1. Premessa

Eccellenze, Signori

Sono il Gen. di Brigata Arturo Marcheggiano della Scuola di Guerra dell’Esercito Italiano. Insegno Diritto Umanitario nelle Scuole di Guerre delle tre Forze Armate ed in sede di attività congiunta tra le Scuole di Guerra. Dirigo i corsi interforze per conto dello Stato Maggiore della Difesa e sono l’autore di tutti i regolamenti oggi in vigore nelle Forze Armate italiane in materia di applicazione del Diritto Umanitario.

Da laico assolutamente rispettoso di qualunque «credo» dell’Uomo, e da docente militare, non vi so nascondere il mio imbarazzo, nel prendere la parola in una conferenza internazionale cosí per me inusuale, tanto da sentire il bisogno di portare con me un mio allievo, il primo Cappellano Militare che in Italia abbia frequentato un corso per Consiglieri Giuridici in materia di applicazione del Diritto Umanitario, organizzato in ottemperanza dell’art. 82 del I Protocollo di Ginevra del 1977, ratificato dall’Italia e, quindi, legge per il nostro Stato.

Il tema è vastissimo e, di conseguenza, tratterò per cenni solo pochi argomenti, cosí come gli stessi sono configurati dal Diritto Internazionale oggi in vigore. In tale dizione comprendo anche i Protocolli di Ginevra del 1977, aggiuntivi alle 4 Convenzioni del 1949, nell’intesa che essi debbano essere considerati vincolanti per gli Stati che li hanno ratificati (come ad esempio l’Italia), ed alla stregua quanto meno del diritto consuetudinario per gli Stati che ancora non li avessero ratificati almeno per quanto riguarda la materia «Cappellani militari» (anche se oggi, piú propriamente, ci si riferisce ai ministri del culto di tutte le religioni). Esaminerò, pertanto, esclusivamente secondo i dettati del Diritto Internazionale i seguenti argomenti relativi al tempo di guerra:

- i diritti ed i doveri degli Stati riguardanti la preparazione dei Cappellani Militari;

- i diritti ed i doveri dei Superiori dei Cappellani Militari;

- i diritti del Cappellano;

- i doveri del Cappellano.

Mi preme però anche dare un cenno ad una parte del Diritto Internazionale meno conosciuta e studiata dove, a mio avviso, il Cappellano Militare ed il ministro del culto in generale (anche civile), in tempo di conflitto armato può trovare spazi di azione umanitaria veramente cospicui, per alleviare le sofferenze delle vittime della guerra, dato che in tutte le religioni questa particolare istanza umanitaria è sempre assolutamente presente ed a fattor comune.

Purtroppo il tempo non mi consente un esame di carattere storico, che mi piacerebbe poter fare anche solo per ricordare che un grande Papa, quale fu Giovanni XXIII, ha avuto un libretto militare ed uno stato di servizio di carità e di apostolato in guerra.

 

2. I diritti ed i doveri degli Stati

Il dovere piú significativo degli Stati, in tempo di guerra, sancito dal Diritto Internazionale, in materia religiosa, è quello di assicurare l’assistenza spirituale non solo alle proprie truppe combattenti ed ai prigionieri di guerra nemici catturati, ma anche alle popolazioni civili, vittime della guerra, sia sul territorio nazionale sia in territorio nemico occupato. I diritti ed i doveri piú significativi degli Stati o delle Parti in conflitto, che scaturiscono dal Diritto Internazionale (ed in particolare dalle Convenzioni dell’Aja 1907, di Ginevra 1949 e dai Protocolli di Ginevra del 1977), che riguardano direttamente l’opera di assistenza spirituale svolta dai Cappellani Militari, sono i seguenti:

- non discriminare le vittime della guerra, combattenti e non combattenti, per motivi religiosi;

- concludere accordi di tregua temporanea dopo i combattimenti, per motivi umanitari;

- concordare zone sanitarie, di sicurezza, zone smilitarizzate e località non difese per la migliore protezione delle vittime della guerra;

- concludere accordi di scambio e restituzione di personale religioso, compreso quello delle navi ospedale e degli aerei sanitari, fermo restando il diritto di trattenere parte del personale religioso per le esigenze assistenziali dei feriti e dei prigionieri di guerra nemici catturati;

- fare il possibile per identificare i feriti, i malati ed i morti e per dare corrette e tempestive notizie in merito alla controparte, e, di conseguenza, alle famiglie, raccogliendo e restituendo testamenti, altri documenti, reliquie, ecc.;

- rispettare in ogni circostanza i Cappellani destinati alle Forze Armate;

- fornire ai Cappellani i bracciali e le carte di identità anche nel caso che si tratti di personale «temporaneo», cioè temporaneamente in servizio in qualità di Cappellano Militare;

- diffondere i testi degli accordi internazionali inserendone lo studio nei programmi di formazione e di istruzione militare dei Cappellani;

- prevenire e reprimere le infrazioni alle Convenzioni internazionali, con particolare riferimento all’uso indebito dei segni distintivi di protezione internazionale;

- assicurare la libertà di religione e la pratica dei culti agli internati civili, ai prigionieri di guerra e a tutte le persone protette;

- pretendere che i Comandanti si assicurino che il personale alle loro dipendenze, compresi i Cappellani Militari, conosca i doveri che gli derivano dalle Convenzioni internazionali.

Anche gli Stati neutrali hanno precisi diritti e doveri, che tralascio per brevità, specie se si trovano a partecipare, per motivi umanitari, con formazioni sanitarie o di protezione civile, munite di Cappellani, ad alleviare le sofferenze delle vittime della guerra in territorio di guerra.

 

3. Diritti e doveri dei Superiori dei Cappellani Militari

In generale il Superiore, dal Comandante diretto fino al Comandante in Capo, ha il diritto della decisione operativa con il preciso dovere e con la responsabilità diretta che la decisione presa sia rispettosa del Diritto internazionale vigente.

I Comandanti, in nome degli Stati: concludono gli accordi di tregua temporanea a scopi umanitari e quelli per le zone e le località ove porre al riparo le vittime della guerra; proteggono e garantiscono, in nome dello Stato, la protezione degli edifici consacrati ai culti, alle arti, alle scienze, alla beneficenza, ecc., purché siano adeguatamente segnalati; sono i garanti del rispetto del diritto alla vita, dell’onore, dei diritti di famiglia e della proprietà privata, delle convinzioni religiose dei prigionieri e degli abitanti dei territori occupati e del libero esercizio dei culti. Non mi sembra il caso di esaminare piú in particolare quali siano le azioni piú opportune in tal senso con le quali essi Comandanti possano essere aiutati e supportati da un Cappellano Militare preparato e professionista in materia di Diritto Umanitario applicato.

Non vi è dubbio però che al Superiore del Cappellano (sia a quello militare, sia a quello ecclesiastico) competa la completa formazione del Cappellano Militare, sotto l’ottica della conoscenza dei diritti e dei doveri del Cappellano in tempo di guerra, dato che la figura del Cappellano Militare nel Diritto Internazionale, è una figura non solo tipica, ma quasi imposta alle Forze Armate degli Stati, solo ed esclusivamente per esigenze connesse con lo stato di guerra. Le prescrizioni (diritti e doveri) stabilite per il Cappellano Militare dal Diritto Internazionale sono solo ed esclusivamente quelle del tempo di guerra e costituiscono la «professionalità» militare o, se si vuole, la «militarità» del Cappellano, che viene a distinguersi dall’ecclesiastico comune proprio per le precise conoscenze che deve avere in materia di Diritto Internazionale, essendo un Cappellano Militare.

 

4. I diritti del Cappellano Militare

I principali diritti che il Diritto Internazionale garantisce al Cappellano Militare, purché esso assolva ai propri doveri almeno formalmente, sono veramente consistenti.

Il Cappellano deve, infatti, essere rispettato e protetto in ogni circostanza; se catturato non è considerato come prigioniero di guerra; deve essere restituito alla Parte di appartenenza, ma può essere trattenuto nella misura in cui lo esigano i bisogni spirituali dei prigionieri di guerra. E normale che sia armato per la difesa personale propria e dei feriti e malati che gli sono affidati.

Qualora venga catturato dal nemico e trattenuto, ha diritto a fruire, oltre a tutto quanto previsto per i prigionieri di guerra: di facilitazioni speciali per l’esercizio della sua missione spirituale; di autorizzazioni per visitare, fuori dai campi di prigionia o di internamento, non solo i distaccamenti di lavoro in cui siano impiegati prigionieri di guerra nazionali, ma anche gli ospedali, militari o civili, in cui tali prigionieri fossero ricoverati, per motivi di cura, utilizzando mezzi di trasporto forniti dallo Stato detentore.

Il Cappellano gode inoltre di agevolazioni cospicue in materia di corrispondenza; può accedere direttamente e senza intermediari al Comandante del campo in cui risiede e non può essere costretto a nessun lavoro estraneo alla sua missione religiosa.

All’atto del rimpatrio può portare seco oltre agli effetti e agli oggetti personali anche gli arredi sacri di proprietà ed i valori (fino al 1949 anche le armi individuali di proprietà).

Non può essere privato in nessuna circostanza dei distintivi di grado e nazionalità e delle decorazioni, dei propri segni distintivi di immunità internazionale, né dei propri documenti di identità, dei quali può ottenere dei duplicati dalla Potenza detentrice in caso di smarrimento.

Il diritto di portare i segni distintivi è il solo «valido anche in tempo di pace», stabilito dalle Convenzioni Internazionali, che sono elaborate per il tempo di guerra. I Cappellani non possono essere soggetti a rappresaglie di nessun genere. Nei campi di prigionia o di internamento (anche dei civili) dovranno disporre di locali convenienti riservati al culto ed alle funzioni religiose, godere di libertà di corrispondenza (sempre peraltro soggetta a «censura di guerra») per gli atti religiosi relativi al loro ministero, potendo corrispondere solo con le autorità religiose del paese detentore e con le organizzazioni religiose internazionali, ma non con le autorità religiose del paese di appartenenza.

 

5. I doveri del Cappellano militare

Molti sono i doveri del Cappellano Militare in tempo di guerra, tra i quali il piú significativo stabilito dal Diritto Internazionale sembra essere quello di continuare ad esercitare, nell’ambito delle leggi e dei regolamenti della Potenza detentrice, e sotto l’autorità dei suoi competenti servizi, e con coscienza professionale, le sue funzioni spirituali a favore dei feriti o dei malati nazionali e a favore dei prigionieri di guerra, appartenenti, di preferenza, alla Forza Armata dalla quale il Cappellano dipende (Esercito, Marina, Aeronautica, Corpi speciali). Finché trattenuti dal nemico i Cappellani sono sottoposti alla disciplina interna dei campi di prigionia o di internamento e continueranno a svolgere le loro mansioni istituzionali a vantaggio dei feriti, malati, prigionieri nazionali, sottola direzione dei competenti organi direttivi del nemico.

Devono essere muniti, come tutti i combattenti, della targhetta metallica di identità, del bracciale bianco con Croce Rossa, fissato al braccio sinistro e bollato dalla competente Autorità Militare, e dei documenti di identità, previsti dalle Convenzioni e dai Protocolli.

Avendo in generale nei campi di prigionia i diritti degli Ufficiali, hanno anche i doveri di questi ultimi nei rapporti con le autorità del campo e con gli Ufficiali nemici. Devono inoltre conoscere le Convenzioni internazionali di Diritto Umanitario non solo per ciò che li riguarda, ma anche per poter essere di ausilio ai propri Comandanti e a tutti coloro che si rivolgessero a loro per un soccorso umanitario, specie nei territori occupati.

Fino a questo punto ho esaminato la lettera del Diritto Internazionale, cioè solo quei dettati di Diritto Internazionale che si riferiscono esplicitamente ai Cappellani Militari, alla loro azione, al complesso dei diritti e dei doveri che li riguardano. E evidente che (e molto spesso si è verificato) la non precisa osservanza dei doveri in guerra può spesso pregiudicare i diritti, specie per quanto si riferisce a segni di immunità, di riconoscimento, documenti di identità, ecc., di cui il Cappellano Militare deve essere munito.

Avere sacerdoti tra i «legittimi combattenti» e sacerdoti «Cappellani Militari», come è successo nelle Forze Armate italiane durante la prima guerra mondiale significa sicuramente creare della confusione, tale da interdire, ad esempio, qualunque restituzione di personale religioso da parte del nemico, in quanto il detentore avrebbe rischiato di restituire al nemico dei combattenti validi.

 

6. Altri campi d’azione previsti dal Diritto Umanitario Internazionale dei Conflitti Armati

Fermandoci a questo punto si potrebbe dire che il ministro del culto «militare» si distingue da qualunque altro ministro del culto della stessa religione per due caratteristiche peculiari, legate alla sua «militarità»: la prima riguarda le conoscenze in piú che il «militare» deve avere rispetto al ministro del culto comune (non solo di Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, ma anche di Diritto Interno, o nazionale, dello Stato di appartenenza, per quanto riguarda la sua specifica professionalità militare, con ulteriori doveri e vincoli posti dalle leggi nazionali); la seconda riguarda una generica decisamente superiore pericolosità nell’esercizio del proprio ministero, dovendo assicurare l’assistenza spirituale anche e soprattutto sui campi di battaglia. Dirò per inciso che anche le missioni di pace, che oggi sono sempre piú frequenti, comportano, talvolta, un sensibile «grado di pericolosità», basti pensare ad esempio all’elicottero italiano recentemente abbattuto in Jugoslavia.

E un vero peccato che le conoscenze di Diritto Internazionale siano peculiari e professionali solo ed esclusivamente per i Cappellani Militari. Esse dovrebbero appartenere a tutti i ministri del culto e a tutti gli ecclesiastici (uomini e donne), poiché si tratterebbe di conoscenze e di cognizioni estremamente importanti in tempo di guerra, specie per tutelare al meglio e per quanto è possibile le vittime della guerra.

Infatti, a certe ben precise condizioni di imparzialità, di non interferenza nel conflitto, di garanzia che non vengano commessi dai religiosi atti dannosi all’occupante ed alle sue forze armate, tutti i ministri del culto di qualunque religiose riconosciuta, anche se non militari, godono di ben precise garanzie da parte del Diritto Internazionale, assieme non solo ai luoghi di culto, ma anche a tutti gli istituti religiosi.

Allo stesso modo i campi di azione garantiti e protetti dal Diritto Internazionale per personale religioso di buona volontà, che voglia operare concretamente per la salvaguardia delle vittime della guerra, sono veramente tanti! Mi soffermo solo a citare grandi titoli per dare concretezza alla mia esposizione: ospedali civili, istituti per vecchi, per donne e bambini, formazioni di protezione civile, ricerche di dispersi, riunificazione delle famiglie, soccorso ed educazione degli orfani, ricerca di genitori dispersi, istituti per mutilati di guerra, protezione di donne incinte, madri di fanciulli in tenera età detenute a causa della guerra, campi di internamento di civili, vedove, ecc., specie quando l’onere del loro caritatevole sostegno fosse assunto da istituti religiosi, come è tradizionalmente accaduto in moltissime guerre, e cosí via.

Direi che il Cappellano Militare dovrebbe essere non solo un sicuro possessore di tali cognizioni di Diritto Internazionale, ma anche un diffusore tra i ministri del culto «comune», se cosí si possono chiamare, di quelle cognizioni che possano servire loro in tempo di guerra per fare del bene operando nel bene e nella certa cognizione del diritto.

Quando un’armata avanza in territorio nemico lo stato nemico si dissolve, i suoi funzionari scompaiono; con i civili restano quasi sempre solo i religiosi: poter ricercare e garantire un contatto tra i Cappellani delle forze occupanti ed i religiosi del paese occupato, solamente ricercando il rispetto, da parte di entrambi, del Diritto Internazionale, significherebbe risparmiare alle popolazioni dei paesi occupati moltissime sofferenze. In qualunque Corpo tra il Comandante ed il Cappellano esistono rapporti di servizio tali che rendono sempre possibile un dialogo di carattere umanitario, volto almeno alla osservanza di norme e di leggi internazionali che lo Stato ha liberamente sottoscritto e la cui osservanza è un preciso dovere per il Comandante in operazioni.

Religiosi che delirino contro la guerra, quando questa è in atto, o che contestino la funzione o addirittura la missione del Cappellano Militare loro confratello, si pongono, a mio avviso, quanto meno in una posizione decisamente antistorica. Credo che sia meglio operare per la pace; e gli operatori di pace sono coloro che con scienza, sapere, e amore fanno del loro meglio, spesso a loro rischio, per alleviare alle vittime le sofferenze della guerra.

 

7. Conclusioni

Che un Cappellano Militare sia addirittura Consigliere Giuridico del Comandante in materia di applicazione di Diritto Umanitario dei Conflitti Armati forse è un po’ eccessivo. Però queste conoscenze gli possono essere indispensabili per la formazione dei propri confratelli Cappellani.

Per il Cappellano è sufficiente sapere quanto il Diritto Internazionale prevede per la sua specifica professionalità e per la sua «militarità» per un sufficiente svolgimento del proprio servizio.

Ma io credo che piú che il Dio della fede che rappresenta siano la sua coscienza, la sua professionalità, la sua etica di servizio, coerenti con la sua scelta di vita, a pretendere qualcosa di piú da lui.

Se questo Diritto Internazionale si etichetta ed è un Diritto che ha finalità eminentemente umanitarie, a me sembra che il Cappellano Militare debba essere un alfiere, un porta bandiera, un diffusore delle proprie cognizioni professionali nell’ambito dei ministri del culto, anche di quelli che magari contestano la sua funzione e la pratica del suo ministero pastorale.

Io credo nel Diritto Umanitario, credo nella libertà di religione e di culto, credo nei bisogni di assistenza spirituale degli uomini, cioè negli uomini che come me non vogliono uccidere, ma che siano disponibili a morire in difesa dei valori che la loro uniforme e la loro incondizionata lealtà alle istituzioni e disponibilità verso gli altri rappresentano.

Fare la guerra può essere un assurdo dovuto alla pochezza ed alla stoltezza degli uomini; farla limitando al massimo le sofferenze delle vittime della guerra è un dovere per gli uomini, precisamente sancito dal Diritto Internazionale. Ma perché ciò avvenga occorre studio, cultura, sacrificio, preparazione ed in tutto questo il Cappellano Militare non può che essere una struttura trainante.

Di questa presa di coscienza desidero dare atto all’Ordinario Militare per l’Italia, non solo per gli studi avviati, per l’azione già svolta e per quella in programma, per la corretta formazione dei Cappellani Militari, secondo le leggi dello Stato, ma anche per avere voluto realizzare il primo testo nazionale ad hoc per la preparazione in materia dei Cappellani Militari Italiani, attualmente in corso di stampa.

Grazie.

 

 

 

 

 

Cfr. MARCHEGGIANO A., La figura del cappellano militare, in tempo di guerra, secondo le leggi internazionali, in Bonus Miles Christi, 1 (1992), 53-58.

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione al diritto internazionale umanitario

 

Le principali convenzioni internazionali