«Le stellette sono il nostro passaporto»

Intervista a Monsignor Giuseppe Mani, Ordinario Militare per l'Italia

 

a cura di V. Prisciandaro

 

 

 

 

 

«Perché non rinunciate alle stellette?». La richiesta che arriva al Sinodo della Chiesa militare dai dehoniani di Bagnarola e da Pax Christi non convince il Vicario castrense [sic], monsignor Giuseppe Mani. «Portare le stellette è un bene insostituibile per la società. Il Concilio parla di "ministero" del servizio militare. Quello militare è un mondo a parte. Il prete o fa assistenza spirituale o condivide questo mondo fino in fondo. Alla base dell'obiezione c'è l'idea che le stellette siano un fatto negativo».

 

O forse la paura che si crei una sorta di barriera tra i soldati e il sacerdote ufficiale...

«No. Per poter avere la "nazionalità" militare bisogna portare il segno delle stellette, che sono una carta d'identità per entrare in questo mondo dove non è ammesso nessuno che non vi appartenga. Il cappellano è assimilato al grado, ma non si tratta di un'assimilazione gerarchica».

 

Non c'è il rischio che il soldato veda prima il superiore e poi il prete?

«In questo mondo il superiore non è un nemico, tutt'altro. E ha un'autorità sulla recluta per poter servire, non per spiare o comandare».

 

 Mons. Giuseppe Mani

Mons. Giuseppe Mani

Ordinario Militare Emerito per l'Italia

 

 

Ma l'ambiente militare non è quello di una diocesi: si parla di nonnismo, di violenze...

«Sono stato per circa dieci anni vescovo delle borgate di Roma e posso garantirle che, a confronto, le caserme sono dei noviziati di carmelitane! Il cappellano sarà colui che recepisce le lamentele, riceve le confidenze e interviene, ma come prete».

 

È vero che il 25 settembre è stata stipulata con il ministro Andreatta una convenzione, che stanzia un miliardo per ristrutturare un'ala della Cecchignola destinata alla scuola per cappellani militari?

«Il Governo non ha stabilito nulla. Né la somma né altro. Io ho chiesto che il ministero della Difesa si impegni a curare anche la formazione dei cappellani militari, così come fa per gli altri Corpi militari. E per ora c'è solo la convenzione con questo impegno».

 

Che scuola sarà?

«Risponderà a tre necessità: curare la formazione permanente dei cappellani; preparare sia quei preti che desiderano fare i cappellani militari, sia quei giovani militari che desiderano diventare sacerdoti come cappellani militari».

 

Una formazione separata, e in una struttura militare, non rischia di penalizzare questi futuri presbiteri?

«La Chiesa militare, in quanto diocesi, preparerebbe preti per più servizi: in ospedale, a scuola, e nella parrocchia che è la caserma. E poi la Cecchignola non è una prigione, è una città nella quale ci sono anche le famiglie. I cinque giovani che sono già disponibili, il sabato e la domenica andranno in parrocchia. D'estate faranno i campi con i militari, durante l'anno studieranno alla Gregoriana. È difficile immaginare un'apertura maggiore. Certamente è più ricca di quella di altri seminari».  

 

 

L'articolo è tratto dalla rivista Jesus del 1 gennaio 1998.

 

 

 

 

 

 

 

 

Coscienza cristiana e mondo militare

Il discorso del Santo Padre al Sinodo della Chiesa Militare