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Discorso di Vladimir Putin alla 70a Assemblea delle Nazioni Unite
Sua eccellenza Signor Presidente,
Sua eccellenza Vice Segretario,
Distinti Capi di Stato e di Governo,
Signore e Signori,
Il settantesimo anniversario delle Nazioni Unite è una buona occasione per fare il punto della situazione sul passato e parlare del nostro comune futuro.
Nel 1945 i paesi che sconfissero il nazismo collaborarono insieme per ricostruire le solide fondamenta dell’ordine mondiale successivo alla seconda guerra mondiale. Lasciatemi ricordare che le decisioni chiave sui principi che rivestono questa cooperazione e la creazione delle Nazioni Unite furono prese nel nostro paese, a Yalta, all’incontro dei capi della coalizione contro Hitler.
Il sistema di Yalta è nato in travaglio. È nato al costo di milioni di vittime e due guerre mondiali che hanno spazzato il pianeta nel ventesimo secolo. Siamo onesti: le Nazioni Unite hanno aiutato l’umanità durante tempi difficili, eventi drammatici, negli ultimi 70 anni. Hanno salvato il mondo da sconvolgimenti di larga scala.
Le Nazioni Unite sono uniche nella rappresentazione di legittimità e universalità. È vero che ultimamente le Nazioni Unite sono state ampiamente criticate per non essere state sufficientemente efficienti e per avere mancato al dovere di assumere decisioni su certe problematiche fondamentali a causa di insormontabili differenze, tra alcuni membri del Consiglio di Sicurezza in primis.
Vorrei comunque sottolineare che ci sono sempre state differenze alle Nazioni Unite durante i 70 anni della sua esistenza, il diritto di veto è sempre stato esercitato dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Cina, dall’Unione Sovietica, dalla Russia.
È assolutamente naturale per rappresentanti di una tale organizzazione. Quando le Nazioni Unite furono create, i suoi fondatori non pensarono che ci sarebbe stata sempre unanimità, la missione dell’organizzazione è cercare e trovare compromessi, la sua forza deriva dal prendere in considerazione differenti punti di vista e opinioni.
Decisioni discusse all’interno delle Nazioni Unite possono essere intese come risoluzione o meno. Come dicono i diplomatici, “può passare come può non farlo”. Qualunque azione uno Stato intraprenda per scavalcare questa procedura è illegittima e va contro lo statuto delle Nazioni Unite e il diritto internazionale.
Sappiamo tutti che dopo la fine della Guerra Fredda, ne siamo tutti coscienti, è apparso un singolo centro di dominazione mondiale. Coloro che si trovarono ai vertici della piramide furono tentati di pensare che, se erano cosí forti e eccezionali, ne sapevano di piú, e non dovevano piú confrontarsi con le Nazioni Unite che, invece di autorizzare e legittimare automaticamente le decisioni necessarie, spesso creavano ostacoli, o, per cosí dire, erano d’intralcio.
È ormai facile notare che le Nazioni Unite, nella loro forma originale, siano diventate obsolete, avendo raggiunto la loro missione storica. Ovviamente il mondo sta cambiando e le Nazioni Unite devono adattarsi a questa trasformazione naturale. La Russia è sempre pronta a lavorare assieme ai suoi interlocutori sulla base di un largo consenso; tuttavia consideriamo i tentativi di minare la legittimità di altre nazioni come estremamente pericolosi. Simili tentativi potrebbero portare al collasso dell’intera architettura delle relazioni internazionali: non ci sarebbero piú regole se non quella della forza.
Un mondo dominato dall’egoismo invece del lavoro collettivo, un mondo sempre piú caratterizzato da direttive invece che uguaglianza. Ci sarebbe meno democrazia genuina e libertà, sarebbe un mondo dove veri Stati indipendenti sarebbero rimpiazzati da protettorati e territori controllati dall’esterno.
Che cos’è dunque la “sovranità nazionale”? Come menzionato dai miei colleghi prima di me, è la libertà, la libertà per ogni persona, nazione o Stato di scegliere il proprio destino. Lo stesso vale per la questione della legittimità dell’autorità di Stato. Non si dovrebbe giocare con le parole o manipolarle, ogni termine dovrebbe essere chiaro e trasparente per la legge internazionale, dovrebbe avere un criterio uniformemente comprensibile.
Siamo tutti diversi e dovremmo rispettarlo. Nessuno ha l’obbligo di adeguarsi ad un singolo modello di sviluppo che qualcun’altro ha riconosciuto una volta per tutte come l’unico adeguato. Dovremmo ricordarci tutti cosa ci ha insegnato il passato, ricordarci anche episodi passati della storia dell’Unione Sovietica, esperimenti sociali esportati per ottenere cambiamenti politici in altri paesi basati su preferenze ideologiche hanno spesso condotto a tragiche conseguenze e degradazione invece che progresso.
Sembra, nonostante questo, che invece che imparare dagli sbagli degli altri, tutti stiano ripetendoli. Ecco cosí che l’esportazione di rivoluzioni, questa volta cosiddette democratiche, continua. Sarebbe sufficiente osservare la situazione in Medio Oriente e in Nord Africa. Certamente i problemi politici e sociali nella regione si sono accumulati da tanto tempo e la popolazione desiderava cambiamenti.
Ma cosa è successo alla fine? Invece di portare riforme, un’aggressiva interferenza straniera ha prodotto una distruzione flagrante di istituzioni nazionali e la distruzione della vita stessa. Invece del trionfo della democrazia e del progresso abbiamo ottenuto la violenza, la povertà e un disastro sociale. E a nessuno importa nulla dei diritti umani, incluso il diritto alla vita.
Non posso che chiedere a coloro che hanno causato questa situazione: vi rendete conto adesso di ciò che avete fatto? Ho tuttavia il timore che nessuno mi risponderà. Infatti, politiche basate sulla presunzione, sul credersi eccezionali e godere di impunità, non sono mai state abbandonate. È ovvio, ormai, che il vuoto politico creato in alcuni paesi del Medio Oriente e in Nord Africa ha prodotto l’emergere di aree in cui vige l’anarchia: quest’ultime hanno cominciato immediatamente a popolarsi di estremisti e terroristi.
Decine di migliaia di soldati combattono sotto la bandiera del cosiddetto “Stato Islamico”. Tra le sue fila ci sono anche ex soldati iracheni che sono stati lasciati per strada dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. Molte reclute arrivano anche dalla Libia, un paese il cui Stato fu distrutto in palese violazione della risoluzione delle Consiglio delle Nazioni Unite del 1973.
Ora i ranghi degli estremisti sono coadiuvati da membri della cosiddetta opposizione siriana “moderata” sostenuta dai paesi occidentali. Prima vengono addestrati e armati poi defezionano allo Stato Islamico. A parte questo, lo Stato Islamico non è arrivato dal nulla. È stato creato come strumento per far leva contro regimi secolari indesiderati. Avendo stabilito una testa di ponte in Iraq e Siria, lo Stato Islamico comincia ad espandersi attivamente in altre regioni. Cerca la dominazione nel mondo Islamico e pianifica di andare ben piú distante.
La situazione è piú che pericolosa. In queste circostanze è ipocrita e irresponsabile fare dichiarazioni rumorose sul terrorismo internazionale mentre si chiudono gli occhi di fronte ai canali di finanziamento e di sostegno ai terroristi, incluse le pratiche di traffico di droga, petrolio e armi. Sarebbe ugualmente irresponsabile provare a manipolare gruppi di estremisti, provare ad assoldarli per raggiungere i propri obiettivi politici sperando di riuscire a “gestirli” o, in altre parole, liquidarli, piú tardi.
A coloro che credono sia possibile vorrei dire: cari signori, senza dubbio state dialogando con persone crudeli e violente, ma non sono in alcun modo primitive. Sono intelligenti quanto voi e non saprete mai chi sta manipolando chi. I recenti dati sui trasferimenti di armi a questa opposizione “moderata” ne sono la prova migliore.
Crediamo che qualsiasi tentativo di giocare con i terroristi, senza parlare di armarli, sia non solo cieco ma anche potenzialmente incendiario. Tutto ciò potrebbe risultare in un incremento drammatico della minaccia terrorista e abbracciare nuove regioni. Specialmente visto che lo Stato Islamico addestra i propri soldati in vari paesi, inclusi paesi europei.
Sfortunatamente la Russia non è una eccezione. Non possiamo permettere a questi criminali che conoscono l’odore del sangue di tornare a casa e continuare le loro malefatte. Nessuno lo desidera, non è vero?
La Russia è sempre stata decisa e consistente nell’opporsi al terrorismo in tutte le sue forme. Oggi diamo assistenza militare e tecnica sia in Iraq che in Siria, dove stanno combattendo gruppi terroristi. Pensiamo sia un enorme sbaglio rifiutarsi di collaborare con il governo siriano e le sue forze armate che stanno combattendo il terrorismo con valore, faccia a faccia. Dovremmo poi riconoscere che nessuno tranne le forze armate del Presidente Assad e le milizie curde stanno combattendo veramente lo Stato Islamico e le altre organizzazioni terroristiche in Siria.
Cari colleghi,
Devo notare che l’approccio diretto che la Russia ha avuto è stato oggetto di pretesto per accusarla di crescenti ambizioni (come se coloro che sostengono tutto ciò non ne avessero affatto). Comunque, non riguarda le ambizioni della Russia ma il riconoscere il fatto che non possiamo piú tollerare l’attuale situazione nel mondo.
In sostanza suggeriamo che dovremmo essere guidati da valori comuni e comuni interessi invece che ambizioni. Dobbiamo unire i nostri sforzi per affrontare i problemi che ciascuno di noi fronteggia sulle basi della legge internazionale, e genuinamente creare una larga coalizione internazionale contro il terrorismo.
Simile alla coalizione contro Hitler, questa potrebbe unire una larga porzione delle forze che sono desiderose di resistere con risolutezza a coloro che, come i Nazisti, seminano malvagità e odio per l’umanità.
Naturalmente i paesi musulmani sono invitati a giocare un ruolo chiave nella coalizione, specialmente perché lo Stato Islamico non solo li minaccia direttamente, ma dissacra per giunta una delle piú grandi religioni del mondo con crimini sanguinosi. L’ideologia dei fondamentalisti fa una caricatura dell’Islam e perverte i suoi autentici valori umanistici. Vorrei rivolgermi ai capi religiosi dei Musulmani: la vostra autorità e la vostra guida è oggi molto importante. È essenziale evitare che la gente reclutata dai fanatici possa prendere decisioni sconsiderate. E quelli che sono già caduti nell’inganno e che, a causa di varie circostanze, si trovano fra i terroristi, devono essere aiutati a trovare la propria strada per una vita normale, deponendo le armi e mettendo fine alla lotta fratricida.
Come Presidente in carica del Consiglio di Sicurezza la Russia convocherà quanto prima un incontro fra ministri per analizzare in maniera globale le minacce in Medio Oriente. Prima di tutto, proponiamo che sia discusso se sia possibile convergere su di una risoluzione che consenta di coordinare le azioni di tutte le forze che contrastano lo Stato Islamico e le altre organizzazioni terroristiche.
Ancora una volta, questo coordinamento dovrebbe essere informato ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Speriamo che la comunità internazionale sarà in grado di sviluppare una strategia complessiva di stabilizzazione politica e di ripresa sociale ed economica del Medio Oriente. Se questo avvenisse, non ci sarebbe bisogno di nuovi campi profughi.
Oggi il flusso di persone costrette a lasciare la loro madrepatria ha letteralmente congestionato l’Europa. Ora sono centinaia di migliaia, ma presto potrebbero essere milioni. Di fatto, è una nuova, grande e tragica migrazione di popoli. Ed è una severa lezione per gli Europei.
Vorrei sottolineare: i rifugiati, indubbiamente, hanno bisogno della nostra compassione e del nostro sostegno. In ogni caso, l’unico modo per risolvere questo problema alla radice è ripristinare l’autorità statale dove è stata distrutta, rinforzare le istituzioni governative, provvedere una assistenza globale (militare, economica e materiale) a paesi in una situazione difficile e, certamente, a quei popoli che non abbandonano le loro case nonostante tutte le prove.
Naturalmente ogni assistenza a Stati sovrani può e deve essere offerta, non imposta, ed esclusivamente e solamente in ossequio alla Carta delle Nazioni Unite. In altre parole, tutto quanto viene fatto e sarà fatto in questo campo, nella misura in cui osserverà le norme del diritto internazionale, meriterà sostegno. Tutto quanto, al contrario, contravverrà la Carta delle Nazioni Unite sarà respinto. Soprattutto credo che sia della massima importanza ripristinare le istituzioni governative in Libia, sostenere il governo dell’Iraq e fornire completa assistenza al legittimo governo della Siria.
Colleghi,
Assicurare la pace e la stabilità regionale globale rimane l’obiettivo chiave della comunità internazionale, con le Nazioni Unite al timone. Crediamo che questo significhi creare uno spazio di sicurezza equa ed indivisibile che non sia tale per pochi, ma per tutti. Si, è un impegno faticoso, difficile e che richiede tempo, ma semplicemente non ci sono alternative.
In ogni caso il costume mentale che richiede di ragionare per blocchi contrapposti del tempo della guerra fredda e il desiderio di esplorare nuove aree geopolitiche è ancora presente fra alcuni dei nostri colleghi. È riprovevole che alcuni dei nostri colleghi abbiano fin ora scelto una strada diversa: quella di esplorare nuovi spazi geopolitici.
Prima di tutto hanno continuato la loro politica di espansione della NATO e delle sue infrastrutture militari. In secondo luogo hanno offerto ai paesi dello spazio post sovietico una scelta ingannevole: essere Occidente, o essere Oriente. Prima o poi questa logica di confronto era destinata a produrre una grande crisi geopolitica. Questo è esattamente quanto accaduto in Ucraina, dove il malcontento popolare nei confronti delle autorità al potere è stato strumentalizzato e dove è stato orchestrato dall’esterno un colpo di stato militare che ha prodotto, come risultato, una guerra civile.
Crediamo che solo una piena e leale attuazione degli accordi di Minsk del 12 febbraio 2015 possa porre fine al bagno di sangue e consentire di uscire dal vicolo cieco. L’unità territoriale dell’Ucraina non può essere assicurata con le minacce e la forza delle armi. Quello che serve è una sincera attenzione per gli interessi ed i diritti della gente della regione del Donbass, e rispetto per la loro scelta. Bisogna concordare con loro, come previsto dagli accordi di Minsk, gli elementi chiave del profilo politico del paese. Questi passi garantiranno la crescita dell’Ucraina come paese civile, come un collegamento essenziale nella costruzione di un comune spazio di sicurezza e di cooperazione economica in Europa ed in Eurasia.
Signore e Signori,
ho menzionato volontariamente il comune spazio di cooperazione economica. Non molto tempo fa sembrava che nella sfera economica, con le sue oggettive leggi del mercato, ci saremmo abituati a vivere senza linee divisorie. Che avremmo edificato sulla base di regole trasparenti e concordate, inclusi i principi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, che affermano la libertà di commercio e di investimento in un contesto di libera competizione.
A dispetto di ciò al giorno d’oggi sanzioni unilaterali che aggirano la Carta delle Nazioni Unite sono diventate un elemento quasi fisso del panorama. Oltre a perseguire obiettivi politici, queste sanzioni servono come mezzo per eliminare la concorrenza.
Mi piacerebbe sottolineare un altro segno di crescente “autoreferenzialità economica”. Alcuni paesi hanno scelto di creare associazioni economiche chiuse ed “esclusive”, governate da regole contrattate nei retroscena, al segreto dagli stessi cittadini di quei paesi, dal grande pubblico e della comunità degli affari. Altri Stati, i cui interessi potrebbero essere danneggiati, non sono informati di nulla. Sembra che dobbiamo essere per forza messi davanti al fatto compiuto, al cambiamento delle regole in favore di un ristretto gruppo di privilegiati, senza che l’Organizzazione Mondiale del Commercio abbia nulla da obiettare. Questo processo potrebbe sbilanciare completamente il sistema commerciale e disintegrare lo spazio economico globale.
Sono argomenti che toccano gli interessi di tutti gli stati ed influenzano il futuro dell’economia mondiale nel suo complesso. Ecco perché proponiamo di discuterli all’interno delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e del G20.
Contro la politica di “limitazione”, la Russia propone di armonizzare i progetti economici regionali. Mi riferisco alla cosiddetta “integrazione delle integrazioni” basata su regole di commercio internazionale universali e trasparenti.
Per esempio vorrei menzionare i nostri piani di interconnettere l’Unione Economica Euroasiatica e l’iniziativa cinese della Cintura Economica della Via della Seta. Crediamo ancora che l’armonizzazione dei processi di integrazione fra l’Unione Economica Eurasiatica e l’Unione Europea sia una prospettiva molto promettente.
Signore e Signori,
questi argomenti che pesano sul futuro di tutti i popoli includono la sfida dei cambiamenti climatici globali. È nel nostro interesse che la conferenza che si terrà a Parigi a dicembre possa concludersi con un successo. Come parte del nostro contributo nazionale, abbiamo in programma di ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra del 70-75% rispetto ai livelli del 1990.
Suggerisco, comunque, che si assuma una visione piú ampia della materia. Si, possiamo differire il problema per qualche tempo stabilendo quote sulle emissioni dannose o adottando altro misure che hanno un valore solo temporaneo. Ma non risolveremo il problema in questo modo. Ci serve un approccio totalmente diverso. Dobbiamo concentrarci sull’introduzione di tecnologie fondamentalmente nuove ispirate dalla natura che non danneggino l’ambiente ma che siano in armonia con esso. Queste tecnologie potrebbero ristabilire l’equilibrio fra biosfera e tecnosfera, alterato dalle attività umane. È davvero una sfida di portata planetaria, ma ho fiducia che il genere umano possa avere il potenziale intellettuale per affrontarla.
Dobbiamo unire i nostri sforzi. Mi appello, prima di tutto, ai paesi che hanno una solida base di ricerca scientifica e che hanno compiuto progressi significativi nelle scienze fondamentali. Proponiamo di organizzare uno speciale centro di confronto sotto gli auspici delle Nazioni Unite, per una valutazione complessiva delle materie correlate con il depauperamento delle risorse naturali, la distruzione dell’ambiente e i cambiamenti climatici. La Russia sarebbe pronta a co-sponsorizzare un simile centro.
Signore e Signori,
A Londra, il 10 gennaio 1946, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenne la sua prima sessione. Zuleta Angel, un diplomatico colombiano Presidente della Commissione Preparatoria, aprí la sessione offrendo, credo, una concisa definizione dei principi basilari che le Nazioni Unite dovrebbero seguire nella loro azione: sfidare le doppiezze e gli inganni in spirito di cooperazione.
Oggi, le sue parole sono una guida per noi tutti.
La Russia crede nel grande potenziale delle Nazioni Unite, che dovrebbero aiutarci ad evitare un nuovo confronto globale e impegnarci in una cooperazione strategica. Assieme agli altri paesi, lavoreremo con costanza per rafforzare il ruolo di coordinamento centrale delle Nazioni Unite. Ho fiducia che lavorando assieme faremo del mondo un luogo pacifico e sicuro, e forniremo le condizioni per lo sviluppo di tutti gli stati e le Nazioni.
Grazie.
Vladimir Vladimirovich Putin è nato a Leningrado il 7 ottobre 1952. Il nonno paterno, Spiridon Putin, lavorò come cuoco in una dacia al servizio di Lenin e Stalin. La madre, Maria Ivanovna Putina (1911-1998), era un’operaia mentre il padre, Vladimir Spiridonovič Putin (1911-1999), all’inizio degli anni Trenta fu sommergibilista nella Marina Militare. Durante la seconda guerra mondiale, suo padre fu arruolato nel NKVD. Due fratelli piú anziani nacquero negli anni Trenta; uno morí nei primi mesi di vita; il secondo morí di difterite durante l’assedio di Leningrado. Il padre di Putin fu un comunista convinto dei propri ideali; la madre fu una devota credente ortodossa. Anche se non aveva icone dentro la propria casa, frequentava regolarmente la chiesa. Essa dichiarò che Putin fu battezzato segretamente da bambino e che era solita portarlo con lei in chiesa. Putin oggi è un praticante della Chiesa Ortodossa Russa. La sua conversione ebbe luogo dopo un grave incidente stradale che coinvolse la moglie nel 1993 e la sua famiglia nel 1996. Per il Patriarca russo Alessio II il ruolo di Putin è stato determinante nel ricomporre lo scisma, che perdurava ormai da ottant’anni, con la Chiesa Ortodossa fuori dalla Russia. Putin si è laureato in diritto internazionale alla Facoltà di Legge dell’Università Statale di Leningrado nel 1975. Fu poi arruolato alla fine degli studi nel KGB. Rassegnò le proprie dimissioni dai servizi di sicurezza il 20 agosto 1991 durante il fallito colpo di Stato, supportato dal KGB, contro M. Gorbačëv. Nel mese di maggio 1990 fu nominato consigliere del sindaco di San Pietroburgo per gli Affari Internazionali.
Dal 1995 fino al giugno del 1997 Putin guidò la delegazione pro-governo della città nel partito politico “La nostra casa è la Russia”. Nel 1996 venne chiamato a Mosca e divenne capo delegato del Dipartimento per la Gestione della Proprietà Presidenziale. Il 26 marzo 1997 il Presidente Boris Nikolaevič El’cin lo nominò delegato capo del Personale Presidenziale, carica che occupò fino al maggio 1998. Il 27 giugno 1997 Putin conseguí il Master in economia, primo livello post laurea, all’Istituto Minerario di San Pietroburgo. Il 25 maggio 1998 fu nominato primo delegato capo del personale presidenziale per le regioni. Il 25 luglio 1998 El’cin nominò Vladimir Putin capo del FSB (una delle agenzie che succedettero al KGB), ruolo che occuperà fino all’agosto del 1999. Putin divenne cosí membro permanente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa il 1º ottobre 1998 e suo responsabile il 29 marzo 1999.
Il 9 agosto 1999 Vladimir Putin fu nominato primo deputato, carica che gli permetterà quello stesso giorno, dopo la caduta del precedente governo guidato da Sergei Stepašin, di essere insignito dell’incarico di primo ministro della Federazione Russa dal presidente Boris El’cin. El’cin dichiarò inoltre che avrebbe desiderato che Putin diventasse il proprio successore. Poco dopo, il nuovo primo ministro dichiarò la propria intenzione di correre per la presidenza. Il 16 agosto, la Duma ratificò la sua nomina a primo ministro facendo di lui il quinto Capo del Governo in meno di diciotto mesi.
La nomina di Putin coincise con l’improvvisa recrudescenza del conflitto nel Caucaso settentrionale: i separatisti ceceni si riorganizzarono e invasero il vicino Daghestan. Sia in Russia sia all’estero, l’immagine pubblica di Putin fu forgiata dal suo approccio determinato al conflitto. Uno dei primi atti che compí diventando Presidente ad interim, il 31 dicembre 1999, fu quello di fare visita alle truppe russe in Cecenia. Nel 2003 in tale regione si tenne un referendum che sancí l’adozione di una nuova costituzione e l’appartenenza della Repubblica alla Federazione Russa. La situazione è in seguito venuta a stabilizzarsi dopo le elezioni parlamentari e l’istituzione di un governo regionale.
Il 31 dicembre 1999, inaspettatamente, El’cin rassegnò le proprie dimissioni e, come previsto dalla Costituzione, Putin divenne presidente ad interim della Federazione Russa. Le elezioni presidenziali in Russia del 2000 si svolsero il 26 marzo: Putin vinse alla prima tornata. Giurò come Presidente il 7 maggio 2000. Dopo aver annunciato la propria intenzione di consolidare il potere presidenziale nel Paese, durante il maggio 2000 emanò un decreto che suddivideva gli 89 soggetti federali della Russia tra 7 Distretti Federali diretti da suoi rappresentanti allo scopo di facilitare l’amministrazione federale.
Il 14 marzo 2004 Putin è stato rieletto presidente per un secondo mandato, con il 71% dei voti. Putin - sul piano della politica internazionale - si è opposto alla Guerra in Iraq del 2003, mostrandosi riluttante anche verso un’immediata abolizione delle sanzioni verso quel Paese una volta terminato il conflitto, condizionandolo al completamento del lavoro delle commissioni ispettive dell’ONU. Nell’aprile 2005 Putin effettua un viaggio in Medio Oriente, divenendo il primo leader russo in visita ufficiale a Gerusalemme.
Gli enormi proventi derivanti dalla vendita di materie prime, soprattutto petrolio e gas, i cui prezzi sono saliti ai massimi storici dal 2000 in poi, sono tornati a essere destinati prioritariamente, come in epoca sovietica, al complesso militare/industriale. Il 26 aprile 2007, durante il suo ultimo discorso alla Nazione, ha annunciato l’intenzione di porre una moratoria sul trattato NATO contro la proliferazione di armi convenzionali in Europa, almeno fino a che tutti i paesi non lo abbiano ratificato e abbiano cominciato a implementarlo. Nel dicembre 2007 la Duma ha ratificato l’uscita unilaterale dal Trattato contro la proliferazione di armi convenzionali in Europa. Inoltre, riguardo al cosiddetto scudo spaziale, che gli Stati Uniti hanno intenzione di costruire in Europa (costituito da un sistema radar in Polonia e Repubblica Ceca), Putin ha proposto che l’OSCE discuta il dislocamento di elementi dello scudo nel continente.
Con l’insediamento al Cremlino di Dmitrij Medvedev il 7 maggio 2008, Vladimir Putin è tornato alla carica di primo ministro da lui già detenuta prima del mandato presidenziale. Dopo la riforma costituzionale che ha allungato a sei gli anni di mandato del presidente federale, per Putin si profilava un nuovo ritorno al Cremlino per un periodo ancora piú lungo, fino al 2018. Il 7 maggio 2012 termina il suo mandato da Primo Ministro in quanto eletto Presidente della Federazione russa. Il 4 marzo 2012 Putin viene eletto per la terza volta presidente della Repubblica federale Russa con oltre il 60% dei consensi. Nel 2014 autorizza il sostegno militare alle forze filorusse nella regione ucraina della Crimea, dichiarando poi l’annessione del territorio a seguito di un referendum popolare riconosciuto dalla sola Russia. Nel novembre 2014 firma un accordo con l’autoproclamata repubblica dell’Abkhazia che prevede uno spazio comune di difesa e sicurezza con la Russia a protezione del confine tra la regione georgiana dell’Abkhazia e la Georgia.
Il 23 maggio 2015 ha firmato una legge che consente al governo di vietare alle organizzazioni non governative straniere di compiere attività “indesiderabili” congelandone gli attivi patrimoniali ed incriminando i loro dirigenti; organizzazioni talvolta strumentalizzate a fini politici e ideologici in funzione anti-russa. Negli ultimi anni il complesso militare, politico e industriale occidentale, guidato dagli USA, non ha lasciato nulla di intentato per ridurre significativamente il ruolo internazionale della Russia. Putin oggi raccoglie consenso e simpatia da una platea enormemente piú ampia di quella del suo Paese. Il suo patriottismo pragmatico e non nazionalista, il suo messaggio culturale identitario ma tollerante è diventato un'alternativa per tutti coloro che intendono opporsi all’unilateralismo americanista con un approccio che non si esaurisca nel suo semplice rifiuto, ma intenda proporre un nuovo e più democratico sistema di gestione dei problemi globali.