Il Valdai International Discussion Club è un forum di pensiero aperto a vari ospiti esteri. Fondato dalla RIIA Novosti e dall’organo governativo russo Council on Foreign and Defense Policy, esso ha lo scopo di suscitare ed arricchire dibattiti ed apporti ad alto livello in materia di pensiero strategico. Il Valdai Club deve il suo nome alla località dove si tenne la prima riunione, nel 2004, l’hotel Valdai sul lago Valdaiskoye, nella zona di Novgorod, ricca di monasteri e di memorie storiche della Russia cristiana. I mezzi di informazione occidentali (e italiani) di rado pubblicano versioni integrali dei discorsi. Il Presidente russo, Vladimir Putin, ha affrontato il tema della crisi di civiltà che devasta soprattutto l’Occidente e delle forze spirituali cui la Russia deve attingere, trovandole in sé, per difendersene.
Dopo aver delineato la libertà di pensiero desiderabile in Russia e il limite che deve incontrare (nel comune senso della patria), Putin pronuncia una lucida critica alla cultura occidentale che pretende di imporsi a tutta l’umanità. Il Presidente ne addita l’intento suicida e, al fondo, luciferino che appare animarla; per esempio, nella perdita della distinzione sessuale imposta per legge in Occidente con la perdita delle frontiere, o il divieto ad una comunità politica di distinguersi dalle altre aderendo alle proprie radici. L’uno e l’altro configurano quella “cancellazione di confini” voluta dalla medesima forza: quella del male, nemica della volontà di Dio. Globalizzazione ultra-liberista ed omo-promozione sono dunque “la stessa cosa”, sgorganti dalla medesima volontà anti-umana. Forse non c’è un politico al mondo d’oggi che definisca cosí, senza complessi, la natura del conflitto che lo oppone all’americanismo e al suo sistema mondializzato. Da dove trae Putin questa straordinaria capacità di valutazione metapolitica? Non è da escludere che nella formazione degli alti gradi dell’intelligence russa, vi sia l’addestramento delle menti a valutare nelle analisi politiche, accanto a quelle materiali, anche le forze culturali e spirituali.
Diversi analisti invitano a confrontare la riflessione del capo di Stato russo con i luoghi comuni diffusi nei discorsi dei politici del blocco occidentale, pregni di una sterilità intellettuale e spirituale sconvolgente quanto a riduzionismo e impoverimento concettuale. Il discorso di Putin è chiaro, interessante e diretto, a dispetto di una scadente intelligence occidentale che si presta per sostenere oppositori tanto piú trasgressivi quanto ridicoli, come lo donnine procaci al soldo del sedicente filantropo George Soros (Femen, etc...).
Il giornalista americano William Pfaff, a proposito della soluzione russa per la Siria parlò di stupida, ripetitiva brutalità americanista. La Casa Bianca ha bombardato la Siria, nonostante essa fosse pronta a consegnare i suoi arsenali chimici e pronta a firmare il trattato che mette al bando tali armamenti. Washington non ha voluto cogliere il gesto. Gli Stati Uniti ormai sono cosí soliti violare sfacciatamente il diritto internazionale, da rifiutare perfino le opportunità politiche piú significative. Sono gli stessi errori politici della leadership israeliana, ormai sempre piú ostile, insieme a quella americana, ai principi piú elementari della civiltà.
Oggi la Russia appare come uno dei pochi Paesi capaci di controbilanciare questa deriva umana, culturale, politica e ideologica che ha già posto tutte le premesse per un nuovo e gravissimo conflitto mondiale. L’auspicio è che la Russia possa salvare se stessa da questo delirante suicidio collettivo e sappia trarne fuori anche un Occidente ormai asservito ad un liberismo sempre piú antiumano e distruttivo. In ogni caso il seguente discorso fornirà spunti di riflessione nuovi e alternativi a quelli propinati con insistenza dai comuni mezzi di informazione, sempre piú allineati alle lobbies di potere e di pensiero di un Occidente scristianizzato.
• Президент Российской Федерации •
Colleghi, signore e signori, amici, è un piacere darvi il benvenuto all’XI incontro del Valdai International Discussion Club.
È già stato menzionato il fatto che quest’anno il club ha nuovi co-organizzatori. Questi includono organizzazioni non governative russe, gruppi di esperti e università di primo piano. L’idea è stata anche quella di allargare le discussioni fino a comprendere non solo le problematiche legate alla Russia stessa, ma anche la politica globale e l’economia.
Spero che questi cambiamenti nell’organizzazione e nel contenuto rafforzeranno l’influenza del club come forum di esperti e di discussioni importanti. Allo stesso tempo, spero che rimanga lo ‘spirito di Valdai’, con quest’atmosfera libera e aperta, e l’opportunità di esprimere in tutti i modi opinioni molto diverse e schiette.
Mi si lasci dire a riguardo che non vi deluderò e parlerò in modo diretto e franco.
Alcune cose che dirò potranno sembrare un poco dure, ma se non parliamo direttamente e onestamente su ciò che pensiamo in realtà, allora non ha molto senso riunirsi in questi eventi. Sarebbe meglio in questo caso mantenere uno stile diplomatico, in cui nessuno dice qualcosa che abbia un senso reale e, ricordando le parole di un famoso diplomatico, ci si rende conto che i diplomatici hanno la lingua giusta per non dire la verità.
Ci siamo riuniti per alcune ragioni. Ci siamo riuniti per parlare apertamente l’un all’altro.
Abbiamo bisogno di essere diretti e schietti oggi, non per lanciare stoccate, ma per tentare di andare a fondo di ciò che sta realmente accadendo nel mondo, cercare di capire il motivo per cui il mondo sta diventando meno sicuro e piú imprevedibile, e perché i rischi sono in aumento in tutto il mondo intorno a noi.
La discussione odierna si è svolta sul tema: Nuove Regole o Gioco senza Regole. Io penso che questa formula descriva accuratamente il punto di svolta storico che abbiamo raggiunto oggi e la scelta che dobbiamo affrontare. Non c’è sicuramente nulla di nuovo nell’idea che il mondo stia cambiando velocemente. So che di questo avete parlato nelle discussioni odierne. È certamente difficile non notare le drammatiche trasformazioni nella politica globale e nell’economia, nella vita pubblica, nell’industria, nelle tecnologie dell’informazione e della società.
Permettetemi di chiedervi sin da ora di perdonarmi se ripeterò alcune cose che i partecipanti alle discussioni hanno già detto. È praticamente impossibile evitarlo. Avete già sostenuto discussioni dettagliate, ma io esprimerò il mio punto di vista. Questo coinciderà con le visioni di alcuni partecipanti e differirà con quelle di altri.
Quando analizziamo la situazione odierna, non dobbiamo dimenticare le lezioni della storia. Innanzitutto i cambiamenti su scala mondiale - e quelli che vediamo oggi sono eventi di questa portata - sono solitamente accompagnati se non da guerre e conflitti globali, da una serie di intensi conflitti locali. Secondo, la politica globale è soprattutto leadership economica, problemi di guerra e pace e la dimensione umanitaria, inclusi i diritti umani.
Oggi il mondo è pieno di contraddizioni. Dobbiamo essere sinceri e chiederci se siamo dotati di un’affidabile rete di sicurezza in loco. È triste, ma non c’è alcuna garanzia né certezza che l’attuale sistema di sicurezza globale e regionale sia capace di proteggerci dagli sconvolgimenti. Questo sistema è diventato estremamente fragile, frammentato e deformato. Le organizzazioni di politica internazionale e regionale, economica e di cooperazione culturale stanno anch’esse attraversando momenti difficili.
Sí, molti dei meccanismi che abbiamo per assicurare ordine al mondo sono stati creati molto tempo fa, includendo soprattutto il periodo immediatamente seguente alla Seconda Guerra Mondiale. Lasciatemi sottolineare che la solidità del sistema creato allora si poggiava non solo sul bilanciamento di potere e sui diritti dei paesi vincitori, ma anche sul fatto che questo sistema dei “padri fondatori” avesse rispetto di ciascuno, non cercasse di prevalere sugli altri, ma tentasse di raggiungere degli accordi.
Il punto principale è che il sistema ha bisogno di svilupparsi e, nonostante le varie carenze, deve almeno essere in grado di mantenere gli attuali problemi mondiali entro certi limiti e regolare l’intensità della naturale competizione fra paesi.
Sono convinto che non possiamo prendere questo meccanismo di controlli e bilanciamenti, costruiti nelle ultime decadi, talvolta con grande sforzo e difficoltà, e semplicemente distruggerlo senza costruire niente al suo posto, altrimenti rimarremmo senza nessun’altro strumento se non la forza bruta.
Ciò che ci occorreva fare, è stato condurre una ricostruzione razionale e adattarla alle nuove realtà del sistema di relazioni internazionali.
Ma gli Stati Uniti, auto-dichiaratisi vincitori della Guerra Fredda, non hanno visto la necessità di farlo. Invece di stabilire un nuovo equilibrio di potere, essenziale per mantenere l’ordine e la stabilità, hanno intrapreso passi che hanno portato il sistema a squilibri profondi e acuti.
La Guerra Fredda è finita, ma non lo è stata con la firma di un trattato di pace contenente accordi chiari e trasparenti sul rispetto delle regole esistenti o creando nuove regole o nuovi standard. Cosí si è creata l’impressione che i cosiddetti “vincitori” della Guerra Fredda avessero deciso di fare pressioni per rimodellare il mondo secondo i propri bisogni ed interessi. Se il sistema attuale di relazioni internazionali, diritto internazionale e controlli e contrappesi impediva questi obiettivi, questo sistema veniva dichiarato inutile, vecchio e da demolire.
Mi si perdoni l’analogia, ma questo è il modo in cui i nuovi ricchi si comportano quando improvvisamente finisce una gran fortuna, in questo caso, la dominazione e la leadership nel modellare il mondo. Invece di gestire saggiamente la ricchezza, per il loro bene certamente, penso che questi abbiano commesso molte follie.
Siamo entrati in un periodo di interpretazioni differenti e silenzi deliberati nel mondo della politica. Il diritto internazionale è stato forzato a ritirarsi sempre di piú sotto i colpi violenti di un nichilismo legale. L’obiettività e la giustizia sono stati sacrificati sull’altare della convenienza politica, interpretazioni arbitrarie e valutazioni di parte hanno rimpiazzato le norme legali. Allo stesso tempo, il controllo totale dei mezzi di informazione globali ha reso possibile, quando desiderato, mostrare il bianco come il nero ed il nero come il bianco.
In una situazione in cui sia ha la dominazione di una nazione e dei suoi alleati, o piuttosto dei paesi satelliti, la ricerca di soluzioni globali spesso volge in un tentativo di imporre le loro proprie ricette universali. Le ambizioni di questo gruppo sono cresciute a tal punto che essi iniziano a presentare le politiche messe insieme nei loro corridoi di potere come la visione di un’intera comunità internazionale. Ma non è questo il caso.
La nozione stessa di “sovranità nazionale” è diventata un valore relativo per la maggior parte dei paesi. In sostanza, ciò che è stato proposto è la formula: piú grande è la lealtà verso l’unico centro di potere mondiale, piú grande è la legittimità di questo o quel regime dominante.
Piú tardi ci sarà spazio per la discussione libera e sarò felice di rispondere alle vostre domande e usare le mie ragioni per porre a voi delle domande. Provate a confutare le argomentazioni che avanzerò durante questa discussione.
Le misure prese contro coloro che rifiutano di sottomettersi sono ben note e sono state provate e testate molte volte. Esse comprendono l’uso della forza, la pressione economica e la propaganda, l’interferenza negli affari interni e l’appellarsi a un certo tipo di legittimità “sovralegale” quando hanno bisogno di giustificare l’intervento illegale in questo o quel conflitto o di ribaltare regimi scomodi. Ultimamente abbiamo avuto prova che nei confronti di numerosi leader sono stati fatti dei ricatti. Non è un caso che il “Grande Fratello” stia spendendo miliardi di dollari per mantenere sotto sorveglianza il mondo interno, inclusi i propri alleati piú stretti.
Chiediamoci, quanto ci sentiamo a nostro agio in questa situazione, quanto siamo sicuri, come viviamo felici in questo mondo e quanto corretto e razionale è diventato? Forse non abbiamo motivi reali per preoccuparci, discutere e fare domande scomode? Forse l’eccezionale posizione degli Stati Uniti e il modo in cui stanno attuando la loro leadership è una benedizione per tutti noi, ed il loro interferire negli eventi di tutto il mondo è un portare pace, prosperità, progresso, crescita e democrazia e forse dovremmo solamente rilassarci e gioire di questo?
Lasciatemi dire che non è questo il caso, assolutamente non lo è.
Un diktat unilaterale e l’imporre i propri modelli produce il risultato opposto. Invece di pacificare i conflitti porta alla loro escalation, invece di stati stabili e sovrani vediamo crescere la diffusione del caos, invece di democrazia vi è il sostegno a soggetti di dubbia natura, che vanno dai neo-fascisti dichiarati agli islamici radicali.
Perché danno appoggio a tali persone? Lo fanno perché decidono di usarle come strumenti per raggiungere i loro obiettivi, ma poi si bruciano le dita e indietreggiano. Non ho mai smesso di stupirmi per il modo in cui i nostri partner continuano a tenere il passo con la stessa inclinazione, come diciamo qui in Russia, cioè continuano a compiere sempre gli stessi errori.
Una volta sponsorizzavano i movimenti estremisti per battere l’Unione Sovietica. Questi gruppi hanno avuto esperienza di scontri in Afganistan e piú tardi hanno dato vita ai Talebani e ad Al-Qaeda. L’Occidente, quando non ha fornito supporto, ha perlomeno chiuso gli occhi e, direi, ha fornito supporto d’intelligence, politico e finanziario per l’invasione di terroristi internazionali in Russia (e questo noi non lo abbiamo dimenticato) e nei paesi del Centro Asia. Solo dopo che orribili attacchi terroristici sono stati compiuti sul suolo americano stesso, gli Stati Uniti si sono svegliati verso la comune minaccia del terrorismo. Lasciatemi ricordare che noi siamo stati il primo paese a sostenere gli Americani, il primo a reagire come amici e partner alla terribile tragedia dell’11 settembre.
Durante le mie conversazioni con i leader americani ed europei ho sempre parlato della necessità di combattere uniti contro il terrorismo, come sfida su scala globale. Non possiamo arrenderci e accettare questa minaccia, o tagliarla in pezzi separati usando un doppio standard. I nostri partner hanno espresso il loro accordo, ma poco tempo dopo siamo tornati al punto di partenza. Prima c’è stata l’operazione militare in Iraq, poi in Libia, che è stata spinta sull’orlo del precipizio. Perché la Libia è stata portata a questa situazione? Oggi è un paese in pericolo di disgregazione ed è divenuto terreno di esercitazione per i terroristi.
Solo la determinazione e la saggezza dell’attuale leader egiziano hanno salvato questo stato arabo chiave dal caos e dagli estremisti. In Siria, come in passato, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno iniziato direttamente ad armare e a finanziare i ribelli, consentendo loro di riempire le proprie fila con mercenari di varie nazioni. Lasciatemi chiedere: questi ribelli dove prendono il denaro, le armi e gli specialisti militari? Da dove arriva tutto questo? Come ha fatto il famoso ISI a diventare un gruppo cosí potente, una forza realmente armata?
Fra le fonti di finanziamento oggi non troviamo solo la droga, la cui produzione è aumentata esponenzialmente, e non solo di qualche punto percentuale, da quando la coalizione internazionale è presente in Afganistan. Voi siete consapevoli di questo: i terroristi ricavano denaro anche dalla vendita del petrolio, il quale viene prodotto nel territorio controllato dai terroristi, che lo vendono a prezzi stracciati, lo producono e lo trasportano. Ma qualcuno compra, rivende e ci ricava un profitto, non pensando al fatto che stanno finanziando dei terroristi e che presto o tardi arriveranno sul loro suolo e semineranno distruzione nei loro paesi.
Dove prendono le nuove reclute? In Iraq, dopo che Saddam Hussein fu rovesciato, le istituzioni dello Stato, incluso l’esercito, sono state lasciate andare in rovina. Allora dicemmo di stare molto, molto attenti. State mandato la gente per strada, e cosa faranno poi? Non dimenticate (giustamente o no) che erano a capo di una potenza regionale e ora in che cosa li state trasformando?
Quale è stato il risultato? Decine di migliaia di soldati, ufficiali ed ex attivisti del partito Baath sono stati lasciati per strada e oggi si sono uniti alle schiere dei ribelli. Forse questo spiega perché il gruppo dello Stato Islamico sia diventato cosí efficiente? In termini militari sta agendo in modo efficiente e ha al suo interno persone molto professionali. La Russia ha avvertito ripetutamente sul pericolo di azioni militari unilaterali, nei confronti degli affari degli Stati sovrani e della possibilità di intesa con gli estremisti e i radicali. Abbiamo insistito perché questi gruppi che combattono contro il governo centrale siriano, soprattutto lo Stato Islamico, fossero inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche. Abbiamo visto qualche risultato? Il nostro appello è risultato vano.
A volte abbiamo l’impressione che i nostri colleghi e amici stiano costantemente combattendo contro le conseguenze delle loro stesse politiche, impiegando tutti i loro sforzi contro i rischi che essi stessi hanno creato e pagando un prezzo ancora piú alto.
Colleghi, questo periodo di dominazione unipolare ha ampiamente dimostrato che avendo un solo centro di potere non si rendono piú gestibili i processi globali. Al contrario, questo tipo di costruzione instabile ha mostrato la sua inadeguatezza nel combattere le reali minacce quali i conflitti regionali, il terrorismo, il traffico di droga, il fanatismo religioso, lo sciovinismo e il neo-nazismo. Allo stesso tempo ha aperto una strada ampia all’orgoglio nazionale, alla manipolazione della pubblica opinione e ha lasciato che i forti prevaricassero e i deboli venissero oppressi.
Essenzialmente il mondo unipolare è un modo semplice per giustificare la dittatura sulle persone e sulle nazioni. Il mondo unipolare è diventato troppo scomodo, pesante e ingestibile, un fardello persino per gli auto-proclamati leader. I commenti su questa linea sono appena stati fatti e mi trovano d’accordo. Questo è il motivo per cui, in questo momento storico, vedo tentativi di ricreare una sembianza di un mondo quasi-polare come modello conveniente per perpetuare la leadership americana. Non importa chi prende il posto del cattivo nella propaganda americana, il vecchio posto dell’URSS come principale avversario. Può essere l’Iran, in qualità di nazione aspirante ad acquisire la tecnologia nucleare, la Cina, in qualità di nazione con l’economia maggiore o la Russia, in qualità di superpotenza nucleare.
Oggi vediamo nuovi sforzi per frammentare il mondo, tirare nuove linee divisorie, mettere assieme coalizioni non costruite su qualcosa, ma dirette contro qualcuno, chiunque, creare l’immagine di un nemico come fu nel periodo della Guerra Fredda, e ottenere il diritto a questa leadership, o diktat se preferite. La situazione è stata presentata in questo modo durante la Guerra Fredda. Tutti noi lo abbiamo capito e lo sappiamo. Gli Stati Uniti hanno sempre detto ai loro alleati: “Abbiamo un nemico comune, un terribile avversario, il centro del male, e vi stiamo difendendo, nostri alleati, da questo nemico, e quindi abbiamo il diritto di darvi ordini, di forzarvi a sacrificare i vostri interessi politici ed economici e pagare la vostra quota di costi per la difesa collettiva, ma saremo noi a farci carico di tutto questo”. In breve oggi vediamo tentativi di riprodurre in un mondo nuovo e mutevole i modelli di gestione globale e tutto questo per garantire la loro (degli USA) eccezionale posizione e consentir loro di raccogliere i dividendi politici ed economici.
Ma questi tentativi stanno sempre piú deragliando dalla realtà e sono in contraddizione con la diversità del mondo. Passi di questo tipo creano inevitabilmente scontro e contromisure e provocano l’effetto opposto rispetto agli obiettivi auspicati. Vediamo ciò che succede quando la politica inizia a intromettersi avventatamente nell’economia e quando la logica delle decisioni razionali lascia spazio alla logica del confronto, che danneggia solo le posizioni economiche e gli interessi di uno soltanto, inclusi gli interessi nazionali.
I progetti economici congiunti e gli investimenti reciproci avvicinano le nazioni e le aiutano ad appianare i problemi attuali nelle relazioni fra Stati. Ma oggi, la comunità del business globale sta affrontando pressioni senza precedenti da parte dei governi occidentali. Ma di cosa possono parlare la convenienza economica, gli affari e il pragmatismo quando sentiamo slogan come “la patria è in pericolo”, “il mondo libero è sotto minaccia” e “la democrazia è in pericolo”? E quindi tutti si devono mobilitare. Questo è il vero volto della politica di mobilitazione.
Le sanzioni stanno già sgretolando le fondamenta del commercio mondiale, le regole dell’OMC e il principio dell’inviolabilità della proprietà privata. Inoltre stanno fendendo un colpo al modello liberale di globalizzazione basato sui mercati, sulla libertà e sulla concorrenza che, vorrei far notare, è un modello di cui hanno principalmente beneficiato i Paesi occidentali, che ora rischiano di perdere la loro autorevolezza in qualità di leader della globalizzazione. Dobbiamo chiederci: perché è stato necessario arrivare a ciò? Dopo tutto, la prosperità degli USA si basa in larga parte sulla fiducia degli investitori e degli stranieri che possiedono denaro e titoli in dollari americani. Tale fiducia sta chiaramente vacillando ed emerge già visibilmente in molti Paesi la delusione verso i frutti della globalizzazione.
Il noto precedente di Cipro e le sanzioni basate su motivazioni politiche non hanno fatto altro che rafforzare la tendenza a cercare di rafforzare la sovranità economica e finanziaria e il desiderio dei Paesi e dei loro gruppi regionali di trovare dei modi per proteggersi dal rischio della pressione esterna. Abbiamo già visto che un numero sempre crescente di Paesi sta cercando il modo di dipendere sempre meno dal dollaro e sta mettendo in piedi alternative finanziare e sistemi di pagamento e valute per le riserve. Penso che i nostri amici americani si stiano semplicemente scavando la fossa con le loro stesse mani. Non bisogna mischiare politica ed economia, ma questo è ciò che sta accadendo proprio ora. Ho sempre ritenuto, e tuttora sono convinto, che sanzioni dettate da motivi politici siano un errore che porterà danno a tutti, ma sono certo che torneremo di nuovo su questo argomento in seguito.
Sappiamo come sono state prese queste decisioni e chi sta facendo pressioni. Lasciatemi tuttavia sottolineare che la Russia non si sta agitando, offendendo né sta bussando alla porta di nessuno. La Russia è un Paese autosufficiente. Opereremo nello scenario economico che si è formato sviluppando la produzione e la tecnologia nazionale e agiremo in modo piú deciso per apportare trasformazioni. La pressione dall’esterno, come è successo in occasioni passate, potrà solo consolidare la nostra società e mantenerci reattivi e concentrati sui nostri obiettivi di sviluppo.
Naturalmente le sanzioni sono un ostacolo. Stanno cercando di danneggiarci attraverso le sanzioni, tentano di bloccare il nostro sviluppo e di spingerci in un isolamento politico, economico e culturale obbligandoci, in altre parole, a rimanere arretrati. Ma lasciatemi ripetere ancora una volta che il mondo oggi è molto diverso. Non abbiamo intenzione di restare chiusi fuori rispetto agli altri né di scegliere una sorta di percorso di sviluppo chiuso, all’insegna del vivere in autarchia. Siamo sempre aperti al dialogo, soprattutto per quanto riguarda la normalizzazione delle nostre relazioni economico-politiche. Facciamo affidamento sull’approccio pragmatico e sulla posizione della comunità degli affari nei Paesi avanzati.
Oggi qualcuno dice che la Russia sta voltando le spalle all’Europa - queste parole sono probabilmente già state pronunciate anche qui durante le discussioni - e che stiamo cercando nuovi partner commerciali soprattutto in Asia. Lasciatemi dire che non è affatto cosí. La nostra attività politica nella regione asiatica del Pacifico non è iniziata ieri e non è una reazione alle sanzioni, bensí una politica che stiamo perseguendo già da molti anni. Come molti altri Paesi, inclusi i Paesi occidentali, abbiamo notato che l’Asia sta giocando un ruolo sempre maggiore nel mondo, nell’economia e nella politica e non ci si può permettere il lusso di non tenere in considerazione questi sviluppi.
Lasciatemi nuovamente dire che tutti stanno agendo in questo modo e che anche noi lo faremo, tanto piú che una grande porzione del nostro Paese si trova geograficamente in Asia. Perché non dovremmo sfruttare i nostri vantaggi competitivi in questa zona? Non farlo sarebbe una mossa estremamente miope.
Sviluppare i legami economici con questi Paesi e attuare progetti di integrazione comune incentiverà in modo significativo il nostro sviluppo interno. Le tendenze demografiche, economiche e culturali odierne suggeriscono che la dipendenza da un’unica super potenza diminuirà in modo oggettivo. Gli esperti europei e americani ne stanno già parlando e scrivendo.
Probabilmente gli avvicendamenti nella politica globale sono lo specchio degli sviluppi che vediamo nell’economia globale, ovvero la presenza di un’intensa competizione in nicchie specifiche e frequenti cambiamenti di leader in zone particolari. Questo è assolutamente possibile.
Non c’è dubbio che i fattori umanitari quali istruzione, scienza, sanità e cultura svolgano un ruolo sempre maggiore nella competizione globale. Questo rappresenta anche un forte impatto sulle relazioni internazionali, anche perché queste risorse di ‘potere morbido’ (soft power) dipendono in larga misura dagli effettivi risultati nello sviluppo del capitale umano piuttosto che da sofisticati giochetti di propaganda.
Allo stesso tempo, la formazione di un cosiddetto ordine mondiale policentrico (vorrei concentrare la vostra attenzione su questo punto, colleghi) di per se stesso non migliora la stabilità, anzi è piú probabile che porti all’effetto opposto. L’obiettivo di raggiungere un equilibrio mondiale si sta trasformando in un puzzle abbastanza difficile, un’equazione con molte incognite.
Quindi cosa ci attende se scegliamo di non giocare secondo le regole, anche se sono severe e poco convenienti, ma di vivere senza alcuna regola? Questo scenario ha assolute possibilità di realizzarsi, non possiamo escluderlo viste le tensioni esistenti a livello globale. Si possono già fare molte previsioni, considerando le tendenze attuali, e sfortunatamente sono tutt’altro che ottimistiche. Se non creiamo un chiaro sistema di impegni e accordi, se non costituiamo meccanismi per gestire e risolvere le crisi, i sintomi di un’anarchia globale non potranno che crescere inevitabilmente.
Oggi ci troviamo già di fronte a una crescente probabilità che si verifichino una serie di violenti conflitti con la partecipazione diretta o indiretta delle maggiori potenze mondiali. I fattori di rischio non riguardano soltanto i tradizionali conflitti multinazionali ma anche l’instabilità interna dei singoli stati, specialmente se ci riferiamo a nazioni che si trovano al crocevia degli interessi geopolitici dei maggiori stati oppure al confine di continenti e civiltà culturali, storiche e economiche.
L’Ucraina, che sono certo è stata discussa a lungo e verrà trattata ancora, è un esempio di questo tipo di conflitti che influiscono sull’equilibrio di potere internazionale e credo che non sarà di certo l’ultimo. Da qui deriva la prossima vera minaccia di distruzione del sistema degli accordi per il controllo delle armi. Questo pericoloso processo è stato avviato dagli Stati Uniti d’America quando si sono unilateralmente ritirati dal trattato contro i missili balistici nel 2002 e hanno poi iniziato, continuando ancora oggi, a perseguire attivamente la creazione di un sistema di difesa missilistica globale.
Colleghi, amici,
voglio sottolineare che non siamo stati noi a cominciare questo percorso. Ancora una volta stiamo scivolando in un periodo in cui, invece di un equilibrio di interessi e mutue garanzie, sono la paura e un equilibrio basato sulla mutua distruzione ad impedire alle nazioni di entrare in conflitto diretto. In assenza di strumenti legali e politici, le armi sono ancora una volta il punto saliente dell’agenda globale, poiché vi si ricorre ovunque e comunque senza ricevere sanzioni da parte del consiglio di sicurezza dell’ONU. Se il Consiglio di Sicurezza si rifiuta di produrre tali decisioni, siamo di fronte alla prova lampante che si tratta di uno strumento desueto e inefficace.
Molti Stati non vedono altri modi per garantire la loro sovranità se non quello di avere le proprie bombe. Ciò è estremamente pericoloso. Insistiamo perché le trattative continuino. Non soltanto siamo a favore delle trattative, ma insistiamo perché queste continuino al fine di ridurre gli arsenali nucleari. Meno armi nucleari ci saranno al mondo e meglio sarà. Siamo pronti a discussioni serie e concrete sul disarmo nucleare, ma solo se si tratta di discussioni fondate senza l’adozione di due pesi e due misure.
Cosa voglio dire con questo? Attualmente molte tipologie di armamenti ad alta precisione sono paragonabili, come potenziale, alle armi di distruzione di massa e nel caso in cui si rinunci totalmente alle armi nucleari o si provveda ad una radicale riduzione del potenziale nucleare, le nazioni che sono già in testa nella creazione e produzione di sistemi ad alta precisione saranno fortemente avvantaggiate sul piano militare. La parità strategica verrebbe meno portando molto probabilmente alla destabilizzazione. Si può essere tentati di fare il cosiddetto primo attacco preventivo globale. In poche parole, il rischio, invece di ridursi, si amplifica.
Un’altra chiara minaccia è l’escalation progressiva di conflitti etnici, religiosi e sociali. Tali conflitti sono pericolosi non solo in quanto tali, ma anche perché creano zone di anarchia, mancanza di riferimenti legali e caos nelle aree circostanti, ovvero creano il terreno adatto per terroristi e criminali, luoghi dove prosperano la pirateria, il traffico di esseri umani e di stupefacenti.
Peraltro, in quel periodo, i nostri colleghi hanno tentato di gestire questi processi in qualche modo, utilizzando i conflitti regionali e progettando ‘rivoluzioni colorate’ per venire incontro ai propri interessi, ma le redini della situazione gli sono sfuggite di mano. Pare che i padri della teoria del caos controllato non sappiano piú cosa farsene visto il disordine che si è creato nelle loro file.
Abbiamo seguito da vicino le discussioni sia dell’élite al potere sia della comunità di esperti. È sufficiente leggere i titoli della stampa occidentale nell’ultimo anno. Gli stessi soggetti sono prima definiti combattenti per la democrazia e poi islamisti, prima si scrive delle rivoluzioni e poi si passa a chiamarle rivolte e disordini. Il risultato è evidente: il caos globale continua a espandersi.
Colleghi, visto lo scenario globale, è giunto il momento di cominciare ad accordarsi su dei punti fondamentali. È incredibilmente importante nonché necessario, ed è di gran lunga l’opzione migliore piuttosto che ritornare ognuno nel proprio giardinetto privato. Piú si affrontano i problemi congiuntamente e piú ci troviamo sulla stessa barca. La soluzione piú logica va verso la cooperazione fra nazioni e società per trovare delle risposte collettive alle sfide sempre crescenti e per gestire il rischio da un fronte unito. Ovviamente alcuni dei nostri partner, per qualche ragione, si ricordano di questo solo quando favorisce i loro interessi.
L’esperienza pratica ci indica che reagire alle sfide a fronte unito non è sempre la panacea per tutti i mali, dobbiamo renderci conto di questo. Inoltre, in molti casi, tali risposte sono difficili da raggiungere. Non è semplice superare le differenze insite negli interessi nazionali, i diversi approcci a carattere soggettivo, soprattutto quando si tratta di nazioni con tradizioni storiche e culturali differenti. Tuttavia abbiamo assistito a esempi in cui la presenza di obiettivi comuni e l’azione basata sugli stessi criteri hanno permesso di raggiungere successi concreti.
Vorrei ricordarvi la soluzione del problema sulle armi chimiche in Siria e il sostanziale dialogo sul programma nucleare iraniano, nonché il nostro operato riguardo alle questioni nord coreane, che ha portato a risultati positivi. Perché non possiamo sfruttare questa esperienza per risolvere sfide locali e globali in futuro?
Quale potrebbe essere il presupposto legale, politico ed economico per un nuovo ordine mondiale che porterebbe alla stabilità e alla sicurezza, incoraggiando al tempo stesso una concorrenza sana ed evitando la formazione di nuovi monopoli che ostacolerebbero lo sviluppo? È poco probabile che in questo momento si possano fornire soluzioni assolutamente esaustive e già pronte per l’uso. È necessario un lavoro molto ampio, che veda la partecipazione di una largo numero di governi, imprese globali, società civili e piattaforme di esperti come la nostra.
Tuttavia è chiaro che il successo e l’ottenimento di risultati tangibili sono possibili soltanto se i partecipanti di spicco dell’arena internazionale concorderanno sull’armonizzazione degli interessi di base, applicheranno un ragionevole autocontrollo e agiranno da esempio di leadership positiva e responsabile. Dobbiamo identificare chiaramente dove terminano le azioni unilaterali e applicare meccanismi multilaterali per migliorare almeno in parte l’efficacia del diritto internazionale, dobbiamo risolvere il dilemma che investe le azioni della comunità internazionale per garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti umani nonché il principio di sovranità nazionale volto a non interferire negli affari interni di alcuno Stato.
Proprio queste collisioni portano con frequenza sempre crescente a interferenze arbitrarie dall’esterno nei complessi processi interni e talvolta sfociano in pericolosi conflitti fra i maggiori attori della scena globale. Il mantenimento della sovranità diviene di importanza fondamentale per conservare e rafforzare la stabilità globale.
Certamente è molto difficile discutere i criteri di utilizzo della forza esterna, poiché è praticamente impossibile separarlo dagli interessi delle specifiche nazioni. Tuttavia ciò è molto piú pericoloso quando mancano accordi chiari per tutti e non ci sono condizioni definite per attuare interferenze legittime e necessarie.
Vorrei aggiungere che le relazioni internazionali devono essere basate sul diritto internazionale, il quale si appoggia a principi morali quali la giustizia, l’uguaglianza e la verità. Forse l’elemento piú importante è il rispetto per i partner di un Paese e i loro interessi. Questa è una formula ovvia, ma il semplice fatto di applicarla potrebbe cambiare radicalmente la situazione globale.
Sono convinto che quando c’è la volontà sia possibile ripristinare un sistema efficace di istituzioni regionali e internazionali. Non dobbiamo costruire qualcosa di nuovo né partire da zero. Questo non implica che ‘abbiamo carta bianca’ poiché ci sono delle istituzioni costituite dopo la Seconda Guerra Mondiale che hanno un carattere essenzialmente universale e a cui può essere data una chiave moderna e adeguata per gestire la situazione attuale.
Questo vale per il miglioramento dell’operato dell’ONU, il cui ruolo centrale è insostituibile, cosí come l’OSCE che per 40 anni ha dimostrato di essere un meccanismo necessario per assicurare la sicurezza e la cooperazione nella regione euro-atlantica. Devo dire che, anche in questo momento in cui si sta cercando di risolvere la crisi nella parte sud-orientale dell’Ucraina, l’OSCE sta svolgendo un ruolo molto positivo.
Alla luce dei fondamentali mutamenti nell’ambiente internazionale, del carattere incontrollabile e dell’aumento delle diverse minacce c’è necessità di un nuovo consenso globale fra forze responsabili. Non si tratta di accordi locali o della divisione in sfere d’influenza nello spirito della diplomazia di stampo tradizionali oppure del dominio globale da parte di qualche soggetto. Penso che abbiamo bisogno di un tipo di interdipendenza. Non dobbiamo averne timore. Al contrario, questo è un buono strumento per concertare le diverse posizioni che diviene particolarmente rilevante visto il rafforzamento e la crescita di alcune regioni del pianeta, dato che questo processo necessita dell’istituzionalizzazione di tali nuovi poli e della creazione di organizzazioni regionali forti insieme allo sviluppo di regole per l’interazione fra questi. La cooperazione fra questi centri contribuirebbe sostanzialmente ad aumentare la stabilità della sicurezza, della politica e dell’economia. Per stabilire tale dialogo bisogna procedere dall’assunto che tutti i centri regionali e i progetti di integrazione che vi si sviluppano attorno hanno pari diritti di sviluppo, in modo tale da potere diventare complementari e da non essere obbligati a entrare artificialmente in conflitto o in contrapposizione. Queste azioni distruttive romperebbero i legami fra stati e gli stati stessi sarebbero soggetti a difficoltà estreme o addirittura alla totale distruzione.
Vorrei ricordarvi i fatti dell’anno scorso. Avevamo detto ai nostri partner americani ed europei che astiose decisioni prese dietro le quinte, per esempio riguardo all’adesione dell’Ucraina all’UE, sarebbero state foriere di gravi rischi per l’economia. Non abbiamo parlato di politica, ma solo di economia dicendo che tali azioni perpetrate senza accordi precedenti toccano gli interessi di molti Paesi, inclusa la Russia visto che siamo il principale partner commerciale dell’Ucraina, e che è necessaria un’ampia discussione di queste problematiche. Apro una parentesi a questo riguardo, ricordando ad esempio i negoziati sull’ingresso della Russia nell’OMC che si sono protratti per 19 anni. È stato un lavoro difficile ed è stato raggiunto un certo consenso.
Perché sto menzionando questi fatti? Perché nell’attuazione del progetto di adesione dell’Ucraina i nostri partner passerebbero dalla ‘porta sul retro’ per farci giungere le loro merci e i loro servizi. Noi non abbiamo espresso la nostra approvazione e nessuno ce l’ha chiesta. Abbiamo discusso tutte le tematiche relative all’adesione dell’Ucraina all’UE, e sono state discussioni costanti, ma vorrei sottolineare che sono avvenute sempre in modo civile, definendo possibili problemi e portando ovvi ragionamenti e motivazioni. Nessuno ha voluto ascoltarci e nessuno ha voluto parlarne. Ci hanno semplicemente detto che non erano affari nostri, punto, fine della discussione. Invece di un dialogo comprensivo, e sottolineo, civile, il risultato è stato un governo rovesciato. Il Paese è stato gettato nel caos, nel collasso economico e sociale, in una guerra civile con un enorme quantità di vittime.
Perché? Quando chiedo ai miei colleghi le loro ragioni, non hanno risposte da dare, nessuno dice nulla. Questo è quanto. Tutti sono disorientati, dicendo che è semplicemente andata cosí. Queste azioni non avrebbero dovuto essere incoraggiate, perché non avrebbero funzionato. Dopo tutto (e l’ho già detto) il precedente presidente ucraino Janukovich ha firmato tutto, si è detto d’accordo con tutto. Perché fare ciò? Qual era lo scopo? Si può definire questo un modo civile per risolvere i problemi? Pare che coloro che costantemente organizzano nuove ‘rivoluzioni colorate’ si considerino ‘artisti brillanti’ e semplicemente non sono in grado di smettere.
Sono certo che il lavoro di associazioni integrate e la cooperazione delle strutture regionali debba basarsi su fondamenta chiare e trasparenti. Il processo di formazione dell’Unione Economica Euroasiatica è un buon esempio di trasparenza. Gli stati che hanno preso parte a questo progetto hanno informato in anticipo il loro partner riguardo alle loro intenzioni e hanno specificato i parametri di tale associazione e i principi del suo funzionamento, che corrispondono con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Aggiungo che avremmo anche visto con favore l’inizio di un dialogo concreto fra l’Unione Euroasiatica e l’Unione Europea. Ma anche questo ci è stato negato e il motivo non è chiaro: quali sono i timori al riguardo?
Certamente pensavamo che con un operato congiunto avremmo dovuto impegnarci a costruire un dialogo (ho parlato molte volte di questo e ricevuto segnali di approvazione da molti partner occidentali, per lo meno in Europa) sulla necessità di creare uno spazio comune per la cooperazione economica e umanitaria che coinvolgesse tutti i Paesi, dall’Oceano Atlantico al Pacifico.
Colleghi, la Russia ha compiuto la sua scelta. Le nostre priorità stanno migliorando ancora di piú le nostre istituzioni democratiche e di economia di libero mercato, accelerano lo sviluppo nazionale tenendo in considerazione tutte le favorevoli tendenze moderne globali e consolidando una società basata su valori tradizionali e patriottici.
La nostra agenda è orientata all’integrazione, è positiva e pacifica e stiamo lavorando attivamente insieme ai nostri amici dell’Unione Economica Euroasiatica, all’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, ai BRICS e agli altri partner. La nostra agenda punta a sviluppare i legami fra i governi, non a creare distanza. Non stiamo cercando di mettere insieme alcun blocco di Paesi né di inserirci in uno scambio di colpi.
Le asserzioni e le dichiarazione secondo cui la Russia sta tentando di costituire una sorta di impero violando la sovranità dei suoi vicini sono senza fondamento. La Russia non ha bisogno di un posto speciale ed esclusivo nel mondo, e desidero evidenziare questo fatto. Nel rispetto degli interessi degli altri, vogliamo semplicemente che i nostri interessi vengano presi in considerazione e che venga rispettata la nostra posizione.
Siamo tutti consapevoli che il mondo è entrato in un periodo di cambiamenti e di trasformazioni globali, nel quale è necessario usare grande cautela ed evitare mosse sconsiderate. Negli anni che hanno seguito la Guerra Fredda, gli attori della politica globale hanno in qualche modo perso queste qualità; ora è il momento di ricordargliele, altrimenti la speranza di uno sviluppo pacifico e stabile sarà soltanto un’illusione pericolosa, e il tumulto odierno sarà solo il preludio al collasso dell’ordine mondiale.
Sí, certamente, ho già detto che costruire un ordine mondiale stabile è un compito difficile. Stiamo parlando di un lavoro lungo e faticoso. Siamo riusciti a definire regole a favore dell’integrazione dopo la Seconda Guerra Mondiale e siamo stati in grado di arrivare a un accordo a Helsinki negli anni settanta. Il nostro dovere comune consiste nel risolvere questa sfida cruciale in questa nuova fase di sviluppo.
Grazie mille per la vostra attenzione.