INTRODUZIONE

 

 

1. I fedeli laici (Christifideles laici), la cui "vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II" è stato l'argomento del Sinodo dei Vescovi del 1987, appartengono a quel Popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il Vangelo di Matteo: "Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscí all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna" (Mt 20, 1-2). La parabola evangelica spalanca davanti al nostro sguardo l'immensa vigna del Signore e la moltitudine di persone, uomini e donne, che da Lui sono chiamate e mandate perché in essa abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero (cf. Mt 13, 38), che dev'essere trasformato secondo il disegno di Dio in vista dell'avvento definitivo del Regno di Dio.

 

Andate anche voi nella mia vigna

2. "Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: "andate anche voi nella mia vigna"" (Mt 20, 3-4). L'appello del Signore Gesú «Andate anche voi nella mia vigna" non cessa di risuonare da quel lontano giorno nel corso della storia: è rivolto a ogni uomo che viene in questo mondo. Ai nostri tempi, nella rinnovata effusione dello Spirito pentecostale avvenuta con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha maturato una piú viva coscienza della sua natura missionaria e ha riascoltato la voce del suo Signore che la manda nel mondo come "sacramento universale di salvezza" (1). Andate anche voi. La chiamata non riguarda soltanto i Pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo. Lo ricorda S. Gregorio Magno che, predicando al popolo, cosí commenta la parabola degli operai della vigna: "Guardate al vostro modo di vivere, fratelli carissimi, e verificate se siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello che fa e consideri se lavora nella vigna del Signore" (2). In particolare il Concilio, con il suo ricchissimo patrimonio dottrinale, spirituale e pastorale, ha riservato pagine quanto mai splendide sulla natura, dignità, spiritualità, missione e responsabilità dei fedeli laici. E i Padri conciliari, riecheggiando l'appello di Cristo, hanno chiamato tutti i fedeli laici, uomini e donne, a lavorare nella sua vigna: «Il sacro Concilio scongiura nel Signore tutti i laici a rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla voce di Cristo, che in quest'ora li invita con maggiore insistenza, e all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i piú giovani sentano questo appello come rivolto a se stessi, e l'accolgano con slancio e magnanimità. Il Signore stesso infatti ancora una volta per mezzo di questo Santo Sinodo invita tutti i laici ad unirsi sempre piú intimamente a Lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di Lui (cf. Fil 2, 5), si associno alla sua missione salvifica; li manda ancora in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per venire (cf. Lc 10, 1)" (3).

Andate anche voi nella mia vigna. Queste parole sono spiritualmente risuonate, ancora una volta, durante la celebrazione del Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 1º al 30 ottobre 1987. Ponendosi sui sentieri del Concilio e aprendosi alla luce delle esperienze personali e comunitarie di tutta la Chiesa, i Padri, arricchiti dai Sinodi precedenti, hanno affrontato in modo specifico e ampio l'argomento riguardante la vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. In questa Assemblea episcopale non è mancata una qualificata rappresentanza di fedeli laici, uomini e donne, che hanno portato un contributo prezioso ai lavori del Sinodo, come è stato pubblicamente riconosciuto nell'omelia di conclusione: «Ringraziamo per il fatto che nel corso del Sinodo abbiamo potuto non solo gioire per la partecipazione dei laici (auditores e auditrices), ma ancor di piú perché lo svolgimento delle discussioni sinodali ci ha permesso di ascoltare la voce degli invitati, i rappresentanti del laicato provenienti da tutte le parti del mondo, dai diversi Paesi, e ci ha consentito di profittare delle loro esperienze, dei loro consigli, dei suggerimenti che scaturiscono dal loro amore per la causa comune» (4). Con lo sguardo rivolto al dopo-Concilio i Padri sinodali hanno potuto costatare come lo Spirito abbia continuato a ringiovanire la Chiesa, suscitando nuove energie di santità e di partecipazione in tanti fedeli laici. Ciò è testimoniato, tra l'altro, dal nuovo stile di collaborazione tra sacerdoti, religiosi e fedeli laici; dalla partecipazione attiva nella liturgia, nell'annuncio della Parola di Dio e nella catechesi; dai molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi assunti; dal rigoglioso fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione piú ampia e significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo della società.

Nello stesso tempo, il Sinodo ha rilevato come il cammino postconciliare dei fedeli laici non sia stato esente da difficoltà e da pericoli. In particolare si possono ricordare due tentazioni alle quali non sempre essi hanno saputo sottrarsi: la tentazione di riservare un interesse cosí forte ai servizi e ai compiti ecclesiali, da giungere spesso a un pratico disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel mondo professionale, sociale, economico, culturale e politico; e la tentazione di legittimare l'indebita separazione tra la fede e la vita, tra l'accoglienza del Vangelo e l'azione concreta nelle piú diverse realtà temporali e terrene. Nel corso dei suoi lavori il Sinodo ha fatto costante riferimento al Concilio Vaticano II, il cui insegnamento sul laicato, a distanza di vent'anni, è apparso di sorprendente attualità e talvolta di portata profetica: tale insegnamento è capace di illuminare e di guidare le risposte che oggi devono essere date ai nuovi problemi. In realtà, la sfida che i Padri sinodali hanno accolto è stata quella di individuare le strade concrete perché la splendida «teoria» sul laicato espressa dal Concilio possa diventare un'autentica «prassi» ecclesiale. Alcuni problemi poi s'impongono per una certa loro «novità», tanto da poterli chiamare postconciliari, almeno in senso cronologico: ad essi i Padri sinodali hanno giustamente riservato una particolare attenzione nel corso della loro discussione e riflessione. Tra questi problemi sono da ricordare quelli riguardanti i ministeri e i servizi ecclesiali affidati o da affidarsi ai fedeli laici, la diffusione e la crescita di nuovi «movimenti» accanto ad altre forme aggregative di laici, il posto e il ruolo della donna sia nella Chiesa che nella società. I Padri sinodali, al termine dei loro lavori, svolti con grande impegno, competenza e generosità, mi hanno manifestato il desiderio e mi hanno rivolto la preghiera perché, a tempo opportuno, offrissi alla Chiesa universale un documento conclusivo sui fedeli laici (5). Questa Esortazione Apostolica post-sinodale intende valorizzare tutta quanta la ricchezza dei lavori sinodali, dai Lineamenta all'Instrumentum laboris, dalla relazione introduttiva agli interventi dei singoli vescovi e laici e alla relazione di sintesi dopo la discussione in aula, dalle discussioni e relazioni dei «circoli minori» alle «proposizioni» e al Messaggio finale. Per questo il presente documento non si pone a lato del Sinodo, ma ne costituisce la fedele e coerente espressione, è il frutto d'un lavoro collegiale, al cui esito finale hanno apportato il loro contributo il Consiglio della Segreteria Generale del Sinodo e la stessa Segreteria. Suscitare e alimentare una piú decisa presa di coscienza del dono e della responsabilità che tutti i fedeli laici, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella comunione e nella missione della Chiesa è lo scopo che l'Esortazione intende perseguire.

 

Le urgenze attuali del mondo: perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?

3. Il significato fondamentale di questo Sinodo, e quindi il frutto piú prezioso da esso desiderato, è l'ascolto da parte dei fedeli laici dell'appello di Cristo a lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e responsabile alla missione della Chiesa in quest'ora magnifica e drammatica della storia, nell'imminenza del terzo millennio. Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l'azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora piú colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio. Riprendiamo la lettura della parabola evangelica: «Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella mia vigna"» (Mt 20, 6-7). Non c'è posto per l'ozio, tanto è il lavoro che attende tutti nella vigna del Signore. Il «padrone di casa» ripete con piú forza il suo invito: «Andate anche voi nella mia vigna». La voce del Signore risuona certamente nell'intimo dell'essere stesso d'ogni cristiano, che mediante la fede e i sacramenti dell'iniziazione cristiana è configurato a Gesú Cristo, è inserito come membro vivo nella Chiesa ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza. La voce del Signore passa però anche attraverso le vicende storiche della Chiesa e dell'umanità, come ci ricorda il Concilio: «Il Popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, e perciò guida l'intelligenza verso soluzioni pienamente umane» (6). È necessario, allora, guardare in faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui situazioni economiche, sociali, politiche e culturali presentano problemi e difficoltà piú gravi rispetto a quello descritto dal Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et spes (7). È comunque questa la vigna, è questo il campo nel quale i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesú li vuole, come tutti i suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (cf. Mt 5, 13-14). Ma qual è il volto attuale della «terra» e del «mondo», di cui i cristiani devono essere «sale» e «luce»? È assai grande la diversità delle situazioni e delle problematiche che oggi esistono nel mondo, peraltro caratterizzate da una crescente accelerazione di mutamento. Per questo è del tutto necessario guardarsi dalle generalizzazioni e dalle semplificazioni indebite. È però possibile rilevare alcune linee di tendenza che emergono nella società attuale. Come nel campo evangelico insieme crescono la zizzania e il buon grano, cosí nella storia, teatro quotidiano di un esercizio spesso contraddittorio della libertà umana, si trovano, accostati e talvolta profondamente aggrovigliati tra loro, il male e il bene, l'ingiustizia e la giustizia, l'angoscia e la speranza.

 

Secolarismo e bisogno religioso

4. Come non pensare alla persistente diffusione dell'indifferentismo religioso e dell'ateismo nelle sue piú diverse forme, in particolare nella forma, oggi forse piú diffusa, del secolarismo? Inebriato dalle prodigiose conquiste di un inarrestabile sviluppo scientifico-tecnico e soprattutto affascinato dalla piú antica e sempre nuova tentazione, quella di voler diventare come Dio (cf. Gen 3, 5) mediante l'uso d'una libertà senza limiti, l'uomo taglia le radici religiose che sono nel suo cuore: dimentica Dio, lo ritiene senza significato per la propria esistenza, lo rifiuta ponendosi in adorazione dei piú diversi «idoli». È veramente grave il fenomeno attuale del secolarismo: non riguarda solo i singoli, ma in qualche modo intere comunità, come già rilevava il Concilio: «Moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione» (8). Piú volte io stesso ho ricordato il fenomeno della scristianizzazione che colpisce i popoli cristiani di vecchia data e che reclama, senza alcuna dilazione, una nuova evangelizzazione. Eppure l'aspirazione e il bisogno religiosi non possono essere totalmente estinti. La coscienza di ogni uomo, quando ha il coraggio di affrontare gli interrogativi piú gravi dell'esistenza umana, in particolare l'interrogativo sul senso del vivere, del soffrire e del morire, non può non fare propria la parola di verità gridata da Sant'Agostino: «Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te» (9). Cosí anche il mondo attuale testimonia, in forme sempre piú ampie e vive, l'apertura ad una visione spirituale e trascendente della vita, il risveglio della ricerca religiosa, il ritorno al senso del sacro e alla preghiera, la richiesta di essere liberi nell'invocare il Nome del Signore.

 

La persona umana: dignità calpestata ed esaltata

5. Pensiamo, inoltre, alle molteplici violazioni alle quali viene oggi sottoposta la persona umana. Quando non è riconosciuto e amato nella sua dignità di immagine vivente di Dio (cf. Gen 1, 26), l'essere umano è esposto alle piú umilianti e aberranti forme di «strumentalizzazione», che lo rendono miseramente schiavo del piú forte. E «il piú forte» può assumere i nomi piú diversi: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass-media. Di nuovo ci troviamo di fronte a moltitudini di persone, nostri fratelli e sorelle, i cui diritti fondamentali sono violati, anche in seguito all'eccessiva tolleranza e persino alla palese ingiustizia di certe leggi civili: il diritto alla vita e all'integrità, il diritto alla casa e al lavoro, il diritto alla famiglia e alla procreazione responsabile, il diritto alla partecipazione alla vita pubblica e politica, il diritto alla libertà di coscienza e di professione di fede religiosa. Chi può contare i bambini non nati perché uccisi nel seno delle loro madri, i bambini abbandonati e maltrattati dagli stessi genitori, i bambini che crescono senza affetto ed educazione? In alcuni Paesi intere popolazioni sono sprovviste di casa e di lavoro, mancano dei mezzi assolutamente indispensabili per condurre una vita degna di esseri umani e sono private persino del necessario per la stessa sussistenza. Tremende sacche di povertà e di miseria, fisica e morale ad un tempo, stanno oramai di casa ai margini delle grandi metropoli e colpiscono mortalmente interi gruppi umani. Ma la sacralità della persona non può essere annullata, quantunque essa troppo spesso venga disprezzata e violata: avendo il suo incrollabile fondamento in Dio Creatore e Padre, la sacralità della persona torna ad imporsi, sempre e di nuovo. Di qui il diffondersi sempre piú vasto e l'affermarsi sempre piú forte del senso della dignità personale di ogni essere umano. Una corrente benefica oramai percorre e pervade tutti i popoli della terra, resi sempre piú consapevoli della dignità dell'uomo: non è affatto una «cosa» o un «oggetto» di cui servirsi, ma è sempre e solo un «soggetto», dotato di coscienza e di libertà, chiamato a vivere responsabilmente nella società e nella storia, ordinato ai valori spirituali e religiosi. E stato detto che il nostro è il tempo degli «umanesimi»: alcuni, per la loro matrice atea e secolaristica, finiscono paradossalmente per mortificare e annullare l'uomo; altri umanesimi invece lo esaltano a tal punto da giungere a forme di vera e propria idolatria; altri, infine, riconoscono secondo verità la grandezza e la miseria dell'uomo, manifestando, sostenendo e favorendo la sua dignità totale. Segno e frutto di queste correnti umanistiche è il crescente bisogno della partecipazione. È questa, indubbiamente, uno dei tratti distintivi dell'umanità attuale, un vero «segno dei tempi» che viene maturando in diversi campi e in diverse direzioni: nel campo soprattutto delle donne e del mondo giovanile, e nella direzione della vita non solo familiare e scolastica, ma anche culturale, economica, sociale e politica. L'essere protagonisti, in qualche modo creatori di una nuova cultura umanistica, è un'esigenza insieme universale e individuale (10).

 

Conflittualità e pace

6. Non possiamo infine, non ricordare un altro fenomeno che contraddistingue l'attuale umanità: forse come non mai nella sua storia, l'umanità è quotidianamente e profondamente colpita e scardinata dalla conflittualità. È questo un fenomeno pluriforme, che si distingue dal pluralismo legittimo delle mentalità e delle iniziative, e si manifesta nell'infausto contrapporsi di persone, gruppi, categorie, nazioni e blocchi di nazioni. È una contrapposizione che assume forme di violenza, di terrorismo, di guerra. Ancora una volta, ma con proporzioni enormemente ampliate, diversi settori dell'umanità d'oggi, volendo dimostrare la loro «onnipotenza», rinnovano la stolta esperienza della costruzione della «torre di Babele» (cf. Gen 11, 1-9), la quale però prolifera confusione, lotta, disgregazione ed oppressione. La famiglia umana è cosí in se stessa drammaticamente sconvolta e lacerata. D'altra parte, del tutto insopprimibile è l'aspirazione dei singoli e dei popoli al bene inestimabile della pace nella giustizia. La beatitudine evangelica: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5, 9) trova negli uomini del nostro tempo una nuova e significativa risonanza: per l'avvento della pace e della giustizia popolazioni intere oggi vivono, soffrono e lavorano. La partecipazione di tante persone e gruppi alla vita della società è la strada oggi sempre piú percorsa perché da desiderio la pace diventi realtà. Su questa strada incontriamo tanti fedeli laici generosamente impegnati nel campo sociale e politico, nelle piú varie forme sia istituzionali che di volontariato e di servizio agli ultimi.

 

Gesú Cristo, la speranza dell'umanità

7. Questo è l'immenso e travagliato campo che sta davanti agli operai mandati dal «padrone di casa» a lavorare nella sua vigna. In questo campo è presente e operante la Chiesa, noi tutti, pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi e laici. Le situazioni ora ricordate toccano profondamente la Chiesa: da esse è in parte condizionata, non però schiacciata né tanto meno sopraffatta, perché lo Spirito Santo, che ne è l'anima, la sostiene nella sua missione. La Chiesa sa che tutti gli sforzi che l'umanità va compiendo per la comunione e la partecipazione, nonostante ogni difficoltà, ritardo e contraddizione causati dai limiti umani, dal peccato e dal Maligno, trovano piena risposta nell'intervento di Gesú Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo. La Chiesa sa di essere mandata da Lui come «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (11). Nonostante tutto, dunque, l'umanità può sperare, deve sperare: il Vangelo vivente e personale, Gesú Cristo stesso, è la «notizia» nuova e apportatrice di gioia che la Chiesa ogni giorno annuncia e testimonia a tutti gli uomini. In questo annuncio e in questa testimonianza i fedeli laici hanno un posto originale e insostituibile: per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente nei piú svariati settori del mondo, come segno e fonte di speranza e di amore.

 

 

 

 

CAPITOLO I

IO SONO LA VITE, VOI I TRALCI

La dignità dei fedeli laici nella Chiesa-Mistero

Il mistero della vigna

 

8. L'immagine della vigna viene usata dalla Bibbia in molti modi e con diversi significati: in particolare, essa serve ad esprimere il mistero del Popolo di Dio. In questa prospettiva piú interiore i fedeli laici non sono semplicemente gli operai che lavorano nella vigna, ma sono parte della vigna stessa: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5),dice Gesú. Già nell'Antico Testamento i profeti per indicare il popolo eletto ricorrono all'immagine della vigna. Israele è la vigna di Dio, l'opera del Signore, la gioia del suo cuore: «Io ti avevo piantato come vigna scelta» (Ger 2, 21); «Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigogliosa e frondosa per l'abbondanza dell'acqua» (Ez 19, 10); «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi, e vi aveva piantato scelte viti (...)" (Is 5, 1-2). Gesú riprende il simbolo della vigna e se ne serve per rivelare alcuni aspetti del Regno di Dio: «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruí una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano» (Mc 12, 1; cf. Mt 21, 28 ss.). L'evangelista Giovanni ci invita a scendere in profondità e ci introduce a scoprire il mistero della vigna: essa è il simbolo e la figura non solo del Popolo di Dio, ma di Gesú stesso. Lui è il ceppo e noi, i discepoli, siamo i tralci; Lui è la «vera vite», nella quale sono vitalmente inseriti i tralci (cf. Gv 15, 1 ss.). Il Concilio Vaticano II, riferendo le varie immagini bibliche che illuminano il mistero della Chiesa, ripropone l'immagine della vite e dei tralci: «Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in Lui, e senza di Lui nulla possiamo fare (Gv 15, 1-5)" (12). La Chiesa stessa è, dunque, la vigna evangelica. È mistero perché l'amore e la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito (cf. Gv 3, 5), chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla e comunicarla nella storia (missione) : «In quel giorno - dice Gesú - voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv 14, 20). Ora solo all'interno del mistero della Chiesa come mistero di comunione si rivela l'«identità» dei fedeli laici, la loro originale dignità. E solo all'interno di questa dignità si possono definire la loro vocazione e la loro missione nella Chiesa e nel mondo.

 

Chi sono i fedeli laici

9. I Padri sinodali hanno giustamente rilevato la necessità di individuare e di proporre una descrizione positiva della vocazione e della missione dei fedeli laici, approfondendo lo studio della dottrina del Concilio Vaticano II alla luce sia dei piú recenti documenti del Magistero sia dell'esperienza della vita stessa della Chiesa guidata dallo Spirito Santo (13). Nel dare risposta all'interrogativo «chi sono i fedeli laici», il Concilio, superando precedenti interpretazioni prevalentemente negative, si è aperto ad una visione decisamente positiva e ha manifestato il suo fondamentale intento nell'asserire la piena appartenenza dei fedeli laici alla Chiesa e al suo mistero e il carattere peculiare della loro vocazione, che ha in modo speciale lo scopo di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (14). «Col nome di laici - cosí la Costituzione Lumen gentium li descrive - si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, a loro modo, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano» (15). Già Pio XII diceva: «I fedeli, e piú precisamente i laici, si trovano nella linea piú avanzata della vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana. Perciò essi, specialmente essi, debbono avere una sempre piú chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra sotto la condotta del Capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono la Chiesa (...)" (16). Secondo l'immagine biblica della vigna, i fedeli laici, come tutti quanti i membri della Chiesa, sono tralci radicati in Cristo, la vera vite, da Lui resi vivi e vivificanti. L'inserimento in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana è la radice prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della Chiesa, che costituisce la sua piú profonda «fisionomia», che sta alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana dei fedeli laici: in Gesú Cristo, morto e risorto, il battezzato diventa una «creatura nuova» (Gal 6, 15; 2 Cor 5, 17), una creatura purificata dal peccato e vivificata dalla grazia. In tal modo, solo cogliendo la misteriosa ricchezza che Dio dona al cristiano nel santo Battesimo è possibile delineare la «figura» del fedele laico.

 

Il battesimo e la novità cristiana

10. Non è esagerato dire che l'intera esistenza del fedele laico ha lo scopo di portarlo a conoscere la radicale novità cristiana che deriva dal Battesimo, sacramento della fede, perché possa viverne gli impegni secondo la vocazione ricevuta da Dio. Per descrivere la «figura» del fedele laico prendiamo ora in esplicita e piú diretta considerazione, tra gli altri, questi tre fondamentali aspetti: il Battesimo ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesú Cristo e al suo Corpo che è la Chiesa, ci unge nello Spirito Santo costituendoci templi spirituali.

 

Figli nel Figlio

11. Ricordiamo le parole di Gesú a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3, 5). Il santo Battesimo è, dunque, una nuova nascita, è una rigenerazione. Proprio pensando a questo aspetto del dono battesimale l'apostolo Pietro prorompe nel canto: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesú Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesú Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1 Pt 1, 3-4). E chiama i cristiani coloro che sono stati «rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna» (1 Pt 1, 23). Con il santo Battesimo diventiamo figli di Dio nell'Unigenito suo Figlio, Cristo Gesú. Uscendo dalle acque del sacro fonte, ogni cristiano riascolta la voce che un giorno si è udita sulle rive del fiume Giordano: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Lc 3, 22), e capisce che è stato associato al Figlio prediletto, diventando figlio di adozione (cf. Gal 4, 4-7) e fratello di Cristo. Si compie cosí nella storia di ciascuno l'eterno disegno del Padre: «quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rom 8, 29). È lo Spirito Santo che costituisce i battezzati in figli di Dio e nello stesso tempo membra del corpo di Cristo. Lo ricorda Paolo ai cristiani di Corinto: «Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1 Cor 12, 13), sicché l'apostolo può dire ai fedeli laici: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1 Cor 12, 27);«Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio» (Gal 4, 6; cf. Rom 8, 15-16).

 

Un solo corpo in Cristo

12. Rigenerati come «figli nel Figlio», i battezzati sono inscindibilmente «membri di Cristo e membri del corpo della Chiesa», come insegna il Concilio di Firenze (17). Il Battesimo significa e produce un'incorporazione mistica ma reale al corpo crocifisso e glorioso di Gesú. Mediante il sacramento Gesú unisce il battezzato alla sua morte per unirlo alla sua risurrezione (cf. Rom 6, 3-5), lo spoglia dell'«uomo vecchio» e lo riveste dell'«uomo nuovo», ossia di Se stesso: «Quanti siete stati battezzati in Cristo - proclama l'apostolo Paolo - vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27; cf. Ef 4, 22-24; Col 3, 9-10). Ne risulta che «noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo» (Rom 12, 5). Ritroviamo nelle parole di Paolo l'eco fedele dell'insegnamento di Gesú stesso, il quale ha rivelato la misteriosa unità dei suoi discepoli con Lui e tra di loro, presentandola come immagine e prolungamento di quell'arcana comunione che lega il Padre al Figlio e il Figlio al Padre nel vincolo amoroso dello Spirito (cf. Gv 17, 21). È la stessa unità di cui Gesú parla con l'immagine della vite e dei tralci: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5), un'immagine che fa luce non solo sull'intimità profonda dei discepoli con Gesú ma anche sulla comunione vitale dei discepoli tra loro: tutti tralci dell'unica Vite.

 

Templi vivi e santi dello Spirito

13. Con un'altra immagine, quella di un edificio, l'apostolo Pietro definisce i battezzati come «pietre vive» fondate su Cristo, la «pietra angolare», e destinate alla «costruzione di un edificio spirituale» (1 Pt 2, 5 ss.). L'immagine ci introduce a un altro aspetto della novità battesimale, cosí presentato dal Concilio Vaticano II: «Per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale» (18). Lo Spirito Santo «unge» il battezzato, vi imprime il suo indelebile sigillo (cf. 2 Cor 1, 21-22), e lo costituisce tempio spirituale, ossia lo riempie della santa presenza di Dio grazie all'unione e alla conformazione a Gesú Cristo. Con questa spirituale «unzione», il cristiano può, a suo modo, ripetere le parole di Gesú: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19; cf. Is 61, 1-2). Cosí con l'effusione battesimale e cresimale il battezzato partecipa alla medesima missione di Gesú il Cristo, il Messia Salvatore.

 

Partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Gesú Cristo

14. Rivolgendosi ai battezzati come a «bambini appena nati», l'apostolo Pietro scrive: «Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesú Cristo (...). Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce (...)" (1 Pt 2, 4-5. 9). Ecco un nuovo aspetto della grazia e della dignità battesimale: i fedeli laici partecipano, per la loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale, profetico e regale - di Gesú Cristo. E questo un aspetto non mai dimenticato dalla tradizione viva della Chiesa, come appare, ad esempio, dalla spiegazione che del Salmo 26 offre Sant'Agostino. Scrive: «Davide fu unto re. A quel tempo si ungevano solo il re e il sacerdote. In queste due persone era prefigurato il futuro unico re e sacerdote, Cristo (e perciò "Cristo" viene da "crisma"). Non solo però è stato unto il nostro capo, ma siamo stati unti anche noi, suo corpo (...). Perciò l'unzione spetta a tutti i cristiani, mentre al tempo dell'Antico Testamento apparteneva a due sole persone. Appare chiaro che noi siamo il corpo di Cristo dal fatto che siamo tutti unti e tutti in lui siamo cristi e Cristo, perché in certo modo la testa e il corpo formano il Cristo nella sua integrità» (19). Nella scia del Concilio Vaticano II (20), sin dall'inizio del mio servizio pastorale, ho inteso esaltare la dignità sacerdotale, profetica e regale dell'intero Popolo di Dio dicendo: «Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname - come si riteneva - il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi "un regno di sacerdoti". Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo - Sacerdote, Profeta-Maestro, Re - continua nella Chiesa.

Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione» (21). Con questa Esortazione i fedeli laici sono invitati ancora una volta a rileggere, a meditare e ad assimilare con intelligenza e con amore il ricco e fecondo insegnamento del Concilio circa la loro partecipazione al triplice ufficio di Cristo (22). Ecco ora in sintesi gli elementi essenziali di questo insegnamento. I fedeli laici sono partecipi dell'ufficio sacerdotale, per il quale Gesú ha offerto Se stesso sulla Croce e continuamente si offre nella celebrazione eucaristica a gloria del Padre per la salvezza dell'umanità. Incorporati a Gesú Cristo, i battezzati sono uniti a Lui e al suo sacrificio nell'offerta di se stessi e di tutte le loro attività (cf. Rom 12, 1-2). Parlando dei fedeli laici il Concilio dice: «Tutte le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesú Cristo (cf. 1 Pt 2, 5), i quali nella celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerti al Padre insieme all'oblazione del Corpo del Signore. Cosí anche i laici, operando santamente dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso» (23). La partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, «il quale e con la testimonianza della vita e con la virtú della parola ha proclamato il Regno del Padre» (24), abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a denunciare coraggiosamente il male.

Uniti a Cristo, il «grande profeta» (Lc 7, 16), e costituiti nello Spirito «testimoni» di Cristo Risorto, i fedeli laici sono resi partecipi sia del senso di fede soprannaturale della Chiesa che «non può sbagliarsi nel credere» (25) sia della grazia della parola (cf. At 2, 17-18; Ap 19, 10); sono altresí chiamati a far risplendere la novità e la forza del Vangelo nella loro vita quotidiana, familiare e sociale, come pure ad esprimere, con pazienza e coraggio, nelle contraddizioni dell'epoca presente la loro speranza nella gloria «anche attraverso le strutture della vita secolare» (26). Per la loro appartenenza a Cristo Signore e Re dell'universo i fedeli laici partecipano al suo ufficio regale e sono da Lui chiamati al servizio del Regno di Dio e alla sua diffusione nella storia. Essi vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere in se stessi il regno del peccato (cf. Rom 6, 12), e poi mediante il dono di sé per servire, nella carità e nella giustizia, Gesú stesso presente in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei piú piccoli (cf. Mt 25, 40). Ma i fedeli laici sono chiamati in particolare a ridare alla creazione tutto il suo originario valore. Nell'ordinare il creato al vero bene dell'uomo con un'attività sorretta dalla vita di grazia, essi partecipano all'esercizio del potere con cui Gesú Risorto attrae a sé tutte le cose e le sottomette, con Se stesso, al Padre, cosí che Dio sia tutto in tutti (cf. Gv 12, 32; 1 Cor 15, 28). La partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo Sacerdote, Profeta e Re trova la sua radice prima nell'unzione del Battesimo, il suo sviluppo nella Confermazione e il suo compimento e sostegno dinamico nell'Eucaristia. E una partecipazione donata ai singoli fedeli laici, ma in quanto formano l'unico Corpo del Signore. Infatti, Gesú arricchisce dei suoi doni la Chiesa stessa, quale suo Corpo e sua Sposa. In tal modo i singoli sono partecipi del triplice ufficio di Cristo in quanto membra della Chiesa, come chiaramente insegna l'apostolo Pietro, che definisce i battezzati come «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2, 9). Proprio perché deriva dalla comunione ecclesiale, la partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo esige d'essere vissuta e attuata nella comunione e per la crescita della comunione stessa. Scriveva Sant'Agostino: «Come chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, cosí chiamiamo tutti sacerdoti perché sono membra dell'unico sacerdote» (27).

 

I fedeli laici e l'indole secolare

15. La novità cristiana è il fondamento e il titolo dell'eguaglianza di tutti i battezzati in Cristo, di tutti i membri del Popolo di Dio: «comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità» (28). In forza della comune dignità battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della Chiesa. Ma la comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il Concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell'indole secolare: «L'indole secolare è propria e peculiare dei laici» (29). Proprio per cogliere in modo completo, adeguato e specifico la condizione ecclesiale del fedele laico è necessario approfondire la portata teologica dell'indole secolare alla luce del disegno salvifico di Dio e del mistero della Chiesa. Come diceva Paolo VI, la Chiesa «ha un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo Incarnato, e che è realizzata in forme diverse per i suoi membri» (30). La Chiesa, infatti, vive nel mondo anche se non è del mondo (cf. Gv 17, 16) ed è mandata a continuare l'opera redentrice di Gesú Cristo, la quale «mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l'ordine temporale» (31). Certamente tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro «propria e peculiare»: tale modalità viene designata con l'espressione «indole secolare» (32). In realtà il Concilio descrive la condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: «Ivi sono da Dio chiamati» (33). Si tratta di un «luogo» presentato in termini dinamici: i fedeli laici «vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta» (34). Essi sono persone che vivono la vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti amicali, sociali, professionali, culturali, ecc.

Il Concilio considera la loro condizione non semplicemente come un dato esteriore e ambientale, bensí come una realtà destinata a trovare in Gesú Cristo la pienezza del suo significato (35). Anzi afferma che «lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza umana (...) Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali traggono origine i rapporti sociali, volontariamente sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un lavoratore del suo tempo e della sua regione» (36). Il «mondo» diventa cosí l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. Il Concilio può allora indicare il senso proprio e peculiare della vocazione divina rivolta ai fedeli laici. Non sono chiamati ad abbandonare la posizione ch'essi hanno nel mondo. Il Battesimo non li toglie affatto dal mondo, come rileva l'apostolo Paolo: «Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato» (1 Cor 7, 24); ma affida loro una vocazione che riguarda proprio la situazione intramondana: i fedeli laici, infatti, «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità» (37). Cosí l'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale. Nella loro situazione intramondana, infatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (38). Proprio in questa prospettiva i Padri sinodali hanno detto: «L'indole secolare del fedele laico non è quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma soprattutto in senso teologico. La caratteristica secolare va intesa alla luce dell'atto creativo e redentivo di Dio, che ha affidato il mondo agli uomini e alle donne, perché essi partecipino all'opera della creazione, liberino la creazione stessa dall'influsso del peccato e santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali» (39). La condizione ecclesiale dei fedeli laici viene radicalmente definita dalla loro novità cristiana e caratterizzata dalla loro indole secolare (40). Le immagini evangeliche del sale, della luce e del lievito, pur riguardando indistintamente tutti i discepoli di Gesú, trovano una specifica applicazione ai fedeli laici. Sono immagini splendidamente significative, perché dicono non solo l'inserimento profondo e la partecipazione piena dei fedeli laici nella terra, nel mondo, nella comunità umana; ma anche e soprattutto la novità e l'originalità di un inserimento e di una partecipazione destinati alla diffusione del Vangelo che salva.

 

Chiamati alla santità

16. La dignità dei fedeli laici ci si rivela in pienezza se consideriamo la prima e fondamentale vocazione che il Padre in Gesú Cristo per mezzo dello Spirito rivolge a ciascuno di loro: la vocazione alla santità, ossia alla perfezione della carità. Il santo è la testimonianza piú splendida della dignità conferita al discepolo di Cristo. Sull'universale vocazione alla santità ha avuto parole luminosissime il Concilio Vaticano II. Si può dire che proprio questa sia stata la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio voluto per il rinnovamento evangelico della vita cristiana (41). Questa consegna non è una semplice esortazione morale, bensí un'insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa: essa è la Vigna scelta, per mezzo della quale i tralci vivono e crescono con la stessa linfa santa e santificante di Cristo; è il Corpo mistico, le cui membra partecipano della stessa vita di santità del Capo che è Cristo; è la Sposa amata dal Signore Gesú, che ha consegnato se stesso per santificarla (cf. Ef 5, 25 ss.). Lo Spirito che santificò la natura umana di Gesú nel seno verginale di Maria (cf. Lc 1, 35) è lo stesso Spirito che è dimorante e operante nella Chiesa al fine di comunicarle la santità del Figlio di Dio fatto uomo. È quanto mai urgente che oggi tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnovamento evangelico, accogliendo con generosità l'invito apostolico ad «essere santi in tutta la condotta» (1 Pt 1, 15). Il Sinodo straordinario del 1985, a vent'anni dalla conclusione del Concilio, ha opportunamente insistito su questa urgenza: «Poiché la Chiesa in Cristo è mistero, deve essere considerata segno e strumento di santità (...). I santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento nelle piú difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio con assiduità» (42). Tutti nella Chiesa, proprio perché ne sono membri, ricevono e quindi condividono la comune vocazione alla santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri della Chiesa, ad essa sono chiamati i fedeli laici: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità» (43); «Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato» (44). La vocazione alla santità affonda le sue radici nel Battesimo e viene riproposta dagli altri Sacramenti, principalmente dall'Eucaristia: rivestiti di Gesú Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono «santi» e sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare. L'apostolo Paolo non si stanca di ammonire tutti i cristiani perché vivano «come si addice a santi» (Ef 5, 3). La vita secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione (cf. Rom 6, 22; Gal 5, 22), suscita ed esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e l'imitazione di Gesú Cristo, nell'accoglienza delle sue Beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della Parola di Dio, nella consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare e comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e sofferenti.

 

Santificarsi nel mondo

17. La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene. È ancora l'apostolo ad ammonirci: «Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesú, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3, 17). Riferendo le parole dell'apostolo ai fedeli laici, il Concilio afferma categoricamente: «Né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'orientamento spirituale della vita» (45). A loro volta i Padri sinodali hanno detto: «L'unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, debbono santificarsi nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo» (46). La vocazione alla santità dev'essere percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione, allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità. Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente connessa con la missione e con la responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della Chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo all'edificazione della Chiesa stessa, quale «Comunione dei Santi». Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi - certo per la potenza della grazia di Dio - della crescita del Regno di Dio nella storia. La santità, poi, deve dirsi un fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile per il compiersi della missione di salvezza nella Chiesa.

È la santità della Chiesa la sorgente segreta e la misura infallibile della sua operosità apostolica e del suo slancio missionario. Solo nella misura in cui la Chiesa, Sposa di Cristo, si lascia amare da Lui e Lo riama, essa diventa Madre feconda nello Spirito. Riprendiamo di nuovo l'immagine biblica: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro inserimento nella vite. «Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, cosí anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 4-5). È naturale qui ricordare la solenne proclamazione di fedeli laici, uomini e donne, come beati e santi, avvenuta durante il mese del Sinodo. L'intero Popolo di Dio, e i fedeli laici in particolare, possono trovare ora nuovi modelli di santità e nuove testimonianze di virtú eroiche vissute nelle condizioni comuni e ordinarie dell'esistenza umana. Come hanno detto i Padri sinodali: «Le Chiese locali e soprattutto le cosiddette Chiese piú giovani debbono riconoscere attentamente fra i propri membri quegli uomini e quelle donne che hanno offerto in tali condizioni (le condizioni quotidiane del mondo e lo stato coniugale) la testimonianza della santità e che possono essere di esempio agli altri affinché, se si dia il caso, li propongano per la beatificazione e la canonizzazione» (47). Al termine di queste riflessioni, destinate a definire la condizione ecclesiale del fedele laico, ritorna alla mente il celebre monito di San Leone Magno: «Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam» (48). È lo stesso monito di San Massimo, vescovo di Torino, rivolto a quanti avevano ricevuto l'unzione del santo Battesimo: «Considerate l'onore che vi è fatto in questo mistero!» (49). Tutti i battezzati sono invitati a riascoltare le parole di Sant'Agostino: «Rallegriamoci e ringraziamo: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo (...). Stupite e gioite: Cristo siamo diventati!» (50). La dignità cristiana, fonte dell'eguaglianza di tutti i membri della Chiesa, garantisce e promuove lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo, diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario dei fedeli laici. È una dignità esigente, la dignità degli operai chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna: «Grava su tutti i laici - leggiamo nel Concilio - il glorioso peso di lavorare, perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di piú tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra» (51).

 

 

 

 

CAPITOLO II

TUTTI TRALCI DELL'UNICA VITE

La partecipazione dei fedeli laici alla vita della Chiesa-Comunione

Il mistero della Chiesa-Comunione

 

18. Riascoltiamo le parole di Gesú: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo (...). Rimanete in me e io in voi» (Gv 15, 1-4). Con queste semplici parole ci viene rivelata la comunione misteriosa che vincola in unità il Signore e i discepoli, Cristo e i battezzati: una comunione viva e vivificante, per la quale i cristiani non appartengono a se stessi ma sono proprietà di Cristo, come i tralci inseriti nella vite. La comunione dei cristiani con Gesú ha quale modello, fonte e meta la comunione stessa del Figlio con il Padre nel dono dello Spirito Santo: uniti al Figlio nel vincolo amoroso dello Spirito, i cristiani sono uniti al Padre. Gesú continua: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5). Dalla comunione dei cristiani con Cristo scaturisce la comunione dei cristiani tra di loro: tutti sono tralci dell'unica Vite, che è Cristo. In questa comunione fraterna il Signore Gesú indica il riflesso meraviglioso e la misteriosa partecipazione all'intima vita d'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per questa comunione Gesú prega: «Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21). Tale comunione è il mistero stesso della Chiesa, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, con la celebre parola di San Cipriano: «La Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"» (52). A questo mistero della Chiesa-Comunione siamo abitualmente richiamati all'inizio della celebrazione eucaristica, allorquando il sacerdote ci accoglie con il saluto dell'apostolo Paolo: «La grazia del Signore Gesú Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13). Dopo aver delineato la «figura» dei fedeli laici nella loro dignità dobbiamo ora riflettere sulla loro missione e responsabilità nella Chiesa e nel mondo: ma queste si possono comprendere adeguatamente solo nel contesto vivo della Chiesa-Comunione.

 

Il Concilio e l'ecclesiologia di comunione

19. È questa l'idea centrale che di se stessa la Chiesa ha riproposto nel Concilio Vaticano II, come ci ha ricordato il Sinodo straordinario del 1985, celebratosi a vent'anni dall'evento conciliare: «L'ecclesiologia di comunione è l'idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio. La koinonia-comunione, fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella Chiesa antica e nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni. Perciò molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II perché la Chiesa come comunione fosse piú chiaramente intesa e concretamente tradotta nella vita. Che cosa significa la complessa parola "comunione"? Si tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesú Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella parola di Dio e nei sacramenti. Il Battesimo è la porta ed il fondamento della comunione nella Chiesa. L'Eucaristia è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana (cf. LG, 11). La comunione del corpo eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica l'intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa (cf. 1 Cor 10, 16 s.)" (53). All'indomani del Concilio cosí Paolo VI si rivolgeva ai fedeli: «La Chiesa è una comunione. Che cosa vuol dire in questo caso: comunione? Noi vi rimandiamo al paragrafo del catechismo che parla della sanctorum communionem, la comunione dei santi. Chiesa vuol dire comunione dei santi. E comunione dei santi vuol dire una duplice partecipazione vitale: l'incorporazione dei cristiani nella vita di Cristo, e la circolazione della medesima carità in tutta la compagine dei fedeli, in questo mondo e nell'altro. Unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i cristiani, nella Chiesa» (54). Le immagini bibliche, con cui il Concilio ha voluto introdurci a contemplare il mistero della Chiesa, pongono in luce la realtà della Chiesa-Comunione nella sua inscindibile dimensione di comunione dei cristiani con Cristo e di comunione dei cristiani tra loro. Sono le immagini dell'ovile, del gregge, della vite, dell'edificio spirituale, della città santa (55).

Soprattutto è l'immagine del corpo presentata dall'apostolo Paolo, la cui dottrina rifluisce fresca e attraente in numerose pagine del Concilio (56). A sua volta il Concilio riprende dall'intera storia della salvezza e ripropone l'immagine della Chiesa come Popolo di Dio: «Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente Lo servisse» (57). Già nelle sue primissime righe, la Costituzione Lumen gentium compendia in modo mirabile questa dottrina scrivendo: «La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (58). La realtà della Chiesa-Comunione è, allora, parte integrante, anzi rappresenta il contenuto centrale del «mistero», ossia del disegno divino della salvezza dell'umanità. Per questo la comunione ecclesiale non può essere interpretata in modo adeguato se viene intesa come una realtà semplicemente sociologica e psicologica. La Chiesa-Comunione è il popolo «nuovo», il popolo «messianico», il popolo che «ha per Capo Cristo (...) per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio (...) per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (...) per fine il Regno di Dio (... ed è) costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità» (59). I vincoli che uniscono i membri del nuovo Popolo tra di loro - e prima ancora con Cristo - non sono quelli della «carne» e del «sangue», bensí quelli dello spirito, piú precisamente quelli dello Spirito Santo, che tutti i battezzati ricevono (cf. Gl 3, 1). Infatti, quello Spirito che dall'eternità vincola l'unica e indivisa Trinità, quello Spirito che «nella pienezza del tempo» (Gal 4, 4) unisce indissolubilmente la carne umana al Figlio di Dio, quello stesso e identico Spirito è nel corso delle generazioni cristiane la sorgente ininterrotta e inesauribile della comunione nella e della Chiesa.

 

Una comunione organica: diversità e complementarietà

20. La comunione ecclesiale si configura, piú precisamente, come una comunione «organica», analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità. Grazie a questa diversità e complementarietà ogni fedele laico si trova in relazione con tutto il corpo e ad esso offre il suo proprio contributo. Sulla comunione organica del Corpo mistico di Cristo insiste in modo tutto particolare l'apostolo Paolo, il cui ricco insegnamento possiamo riascoltare nella sintesi tracciata dal Concilio: Gesú Cristo - leggiamo nella Costituzione Lumen gentium - «comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti (...). Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, formano un solo corpo, cosí i fedeli in Cristo (cf. 1 Cor 12, 12). Anche nell'edificazione del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi (cf. 1 Cor 12, 1-11). Fra questi doni viene al primo posto la grazia degli Apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cf. 1 Cor 14). Ed è ancora lo Spirito stesso che, con la sua forza e mediante l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cf. 1 Cor 12, 26)" (60). È sempre l'unico e identico Spirito il principio dinamico della varietà e dell'unità nella e della Chiesa. Leggiamo di nuovo nella Costituzione Lumen gentium: «Perché poi ci rinnovassimo continuamente in Lui (Cristo) (cf. Ef 4, 23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico nel Capo e nelle membra, dà a tutto il corpo la vita, l'unità e il movimento, cosí che i santi Padri poterono paragonare la sua funzione con quella che esercita il principio vitale, cioè l'anima, nel corpo umano» (61).

E in un altro testo, particolarmente denso e prezioso per cogliere l'«organicità» propria della comunione ecclesiale anche nel suo aspetto di crescita incessante verso la perfetta comunione, il Concilio scrive: «Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cf. 1 Cor 3, 16; 6, 19) e in essi prega e rende testimonianza dell'adozione filiale (cf. Gal 4, 6; Rom 8, 15-16. 26). Egli guida la Chiesa verso tutta intera la verità (cf. Gv 16, 13), la unifica nella comunione e nel servizio, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4, 11-12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con il suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesú: Vieni! (cf. Ap 22, 17» (62). La comunione ecclesiale è, dunque, un dono, un grande dono dello Spirito Santo, che i fedeli laici sono chiamati ad accogliere con gratitudine e, nello stesso tempo, a vivere con profondo senso di responsabilità. Ciò si attua concretamente mediante la loro partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa, al cui servizio i fedeli laici pongono i loro diversi e complementari ministeri e carismi. Il fedele laico «non può mai chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma deve vivere in un continuo scambio con gli altri, con un vivo senso di fraternità, nella gioia di una uguale dignità e nell'impegno di far fruttificare insieme l'immenso tesoro ricevuto in eredità. Lo Spirito del Signore dona a lui, come agli altri, molteplici carismi, lo invita a differenti ministeri e incarichi, gli ricorda, come anche lo ricorda agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo distingue non è un di piú di dignità, ma una speciale e complementare abilitazione al servizio (...).Cosí, i carismi, i ministeri, gli incarichi ed i servizi del Fedele Laico esistono nella comunione e per la comunione. Sono ricchezze complementari a favore di tutti, sotto la saggia guida dei Pastori» (63).

 

I ministeri e i carismi, doni dello Spirito alla Chiesa

21. Il Concilio Vaticano II presenta i ministeri e i carismi come doni dello Spirito Santo per l'edificazione del Corpo di Cristo e per la sua missione di salvezza nel mondo (64). La Chiesa, infatti, è diretta e guidata dallo Spirito che elargisce diversi doni gerarchici e carismatici a tutti i battezzati chiamandoli ad essere, ciascuno a suo modo, attivi e corresponsabili. Consideriamo ora i ministeri e i carismi in diretto riferimento ai fedeli laici e alla loro partecipazione alla vita della Chiesa-Comunione. Ministeri, uffici e funzioni I ministeri presenti e operanti nella Chiesa sono tutti, anche se in modalità diverse, una partecipazione al ministero di Gesú Cristo, il buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (cf. Gv 10, 11), il servo umile e totalmente sacrificato per la salvezza di tutti (cf. Mc 10, 45). Paolo è oltremodo chiaro nel parlare della costituzione ministeriale delle Chiese apostoliche. Nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: «Alcuni Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri (...)" (1 Cor 12, 28). Nella Lettera agli Efesini leggiamo: «A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo (...). È lui che ha dato da una parte gli apostoli, d'altra parte i profeti, gli evangelisti, i pastori e i maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 7.11-13; cf. Rom 12, 4-8). Come appare da questi e da altri testi del Nuovo Testamento, i ministeri, come pure i doni e i compiti ecclesiali, sono molteplici e diversi.

 

I ministeri derivanti dall'Ordine

22. Nella Chiesa si trovano in primo luogo, i ministeri ordinati, ossia i ministeri che derivano dal sacramento dell'Ordine. Il Signore Gesú, infatti, ha scelto e costituito gli Apostoli, seme del Popolo della Nuova Alleanza e origine della sacra Gerarchia (65), affidando loro il mandato di fare discepole tutte le genti (cf. Mt 28, 19), di formare e di reggere il popolo sacerdotale. La missione degli Apostoli, che il Signore Gesú continua a trasmettere ai pastori del suo popolo, è un vero servizio, significativamente chiamato nella Sacra Scrittura «diakonia», ossia servizio, ministero. Nella ininterrotta successione apostolica i ministri ricevono il carisma dello Spirito Santo dal Cristo Risorto mediante il sacramento dell'Ordine: ricevono cosí l'autorità e il potere sacro di agire «in persona Christi Capitis» (nella persona di Cristo Capo) (66) per servire la Chiesa e per radunarla nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dei sacramenti. I ministeri ordinati, prima ancora che per le persone che li ricevono, sono una grazia per l'intera Chiesa. Essi esprimono e attuano una partecipazione al sacerdozio di Gesú Cristo che è diversa, non solo per grado ma per essenza, dalla partecipazione donata con il Battesimo e con la Confermazione a tutti i fedeli. D'altra parte il sacerdozio ministeriale, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, è essenzialmente finalizzato al sacerdozio regale di tutti i fedeli e ad esso ordinato (67). Per questo, per assicurare e per far crescere la comunione nella Chiesa, in particolare nell'ambito dei diversi e complementari ministeri, i pastori devono riconoscere che il loro ministero è radicalmente ordinato al servizio di tutto il Popolo di Dio (cf. Eb 5, 1), e, a loro volta, i fedeli laici devono riconoscere che il sacerdozio ministeriale è del tutto necessario per la loro vita e per la loro partecipazione alla missione nella Chiesa (68).

 

Ministeri, uffici e funzioni dei laici

23. La missione salvifica della Chiesa nel mondo è attuata non solo dai ministri in virtú del sacramento dell'Ordine ma anche da tutti i fedeli laici: questi, infatti, in virtú della loro condizione battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo. I pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Confermazione, nonché, per molti di loro, nel Matrimonio. Quando poi la necessità o l'utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare ai fedeli laici, secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni compiti che sono connessi con il loro proprio ministero di pastori ma che non esigono il carattere dell'Ordine. Il Codice di Diritto Canonico scrive: «Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il Battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto» (69). L'esercizio però di questi compiti non fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il compito a costituire il ministero, bensí l'ordinazione sacramentale. Solo il sacramento dell'Ordine attribuisce al ministero ordinato una peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo sacerdozio eterno (70). Il compito esercitato in veste di supplente deriva la sua legittimazione immediatamente e formalmente dalla deputazione ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta attuazione è diretto dall'autorità ecclesiastica (71). La recente Assemblea del Sinodo ha presentato un ampio e significativo panorama della situazione ecclesiale circa i ministeri, gli uffici e le funzioni dei battezzati. I Padri hanno vivamente apprezzato l'apporto apostolico dei fedeli laici, uomini e donne, in favore dell'evangelizzazione, della santificazione e dell'animazione cristiana delle realtà temporali, come pure la loro generosa disponibilità alla supplenza in situazioni di emergenza e di croniche necessità (72).

In seguito al rinnovamento liturgico promosso dal Concilio, gli stessi fedeli laici hanno acquisito piú viva coscienza dei loro compiti nell'assemblea liturgica e nella sua preparazione, e si sono resi ampiamente disponibili a svolgerli: la celebrazione liturgica, infatti, è un'azione sacra non soltanto del clero, ma di tutta l'assemblea. È naturale, pertanto, che i compiti non propri dei ministri ordinati siano svolti dai fedeli laici (73). Il passaggio poi da un effettivo coinvolgimento dei fedeli laici nell'azione liturgica a quello nell'annuncio della Parola di Dio e nella cura pastorale è stato spontaneo (74). Nella stessa Assemblea sinodale non sono mancati però, insieme a quelli positivi, giudizi critici circa l'uso troppo indiscriminato del termine «ministero», la confusione e talvolta il livellamento tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale, la scarsa osservanza di certe leggi e norme ecclesiastiche, l'interpretazione arbitraria del concetto di «supplenza», la tendenza alla «clericalizzazione» dei fedeli laici e il rischio di creare di fatto una struttura ecclesiale di servizio parallela a quella fondata sul sacramento dell'Ordine. Proprio per superare questi pericoli i Padri sinodali hanno insistito sulla necessità che siano espresse con chiarezza, anche servendosi di una terminologia piú precisa (75), l'unità di missione della Chiesa, alla quale partecipano tutti i battezzati, ed insieme l'essenziale diversità di ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell'Ordine, rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione. È necessario allora, in primo luogo, che i pastori, nel riconoscere e nel conferire ai fedeli laici i vari ministeri, uffici e funzioni, abbiano la massima cura di istruirli sulla radice battesimale di questi compiti. È necessario poi che i pastori siano vigilanti perché si eviti un facile ed abusivo ricorso a presunte «situazioni di emergenza» o di «necessaria supplenza», là dove obiettivamente non esistono o là dove è possibile ovviarvi con una programmazione pastorale piú razionale. I vari ministeri, uffici e funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro specifica vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri.

In tal senso, l'Esortazione Evangelii nuntiandi, che tanta e benefica parte ha avuto nello stimolare la diversificata collaborazione dei fedeli laici alla vita e alla missione evangelizzatrice della Chiesa, ricorda che «il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; cosí pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la famiglia, l'educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Piú ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto piú queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell'edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesú Cristo» (76). Durante i lavori del Sinodo i Padri hanno dedicato non poca attenzione al Lettorato e all'Accolitato. Mentre in passato esistevano nella Chiesa Latina soltanto come tappe spirituali dell'itinerario verso i ministeri ordinati, con il Motu proprio di Paolo VI Ministeria quaedam (15 Agosto 1972) essi hanno ricevuto una loro autonomia e stabilità, come pure una loro possibile destinazione agli stessi fedeli laici, sia pure soltanto uomini. Nello stesso senso si è espresso il nuovo Codice di Diritto Canonico (77). Ora i Padri sinodali hanno espresso il desiderio che «il Motu proprio Ministeria quaedam sia rivisto, tenendo conto dell'uso delle Chiese locali e soprattutto indicando i criteri secondo cui debbano essere scelti i destinatari di ciascun ministero» (78). In tal senso è stata costituita un'apposita Commissione non solo per rispondere a questo desiderio espresso dai Padri sinodali, ma anche e ancor piú per studiare in modo approfondito i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e pastorali sollevati dall'attuale grande fioritura di ministeri affidati ai fedeli laici. In attesa che la Commissione concluda il suo studio, perché la prassi ecclesiale dei ministeri affidati ai fedeli laici risulti ordinata e fruttuosa, dovranno essere fedelmente rispettati da tutte le Chiese particolari i principi teologici sopra ricordati, in particolare la diversità essenziale tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune e, conseguentemente, la diversità tra i ministeri derivanti dal sacramento dell'Ordine e i ministeri derivanti dai sacramenti del Battesimo e della Confermazione.

 

I carismi

24. Lo Spirito Santo, mentre affida alla Chiesa-Comunione i diversi ministeri, l'arricchisce di altri particolari doni e impulsi, chiamati carismi. Possono assumere le forme piú diverse, sia come espressione dell'assoluta libertà dello Spirito che li elargisce, sia come risposta alle esigenze molteplici della storia della Chiesa. La descrizione e la classificazione che di questi doni fanno i testi del Nuovo Testamento sono un segno della loro grande varietà: «E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli, a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue» (1 Cor 12, 7-10; cf. 1 Cor 12, 4-6.28-31; Rom 12, 6-8; 1 Pt 4, 10-11). Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che hanno, direttamente o indirettamente, un'utilità ecclesiale, ordinati come sono all'edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità del mondo. Anche ai nostri tempi non manca la fioritura di diversi carismi tra i fedeli laici, uomini e donne. Sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri e in tal modo vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le persone.

Proprio in riferimento all'apostolato dei laici il Concilio Vaticano II scrive: «Per l'esercizio di tale apostolato lo Spirito Santo, che opera la santificazione del Popolo di Dio per mezzo del ministero e dei sacramenti, elargisce ai fedeli anche dei doni particolari (cf. 1 Cor 12, 7), "distribuendoli a ciascuno come vuole" (1 Cor 12, 11), affinché, "mettendo ciascuno a servizio degli altri la grazia ricevuta", contribuiscano anch'essi, "come buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio" (1 Pt 4, 10), alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cf. Ef 4, 16)" (79). Nella logica dell'originaria donazione da cui sono scaturiti, i doni dello Spirito esigono che quanti li hanno ricevuti li esercitino per la crescita di tutta la Chiesa, come ci ricorda il Concilio (80). I carismi vanno accolti con gratitudine: da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti nella Chiesa. Sono, infatti, una singolare ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità dell'intero Corpo di Cristo: purché siano doni che derivino veramente dallo Spirito e vengano esercitati in piena conformità agli impulsi autentici dello Spirito. In tal senso si rende sempre necessario il discernimento dei carismi. In realtà, come hanno detto i Padri sinodali, «l'azione dello Spirito Santo, che soffia dove vuole, non è sempre facile da riconoscere e da accogliere. Sappiamo che Dio agisce in tutti i fedeli cristiani e siamo coscienti dei benefici che vengono dai carismi sia per i singoli sia per tutta la comunità cristiana. Tuttavia, siamo anche coscienti della potenza del peccato e dei suoi sforzi per turbare e per confondere la vita dei fedeli e della comunità» (81). Per questo nessun carisma dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa. Con chiare parole il Concilio scrive: «Il giudizio sulla loro (dei carismi) genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1 Tess 5, 12 e 19-21)" (82), affinché tutti i carismi cooperino, nella loro diversità e complementarietà, al bene comune (83).

 

La partecipazione dei fedeli laici alla vita della Chiesa

25. I fedeli laici partecipano alla vita della Chiesa non solo mettendo in opera i loro compiti e carismi, ma anche in molti altri modi. Tale partecipazione trova la sua prima e necessaria espressione nella vita e missione delle Chiese particolari, delle diocesi, nelle quali «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica» (84). Chiese particolari e Chiesa universale Per un'adeguata partecipazione alla vita ecclesiale è del tutto urgente che i fedeli laici abbiano una visione chiara e precisa della Chiesa particolare nel suo originale legame con la Chiesa universale. La Chiesa particolare non nasce da una specie di frammentazione della Chiesa universale, né la Chiesa universale viene costituita dalla semplice somma delle Chiese particolari; ma un vivo, essenziale e costante vincolo le unisce tra loro, in quanto la Chiesa universale esiste e si manifesta nelle Chiese particolari. Per questo il Concilio dice che le Chiese particolari sono «formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica» (85). Lo stesso Concilio stimola con forza i fedeli laici a vivere operosamente la loro appartenenza alla Chiesa particolare, assumendo nello stesso tempo un respiro sempre piú «cattolico»: «Coltivino costantemente - leggiamo nel Decreto sull'apostolato dei laici - il senso della diocesi, di cui la parrocchia è come una cellula, sempre pronti, all'invito del loro Pastore, ad unire anche le proprie forze alle iniziative diocesane. Anzi, per venire incontro alle necessità delle città e delle zone rurali, non limitino la loro propria cooperazione entro i confini della parrocchia o della diocesi, ma procurino di allargarla all'ambito interparrocchiale, interdiocesano, nazionale o internazionale, tanto piú che il crescente spostamento delle popolazioni, lo sviluppo delle mutue relazioni e la facilità delle comunicazioni non consentono piú ad alcuna parte della società di rimanere chiusa in se stessa. Cosí abbiano a cuore le necessità del Popolo di Dio sparso su tutta la terra» (86). Il recente Sinodo ha chiesto, in tal senso, che si favorisca la creazione dei Consigli Pastorali diocesani, ai quali ricorrere secondo le opportunità. Si tratta, in realtà, della principale forma di collaborazione e di dialogo, come pure di discernimento, a livello diocesano. La partecipazione dei fedeli laici a questi Consigli potrà ampliare il ricorso alla consultazione e il principio della collaborazione - che in certi casi è anche di decisione - verrà applicato in un modo piú esteso e forte (87). La partecipazione dei fedeli laici nei Sinodi diocesani e nei Concili particolari, provinciali o plenari, è prevista dal Codice di Diritto Canonico (88); essa potrà contribuire alla comunione e alla missione ecclesiale della Chiesa particolare, sia nel suo proprio ambito sia in relazione con le altre Chiese particolari della provincia ecclesiastica o della Conferenza Episcopale. Le Conferenze Episcopali sono chiamate a valutare il modo piú opportuno di sviluppare, a livello nazionale o regionale, la consultazione e la collaborazione dei fedeli laici, uomini e donne: si potranno cosí soppesare bene i problemi comuni e meglio si manifesterà la comunione ecclesiale di tutti (89).

 

La parrocchia

26. La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione piú immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie (90). È necessario che tutti riscopriamo, nella fede, il vero volto della parrocchia, ossia il «mistero» stesso della Chiesa presente e operante in essa: anche se a volte povera di persone e di mezzi, anche se altre volte dispersa su territori quanto mai vasti o quasi introvabile all'interno di popolosi e caotici quartieri moderni, la parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto «la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d'unità» (91), è «una casa di famiglia, fraterna ed accogliente» (92), è la «comunità di fedeli» (93). In definitiva, la parrocchia è fondata su di una realtà teologica, perché essa è una comunità eucaristica (94). Ciò significa che essa è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa. Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità di fede e una comunità organica, ossia costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco - che rappresenta il Vescovo diocesano (95) - è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare. È certamente immane il compito della Chiesa ai nostri giorni e ad assolverlo non può certo bastare la parrocchia da sola. Per questo il Codice di Diritto Canonico prevede forme di collaborazione tra parrocchie nell'ambito del territorio (96) e raccomanda al Vescovo la cura di tutte le categorie di fedeli, anche di quelle che non sono raggiunte dalla cura pastorale ordinaria (97).

Infatti, molti luoghi e forme di presenza e di azione sono necessari per recare la parola e la grazia del Vangelo nelle svariate condizioni di vita degli uomini d'oggi, e molte altre funzioni di irradiazione religiosa e d'apostolato d'ambiente, nel campo culturale, sociale, educativo, professionale, ecc., non possono avere come centro o punto di partenza la parrocchia. Eppure anche oggi la parrocchia vive una nuova e promettente stagione. Come diceva Paolo VI, all'inizio del suo pontificato, rivolgendosi al Clero romano: «Crediamo semplicemente che questa antica e venerata struttura della parrocchia ha una missione indispensabile e di grande attualità; ad essa spetta creare la prima comunità del popolo cristiano; ad essa iniziare e raccogliere il popolo nella normale espressione della vita liturgica; ad essa conservare e ravvivare la fede nella gente d'oggi; ad essa fornirle la scuola della dottrina salvatrice di Cristo; ad essa praticare nel sentimento e nell'opera l'umile carità delle opere buone e fraterne» (98). I Padri sinodali, dal canto loro, hanno attentamente considerato l'attuale situazione di molte parrocchie, sollecitando un loro piú deciso rinnovamento : «Molte parrocchie, sia in regioni urbanizzate sia in territorio missionario, non possono funzionare con pienezza effettiva per la mancanza di mezzi materiali o di uomini ordinati, o anche per l'eccessiva estensione geografica e per la speciale condizione di alcuni cristiani (come, per esempio, gli esuli e gli emigranti). Perché tutte queste parrocchie siano veramente comunità cristiane, le autorità locali devono favorire:

a) l'adattamento delle strutture parrocchiali con la flessibilità ampia concessa dal Diritto Canonico, soprattutto promuovendo la partecipazione dei laici alle responsabilità pastorali;

b) le piccole comunità ecclesiali di base, dette anche comunità vive, dove i fedeli possano comunicarsi a vicenda la Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell'amore; queste comunità sono vere espressioni della comunione ecclesiale e centri di evangelizzazione, in comunione con i loro Pastori» (99). Per il rinnovamento delle parrocchie e per meglio assicurare la loro efficacia operativa si devono favorire forme anche istituzionali di cooperazione tra le diverse parrocchie di un medesimo territorio.

 

L'impegno apostolico nella parrocchia

27. È necessario ora considerare piú da vicino la comunione e la partecipazione dei fedeli laici alla vita della parrocchia. In tal senso è da richiamarsi l'attenzione di tutti i fedeli laici, uomini e donne, su di una parola tanto vera, significativa e stimolante del Concilio: «All'interno delle comunità della Chiesa - leggiamo nel Decreto sull'apostolato dei laici - la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo piú raggiungere la sua piena efficacia» (100). È, questa, un'affermazione radicale, che dev'essere evidentemente intesa nella luce della «ecclesiologia di comunione»: essendo diversi e complementari, i ministeri e i carismi sono tutti necessari alla crescita della Chiesa, ciascuno secondo la propria modalità. I fedeli laici devono essere sempre piú convinti del particolare significato che assume l'impegno apostolico nella loro parrocchia. È ancora il Concilio a rilevarlo autorevolmente: «La parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserendole nell'universalità della Chiesa. Si abituino i laici a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; a dare, secondo le proprie possibilità, il loro contributo ad ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica» (101). L'accenno conciliare all'esame e alla risoluzione dei problemi pastorali «con il concorso di tutti» deve trovare il suo adeguato e strutturato sviluppo nella valorizzazione piú convinta, ampia e decisa dei Consigli pastorali parrocchiali, sui quali hanno giustamente insistito i Padri sinodali (102). Nelle circostanze attuali i fedeli laici possono e devono fare moltissimo per la crescita di un'autentica comunione ecclesiale all'interno delle loro parrocchie e per ridestare lo slancio missionario verso i non credenti e verso gli stessi credenti che hanno abbandonato o affievolito la pratica della vita cristiana. Se la parrocchia è la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue aspirazioni e i suoi drammi. Spesso il contesto sociale, soprattutto in certi paesi e ambienti, è violentemente scosso da forze di disgregazione e di disumanizzazione: l'uomo è smarrito e disorientato, ma nel cuore gli rimane sempre piú il desiderio di poter sperimentare e coltivare rapporti piú fraterni e piú umani La risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa, con la viva partecipazione dei fedeli laici, rimane coerente alla sua originaria vocazione e missione: essere nel mondo «luogo» della comunione dei credenti e insieme «segno» e «strumento» della vocazione di tutti alla comunione; in una parola, essere la casa aperta a tutti e al servizio di tutti o, come amava dire il Papa Giovanni XXIII, la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per la loro sete.

 

Forme di partecipazione nella vita della Chiesa

28. I fedeli laici, unitamente ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, formano l'unico Popolo di Dio e Corpo di Cristo. L'essere «membri» della Chiesa nulla toglie al fatto che ciascun cristiano sia un essere «unico e irripetibile», bensí garantisce e promuove il senso piú profondo della sua unicità e irripetibilità, in quanto fonte di varietà e di ricchezza per l'intera Chiesa. In tal senso Dio in Gesú Cristo chiama ciascuno col proprio inconfondibile nome. L'appello del Signore: «Andate anche voi nella mia vigna» si rivolge a ciascuno personalmente e suona: «Vieni anche tu nella mia vigna!». Cosí ciascuno nella sua unicità e irripetibilità, con il suo essere e con il suo agire, si pone al servizio della crescita della comunione ecclesiale, come peraltro singolarmente riceve e fa sua la comune ricchezza di tutta la Chiesa. È questa la «Comunione dei Santi», da noi professata nel Credo: il bene di tutti diventa il bene di ciascuno e il bene di ciascuno diventa il bene di tutti. «Nella santa Chiesa - scrive San Gregorio Magno - ognuno è sostegno degli altri e gli altri sono suo sostegno» (103). Forme personali di partecipazione È del tutto necessario che ciascun fedele laico abbia sempre viva coscienza di essere un «membro della Chiesa», al quale è affidato un compito originale insostituibile e indelegabile, da svolgere per il bene di tutti. In una simile prospettiva assume tutto il suo significato l'affermazione conciliare circa l'assoluta necessità dell'apostolato della singola persona: «L'apostolato che i singoli devono svolgere, sgorgando abbondantemente dalla fonte di una vita veramente cristiana (cf. Gv 4, 14), è la prima forma e la condizione di ogni apostolato dei laici, anche di quello associato, ed è insostituibile. A tale apostolato, sempre e dovunque proficuo, ma in certe circostanze l'unico adatto e possibile, sono chiamati e obbligati tutti i laici, di qualsiasi condizione, anche se manca loro l'occasione o la possibilità di collaborare nelle associazioni» (104). Nell'apostolato personale ci sono grandi ricchezze che chiedono di essere scoperte per un'intensificazione del dinamismo missionario di ciascun fedele laico. Con tale forma di apostolato, l'irradiazione del Vangelo può farsi quanto mai capillare, giungendo a tanti luoghi e ambienti quanti sono quelli legati alla vita quotidiana e concreta dei laici. Si tratta, inoltre, di un'irradiazione costante, essendo legata alla continua coerenza della vita personale con la fede; come pure di un'irradiazione particolarmente incisiva, perché, nella piena condivisione delle condizioni di vita, del lavoro, delle difficoltà e speranze dei fratelli, i fedeli laici possono giungere al cuore dei loro vicini o amici o colleghi, aprendolo all'orizzonte totale, al senso pieno dell'esistenza: la comunione con Dio e tra gli uomini.

 

Forme aggregative di partecipazione

29. La comunione ecclesiale, già presente e operante nell'azione della singola persona, trova una sua specifica espressione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia nell'azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e alla missione della Chiesa. In questi ultimi tempi il fenomeno dell'aggregarsi dei laici tra loro è venuto ad assumere caratteri di particolare varietà e vivacità. Se sempre nella storia della Chiesa l'aggregarsi dei fedeli ha rappresentato in qualche modo una linea costante, come testimoniano sino ad oggi le varie confraternite, i terzi ordini e i diversi sodalizi, esso ha però ricevuto uno speciale impulso nei tempi moderni, che hanno visto il nascere e il diffondersi di molteplici forme aggregative: associazioni, gruppi, comunità, movimenti. Possiamo parlare di una nuova stagione aggregativa dei fedeli laici. Infatti, «accanto all'associazionismo tradizionale, e talvolta alle sue stesse radici, sono germogliati movimenti e sodalizi nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la ricchezza e la versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale, e tanta è pure la capacità d'iniziativa e la generosità del nostro laicato» (105). Queste aggregazioni di laici si presentano spesso assai diverse le une dalle altre in vari aspetti, come la configurazione esteriore, i cammini e metodi educativi, e i campi operativi. Trovano però le linee di un'ampia e profonda convergenza nella finalità che le anima: quella di partecipare responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza per l'uomo e di rinnovamento per la società. L'aggregarsi dei fedeli laici per motivi spirituali e apostolici scaturisce da piú fonti e corrisponde ad esigenze diverse: esprime, infatti, la natura sociale della persona e obbedisce all'istanza di una piú vasta ed incisiva efficacia operativa. In realtà, l'incidenza «culturale», sorgente e stimolo ma anche frutto e segno di ogni altra trasformazione dell'ambiente e della società, può realizzarsi solo con l'opera non tanto dei singoli quanto di un «soggetto sociale», ossia di un gruppo, di una comunità, di un'associazione, di un movimento.

Ciò è particolarmente vero nel contesto della società pluralistica e frantumata - com'è quella attuale in tante parti del mondo - e di fronte a problemi divenuti enormemente complessi e difficili. D'altra parte, soprattutto in un mondo secolarizzato, le varie forme aggregative possono rappresentare per tanti un aiuto prezioso per una vita cristiana coerente alle esigenze del Vangelo e per un impegno missionario e apostolico. Al di là di questi motivi, la ragione profonda che giustifica ed esige l'aggregarsi dei fedeli laici è di ordine teologico: è una ragione ecclesiologica, come apertamente riconosce il Concilio Vaticano II che indica nell'apostolato associato un «segno della comunione e dell'unità della Chiesa in Cristo» (106). È un «segno» che deve manifestarsi nei rapporti di «comunione» sia all'interno che all'esterno delle varie forme aggregative nel piú ampio contesto della comunità cristiana. Proprio la ragione ecclesiologica indicata spiega, da un lato il «diritto» di aggregazione proprio dei fedeli laici, dall'altro lato la necessità di «criteri» di discernimento circa l'autenticità ecclesiale delle loro forme aggregative. È anzitutto da riconoscersi la libertà associativa dei fedeli laici nella Chiesa. Tale libertà è un vero e proprio diritto che non deriva da una specie di «concessione» dell'autorità, ma che scaturisce dal Battesimo, quale sacramento che chiama i fedeli laici a partecipare attivamente alla comunione e alla missione della Chiesa. Al riguardo è del tutto chiaro il Concilio: «Salva la dovuta relazione con l'autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare e guidare associazioni e dare nome a quelle fondate» (107). E il recente Codice testualmente afferma: «I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità» (108). Si tratta di una libertà riconosciuta e garantita dall'autorità ecclesiastica e che dev'essere esercitata sempre e solo nella comunione della Chiesa: in tal senso il diritto dei fedeli laici ad aggregarsi è essenzialmente relativo alla vita di comunione e alla missione della Chiesa stessa.

 

Criteri di ecclesialità per le aggregazioni laicali

30. È sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità di criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni laicali, detti anche «criteri di ecclesialità». Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti:

-Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata «nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli» (109) come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità (110). In tal senso ogni e qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad essere sempre piú strumento di santità nella Chiesa, favorendo e incoraggiando «una piú intima unità tra la vita pratica dei membri e la loro fede» (111).

- La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta. Per questo ogni aggregazione di fedeli laici dev'essere luogo di annuncio e di proposta della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto.

- La testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell'unità della Chiesa universale (112), e con il Vescovo «principio visibile e fondamento dell'unità» (113) della Chiesa particolare, e nella «stima vicendevole fra tutte le forme di apostolato nella Chiesa» (114). La comunione con il Papa e con il Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La comunione ecclesiale esige, inoltre, il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella Chiesa e, nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca collaborazione.

- La conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia «l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti» (115). In questa prospettiva, da tutte le forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto uno slancio missionario che le renda sempre piú soggetti di una nuova evangelizzazione.

- L'impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo. In tal senso le aggregazioni dei fedeli laici devono diventare correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni piú giuste e fraterne all'interno della società. I criteri fondamentali ora esposti trovano la loro verifica nei frutti concreti che accompagnano la vita e le opere delle diverse forme associative quali: il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l'animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l'impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani; l'impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una piú generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati «lontani».

 

Il servizio dei Pastori per la comunione

31. I Pastori nella Chiesa, sia pure di fronte a possibili e comprensibili difficoltà di alcune forme aggregative e all'imporsi di nuove forme, non possono rinunciare al servizio della loro autorità, non solo per il bene della Chiesa, ma anche per il bene delle stesse aggregazioni laicali. In tal senso devono accompagnare l'opera di discernimento con la guida e soprattutto con l'incoraggiamento per una crescita delle aggregazioni dei fedeli laici nella comunione e nella missione della Chiesa. È oltremodo opportuno che alcune nuove associazioni e alcuni nuovi movimenti, per la loro diffusione spesso nazionale o anche internazionale, abbiano a ricevere un riconoscimento ufficiale, un'approvazione esplicita della competente autorità ecclesiastica. In questo senso già il Concilio affermava: «L'apostolato dei laici ammette certo vari tipi di rapporti con la Gerarchia secondo le diverse forme e oggetti dell'apostolato stesso (...). Alcune forme di apostolato dei laici vengono in vari modi esplicitamente riconosciute dalla Gerarchia. L'autorità ecclesiastica, per le esigenze del bene comune della Chiesa, fra le associazioni e iniziative apostoliche aventi un fine immediatamente spirituale, può inoltre sceglierne in modo particolare e promuoverne alcune per le quali assume una speciale responsabilità» (116). Tra le diverse forme apostoliche dei laici che hanno un particolare rapporto con la Gerarchia i Padri sinodali hanno esplicitamente ricordato vari movimenti e associazioni di Azione Cattolica, in cui «i laici si associano liberamente in forma organica e stabile, sotto la spinta dello Spirito Santo, nella comunione con il Vescovo e con i sacerdoti, per poter servire, nel modo proprio della loro vocazione, con un particolare metodo, all'incremento di tutta la comunità cristiana, ai progetti pastorali e all'animazione evangelica di tutti gli ambiti della vita, con fedeltà e operosità» (117).

Il Pontificio Consiglio per i Laici è incaricato di preparare un elenco delle associazioni che ricevono l'approvazione ufficiale della Santa Sede e di definire, insieme al Segretariato per l'Unione dei Cristiani, le condizioni in base alle quali può essere approvata un'associazione ecumenica in cui la maggioranza sia cattolica e una minoranza non cattolica, stabilendo anche in quali casi non si può dare un giudizio positivo (118). Tutti, Pastori e fedeli, siamo obbligati a favorire e ad alimentare di continuo vincoli e rapporti fraterni di stima, di cordialità, di collaborazione tra le varie forme aggregative di laici. Solo cosí la ricchezza dei doni e dei carismi che il Signore ci offre può portare il suo fecondo e ordinato contributo all'edificazione della casa comune: «Per la solidale edificazione della casa comune è necessario, inoltre, che sia deposto ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi piuttosto nello stimarsi a vicenda (cf. Rom 12, 10), nel prevenirsi reciprocamente nell'affetto e nella volontà di collaborazione, con la pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò potrà talvolta comportare» (119). Ritorniamo ancora una volta alle parole di Gesú: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 5), per rendere grazie a Dio del grande dono della comunione ecclesiale, riflesso nel tempo dell'eterna e ineffabile comunione d'amore di Dio Uno e Trino. La coscienza del dono si deve accompagnare ad un forte senso di responsabilità: è, infatti, un dono che, come il talento evangelico, esige d'essere trafficato in una vita di crescente comunione. Essere responsabili del dono della comunione significa, anzitutto, essere impegnati a vincere ogni tentazione di divisione e di contrapposizione, che insidia la vita e l'impegno apostolico dei cristiani. Il grido di dolore e di sconcerto dell'apostolo Paolo: «Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: "Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "E io di Cefa", "E io di Cristo!". Cristo è stato forse diviso?» (1 Cor 1, 12-13 ) continua a suonare come rimprovero per le «lacerazioni del Corpo di Cristo». Risuonino, invece, come appello persuasivo queste altre parole dell'apostolo: «Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesú Cristo, ad essere unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti» (1 Cor 1, 10). Cosí la vita di comunione ecclesiale diventa un segno per il mondo e una forza attrattiva che conduce a credere in Cristo: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21). In tal modo la comunione si apre alla missione, si fa essa stessa missione.

[ Continua... ]