Il beato Sebastiano Valfrè è un anticipatore di quella grande stagione di santità che illuminò il Piemonte nei secoli XVIII e XIX, ove fiorirono figure di santi, attenti al sociale, che onorarono la Chiesa con la loro vita e attività, come san Giuseppe Cafasso, san Giovanni Bosco, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, san Maria Mazzarello e altri ancora.
Il beato Valfrè nacque a Verduno, diocesi di Alba, il 9 marzo 1629, da un umile famiglia contadina. Poté ricevere tuttavia un po’ di istruzione da un sacerdote. Già a dodici anni espresse il desiderio di diventare prete. Quando il Duca Vittorio Amedeo II, nel 1689, lo proporrà come Arcivescovo di Torino per le straordinarie qualità dimostrate in oltre trent’anni di ministero sacerdotale, la modestia dei suoi parenti, fatti venire appositamente dal Valfrè nella capitale, gli serví per evitare la nomina.
Studio tra stenti e disagi ad Alba (dai Frati Minori Conventuali) e poi nel seminario di Bra. A sedici anni si recò a Torino, dopo aver ricevuto gli ordini minori, per studiare filosofia al Collegio dei Gesuiti. Era una scuola prestigiosa, la frequentò da esterno, mantenendosi copiando nottetempo libri e lettere. Nel 1651, affascinato dal carisma di S. Filippo Neri, decise di entrare nella Congregazione dell’Oratorio, costituita a Torino due anni prima dal P. Defera. La Comunità e l’Oratorio si trovarono in piena crisi, dopo un anno e mezzo di vita, quando P. Defera l’11 settembre 1650, all’età di trentaquattro anni, morí. Otto mesi dopo la sua morte, Sebastiano Valfrè, suddiacono, si presentò per chiedere di essere ammesso in quella Congregazione, povera di mezzi e sull’orlo della chiusura. Egli vide in essa l’ambiente piú adatto per un dono senza riserve, amò quella comunità con tutto se stesso dedicandosi ai lavori piú umili ed intraprendendo nel contempo, sulle orme del P. Defera, un’efficace azione pastorale.
Il Valfrè fu ordinato sacerdote nel 1652 dopo aver ottenuto la dispensa papale per la giovane età. Gli Oratoriani, intanto, crebbero e fu loro affidata la Chiesa del Miracolo Eucaristico, anche se poi i locali risultarono angusti. Valfrè conseguí il dottorato in Teologia nel 1656, all’Università di Torino. Nel corso degli anni acquisí lo spirito di S. Filippo Neri e lo visse con passione per tutto il resto della sua vita, fino agli ottant’anni, quando si spense, il 30 gennaio 1710. Nel 1668 gli oratoriani ebbero la parrocchia di S. Eusebio che poterono ingrandire nel 1675 quando Madama Reale Giovanna Battista, seguendo le volontà del defunto marito Carlo Emanuele II, confortato in morte dal Valfrè, donò il terreno per la costruzione dell’attuale grandiosa chiesa di S. Filippo edificata dal Guarini.
Dal 1671, fino alla morte, Valfrè seguí i novizi e per oltre venti anni fu preposito. Contribuí alla fondazione degli Oratori di Mondoví, di Carmagnola e di Asti. Egli sapeva bene che dall’ignoranza religiosa, anche nel clero, nascevano tanti mali e come rettore della Compagnia della Dottrina Cristiana vigilò sulle scuole di catechismo. Fu esaminatore per quaranta anni dei candidati diocesani agli ordini sacri; vescovi e cardinali gli chiesero piú volte consiglio in merito ai decreti sinodali. Nel 1688 fu nominato assistente dell’Inquisitore, con licenza di leggere i libri “proibiti”. Nel 1675 fu autorizzato ad operare nella diocesi di Alba, poi a Mondoví nel 1692. Egli aveva dato l’avvio ad uno straordinario ministero della predicazione, delle confessioni, delle visite agli ospedali ed alle carceri, ravvivando la fede fra i torinesi.
Nel Regno Sabaudo, che acquisiva il rango di stato europeo, erano anni di lotta alle dottrine protestanti, calviniste, luterane e valdesi provenienti dalla Francia e dalla Svizzera. Il 31 gennaio 1686 Vittorio Amedeo II, dietro pressione francese, dispose l’abbattimento dei templi e l’esilio dei pastori valdesi. Sebastiano visitò i prigionieri rinchiusi nella cittadella e distribuí elemosine e medicinali. Per incarico del Duca, tra il 25 agosto e il 5 settembre 1687, visitò le valli pinerolesi dove forte era la presenza valdese. Per quanto gli fu possibile fece da mediatore tra il Duca e la Santa Sede per le interferenze statali sulle immunità ecclesiastiche, sui poteri del nunzio pontificio o dell’inquisitore e sul diritto di nomina di abati e vescovi. Egli fu un precursore dei tempi moderni anche riguardo alla tolleranza e alla comprensione del mondo ebraico.
Il suo desiderio di annunciare la Parola di Dio lo portò anche fuori dagli ambienti consueti. Egli aveva appreso il metodo del colloquio personale e della parola semplice, come ricordano i primi biografi; metodo che impiegava con ogni genere di persone, per le vie e le piazze, dove insegnava il catechismo iniziando a parlare in un gruppetto di qualche argomento interessante e rispondendo poi alle domande di quelli che si lasciavano coinvolgere nel discorso. Fu lui a celebrare in Torino, nel 1694, per la prima volta in Italia e forse nel mondo, la festa del S. Cuore di Gesú, che sarebbe stata istituita ufficialmente circa cento anni dopo.
Egli fu anche un grande Apostolo della carità, conobbe i problemi e le necessità dei piú poveri e partecipò attivamente a tutte le iniziative di bene che fiorivano in Torino, prendendosi cura di innumerevoli situazioni di bisogno, attirandovi l’attenzione della città. Fu visto spesso - e furono i soldati di ronda a darne testimonianza - passare durante le notti per le strade e caricarsi sulle spalle i poveri abbandonati per portarli in qualche ricovero, oppure depositare di nascosto pacchi di viveri e di indumenti presso le porte delle case piú povere. Non vi fu categoria di bisognosi in Torino che non ricevette il suo aiuto concreto. Egli instaurò un’opera di mediazione e di integrazione fra l’aristocrazia piemontese e la popolazione, sia cittadina sia rurale, che viveva in grande povertà, mentre la ricchezza era accentrata nelle mani di pochi nobili. Si fece questuante per il popolo fra i possidenti piemontesi e della Savoia che accettarono quest’opera e collaborarono efficacemente con i loro beni. La sua opera d’aiuto ai bisognosi coinvolse anche i ricchi spagnoli e persino gli olandesi e i francesi. Divenne cosí il padre dei bisognosi e i possidenti fecero a gara nell’affidargli cifre cospicue per i suoi scopi benefici. Altro aspetto della sua carità fu quello della visita agli ammalati, svolta con la collaborazione di un gruppo di giovani oratoriani, specialmente durante l’assedio di Torino del 1706 da parte dei francesi, quando essi tentarono di conquistare lo Stato Sabaudo. Fra i feriti aiutati vi fu anche l’eroico Pietro Micca di cui egli fu il confessore.
Il ruolo di p. Sebastiano fu determinante durante l’assedio. Tra maggio e agosto 60.000 soldati francesi circondarono Torino, ostacolati dalle truppe piemontesi di molto inferiori. Padre Sebastiano tenne viva la speranza tra i soldati e i loro comandanti e, nonostante i suoi 77 anni, si prodigò nel confortarli e nel soccorrere i feriti. In Piazza San Carlo venne allestito un ospedale e un altare in onore della Consolata, il cui santuario era la roccaforte religiosa. Il 7 settembre, festa della Natività di Maria, i Francesi finalmente si arresero. Per riconoscenza venne poi costruita la Basilica di Superga.
Padre Sebastiano molte volte ebbe la fortuna di meditare davanti alla Sindone la Passione del Signore. Il 26 giugno 1694, in occasione dell’inaugurazione della nuova Cappella ideata da Guarino Guarini, alla presenza del Duca e della Duchessa Anna, sostituí i teli di sostegno della sacra Reliquia. Tra le lacrime rammendò personalmente alcuni strappi.
Per la stima di cui godeva a Corte il Duca lo nominò confessore della Casa reale affidandogli la formazione spirituale dei suoi figli. Ciò diede a P. Valfrè anche la possibilità di svolgere un’azione sociale e politica. Divenne cosí anche il consigliere piú ascoltato del Duca, a cui P. Sebastiano ricordava, anche per iscritto, i suoi doveri. Egli esercitò cosí una profonda influenza sulla società sabauda, in un’epoca travagliata da guerre e da rapporti difficili. Nel conflitto istituzionale fra la corte sabauda e la Sede Apostolica, P. Valfrè si rese conto dell’urgente necessità che i rappresentanti diplomatici della Santa Sede fossero ecclesiastici formati culturalmente ma anche spiritualmente. Fu lui a suggerire la fondazione della scuola che ancora oggi prepara il personale diplomatico a servizio della Chiesa: la Pontificia Accademia Ecclesiastica, che il confratello cardinale Colloredo presentò a Papa Clemente XI.
Gli anni in cui visse il Valfrè furono funestati da guerre continue come quella del Monferrato e quella di successione spagnola, in cui si colloca l’Assedio di Torino del 1706. Valfrè, nelle circostanze piú difficili, fu costantemente impegnato nell’assistenza spirituale dei soldati, li esortava ad essere buoni cristiani e servitori della patria. Proprio per la sua attività di assistenza spirituale alle truppe sabaude, durante la guerra contro i francesi, è stato nominato compatrono dei cappellani militari.
P. Valfrè fu un uomo di grande preghiera. Le sue adorazioni, anche notturne, al Santissimo Sacramento erano prolungate. Egli lo definiva “fuoco d’amore di Dio”, “mare di fuoco troppo immenso”. Scrisse diverse opere: «Sulla perfezione cristiana», «Avvisi agli ecclesiastici», «Novena del Santo Natale», ma la maggior parte sono a tutt’oggi inedite. Nei suoi componimenti e nelle sue prediche invitava sovente a meditare sulla presenza di Dio in ogni occupazione, all’adempimento dei doveri secondo i diversi ruoli assunti nella società. Ai padri di famiglia raccomandava di seguire i figli fin dalla piú tenera età. Compose meditazioni anche per i carcerati, era infatti membro dell’Arciconfraternita della Misericordia, per il conforto dei condannati a morte.
La malattia che lo avrebbe condotto alla morte fu anch’essa una fervida testimonianza della fedeltà di P. Valfrè ai suoi impegni: il 24 gennaio aveva predicato alle monache di S. Croce e si era recato subito dopo nelle carceri a confortare un condannato a morte. Il giorno seguente celebrò la S. Messa ed accolse per la confessione molte persone, ma poi fu costretto a mettersi a letto. Durante la malattia venne assistito dal Duca Sovrano del Piemonte, che svolse l’ufficio di infermiere nelle piú umili mansioni. Trascorse i pochi giorni che gli rimanevano fra le visite di penitenti e di amici, e spirò infine il 30 gennaio.
La sua salma, esposta nella chiesa, attirò tutta Torino che voleva ancora salutare quel prete che per sessant’anni aveva percorso le strade e le piazze della città insegnando il catechismo e alleviando ogni genere di povertà, con la stessa dedizione con cui a Corte svolgeva l’ufficio di confessore della famiglia reale. Fu un uomo contemplativo, che seppe valorizzare la sua ottima preparazione intellettuale e la profonda esperienza spirituale, soprattutto nella predicazione.
Il 15 luglio 1834 Papa Gregorio XVI iscrisse P. Valfrè nell’albo dei Beati. Accanto all’altare in cui riposano le sue spoglie mortali, nella Chiesa di S. Filippo a Torino, venne lasciata per anni la sua cattedra che lo vide quale insegnante di catechismo. Padre Valfrè fu “maestro” per i santi che hanno reso Torino celebre nel mondo. Davanti al quadro della Madonna delle Grazie che donò alla Chiesa del Corpus Domini il Cottolengo ebbe l’ispirazione di fondare la sua opera. Il Cafasso ne seguí le orme nell’apostolato verso i carcerati e nella formazione dei sacerdoti e don Bosco pubblicò una raccolta di suoi pensieri. Nel 1871 san Leonardo Murialdo fondò con il suo nome un circolo giovanile. Pregando davanti alla sua urna il beato Federico Albert, prossimo ad arruolarsi nell’esercito, scoprí la sua vocazione sacerdotale.
Pietro Micca (Sagliano, Biella, 6 marzo 1677 - Torino 30 agosto 1706)
Breve bibliografia
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