1. Un argomento scomodo

Il tema che mi è stato assegnato è scomodo, anche se è senza dubbio di grande e attuale interesse. Se ne percepisce la scomodità soprattutto quando capita di doverne trattare sia coi soldati sia con gli obiettori di coscienza; due uditorii ben diversamente disposti e motivati.  Come possiamo cavarcela senza troppi danni e troppi dispiaceri? Ci sono varie strade. C'è chi è in grado di parlare a lungo senza dire niente di preciso, o almeno senza farsi capire: è una capacità invidiabile e risolve praticamente il problema, ma non è di tutti; personalmente è un'impresa nella quale non riesco mai. C'è anche la tentazione di cambiare i giudizi e le argomentazioni a seconda degli ascoltatori. In modo da ottenere in ogni caso un certo consenso o quanto meno in modo da evitare le contestazioni troppo accese: sarebbe in fondo una specie di applicazione della dottrina della "doppia verità", di cui si è data la colpa un tempo a Sigieri di Brabante.  C'è poi chi si schiera da una parte o dall'altra, e accetta di parlare solo all'una o all'altra delle due formazioni, evidentemente scegliendo quella che meglio corrisponde alle persuasioni che gli sono piú care. Ma un pastore, come può precludersi il rapporto con qualche parte del gregge di Dio?  Io credo che una sola strada sia onestamente praticabile. Ed è quella di esporre, indipendentemente dal pubblico, quei convincimenti che sono il frutto di una meditazione attenta, spregiudicata, sviluppata da una ragione illuminata dalla fede, che vuol cercare soltanto la verità, senza lasciarsi impressionare né dagli atteggiamenti esistenziali acritici prevalenti né dalle cangianti mode culturali. L'esperienza mi dice che un discorso razionalmente e cristianamente ben motivato può indurre a riflettere tutti - e specialmente i giovani, che sono i meno condizionati ideologicamente - quale che sia la loro posizione di partenza.

 

 

2. Un diffuso malessere

L'attualità dell'argomento è confermata anche dalla percezione di un diffuso malessere che serpeggia a questo proposito nella cristianità.  Sono tra loro compatibili scelta militare e coscienza cristiana? Se non sono compatibili, perché la Chiesa non lo dice con un pronunciamento che valga per tutti? Se sono compatibili, quale opzione deve essere giudicata evangelicamente piú radicale e coerente? Se poi la decisione è del tutto indifferente, come si fa a proporre una scelta con sollecitazioni ideali in grado di affascinare il cuore di un giovane?  Il disagio è innegabile. Sarà bene però che la questione sia impostata correttamente. Non si tratta qui di decidere se sia meglio la pace o la guerra, la violenza o la non-violenza, l'uccidere o il non uccidere.  Queste sono scelte che il cristianesimo ha fatto da sempre: la condanna della guerra, la riprovazione della violenza, il rispetto assoluto della vita umana sono persuasioni necessarie e universali dei discepoli di Gesú.  Ricordiamo che la Chiesa si è trovata spesso in contrasto con la mentalità dominante: basti pensare alla retorica bellicistica che ci ha afflitto fino alla seconda guerra mondiale; basti pensare alla esaltazione della lotta civile anche cruenta, per imporre le proprie visioni politiche, che dalla Rivoluzione Francese ha infestato il mondo, fino alle varie crudeltà marxiste e ai vari gruppi eversivi di questi anni; basti pensare alla ignobile legislazione abortista. Di fronte a queste aberrazioni disumane l'atteggiamento della Chiesa, anche quando rimane sola ad opporsi, non può essere che di irrinunciabile contestazione.  Ma qui la questione è diversa: qui si tratta di vedere se - non nella società dei Cherubini, ma nella società umana oggi concretamente esistente - sia o no legittimo e perfino doveroso avere un esercito che scoraggi l'aggressione di eventuali governi folli e prepotenti; se sia o no legittimo e perfino doveroso dotare di armi i tutori dell'ordine per mettere un freno ai malvagi che, ci piaccia o non ci piaccia, trovano sempre il modo di essere armati; se sia o no legittimo e perfino doveroso dare alla società i mezzi per reprimere, anche con la forza, le prevaricazioni sempre rinascenti.

 

 Con la gente contro la mafia

Vespri siciliani - Con la gente contro la mafia

 

 

 

 

3. La comune risposta ecclesiale

 Anche con queste precisazioni, la risposta dei cristiani oggi non sembra piú univoca. Di qui nasce in molti una certa pungente perplessità e conseguentemente un certo turbamento abbastanza diffuso nella opinione pubblica.  Il fenomeno è relativamente nuovo, almeno in queste proporzioni. La cristianità prima di questo secolo non ha mai avuto il sospetto che ci fosse qualcosa di immorale nella vita militare in quanto tale. È curioso notare che il Nuovo Testamento sembra nutrire una evidente simpatia per i centurioni, ufficiali subalterni che costituivano il nerbo dell'esercito romano anche nella sua funzione di vigilanza territoriale. Del centurione di Cafarnao Gesú loda l'eccezionale intensità della fede (cfr. Lc 7,9). Secondo la narrazione di Matteo, il centurione che è comandato a dirigere la crocifissione del Signore è il solo a riconoscere nel condannato del Golgota il vero figlio di Dio (cfr. Mt 27,54). Gli Atti degli Apostoli ci informano che è un centurione, di nome Cornelio, il primo pagano che si converte alla fede cristiana. Ancora gli Atti ci parlano di un centurione Giulio che, nel naufragio di Malta, sí dà da fare per salvare la vita a san Paolo (cfr. At 27,43).  È vero che all'esercito del tempo delle persecuzioni i Padri assegnano volentieri l'appellativo di "castra impia", ma soprattutto per il fatto che vi si adorano gli idoli e vi è imposto il culto dell'imperatore. Sant'Ambrogio, nel medesimo inno per i santi Vittore, Nabore e Felice, in cui usa proprio questa espressione, riconosce al servizio militare pagano un carattere salutarmente propedeutico a una generosa vita cristiana: la disciplina, cui avvezza, è un'eccellente scuola di sacrificio; chi ha imparato a morire in armi per un re terreno, piú facilmente saprà morire per il vero Dio.  "Profecit ad fidem labor, armisque docti bellicis pro rege vitam ponere decere pro Christo pati".La stessa frequenza del linguaggio "militaresco", che si riscontra in san Paolo, denota una consuetudine non problematica con il mondo delle caserme (cfr. 2Cor 10,4; Ef 6, 11.13.16; 2Tm 2,3).

 

 ...fermare la mano dell'aggressore...

...fermare la mano dell'aggressore...

 

 

 

 

4. Il tolstojsmo

Da dove è venuta allora in qualche corrente della mentalità ecclesiale contemporanea l'idea di una certa immoralità di ciò che ha attinenza con le armi?  Certo, la spaventosa dilatazione della moderna capacità distruttiva ha contribuito a porre in termini giustamente angosciosi la questione della guerra e di tutto ciò che vi attiene e vi contribuisce. Sotto questo profilo, è doveroso ripensare con serietà tutta questa tematica. Ma questa legittima preoccupazione non basta a spiegare l'assolutezza di certe posizioni di condanna.  A mio giudizio, la fonte principale del pacifismo del nostro secolo è il pensiero di Tolstoj. E non è, per un credente, una fonte rassicurante.  È noto che il grande romanziere si è arrogato il compito di un rifacimento del cristianesimo, il quale, secondo lui, va purificato di tutti gli elementi improponibili o almeno senza utilità per l'uomo di oggi. Procede dunque a "riscrivere" letteralmente il Vangelo, censurandovi tutti i dati soprannaturali, sopprimendovi l'avvenimento ontologico della redenzione, e specialmente eliminando la realtà della divinità di Cristo e della sua risurrezione. Tutto si riduce a una proposta morale, che Tolstoj condensa in cinque regole ricavate dal Discorso della montagna. Che ci interessa in questo momento è la quarta norma, è cioè il principio della non resistenza al male e della radicale e assoluta non violenza. In virtú di questo principio - che egli non interpreta come un'indicazione ascetica personale ma come una legge sociale vincolante - il delinquente deve essere solo ammonito; alla prepotenza sia individuale sia delle nazioni bisogna sempre cedere; alle armi dei malvagi non si possono opporre le armi; l'idea stessa di giudizio e di pena viene vanificata; le funzioni di polizia e il servizio militare sono intrinsecamente immorali; lo Stato stesso non è che un brigantaggio organizzato.  Molte posizioni ideologiche del secolo XX, che si succedono in varie forme e in varie commistioni, trovano qui la loro ispirazione spesso ignorata.

 

 

5. La reazione di Solovëv

Al tolstojsmo ha reagito il piú grande filosofo russo, Vladimir Sergeevic Solovëv, che è stato anche, al suo tempo, il piú grande apostolo della pace tra i popoli e tra le Chiese, l'avversario dichiarato di ogni risoluzione violenta e costrittiva dei problemi umani. Uomo di robusto pensiero e di limpida fede, egli ha visto immediatamente che il pacifismo pseudo-evangelico di Tolstoj era squilibrato e "non vero" proprio perché partiva dall'oggettivo rinnegamento di Cristo risorto, Uomo-Dio, Salvatore radicale dell'universo, che è altresí la "verità sostanziale".  La dottrina della non-violenza è inaccettabile ed è in effetti antievangelica, proprio perché porta alla non-difesa dei deboli e a privilegiare i forti prepotenti.  Esaminiamo - dice Solovëv - la teoria tolstojana nel suo caso piú semplice. lo vedo un assassino che sta uccidendo un uomo. Secondo il tolstojsmo, non avrei il diritto di intervenire a disarmarlo con la forza; devo solo cercare di persuaderlo. Ma cosí facendo non rispetto la dignità della persona umana né nell'aggredito né nell'aggressore, lasciando l'uno e l'altro, in maniera diversa, in balía degli impulsi cattivi. D'altronde - continua il filosofo - la violenza non è intrinsecamente immorale: è immorale se con essa si avvilisce la persona al rango di strumento, ma non in sé. Perciò si può fare violenza, per salvarlo, a chi sta per annegare e si dibatte nell'acqua, o a un bambino che non vuol sottoporsi a un necessario intervento chirurgico. Quanto al servizio militare, pur avendo molte riserve sulle forme coattive con cui viene attuato, Solovëv osserva che è il risultato di una situazione deplorevole (qual è quella di un'umanità che non ha ancora debellato la prepotenza e la prevaricazione), ma non è deplorevole per se stesso. "L'organizzazione militare e la coscrizione obbligatoria non sono un male, ma la conseguenza e il sintomo di un male... Finché i sentimenti di Caino non saranno scomparsi dal cuore degli uomini, il soldato e il poliziotto saranno un bene e non un male" (cfr. La justification du bien, p. 403).  E ha un pensiero anche a proposito dell'obiezione fiscale, che qualche volta viene proposta nell'ambito del pacifismo: "Si dirà: i contributi e le tasse percepiti dallo Stato sono utilizzati non per scopi evidentemente utili, ma per delle finalità che mi sembrano inutili o addirittura dannose. Ma allora il mio dovere è di denunciare questi abusi, non certo quello di negare con dichiarazioni o con atti il principio stesso della tassazione da parte dello Stato ... " (ib., p. 402).

 

 

6. Il pensiero del Concilio Vaticano Il

Che cosa dobbiamo pensare in definitiva dell'obiezione di coscienza e, che è lo stesso, della moralità del servizio militare? I testi del Concilio Vaticano II in materia sono significativi per la sobrietà e la moderazione.

"La guerra - vi si dice - non è scomparsa dall'orizzonte dell'uomo. E fintantoché esiste il pericolo di guerra, e non ci sarà un'autorità internazionale competente munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di legittima difesa" (Gaudium et spes, 79), Di conseguenza, "coloro che si dedicano alla vita militare, si considerino anch'essi come ministri della sicurezza e della libertà dei popoli; e, se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente alla stabilità della pace" (ib.).  Il Concilio dunque ritiene che: - è legittimo un esercito per la difesa, nella concretezza della situazione attuale; - la situazione attuale è deprecabile, e bisogna auspicare l'avvento di un'autorità internazionale capace di risolvere le vertenze tra gli Stati; - anche quell'auspicata autorità internazionale avrà legittimamente un esercito, perché siano garantite le ragioni del diritto contro ogni tipo di prevaricazione.  Detto questo, il Concilio aggiunge: "Sembra conforme ad equità che le leggi provvedano con umanità al caso di coloro che, per motivi di coscienza, rifiutano l'uso delle armi, purché accettino qualche altra forma di servizio della comunità umana" (ib.). Dove, piú che una giustificazione dell'obiezione di coscienza in se stessa, c'è la raccomandazione a trattar bene coloro che credono di doverla avanzare.

 

 Imporre la pace dove c'è la guerra...

Imporre la pace dove c'è la guerra...

 

 

 

 

7. Alcune osservazioni sull'obiezione di coscienza

1 - La coscienza retta e certa è per ogni uomo sovrana: va sempre seguita, qualunque cosa comandi e qualunque cosa proibisca.  

2 - Ma la coscienza di un uomo è sovrana solo per lui; perciò non è molto corretto citarne l'autorità quando si discute con gli altri, anche perché la sua voce è inverificabile da parte di terzi. Perciò la frase: "La mia coscienza mi dice ... " in una discussione andrebbe evitata, perché o non significa niente o significa che si vuol porre fine a ogni dialogo e a ogni confronto. Con gli altri bisogna sempre portare delle ragioni che possano essere valutate anche da loro.  

3 - Il cristianesimo conosce da sempre il fenomeno dell'obiezione di coscienza. Basti pensare ai martiri che si rifiutano di sacrificare agli idoli; ma il sostegno logico di questo rifiuto non è tanto il dettato soggettivo della coscienza, quanto la ragione oggettiva e oggettivamente analizzabile che l'idolo è un Dio falso e non può essere adorato. Caso analogo è la obiezione del medico che rifiuta di praticare aborti; il sostegno logico non è tanto il dettato soggettivo della coscienza quanto la ragione oggettiva e oggettivamente analizzabile che l'aborto è un delitto contro la vita umana innocente. In tutti e due i casi, la voce della coscienza è l'eco soggettiva di una verità oggettiva evidente e, in ogni caso, appartenente senza alcun dubbio alla coscienza ecclesiale come tale.  

4 - La vera obiezione di coscienza, poiché si fonda su una verità oggettiva, è assoluta, necessaria e intransigente, e non può che ritenere immorale e dunque illecito ogni comportamento diverso.  

5 - L'obiezione di coscienza deve provenire da una coscienza che si preoccupa continuamente di essere "retta" e "certa". E per un cristiano, che non è mai un individualista, fonte non trascurabile della rettitudine e della certezza è mantenersi in sintonia con quanto ha ritenuto e ritiene la Chiesa. È estremamente improbabile che un singolo, in giovane età, senza lunghi esami dei diversi pareri e senza accurate ricerche della verità oggettiva, possa persuadersi che una legge o un comportamento, comunemente accettato nei secoli dalla coscienza ecclesiale, possano essere giudicati cosí chiaramente in contrasto con i principi etici, da esigere la disobbedienza civile. L'individualismo morale non è un atteggiamento che possa essere accolto senza riserve.  

6 - Non è conforme al rispetto della dignità dell'uomo, delle sue libere scelte, delle sue personali ripugnanze, che lo Stato imponga a tutti come doveroso, tra i molti servizi possibili, soltanto il servizio militare. L'idea che ogni cittadino debba mettere a disposizione della collettività uno spazio della sua vita è bella e preziosa. E, anche se storicamente è nata in connessione con le esigenze della difesa e l'uso delle armi, non si vede perché non debba essere normalmente attuata in tutta la pluralità delle opzioni possibili e utili al bene comune. Ovviamente nella assegnazione dei compiti si dovrà tener conto tanto dei bisogni dello Stato quanto delle inclinazioni e delle capacità dei singoli. È naturale che tutto ciò suppone che lo Stato si dia un'organizzazione applicativa adeguata che oggi c'è solo nell'ambito della struttura militare.  

7 - Lo Stato però non è ancora arrivato a comprendere e a valorizzare questa prospettiva, anche se sta lentamente muovendosi in questo senso. Mostra solo di tenere conto, e non da troppo tempo, soltanto del concetto di "obiezione di coscienza"; e cosí costringe a mettere in campo una realtà intima e personale come la coscienza, della quale in pubblico si dovrebbe parlare il meno possibile.  

8 - Bisogna avere la chiarezza di dire che l'obiezione di coscienza al servizio militare è tale in senso analogico, e non va assolutamente confusa, per esempio, con la universale e inderogabile obiezione che i cristiani muovono nei confronti dell'aborto. E va rilevato che l'uso della identica terminologia è pastoralmente deleterio. Ma poiché è l'unica strada lasciata aperta dai nostri ordinamenti per far maturare la coscienza civile comune nella linea che abbiamo indicato, chi si qualifica obiettore di coscienza al servizio militare assume in qualche modo una prerogativa profetica, e ha il diritto alla nostra stima e alla nostra gratitudine.  Ad essere espliciti fino in fondo, dovremmo dire che in sostanza non si tratta tanto di un'obiezione di coscienza contro il servizio militare per se stesso, quanto di un'obiezione di coscienza contro l'attuale ottusità dello Stato in questa materia; e, recepita in siffatti termini, va da tutti noi incoraggiata e sviluppata.

 

 

8. Conclusione

Il problema, di cui parlavamo all'inizio, se è impostato in questa maniera può essere risolto nel pieno rispetto delle diverse opzioni, secondo una visione che promuova il progresso nella concezione della vita sociale, senza che si faccia violenza né alla ragione né all'autentica tradizione ecclesiale.

 

 

 

 

Cfr. BIFFI G., Coscienza cristiana e mondo militare, in Aa. Vv., La missione della Chiesa nel mondo militare. Atti della 4a settimana nazionale di formazione per cappellani militari - Riccione 1991, (Quaderni del "Bonus Miles Christi" 6), Roma 1992, 27-35.

 

 

 

 

 

 

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«Secondo qualcuno, è stato il diffondersi dei movimenti pacifisti che ha costretto le classi dirigenti di tutto il mondo a prendere atto della ribellione delle coscienze a qualsiasi forma di violenza. (...) L'ipotesi è un'autentica bufala molto facile da smascherare. I conflitti che fin qui insanguinavano il mondo si svolgevano in terre e latitudini in cui di pacifismo non c'era neanche l'ombra. La propaganda e i movimenti pacifisti attecchiscono e si sviluppano nei paesi democratici dove la pace c'è già. Una volta che alcuni loro adepti italiani vollero andare a propagandarli nella Russia di Breznev furono impacchettati e rispediti al mittente» (MONTANELLI I. su Oggi del 31 agosto 1988).