dato che nessuno si allena al combattimento? Quale atleta può vincere il suo avversario e ottenere il premio ai giochi olimpici senza che, fin dalla sua adolescenza, si sia addestrato nell'arte della lotta? Non dovremmo noi forse allenarci tutti i giorni, lottare e correre? Non vedete che gli atleti, in attesa di affrontare i loro competitori, appeso un sacco pieno di sabbia, si addestrano provando in quel modo tutta la loro forza?
Molti giovani si allenano anche in finti combattimenti con i loro compagni, per prepararsi al combattimento con gli avversari. Imita questi atleti e allenati nelle battaglie della virtú. Vi sono infatti molte persone che ti inducono all'ira, che gettano e accendono in te la fiamma delle passioni. Resisti a questi invisibili nemici, supera con fermezza questi dolori dello spirito, in modo da sopportare anche quelli del corpo» (cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di san Matteo, 33,6). Da queste parole di S. Giovanni si capisce bene che il cristiano in realtà lotta contro il peccato e contro le tentazioni che insidiano la sua vita, contro nemici invisibili. Può accadere che nella lotta si venga feriti, ma questo non deve essere motivo di abbattimento.
Allenati nelle battaglie della virtú
Dice Basilio il Grande: «Credo infatti che l'atleta valoroso, che già si è prodigato per la lotta della vita di pietà, [debba] sostenere con coraggio i colpi dell'oppositore, nella speranza della gloria e della vittoria. Anche nelle gare ginniche quelli che sono allenati alle fatiche della palestra, infatti, non si scoraggiano per un colpo, ma subito attaccano l'avversario per desiderio di celebrità e disprezzano le sofferenze. Cosí, se qualche evento colpisce l'uomo fervoroso, non ne offusca l'allegrezza e precisamente per questo motivo: La tribolazione produce la pazienza; la pazienza porta all'approvazione e l'approvazione alla speranza: e la speranza non fa arrossire (Rm 5,3). E cosí anche in un altro passo Paolo ci impone di essere pazienti nella tribolazione e rallegrarci nella speranza (cfr. Rm 12,12)» (cfr. BASILIO IL GRANDE, Omelia sul ringraziamento, 1-3).
Basilio non cessa di incitare alla lotta spirituale: «Se soldato, prendi parte al travaglio del Vangelo (2Tm 1,8), combatti la buona battaglia contro gli spiriti del male, contro le passioni della carne, e rivestiti di tutta l'armatura di Dio: non lasciarti coinvolgere dalle faccende mondane, per piacere a colui che ti ha scelto per la sua milizia. Se sei atleta, bada a te stesso, di non trasgredire qualche legge sportiva. Infatti: Nessuno è premiato se non gareggia lealmente (2Tm 2,5). Imita Paolo e corri e lotta e attacca; tu, come un bravo pugile, abbi saldo lo sguardo della fede; proteggi con le mani le parti vulnerabili e tieni l'occhio fisso sull'avversario. Nelle corse, slanciati in avanti: gareggia in modo da raggiungere il premio; nella lotta, attacca gli avversari invisibili. Questa frase vuole che per tutta la vita tu sia cosí: non abbattuto, non assonnato, ma sobrio e vigile, padrone di te» (cfr. BASILIO IL GRANDE, Omelia "Fa' attenzione a te stesso", 4-5).
Anche lo Pseudo-Clemente, riferendosi in particolare alla lotta per la purezza dice: «Sei dunque un atleta tanto forte e allenato, da mostrare di gareggiare rettamente nello stadio, e di entrare in questa palestra, corroborato dalla forza dello Spirito Santo, in modo da raggiungere il premio della vittoria, cioè la sorte beata nella Gerusalemme celeste? Se dunque desideri di percorrere la via e raggiungere il traguardo di questa vocazione, vinci il tuo corpo; doma gli appetiti della carne, soggioga il mondo con lo Spirito di Dio, disprezza le vanità passeggere e caduche, perverse e instabili di questo mondo. Vinci il drago, vinci il leone, vinci il serpente, vinci Satana e resta in Cristo Gesú, reso forte dalla sua dottrina e dalla divina eucaristia. Prendi la tua croce e segui colui che ti ha lavato, Gesú Cristo, tuo Signore. Resta fedelmente in gara fino al traguardo, senza timori, ma con ferma fiducia nell'avvento del Signore nostro Gesú Cristo, perché tu possa conseguire in Cristo Gesú il premio della vocazione superna» (cfr. PSEUDO-CLEMENTE, Lettera ai vergini, 5-6). Qual è il premio di questa spirituale e incessante lotta? La vita eterna, la risurrezione della carne, la glorificazione e la divinizzazione del nostro essere.
Sentite poi che cosa dice Teodoreto di Ciro parlando della risurrezione dei corpi nei quali e per mezzo dei quali abbiamo conseguito la vittoria: «...come un valorosissimo soldato, avendo riportato la vittoria nel combattimento ed essendogli stato conferito dai suoi l'onore di una statua, è naturale che venga dipinto o effigiato o scolpito in pietra o in bronzo o in legno, con quella medesima armatura con la quale abbia sconfitto i nemici [...]; ebbene, non diversamente ci pare naturale che l'anima, la quale ha combattuto in compagnia del corpo, ha conseguito la vittoria superando gli invisibili nemici e ha come autore il Creatore universale, non venga essa neppure ritratta nuda e spoglia d'ogni armatura. Né vediamo cosí onorato soltanto il condottiero dell'esercito, ma altresí l'atleta e il pugile e il corridore [...]. Ciascuno di costoro, infatti, viene rappresentato nella statua in quella stessa veste che indossava quando conseguí la vittoria...» (cfr. TEODORETO DI CIRO, La provvidenza divina, 9). Ora è evidente che tra tutti gli atleti ve n'è uno che primeggia, uno che realizza perfettamente in sé l'ideale, infatti chi piú di Cristo ha realizzato in sé l'ideale dell'atleta cristiano? Chi piú di lui ha lottato? Chi piú di lui ha vinto? Una lotta che - dice S. Paolo - «...non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male» (Ef 6,12). A lui dunque spetta il primo trofeo. Lui ha trionfato sul peccato, sul male, sul demonio e sulla morte, nella natura umana.
Ha vinto anche nella sua umanità...
Cosí ha vinto anche nella sua umanità, nella quale - scrive S. Paolo - "abita corporalmente la pienezza della divinità" (Col 2, 9). La sua divinità rimane velata, eppure è anche svelata dalla sua umanità, come ci ricorda il magnifico inno della Lettera ai filippesi: «[Cristo Gesú], pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesú ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesú Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2, 6-11). Dio si fa pienamente solidale con l'uomo!
S. Giovanni Crisostomo nelle sue omelie, a proposito della vittoria della croce, dice: "Vedi come colui che aveva vinto viene ora sconfitto con gli stessi suoi mezzi? Presso l'albero il diavolo abbatté Adamo, presso l'albero Cristo sconfisse il diavolo [...]. Inoltre un altro albero nascose l'uomo vinto e nudo, questo invece innalza agli occhi di tutti il vincitore spoglio" (cfr. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie (Il cimitero e la croce, 2), PG 49, 396). Era questo che faceva gioire S. Giovanni, quando scriveva: «Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno» (1Gv 2,14). Dio benedica le vostre fatiche, vi accompagni nella vostra corsa, vi assista nella lotta, che con il suo aiuto sarà vittoriosa: «Al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» (Ap 2,7).
Questa è la sua promessa e di questo trofeo è scritto: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udí, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2,9).
P. Antonio