Chi ha avuto l'opportunità di vivere per un certo tempo nel Veneto o nel Friuli Venezia Giulia non mancherà di scoprire luoghi e monumenti che recano impressi i segni della nostra storia. Una storia lunga, spesso dolorosa, sofferta, soprattutto nelle zone di confine, tante, troppe volte segnate dal sangue. Forse è anche così che si spiega il carattere un po' taciturno e riservato di parte di quelle popolazioni che tuttavia non hanno perso il gusto per la vita, per le cose semplici e belle.
Fra i tanti luoghi che ritornano alla memoria ce n'è uno che non è menzionato nei grandi eventi bellici che caratterizzano spesso la storia del Nord-Est. Si tratta anche di cronaca, di fatti che tornano in mente insieme a qualche articolo di giornale: Vajont, Longarone, il 1963.
Forse pochi o nessuno, negli anni giovanili trascorsi a scuola, è mai stato interrogato sul Vajont, eppure non è stato un evento di poco conto, anche qui la storia annovera delle vittime, tante vittime. Millenovecento morti forse sono poca cosa in confronto alle cifre paurose a cui ci hanno abituato gli ultimi due conflitti mondiali, sarà per questo che oggi il Vajont è solo una grigia cronaca dimenticata da molti? Ma per le vittime e i loro congiunti non è così.
Per le persone che videro quel 9 ottobre 1963 si tratta di vita vissuta, di un calice amaro bevuto fino all'ultima goccia. L'Italia era nel pieno del "boom economico", presa da una frenesia di crescita e di progresso senza precedenti. Un'Italia adolescente, che avendo scoperto tutto il fascino della vita non vede l'ora di crescere e di essere protagonista assoluta di se stesso. Una pericolosa ingenuità, è vero, però non possiamo fare del facile moralismo.
Poteva essere diversa da quella un'Italia che proveniva dalla triste esperienza di ben due conflitti mondiali? Intere generazioni che avevano conosciuto solo fame, sacrifici e povertà, potevano fare un'Italia diversa da quella che fu?
Con il senno del poi tutto è possibile, ma la realtà è un'altra cosa. Quelli sono gli anni della grande follia, gli anni dello sperpero, gli anni in cui esplodono la devastazione ambientale e il consumismo sfrenato. Sono gli anni in cui covano sotto la cenere le grandi contestazioni degli anni '60 e ''70 di fine secolo, in cui la parola d'ordine è "cambiare".
Cambiare tutto, in male o in bene? A volte pare che l'importante sia cambiare e basta. Si buttano molte cose alle ortiche. Anche in ambito ecclesiale di lì a poco si butteranno parecchie cose alle ortiche. Ieri, i nonni gettavano via il legno per la plastica, oggi i nipoti - se possono - fanno il contrario.
La diga e la profonda gola del Vajont visti dall'abitato di Longarone
Quanta colpa si può dare a quei "figli della guerra e della povertà" che vedevano nel tanto decantato american way of life la realizzazione di tanti sogni lontani?
Se potessi avere mille lire al mese...
Purtroppo, che si sia coscienti o incoscienti, gli errori si pagano sempre.
Dio perdona, la natura no!
Le leggi fisiche seguono sempre il loro corso, come la legge di gravità, che non sbaglia mai.
Eppure dietro molte tragedie italiane, anche dietro quella del Vajont, che è una delle tante ferite che percorrono la nostra storia lasciando cicatrici profonde, c'era e c'è della gente che sapeva, che era cosciente del pericolo.
Il Monte Toc. La foto è stata scattata il 2 agosto 2000. Le colline in primo piano sono parte della
frana che il 9 ottobre 1963 ha riempito il bacino della diga risalendo la vallata fino al lato opposto
Anche dietro la strage di Ustica e dietro le tante stragi che hanno avvelenato la storia del nostro Paese, che era forse più povero e ingenuo che cattivo, ci sono persone che sapevano e sanno.
Chi ha voluto avvelenare e abbrutire con l'eversione e il terrorismo la storia recente dell'Italia?
Chi ha cercato di spingere un intero Paese verso strade ed esperienze forse ancora più folli e alienanti di quelle che aveva già percorso?
Questo è uno dei più grandi drammi dell'Italia, il fatto di ritrovarsi divisa in se stessa.
Quante volte non è la Nazione, la Patria a contare, ma l'ideologia?
Si salvino l'ideologia, la fazione, il partito, perisca la Nazione, se necessario: ecco la tragica realtà della storia italiana recente con le sue eversioni rosse e nere, le sue "Gladio" legali e illegali, i suoi eccidi a sfondo politico ed economico.
A quando l'Italia davvero unita?
E quanti ci credono prima ancora di credere ad una qualunque dottrina politica? O alla ragion di Stato? O a qualche ragione sovranazionale?
«Diga funesta, per negligenza e sete d'oro altrui persi la vita che insepolta resta»
Il ricordo di uno degli oltre duecento operai del cantiere periti nella tragedia
Fu la povera gente a pagare il tributo più alto, come spesso accade.
«Un sasso è caduto in un bicchiere, l'acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. E non è che si sia rotto il bicchiere; non si può dar della bestia a chi lo ha costruito perché il bicchiere era fatto bene, a regola d'arte, testimonianza della tenacia e del coraggio umani. La diga del Vajont era ed è un capolavoro. Anche dal punto di vista estetico». Scriveva così Dino Buzzati sul Corriere della Sera dell'11 ottobre 1963.
Un "capolavoro estetico" fatto nel posto sbagliato e nel momento sbagliato.
Fatto consapevolmente sul sito di un'antica frana, contro innumeri perizie geologiche seguitesi nel corso degli anni.
Si sarebbe potuta evitare una catastrofe con migliaia di morti ma decisero di andare vanti, decisero di rischiare, ma soprattutto sulla vita altrui.
La diga a doppio arco del Vajont è ancora oggi la più alta nel suo genere,
oltre 260 m. di altezza al coronamento. Il serbatoio poteva contenere circa 150 milioni di m3 di acqua
Pochi giorni dopo la tragedia anche l'82º Reggimento Fanteria "Torino" fu inviato a prestare soccorso alle popolazioni superstiti.
Nonostante le ricerche svolte non sono state trovate tracce di particolari documenti scritti o fotografici riguardanti quell'operazione.
Rimangono alcuni ricordi, come la medaglia donata dal Comune di Longarone e custodita nell'ufficio del Comandante.
Nei giorni successivi al disastro la maggior parte delle persone non conosceva ancora i retroscena del disastro.
Cosa avranno pensato quei giovani militari di fronte a quello spettacolo desolante? È un segreto che solo loro conoscono.
Certamente con la generosità e l'umanità tipica dei nostri soldati avranno tormentato tante volte il loro cuore pensando... se solo ci avessero chiamato prima...
La zona in cui si è verificato l'evento catastrofico continua a parlare alla coscienza di quanti la visitano attraverso la lezione, sempre attuale, che da essa si può apprendere.
**
Il sito ufficiale del Vajont (Comune di Longarone)