Il diritto internazionale umanitario (o diritto umanitario) costituisce una parte molto importante del diritto internazionale pubblico e include le regole che, in tempo di conflitto armato, proteggono le persone che non prendono parte alle ostilità e pongono limiti all'impiego di mezzi e metodi di guerra.

Il diritto internazionale umanitario applicabile nei conflitti armati comprende l'insieme dei trattati internazionali o delle regole consuetudinarie che sono specificamente tesi a risolvere le questioni di carattere umanitario direttamente causate dai conflitti armati, di natura sia internazionale che interna.

Queste regole per motivi umanitari limitano il diritto delle Parti in conflitto nella scelta dei mezzi o metodi di combattimento e proteggono le persone e i beni coinvolti, o che rischiano di rimanere coinvolti, in esso.

 

 

IL DIRITTO DI GINEVRA E DELL'AIA

Il diritto internazionale umanitario (in seguito DIU), altrimenti conosciuto come diritto della guerra o diritto dei conflitti armati, consta di due categorie di normative internazionali:

- il diritto di Ginevra, cioè il diritto umanitario in senso proprio, che è stato ideato per salvaguardare il personale militare fuori combattimento e le persone che non sono attivamente coinvolte nelle ostilità, in particolare la popolazione civile;

- il diritto dell'Aia o diritto della guerra, che stabilisce i diritti e gli obblighi dei belligeranti nella condotta delle operazioni militari e limita i mezzi per nuocere al nemico.

Questi due settori del DIU, tuttavia, non sono completamente separati tra di loro perché la conseguenza di alcune regole del diritto dell'Aia è quella di proteggere le vittime dei conflitti; d'altro canto, anche per quanto riguarda il diritto di Ginevra, la conseguenza di alcune sue regole è quella di limitare le azioni che i belligeranti possono compiere durante le ostilità. Con l'adozione dei due Protocolli aggiuntivi del 1977, che riuniscono i due settori del DIU, questa distinzione è diventata puramente storica e ha solo un valore didattico.

 

 

DEFINIZIONE DI CONFLITTO ARMATO

Con il termine conflitto armato internazionale si intende un combattimento tra forze armate di almeno due Stati (bisogna notare, a questo riguardo, che le guerre di liberazione nazionale sono state classificate tra i conflitti armati internazionali). Con il termine conflitto armato non internazionale si intende un combattimento che avviene sul territorio di uno Stato tra forze armate regolari e gruppi armati identificabili o fra gruppi armati che si combattono tra di loro. I disordini interni sono caratterizzati da un grave sconvolgimento dell'ordine interno risultante da atti di violenza che non possono, tuttavia, essere intesi come conflitti armati (ad esempio rivolte, scontri tra opposte fazioni o contro l'autorità istituzionale).

 

 

TERMINOLOGIA

I termini "diritto internazionale umanitario", "diritto dei conflitti armati" e "diritto della guerra" possono essere considerati equivalenti e la scelta dell'uno o dell'altro dipenderà essenzialmente dall'abitudine e dal tipo di pubblico. Le organizzazioni internazionali, le Università e gli stessi Stati tendono a preferire "diritto internazionale umanitario" (o "diritto umanitario"), mentre le altre due espressioni sono usate piú comunemente nell'ambito specifico delle Forze Armate.

 

 

LE REGOLE FONDAMENTALI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

Le persone che non prendono, o non possono piú prendere, parte alle ostilità hanno diritto al rispetto della propria vita e della propria integrità fisica e mentale. Queste persone devono essere protette e trattate con umanità in qualsiasi circostanza, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole. È assolutamente proibito uccidere o ferire un avversario che si arrende o che non può piú prendere parte al combattimento.

I feriti e i malati devono essere raccolti e curati dalla Parte in conflitto che li detiene in proprio potere. Il personale sanitario e gli stabilimenti, i trasporti e le attrezzature sanitarie devono essere rispettati e protetti.

La croce rossa o la mezzaluna rossa su campo bianco o l'emblema comune romboidale (Protocol additional to the Geneva Conventions of 12 August 1949, and relating to the Adoption of an Additional Distinctive Emblem (Protocol III), 8 December 2005) sono il segno protettivo di queste persone, dei loro mezzi e dei loro materiali e devono essere rispettati.

I combattenti che sono stati catturati e i civili che si trovano sotto l'autorità della parte avversaria hanno diritto al rispetto della loro vita, della loro dignità, dei loro diritti personali e delle loro opinioni (politiche, religiose, etc...). Devono essere protetti contro ogni forma di violenza e di rappresaglia. Hanno diritto a scambiarsi notizie con le proprie famiglie e a ricevere aiuti materiali.

Tutti devono godere delle garanzie giuridiche fondamentali e nessuno può essere ritenuto responsabile di un atto che non ha commesso. Nessuno può essere sottoposto a torture fisiche o mentali, a punizioni corporali crudeli o degradanti o ad altri trattamenti simili.

Né le parti in conflitto né i membri delle loro forze armate hanno un diritto illimitato nella scelta dei metodi e dei mezzi di combattimento. È proibito usare armi o metodi di combattimento che possono causare perdite inutili o sofferenze eccessive.

Le parti in conflitto devono distinguere in ogni momento tra civili e combattenti in modo da risparmiare la popolazione ed i beni civili. Né la popolazione civile nel suo insieme, né le singole persone che la compongono possono essere oggetto d'attacco. Gli attacchi devono essere diretti solo contro obiettivi militari.

Queste regole riassumono in estrema sintesi l'essenza del diritto internazionale umanitario al solo scopo di facilitare la comprensione del DIU.

 

 

I PRINCIPI FONDAMENTALI DEL DIRITTO UMANITARIO

Diversi giuristi e filosofi si interessarono alla regolamentazione dei conflitti ben prima dell'adozione e dello sviluppo della Prima Convenzione di Ginevra del 1864. Nel diciottesimo secolo Jean-Jacques Rousseau diede un importante contributo formulando il seguente principio relativo alla guerra tra gli Stati:

"La guerra non è una relazione tra un uomo e un altro uomo, bensí una relazione tra Stati, in cui gli individui sono nemici solo per caso; non come uomini, nemmeno come cittadini, ma solo in quanto soldati (...). Poiché l'oggetto della guerra è quello di distruggere lo Stato nemico, sarà legittimo ucciderne i difensori finché questi imbracciano le armi; ma non appena essi le gettano e si arrendono, cessano in quel momento di essere nemici o agenti del nemico e tornano a essere semplicemente uomini, per cui non si ha piú diritto sulla loro vita".

Nel 1899 Fyodor Martens enunciò il seguente principio per i casi non considerati dalle convenzioni di diritto umanitario: "(...) i civili e i combattenti rimangono sotto la protezione e l'imperio dei principi del diritto delle genti quali risultano dalle consuetudini stabilite, dai principi di umanità e dai precetti della pubblica coscienza".

Questo principio, noto come "Clausola Martens", era già considerato come norma di diritto consuetudinario quando fu incorporato nell'art. 1, paragrafo 2 del Primo Protocollo aggiuntivo del 1977.

Mentre Rousseau e Martens enunciarono i principi di umanità, gli autori della Dichiarazione di San Pietroburgo formularono, sia esplicitamente che implicitamente, i principi di distinzione, di necessità militare e quello che vieta di causare sofferenze inutili:

"Considerando (...) che il solo scopo legittimo che gli Stati devono prefiggersi durante la guerra è di indebolire le forze militari del nemico; che a tal fine è sufficiente mettere fuori combattimento il piú gran numero possibile di nemici; che si va al di là dello scopo anzidetto se si usano armi che aggravano inutilmente le sofferenze degli uomini messi fuori combattimento o ne rendono la morte inevitabile".

I Protocolli aggiuntivi del 1977 hanno riaffermato e sviluppato questi principi, in particolare quello della distinzione:

"(...) Le parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione tra la popolazione civile e i combattenti, nonché tra i beni di carattere civile e gli obiettivi militari e, di conseguenza, dirigere le operazioni solo contro obiettivi militari" (art. 48 del I Protocollo; art. 13 del II Protocollo).

Infine il principio implicito di proporzionalità cerca di raggiungere un equilibrio tra due interessi divergenti, uno dettato da considerazioni di necessità militare e l'altro da esigenze di carattere umanitario allorquando non si tratti di diritti o di divieti assoluti.

 

 

IL DIRITTO UMANITARIO PRIMA DELLA SUA CODIFICAZIONE

Sarebbe un errore affermare che la fondazione della Croce Rossa nel 1863 o l'adozione della Prima Convenzione di Ginevra nel 1864 abbiano segnato l'inizio del processo di edificazione del diritto internazionale umanitario cosí come lo conosciamo oggi. Come non esiste nessuna società che non abbia un proprio sistema di norme e di regole, cosí non ci sono mai state guerre senza regole, piú o meno precise, relative all'inizio, alla condotta e alla fine delle ostilità.

"Nell'insieme, dalla prassi di guerra dei popoli primitivi emergono varie tipologie di regole internazionali attualmente conosciute: regole che distinguono differenti categorie di nemici; regole che definiscono le circostanze, le formalità e il diritto di iniziare e porre fine alla guerra; regole che stabiliscono limiti relativi alle persone, al tempo, al luogo e ai metodi di condotta delle ostilità; e persino regole che mettono la stessa guerra fuori legge" (Quincy Wright).

Le prime leggi di guerra furono proclamate da grandi civiltà già millenni prima della nostra era (per es. il Codice di Hammurabi, re di Babilonia, 1780 a.C.). Molti testi antichi come il Mahabharata, la Bibbia ed il Corano contengono norme che invocano il rispetto per l'avversario. Ad esempio, il Viqayet - un testo scritto verso la fine del 13º secolo nel pieno della dominazione degli Arabi in Spagna - contiene un autentico codice di guerra. La Convenzione del 1864, dunque, codifica e rafforza, sotto forma di trattato multilaterale, antiche leggi e consuetudini di guerra, già esistenti in maniera frammentaria e sparsa, che proteggevano i feriti e coloro che si prendevano cura di loro.

 

 

IL CODICE LIEBER

A partire dalle prime documentazioni storicamente disponibili fino all'avvento del diritto internazionale umanitario contemporaneo sono stati registrati piú di 500 cartelli, codici di condotta, accordi e altri testi elaborati allo scopo di regolare le ostilità. Tra questi si deve includere anche il "Codice Lieber" (Lieber's Instructions) cosí detto perché ne fu autore il giurista Francis Lieber, che fu emanato nell'aprile del 1863 ed è importante perché segnò il primo tentativo di codificare le leggi e le consuetudini di guerra esistenti. Tuttavia, diversamente dalla Prima Convenzione di Ginevra (che fu adottata l'anno successivo), questo Codice non aveva valore di trattato dal momento che era destinato solo ai soldati dell'Unione che combattevano nella Guerra di Secessione Americana.

Per la prima volta nella storia delle guerre moderne furono sistematicamente e volutamente coinvolte le popolazioni civili: la guerra di secessione anticipava cosí il modello di guerra totale del Novecento il cui lo scopo era la resa incondizionata dell'avversario o la sua distruzione. In tale quadro teso tra la definizione dei principi di civiltà nel diritto bellico e i frequenti cedimenti alla sua natura distruttiva, il valore delle Lieber's Instructions appare tanto piú grande quanto piú queste tentano di codificare - e quindi rendere normativi e definitivi - i principi del diritto consuetudinario della guerra condotta dagli eserciti regolari.

Esse vennero promulgate per l'esercito degli Stati Uniti, ma di fatto costituirono il modello al quale si ispirarono in Europa le norme del Manuale di Oxford (1880) e quelle sottoscritte in seguito dagli Stati che parteciperanno ai congressi dell'Aia del 1899 e del 1907, ossia gli atti che posero le basi concrete del diritto bellico internazionale.

 

 

LE ORIGINI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

Quale diritto disciplinava i conflitti armati prima dell'avvento del diritto umanitario contemporaneo? In un primo momento esistevano regole non scritte basate sulle consuetudini seguite nei conflitti armati. Successivamente cominciarono a essere gradualmente elaborati, in modo piú o meno dettagliato, trattati bilaterali (i cartelli), che venivano talvolta ratificati dai belligeranti al termine di una battaglia. Inoltre, esistevano dei regolamenti che gli Stati promulgavano per le proprie truppe. Il diritto applicabile nei conflitti armati era, pertanto, limitato sia nello spazio che nel tempo, nel senso che non valeva che per una battaglia o una guerra specifica. Le regole, inoltre, potevano variare in base al luogo, al periodo, alla morale ed alla civiltà.

Chi furono i precursori del diritto umanitario contemporaneo? Due uomini hanno giocato un ruolo fondamentale nella sua nascita: Henry Dunant e Guillaume-Henri Dufour. Dunant ne formulò l'idea in "Un ricordo di Solferino" pubblicato nel 1862. Forte delle sue esperienze di uomo d'armi, il generale Dufour non esitò a dargli attivamente il suo sostegno morale, in particolare presiedendo la Conferenza Diplomatica del 1864.

Dunant: "In occasioni straordinarie, come ad esempio quelle in cui si riuniscono (...) i principali esponenti dell'arte militare, appartenenti a nazionalità diverse, non sarebbe augurabile che essi approfittassero di questi incontri per formulare qualche principio internazionale, dal carattere inviolabile e sancito da una convenzione che, una volta accettato e ratificato, servisse da fondamento per le Società di soccorso ai feriti nei vari paesi d'Europa"? Dufour (a Dunant): "È necessario vedere attraverso esempi vividi come quelli che avete raccontato quante lacrime e tormenti costa la gloria dei campi di battaglia".

In che modo l'idea è diventata realtà? Il Governo svizzero spinto dai cinque membri fondatori del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) organizzò nel 1864 una Conferenza Diplomatica a cui parteciparono 16 Stati europei che adottarono la "Convenzione di Ginevra per il miglioramento delle condizioni dei feriti delle forze armate in campagna". Quali innovazioni portò questa Convenzione? La Convenzione di Ginevra del 1864 gettò le basi del diritto internazionale umanitario contemporaneo. Le principali caratteristiche di questo trattato furono:

1) norme scritte permanenti aventi un fine universale per la protezione delle vittime dei conflitti;

2) natura multilaterale, aperto a tutti gli Stati;

3) obbligo di estendere le cure a tutti i militari feriti e malati, senza alcuna discriminazione;

4) rispetto del personale medico, del materiale e delle attrezzature sanitarie attraverso l'uso dell'emblema della Croce Rossa su fondo bianco.

 

 

PRINCIPALI TRATTATI COSTITUENTI IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO

Nato con la Prima Convenzione di Ginevra del 1864, il diritto umanitario contemporaneo si è sviluppato insieme all'evoluzione dei conflitti per far fronte, troppo spesso a posteriori, a sempre piú pressanti istanze umanitarie conseguenza dello sviluppo degli armamenti e dei nuovi tipi di conflitto.

I documenti seguenti rappresentano i trattati piú significativi in ordine cronologico di adozione:

 

1864 - Convenzione di Ginevra per il miglioramento delle condizioni dei feriti delle forze armate in campagna;

1868 - Dichiarazione di San Pietroburgo (che proibisce l'uso di certi proiettili durante la guerra);

1899 - Convenzioni dell'Aia sul rispetto delle leggi e delle consuetudini della guerra terrestre e sull' adattamento alla guerra marittima dei principi della Convenzione del 1864;

1906 - Revisione e sviluppo della Convenzione del 1864;

1907 - Revisione delle Convenzioni dell'Aia del 1899 e adozione di nuove Convenzioni;

1925 - Protocollo di Ginevra relativo al divieto di impiego in guerra di gas asfissianti, tossici o similari e di mezzi batteriologici;

 

1929 - Due Convenzioni di Ginevra:

1) Revisione e sviluppo della Convenzione di Ginevra del 1906;

2) Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra (nuova);

 

1949 - Quattro Convenzioni di Ginevra:

I) Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna;

II) Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti, malati e naufraghi delle forze armate sul mare;

III) Convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra;

IV) Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra:

 

1954 - Convenzione dell'Aia per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato;

1972 - Convenzione sul divieto della messa a punto, produzione e stoccaggio di armi batteriologiche (biologiche) o a base di tossine, e sulla loro distruzione;

1977 - Due Protocolli aggiuntivi alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 che rafforzano la protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali (I Protocollo) e non internazionali (II Protocollo);

1980 - Convenzione sul divieto o sulla restrizione dell'impiego di alcune armi convenzionali che possono causare danno eccessivo o avere effetti indiscriminati. Questa convenzione comprende:

- il Protocollo (I) relativo alle schegge non localizzabili;

- il Protocollo (II) sul divieto o sulla limitazione dell'impiego di mine, trappole e altri dispositivi;

- il Protocollo (III) sul divieto o sulla limitazione dell'impiego di armi incendiarie;

 

1993 - Convenzione sul divieto della messa a punto, produzione, stoccaggio e uso di armi chimiche, e sulla loro distruzione;

1995 - Protocollo sull'uso di armi laser accecanti (IV Protocollo [nuovo] alla Convenzione del 1980);

1996 - Revisione del Protocollo sul divieto o sulla restrizione dell'impiego di mine, trappole esplosive e altri dispositivi (II Protocollo [emendato] alla Convenzione del 1980);

1997 - Convenzione di Ottawa sul divieto dell'uso, produzione, stoccaggio e trasferimento delle mine antipersona, e sulla loro distruzione;

1998 - Statuto della Corte Penale Internazionale;

1999 - II Protocollo aggiuntivo alla Convenzione dell'Aia per la protezione rafforzata dei beni culturali in caso di conflitto armato.

 

Questa lista mostra chiaramente come alcuni conflitti armati abbiano esercitato un'influenza piú o meno immediata sull'evoluzione del diritto umanitario.

La Prima Guerra Mondiale (1914-1918), ad esempio, vide l'uso di nuovi metodi di guerra impiegati ad un livello senza precedenti. Un triste esempio di tali metodi furono i gas tossici, i primi bombardamenti aerei e la cattura di centinaia di migliaia di prigionieri di guerra. I trattati del 1925 e 1929 rappresentarono la risposta a questa tragica mutazione.

La Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) vide militari e civili uccisi in numero uguale, contro una proporzione di dieci a uno nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1949 la comunità internazionale rispose a questi tragici dati, e particolarmente agli effetti terribili che la guerra aveva avuto sui civili, rivedendo le Convenzioni allora in vigore e adottando un nuovo strumento, la Quarta Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili. Piú tardi, nel 1977, i Protocolli aggiuntivi furono una risposta agli effetti, in termini di perdite umane, delle guerre di liberazione nazionale, che erano solo parzialmente coperte dalle Convenzioni del 1949.

 

 

LE ORIGINI DELLE CONVENZIONI DEL 1949

Nel 1874 una Conferenza Diplomatica, riunita a Bruxelles su iniziativa dello zar Alessandro II di Russia, adottò un Progetto di dichiarazione internazionale sulle leggi e consuetudini della guerra. Il testo però non fu ratificato perché alcuni governi presenti si mostrarono riluttanti a impegnarsi con un trattato. Nonostante ciò, il Progetto di Bruxelles ha segnato un passo molto importante nella codificazione del diritto della guerra. Nel 1934, la XV Conferenza Internazionale della Croce Rossa riunita a Tokyo approvò il progetto, preparato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, di una Convenzione internazionale sulla condizione e protezione dei civili di nazionalità nemica che si trovano sul territorio che appartiene o che è stato occupato da un belligerante. Anche in questo caso, però, il progetto non ebbe un seguito poiché gli Stati si rifiutarono di convocare una conferenza diplomatica per decidere sulla sua adozione. Come risultato il Progetto di Tokyo non fu applicato durante la seconda Guerra Mondiale con le tristi conseguenze che ne derivarono.

Le Convenzioni di Ginevra del 1949 segnarono un passo molto importante nell'evoluzione del diritto umanitario. Alla fine della decolonizzazione, però, i nuovi Stati trovarono forti difficoltà a sentirsi obbligati da un insieme di norme alla cui stesura non avevano partecipato affatto. Inoltre, le norme dei trattati relativi alla condotta delle ostilità non erano piú state aggiornate successivamente ai Trattati dell'Aia del 1907.

Dal momento, però, che una revisione delle Convenzioni di Ginevra avrebbe potuto mettere a repentaglio tutti i passi avanti fatti nel 1949, fu deciso di rafforzare la protezione delle vittime dei conflitti armati con l'adozione di nuovi testi sotto forma di Protocolli aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra: il I Protocollo per la protezione delle vittime di conflitti armati internazionali e il II Protocollo per la protezione delle vittime di conflitti armati non internazionali. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 ed i loro Protocolli aggiuntivi del 1977 contengono piú di 600 articoli e sono ormai i principali strumenti del diritto internazionale umanitario (DIU).

Solo gli Stati possono aderire ai trattati internazionali e conseguentemente alle Convenzioni di Ginevra ed ai loro Protocolli aggiuntivi. Quasi tutti i Paesi del mondo hanno aderito alle Convenzioni di Ginevra (ad ottobre 2000 gli Stati Parte erano 189). Il fatto che questi trattati siano fra quelli accettati dal maggior numero di Stati testimonia della loro universalità. Per quanto riguarda i Protocolli aggiuntivi, alla stessa data, 150 Paesi erano del Primo Protocollo e 142 del Secondo Protocollo.

 

 

FIRMA, RATIFICA, ADESIONE, RISERVE E SUCCESSIONE

I trattati multilaterali tra Stati, come le Convenzioni di Ginevra ed i loro Protocolli aggiuntivi richiedono due procedure separate: a) la firma seguita dalla ratifica; b) l'adesione.

La firma non vincola lo Stato, ma lo obbliga a comportarsi correttamente in modo da non privare di significato il suo impegno ulteriore quando, con la ratifica, dichiara solennemente di voler rispettare il trattato.

L'adesione è l'atto con cui uno Stato, che non ha firmato il testo del trattato al momento dell'adozione, esprime il suo consenso a esservi vincolato. L'adesione ha lo stesso valore della ratifica. Uno Stato indipendente appena costituito può, per mezzo della dichiarazione di successione, esprimere il desiderio di rimanere vincolato dai trattati applicabili sul suo territorio prima della sua indipendenza. Può anche fare una dichiarazione di applicazione provvisoria di tali trattati per il tempo in cui li esamina prima dell'adesione o della successione. Nel contesto di queste procedure e a certe condizioni, uno Stato può apporre delle riserve al fine di escludere o modificare l'effetto giuridico di alcuni articoli del trattato.

La condizione piú importante è che queste riserve non siano contrarie a elementi essenziali del trattato. Infine, i movimenti di liberazione nazionale citati dall'articolo 1, paragrafo 4 del I Protocollo possono impegnarsi ad applicare le Convenzioni e il Protocollo seguendo la particolare procedura stabilita dall'art. 96, par. 3 del I Protocollo.

 

 

IL DOVERE DI DIFFONDERE LA CONOSCENZA DELLE CONVENZIONI E DEI PROTOCOLLI

Gli Stati hanno l'obbligo giuridico di far conoscere le Convenzioni e i Protocolli:

"Le Alte Parti contraenti si impegnano a diffondere, nel piú largo modo possibile, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, il testo della presente Convenzione nei loro rispettivi Paesi e in particolare a includerne lo studio nei programmi di istruzione militare e, se possibile, civile, di guisa che i principi ne siano conosciuti da tutta la popolazione e particolarmente dalle forze armate combattenti, dal personale sanitario e dai cappellani militari" (articoli 47, 48, 127 e 144 rispettivamente delle CG I, II, III e IV).

"Le Alte Parti contraenti si impegnano a diffondere, il piú largamente possibile, in tempo di pace come in tempo di conflitto armato, le Convenzioni e il presente Protocollo nei rispettivi Paesi e in particolare a includerne lo studio nei programmi di istruzione militare e a incoraggiarne lo studio da parte della popolazione civile, in modo tale che detti strumenti siano conosciuti dalle forze armate e dalla popolazione civile". Le autorità militari o civili che, in periodo di conflitto armato, assumessero responsabilità nell'applicazione delle Convenzioni e del presente Protocollo, dovranno avere una piena conoscenza di tali strumenti" (art. 83, I Protocollo).

"Il presente Protocollo sarà diffuso il piú largamente possibile" (art. 19, II Protocollo).

Secondo lo Statuto del Movimento Internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa è compito del CICR:

"(...) lavorare per la comprensione e la diffusione del diritto internazionale umanitario applicabile nei conflitti armati e prepararne gli eventuali sviluppi" (art. 5, par. 2g).

"(...) (collaborare strettamente con le Società Nazionali)... sulle questioni di comune interesse, quali la preparazione per l'azione in caso di conflitto armato, il rispetto, lo sviluppo e la ratifica delle Convenzioni di Ginevra, la diffusione dei Principi fondamentali e del diritto internazionale umanitario" (art. 5, par. 4a).

 

 

LO IUS AD BELLUM E LO IUS IN BELLO

Fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, il ricorso alla forza armata era considerato non come un atto illecito, ma come un modo accettabile di risolvere le controversie. Nel 1919, il Patto della Società delle Nazioni e, nel 1928, il Trattato di Parigi (Patto Briand-Kellogg) cercarono di limitare, se non di mettere al bando la guerra. L'adozione della Carta delle Nazioni Unite nel 1945 confermò questa tendenza: "I membri dell'Organizzazione si asterranno, nelle loro relazioni internazionali, dal ricorrere alla minaccia o all'uso della forza (...)".

Tuttavia, quando uno Stato (o un gruppo di Stati) è attaccato da un altro Stato (o da un altro gruppo di Stati), la Carta delle Nazioni Unite sostiene il diritto all'autodifesa individuale o collettiva. Il Consiglio di Sicurezza, agendo sulla base del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite può anche decidere l'uso collettivo della forza. Questo può comportare:

- misure coercitive (volte a ristabilire la pace) contro uno Stato che minaccia la sicurezza internazionale;

- misure di mantenimento della pace sotto forma di missioni di osservazione o di missioni di peace-keeping.

Un'altra ipotesi in cui è ammesso il ricorso alla forza si rinviene nell'ambito del diritto dei popoli all'autodeterminazione: nella risoluzione 2105 (XX), adottata nel 1965, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite "riconosce la legittimità della lotta ingaggiata dai popoli sotto la dominazione coloniale per esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza (...)" (cfr. p. 18).

Lo scopo del diritto internazionale umanitario è quello di limitare le sofferenze causate dalla guerra proteggendo ed assistendo il meglio possibile le sue vittime. Il diritto perciò si rivolge alla realtà del conflitto senza considerare le ragioni o la legittimità del ricorso alla forza. Esso regola solamente quegli aspetti del conflitto che sono relativi a questioni di carattere umanitario. È questo il diritto conosciuto come ius in bello (diritto nella guerra).

Le sue norme si applicano alle parti che combattono indipendentemente dalle ragioni del conflitto e a prescindere dal fatto che la causa sostenuta dall'una o dall'altra parte sia giusta. Nel caso di un conflitto armato internazionale, spesso è difficile definire quale Stato sia responsabile della violazione del principio del divieto del ricorso all'uso della forza sancito nella Carta delle Nazioni Unite.

L'applicazione del diritto internazionale umanitario non è condizionata dall'accertamento di siffatta responsabilità; ciò, infatti, porterebbe immancabilmente al sorgere di una controversia e paralizzerebbe l'applicazione del DIU, dal momento che ciascuno degli avversari affermerebbe di essere vittima di un'aggressione. Inoltre, il diritto umanitario, per la sua natura intrinseca, protegge le vittime della guerra e i loro diritti fondamentali, a prescindere dalla parte alla quale esse appartengano. Per questo motivo lo ius in bello deve rimanere indipendente dallo ius ad bellum o ius contra bellum (diritto di usare la forza o diritto contro la guerra).

 

 

APPLICAZIONI CONCRETE DEL DIRITTO UMANITARIO

Il Diritto Internazionale Umanitario è applicabile in due situazioni o, se si preferisce, esso offre due sistemi di protezione:

 

1) nei conflitti armati internazionali

In tali situazioni si applicano le Convenzioni di Ginevra del 1949 e il I Protocollo aggiuntivo del 1977. Il Diritto Umanitario è rivolto principalmente alle parti in conflitto e protegge ogni individuo o categoria di individui che non prendono, o non prendono piú, attivamente parte al conflitto, cioè:

- personale militare ferito o malato nel campo di battaglia, e membri del servizio sanitario delle forze armate;

- personale militare ferito, malato o naufrago nella guerra marittima, e membri del servizio sanitario delle forze navali;

- prigionieri di guerra;

- la popolazione civile, ad esempio, civili stranieri sul territorio delle Parti in conflitto, inclusi i rifugiati; civili nei territori occupati; detenuti e internati civili; personale sanitario, religioso e unità di protezione civile.

Le guerre di liberazione nazionale, come definite nell'articolo 1 del I Protocollo, sono classificate come conflitti armati internazionali.

 

2) nei conflitti armati non internazionali

In caso di conflitto non internazionale, sono applicabili l'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni ed il II Protocollo.

Va notato che le condizioni di applicazione del II Protocollo sono piú severe di quelle previste dall'articolo 3. In tali situazioni, il Diritto Umanitario è rivolto alle forze armate, regolari e non, che prendono parte al conflitto, e protegge ogni individuo, o categoria di individui, che non sia, o non sia piú, attivamente coinvolto nelle ostilità, ad esempio, combattenti feriti e malati; persone private della libertà in relazione al conflitto; la popolazione civile; il personale sanitario e religioso.

L'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra è considerato come una specie di trattato in miniatura. Anche considerando le disposizioni del II Protocollo, le norme sui conflitti interni sono meno dettagliate di quelle riguardanti i conflitti armati internazionali. La difficoltà a rafforzare il sistema di protezione nei conflitti armati non internazionali si spiega con il fatto che esso è avvertito come un limite alla sovranità dello Stato.

Si deve sottolineare che le norme contenute nell'articolo 3 sono considerate come diritto consuetudinario e rappresentano uno standard minimo da cui i belligeranti non dovrebbero mai derogare. Va anche segnalata però una tendenza degli anni piú recenti, fatta propria dalla consuetudine internazionale (e che si manifesta anche in alcuni atti internazionali quali, da ultimo, lo Statuto della Corte penale internazionale), a riavvicinare il livello di protezione delle regole applicabili nei conflitti interni al livello delle regole applicabili nei conflitti internazionali.

Il diritto internazionale umanitario non si applica alle situazioni di violenza che non raggiungono l'intensità di un conflitto armato. In queste ipotesi possono invocarsi le norme sui diritti umani e quelle rilevanti di diritto interno.

 

 

IL DIRITTO UMANITARIO E I "NUOVI" CONFLITTI

Oggi si parla molto di "nuovi conflitti". Questa espressione comprende due tipi di conflitto: quelli conosciuti come conflitti "destrutturati", spesso asimmetrici, e altri qualificati come "di identità" o "etnici". Il fatto di utilizzare queste espressioni tra virgolette, dimostra, comunque, l'incertezza della terminologia attualmente in uso.

I conflitti "destrutturati", conseguenza della fine della Guerra Fredda, sono spesso caratterizzati dall'indebolimento o dalla scomparsa - parziale, e alcune volte totale - delle strutture statali. In tali situazioni, dei gruppi armati approfittano del vuoto politico per prendere il potere. Questo tipo di conflitto, tuttavia, è caratterizzato soprattutto dall'indebolimento o dal collasso della rete di comando nell'ambito degli stessi gruppi armati.

I conflitti "d'identità" o "etnici" spesso mirano all'eliminazione dell'avversario con la pratica conosciuta come "pulizia etnica". Ciò consiste nel trasferimento forzato o persino nello sterminio di intere popolazioni. In questo tipo di conflitto si sviluppa, sotto l'effetto di una spirale di propaganda, paura, violenza e odio, una dinamica volta a rafforzare il senso del gruppo a scapito dell'identità nazionale esistente e a escludere qualsiasi possibilità di coabitazione con altri gruppi. Il diritto internazionale umanitario è, tuttavia, applicabile anche a questi conflitti "destrutturati" e "di identità", nei quali la popolazione civile è particolarmente esposta alla violenza.

L'articolo 3 comune impone a tutti i gruppi armati, ribelli e non, di rispettare coloro che hanno deposto le armi e coloro che, come i civili, non prendono parte alle ostilità. Di conseguenza, non è a causa di un indebolimento o della mancanza di una struttura statale che si viene a creare un vuoto normativo rispetto al diritto internazionale. Al contrario, è proprio in tali situazioni che il diritto umanitario acquista tutto il suo valore. Ciononostante, si deve ammettere che è piú difficile applicare il diritto umanitario in questi tipi di conflitto.

La mancanza di disciplina tra i belligeranti, l'armarsi da parte della popolazione civile come conseguenza del proliferare delle armi sul territorio e la sempre maggiore confusione tra combattenti e non combattenti spesso fanno sí che gli scontri prendano una piega estremamente brutale, nella quale vi è poco spazio per le norme di diritto. Di conseguenza, è particolarmente in questo tipo di situazioni che si devono compiere sforzi per diffondere il diritto umanitario. Certo, una migliore conoscenza delle norme di diritto non può risolvere il problema di fondo che ha portato al conflitto, ma può attenuarne le conseguenze mortali.

 

 

TESTO DELL'ARTICOLO 3 COMUNE

«Nel caso in cui un conflitto armato che non presenti carattere internazionale scoppiasse sul territorio di una delle alte Parti contraenti, ciascuna delle Parti in conflitto sarà tenuta ad applicare almeno le disposizioni seguenti:

1) I soggetti che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione, o qualsiasi altra causa, saranno trattate in ogni circostanza con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole basata sulla razza, il colore, la religione o la credenza, il sesso, la nascita o il censo, o altro criterio analogo. A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate:

a) le violenze contro la vita e l'integrità corporale, specialmente l'assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi;

b) la cattura di ostaggi;

c) gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti;

d) le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che offra le garanzie giudiziarie riconosciute indispensabili dai popoli civili.

2) I feriti e i malati saranno raccolti e curati.

Un ente umanitario imparziale come il Comitato Internazionale della Croce Rossa, potrà offrire i suoi servigi alle Parti in conflitto.

Le Parti in conflitto si sforzeranno, d'altro lato, di mettere in vigore, mediante accordi speciali, tutte o parte delle altre disposizioni della presente Convenzione.

L'applicazione delle disposizioni che precedono non avrà effetto sullo statuto giuridico delle Parti in conflitto».

 

 

EVOLUZIONE DEL DIRITTO UMANITARIO

Promotore del primo trattato del diritto umanitario moderno (la Convenzione di Ginevra del 1864), il CICR provvede a che questo ramo del diritto internazionale pubblico venga adeguato alle nuove esigenze. Il suo ruolo è quindi di:

1) seguire l'evoluzione dei conflitti;

2) organizzare consultazioni allo scopo di verificare la possibilità di raggiungere accordi su nuove norme;

3) preparare progetti da sottoporre a conferenze diplomatiche per la loro adozione.

L'esempio dei due Protocolli aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra dà una idea del processo di elaborazione del diritto umanitario, dall'idea iniziale alla loro adozione nel 1977:

1) sulla base di un primo progetto di norme elaborato nel 1956, poi di risoluzioni adottate negli anni '60 nel corso di due Conferenze Internazionali della Croce Rossa e della Conferenza sui diritti umani tenutasi a Teheran nel 1968, il CICR ha preso in considerazione la possibilità di aggiornare le Convenzioni adottate nel 1949;

2) nel 1969 il CICR ha sottoposto l'idea alla XXI Conferenza Internazionale della Croce Rossa a Istanbul. I partecipanti alla Conferenza, inclusi gli Stati Parte delle Convenzioni di Ginevra, hanno affidato al CICR il mandato di elaborare il suo progetto e i giuristi del CICR hanno avviato i lavori preparatori;

3) tra il 1971 e il 1974, il CICR ha organizzato diverse consultazioni con i governi e il Movimento; le Nazioni Unite sono state tenute regolarmente al corrente dello stato di avanzamento dei lavori;

4) nel 1973, la XXII Conferenza Internazionale della Croce Rossa, a Teheran, ha esaminato i testi del progetto preparato e ha sostenuto pienamente il lavoro fatto;

5) nel febbraio 1974, il governo svizzero, depositario delle Convenzioni di Ginevra del 1949, ha convocato a Ginevra la Conferenza Diplomatica sulla riaffermazione e lo sviluppo del Diritto Umanitario Internazionale applicabile ai conflitti armati, che si è svolta in quattro sessioni ed è terminata nel giugno 1977;

6) al temine della Conferenza, i 102 articoli del I Protocollo e i 28 articoli del II Protocollo sono stati adottati dai plenipotenziari dei 102 Stati rappresentati.

 

 

SVILUPPI RECENTI

Secondo lo Statuto del Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, il CICR ha tra i suoi compiti quello di "preparare i possibili sviluppi" del diritto internazionale umanitario ed ha, pertanto, un ruolo di promotore del DIU.

Il Protocollo relativo alle armi laser accecanti, adottato alla Conferenza diplomatica di Vienna nell'ottobre 1995, proibisce l'uso e il trasferimento di armi laser che abbiano tra le specifiche funzioni di combattimento quella di causare la cecità permanente. Il Protocollo inoltre esige che gli Stati prendano tutte le precauzioni necessarie, incluso l'addestramento delle forze armate, per evitare di causare cecità permanente con l'uso legittimo di altri sistemi laser.

Nel caso delle mine, il campo di applicazione del II Protocollo alla Convenzione del 1980 è stato esteso dall'adozione, a Ginevra il 3 maggio 1996, di una versione emendata del Protocollo sul divieto o sulla limitazione dell'impiego di mine, trappole e altri dispositivi. Inoltre, la Convenzione sul divieto di uso, stoccaggio, produzione e trasferimento di mine antipersona e sulla loro distruzione, firmata da 121 paesi ad Ottawa il 3-4 dicembre 1997, proibisce totalmente le mine antipersona. Questa Convenzione inoltre prevede la rimozione delle mine e l'assistenza alle vittime.

Tra i trattati di DIU contenenti norme applicabili alla protezione dell'ambiente vanno ricordati l'Articolo 55 del I Protocollo aggiuntivo e la Convenzione sul divieto di utilizzare tecniche di modifica dell'ambiente naturale per scopi militari o per qualsiasi altro scopo ostile, del 10 dicembre 1976. La Guerra del Golfo del 1991 ha, tuttavia, dimostrato come tali norme fossero poco conosciute e a volte imprecise. Pertanto, nel 1994, incoraggiato dall'Assemblea generale dell'ONU e con l'ausilio di esperti in materia, il CICR ha redatto le Linee Guida per manuali d'istruzione militare sulla protezione dell'ambiente in caso di conflitto armato.

Un altro recente sviluppo è il Manuale di San Remo di diritto internazionale applicabile ai conflitti armati sul mare. L'importanza dell'iniziativa portata avanti dall'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario con il supporto del CICR, è stata riconosciuta dai governi nella risoluzione adottata alla XXVI Conferenza Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, tenutasi a Ginevra nel 1995.

Sebbene le Convenzioni di Ginevra e i Protocolli aggiuntivi non proibiscano espressamente l'uso di armi nucleari, i principi generali del DIU vanno comunque applicati in tali casi. Essi esigono in particolare che i belligeranti distinguano in ogni momento tra combattenti e non combattenti e proibiscono l'uso di armi che possono causare sofferenze inutili. L'applicazione di questi principi alle armi nucleari è stata ribadita dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia nel 1996.

 

 

IL DIRITTO UMANITARIO E L'ASSISTENZA MATERIALE ALLE VITTIME DEI CONFLITTI ARMATI

Gli Stati Parte delle Convenzioni di Ginevra riconoscono il diritto delle vittime dei conflitti armati di ricevere beni indispensabili alla loro sopravvivenza. Questo diritto fu ulteriormente elaborato con l'adozione dei Protocolli aggiuntivi del 1977. In un conflitto armato a carattere internazionale, il diritto all'assistenza include in particolare:

- il libero transito di alcuni beni necessari alla sopravvivenza della popolazione civile (art. 23 IV Convenzione, redatto per l'ipotesi di blocco);

- l'obbligo per la Potenza occupante di assicurare gli approvvigionamenti essenziali alla popolazione dei territori da essa occupati (art. 55 IV Convenzione); se tali approvvigionamenti sono inadeguati, la Potenza Occupante ha l'obbligo di accettare i soccorsi provenienti dall'esterno (art. 59 IV Convenzione). Il I Protocollo (artt. 69 e 70) rafforza il corpo di norme adottate nel 1949.

Per esempio, uno Stato in guerra deve accettare azioni di soccorso aventi carattere umanitario, imparziali e attuate senza discriminazione a favore della popolazione che si trovano sul suo territorio, previo consenso delle parti interessate. Se queste condizioni sono raggiunte, è comunque illecito rifiutare tali azioni di soccorso, che non devono essere considerate né come un'interferenza nel conflitto armato né come atti ostili.

In un conflitto armato non internazionale, il II Protocollo (art. 18) specifica, tra l'altro, che se la popolazione civile soffre di privazioni eccessive dovute alla mancanza di rifornimenti essenziali alla propria sopravvivenza, saranno intraprese, con il consenso dell'Alta Parte contraente interessata, azioni di soccorso di natura esclusivamente umanitaria e imparziale e condotte senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole. È ormai generalmente riconosciuto che gli Stati devono autorizzare azioni di soccorso di natura esclusivamente umanitaria.

 

 

IL CICR E IL DIRITTO DI ASSISTENZA

Il CICR ha in ogni caso un diritto di iniziativa (cfr. p. 2) che gli permette di offrire i suoi servigi alle parti in conflitto, in particolare in materia di assistenza alle vittime del conflitto. La sua offerta di assistenza, che si tratti di soccorsi o altre attività, non costituisce, dunque, un'interferenza negli affari interni di uno Stato dal momento che essa è prevista dal diritto umanitario.

 

 

DIRITTO UMANITARIO E "DIRITTO DI INGERENZA"

Nella misura in cui un "diritto - o persino un dovere - di ingerenza" è tale da giustificare un intervento armato, intrapreso per ragioni umanitarie, siffatta problematica riguarda non già il diritto umanitario bensí le norme relative alla legittimità dell'uso della forza armata nelle relazioni internazionali, cioè lo ius ad bellum.

Se vi è un intervento armato fondato su ragioni umanitarie, il CICR deve, in conformità con il proprio mandato, assicurare che coloro che sono impegnati in questo intervento osservino le relative norme di diritto internazionale umanitario e si sforzerà di venire in aiuto alle vittime del conflitto. Il CICR non può prendere posizione né a favore né contro questo "diritto di ingerenza", essendo tale questione di natura politica.

 

 

IL DIRITTO UMANITARIO E IL RISTABILIMENTO DEI LEGAMI FAMILIARI

In conseguenza di un conflitto armato, i prigionieri di guerra e gli internati civili vengono separati dai loro cari, le famiglie spesso vengono divise e di molti non di rado non si hanno piú notizie. Per la protezione di tali vittime, le Convenzioni di Ginevra e il I Protocollo contengono diverse disposizioni applicabili in caso di conflitto armato internazionale. Queste norme autorizzano il CICR a svolgere i seguenti compiti:

1) Scambio di notizie tra familiari e invio di altre informazioni. Ciò include:

- la raccolta e la registrazione delle carte di detenzione dei prigionieri di guerra e delle carte di internamento dei civili; il duplicato di queste carte viene spedito alle famiglie dei prigionieri;

- la spedizione della posta tra le persone private della libertà e le loro famiglie;

- l'invio di notizie di carattere familiare (Messaggi Croce Rossa) tra membri separati di una famiglia, quando i servizi postali normali non funzionano;

- il ricevimento e la trasmissione di avvisi di decesso.

L'Agenzia Centrale di Ricerche del CICR (ACR) agisce come intermediario tra le parti in conflitto ovvero, piú precisamente, tra gli uffici informazioni nazionali, per la trasmissione di informazioni relative a persone protette dal diritto umanitario.

2) Indagini relative a persone scomparse (art. 33 del II Protocollo).

3) Ricongiungimento di famiglie disperse (cfr. art. 74 del I Protocollo).

Il CICR svolse per la prima volta tale compito durante la guerra franco-prussiana del 1870. Agendo in qualità di intermediario, la sua agenzia di ricerca a Basilea cercò di ristabilire i contatti tra i prigionieri di guerra e le loro famiglie, in particolare mediante lo scambio tra i belligeranti delle liste di feriti. Da allora, l'Agenzia Centrale di Ricerche del CICR ha notevolmente sviluppato le sue attività ed ampliato i settori d'intervento.

 

 

UFFICI NAZIONALI DI INFORMAZIONI

La terza Convenzione di Ginevra (art. 122) stabilisce che, subito dopo lo scoppio delle ostilità, ogni potenza belligerante, e anche le potenze neutrali che abbiano accolto dei belligeranti sul proprio territorio, devono istituire un ufficio di informazioni ufficiale per i prigionieri di guerra che si trovino sul loro territorio.

Ogni potenza belligerante deve comunicare al proprio Ufficio informazioni i dati relativi ai prigionieri catturati dalle sue forze armate e fornire tutte le informazioni disponibili sull'identità di questi prigionieri in modo tale che i familiari possano essere avvisati il piú presto possibile. Se tale ufficio non esiste, come spesso accade nei conflitti, il CICR assume il compito di raccogliere le informazioni sulle persone protette dalle Convenzioni di Ginevra.

 

 

AGENZIA CENTRALE DI RICERCHE

"Sarà istituita, in un paese neutrale, un'Agenzia Centrale di informazioni sui prigionieri di guerra. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa proporrà alle potenze interessate, quando lo giudichi necessario, l'organizzazione di tale Agenzia. Quest'Agenzia sarà incaricata di concentrare tutte le informazioni interessanti i prigionieri di guerra che essa potrà avere in via ufficiale o privata e le trasmetterà il piú rapidamente possibile al paese di origine dei prigionieri o alla potenza dalla quale dipendono (...)". (art. 123 della III Convenzione).

 

 

FAMIGLIE DISPERSE

"Ciascuna Parte in conflitto faciliterà le ricerche intraprese dai membri delle famiglie disperse dalla guerra per riprendere contatto gli uni con gli altri, e se possibile, ricongiungersi (...)" (art. 26 della IV Convenzione).

 

 

NORME DI DIRITTO UMANITARIO CHE DISCIPLINANO L'USO DELL'EMBLEMA

Le Convenzioni di Ginevra del 1949 menzionano tre emblemi: la croce rossa, la mezzaluna rossa e il leone e il sole rossi, sebbene solo i primi due siano ora usati dal Movimento come emblemi delle Società Nazionali. Nel 2005 è stato introdotto anche l'emblema comune: un rombo rosso con il nucleo centrale romboidale bianco (cfr. Protocol additional to the Geneva Conventions of 12 August 1949, and relating to the Adoption of an Additional Distinctive Emblem (Protocol III), 8 December 2005).

Le Convenzioni del 1949 e i loro Protocolli aggiuntivi del 1977 contengono diversi articoli sull'emblema. Tra l'altro, essi specificano l'uso, la dimensione, lo scopo e la collocazione dell'emblema, le persone e i beni che esso protegge, chi può usarlo e a quali condizioni e le sanzioni per l'abuso. In caso di conflitto armato, possono usare l'emblema come simbolo di protezione solo:

- i servizi sanitari delle forze armate;

- le Società Nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa debitamente riconosciute e autorizzate dai loro governi a prestare assistenza ai servizi sanitari delle forze armate. Le Società Nazionali possono usare l'emblema a scopo protettivo solo se destinato alle persone e all'equipaggiamento che supportano il servizio sanitario ufficiale in tempo di guerra, purché questo personale ed equipaggiamento svolgano le stesse funzioni - e solo quelle funzioni - e siano soggetti alle leggi e ai regolamenti militari;

- gli ospedali civili e altre unità sanitarie riconosciuti come tali dal governo e autorizzati ad esibire l'emblema per scopi protettivi (posti di pronto soccorso, ambulanze, etc...);

- altre società volontarie di soccorso alle stesse condizioni delle Società Nazionali: esse devono avere il riconoscimento e l'autorizzazione governativi, possono usare l'emblema solo per il personale e le attrezzature destinate esclusivamente ai servizi sanitari e devono essere soggette alle leggi e ai regolamenti militari.

Il Diritto internazionale umanitario inoltre specifica che ogni Stato Parte delle Convenzioni di Ginevra ha l'obbligo di prendere provvedimenti per prevenire e punire l'abuso dell'emblema, sia in tempo di guerra che di pace, e di emanare una legge per la protezione dell'emblema stesso.

 

 

USO DELL'EMBLEMA

L'uso dell'emblema a scopo protettivo è la manifestazione visibile della protezione accordata dalle Convenzioni di Ginevra al personale, alle unità sanitarie e ai mezzi di trasporto. L'uso dell'emblema a scopo distintivo, sia in tempo di guerra che in tempo di pace, dimostra che una persona o un bene ha un legame con il Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa.

Il CICR ha diritto in qualsiasi momento di usare l'emblema a scopo sia distintivo che protettivo. Ogni uso non espressamente autorizzato dal diritto internazionale umanitario costituisce un abuso dell'emblema. Si distinguono tre tipi di abuso:

1) contraffazione (imitazione): l'uso di un simbolo che, per la sua forma e/o colore, può causare confusione con l'emblema;

2) usurpazione (uso improprio): l'uso dell'emblema da parte di enti o persone che non ne hanno il diritto (imprese commerciali, farmacisti, medici privati, organizzazioni non governative e singoli individui, etc...); rientra nell'ipotesi di usurpazione anche il caso di persone normalmente autorizzate a usare l'emblema, che lo usino senza attenersi alle norme delle Convenzioni e dei Protocolli;

3) perfidia: l'uso dell'emblema in caso di conflitto per proteggere combattenti o attrezzature militari; l'uso perfido dell'emblema può costituire una "grave violazione" del diritto internazionale umanitario, o, in altre parole, un crimine di guerra. L'abuso dell'emblema a scopo protettivo in tempo di guerra mette a repentaglio il sistema stesso di protezione costruito dal diritto internazionale umanitario.

L'abuso dell'emblema a scopo distintivo indebolisce la sua immagine agli occhi del pubblico e di conseguenza riduce il suo potere protettivo in tempo di guerra. Gli Stati Parte delle Convenzioni di Ginevra si sono assunti l'impegno di adottare norme penali per prevenire e reprimere abusi dell'emblema sia in tempo di guerra sia in tempo di pace.

 

 

PROTEZIONE ACCORDATA DAL DIRITTO UMANITARIO AI RIFUGIATI E

AGLI SFOLLATI ALL'INTERNO DEI PROPRI PAESI

Se i rifugiati sono coloro che fuggono dal proprio Paese, gli sfollati sono coloro i quali, al contrario, non passano le frontiere nazionali. I rifugiati beneficiano, in primo luogo, della protezione loro conferita dal diritto dei rifugiati e dal mandato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR o HCNUR). Essi sono altresí protetti dal diritto internazionale umanitario, allorché sono vittime di un conflitto armato, quando si trovano in potere della parte avversaria o travolti dalle ostilità nel paese di accoglienza.

La IV Convenzione di Ginevra ed il I Protocollo aggiuntivo accordano una speciale protezione ai rifugiati, in modo particolare a coloro i quali si trovino in territori occupati. La IV Convenzione afferma anche il principio di non respingimento (non refoulement) che è alla base del diritto dei rifugiati.

Nei conflitti armati, gli sfollati all'interno del proprio paese sono protetti dalle norme del diritto internazionale umanitario, le quali offrono una vasta protezione alla popolazione civile. Queste norme mirano specialmente a proteggere i civili dagli effetti delle ostilità; ad esempio è vietato attaccarli, terrorizzarli, utilizzare contro di essi la fame come metodo di combattimento oltre che distruggere i beni indispensabili alla loro sopravvivenza. Nei conflitti interni gli sfollati sono protetti dall'articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e dal II Protocollo aggiuntivo.

Il diritto internazionale umanitario vieta il trasferimento forzato della popolazione che non potrà aver luogo se non nei casi in cui sia indispensabile provvedervi per proteggere la stessa popolazione, o ancora per imperiose esigenze militari. Inoltre, la protezione generale che il diritto umanitario garantisce alla popolazione civile dovrebbe avere l'effetto di limitare i trasferimenti di popolazione. Purtroppo, queste norme sono state troppo spesso violate nel corso dei recenti conflitti. Pertanto, è necessario assicurare innanzitutto un maggiore rispetto di queste disposizioni in vigore, piuttosto che elaborarne di nuove.

Il diritto dei rifugiati è sostanzialmente basato sui seguenti testi:

- la Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo statuto di rifugiato del 1951;

- il Protocollo relativo allo statuto di rifugiato del 1967;

- la Convenzione dell'Organizzazione per l'Unità Africana (OUA) relativa ai problemi dei rifugiati in Africa, del 1969;

- la Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati del 1984;

- alcune risoluzioni adottate in particolare dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

 

 

LA DEFINIZIONE DI RIFUGIATO

Secondo il primo articolo della Convenzione del 1951, il termine rifugiato si applica a chiunque "(...) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova al di fuori del paese di cui è cittadino e non può o non vuole, per i motivi suddetti, avvalersi della protezione di questo paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui aveva la residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra".

La Convenzione dell'OUA e la Dichiarazione di Cartagena hanno esteso questa definizione per includervi le persone che fuggono a causa di avvenimenti che sconvolgono gravemente l'ordine pubblico, come i conflitti armati o i disordini interni.

 

 

I MEZZI DI ATTUAZIONE DEL DIRITTO UMANITARIO

Nelle situazioni di conflitto armato, questi mezzi sono di tre tipi:

1) preventivi, che mirano a concretizzare l'obbligo che gli Stati hanno di rispettare il diritto. Per l'esattezza i meccanismi preventivi sono:

- la diffusione del diritto umanitario;

- la formazione di personale qualificato al fine di facilitare l'applicazione del diritto umanitario e la designazione di consiglieri giuridici nelle forze armate;

- l'adozione di provvedimenti legislativi e regolamentari che permettano di assicurare il rispetto del diritto umanitario;

- la traduzione dei testi delle convenzioni;

2) di controllo, previsti per tutta la durata del conflitto, che permettono di controllare costantemente il rispetto delle disposizioni del diritto umanitario attraverso:

- l'intervento delle Potenze protettrici o dei loro sostituti;

- l'azione del CICR;

3) sanzionatori, che trovano espressione nell'obbligo imposto alle parti in conflitto di prevenire e far cessare tutte le violazioni. Avendo riguardo ai meccanismi di repressione occorre porre in rilievo specialmente:

- l'obbligo di repressione, da parte dei tribunali nazionali, delle infrazioni gravi considerate crimini di guerra;

- la responsabilità penale e disciplinare dei superiori e i doveri che hanno i comandanti militari di reprimere e di denunciare le infrazioni;

- la cooperazione giudiziaria tra gli Stati in materia penale.

A prescindere dal fatto che i mezzi di repressione sono propri di qualsiasi ordinamento giuridico coerente, essi giocano comunque un ruolo di dissuasione. Esistono altre misure di attuazione che possono rappresentare al tempo stesso mezzi preventivi, di controllo o di repressione; gli ultimi due si collegano principalmente all'obbligo degli Stati di far rispettare il diritto umanitario. Tali mezzi sono:

- la procedura d'inchiesta;

- la Commissione internazionale di accertamento dei fatti;

- le procedure d'esame relative all'applicazione e all'interpretazione delle disposizioni del diritto;

- la cooperazione con le Nazioni Unite.

Gli sforzi della diplomazia e la pressione dei media e dell'opinione pubblica contribuiscono egualmente all'attuazione del diritto umanitario.

 

 

ALCUNE NORME GIURIDICHE DI ATTUAZIONE

"Fin dal tempo di pace, le Alte Parti contraenti procureranno (...) di formare personale qualificato per facilitare l'applicazione delle Convenzioni e del presente Protocollo (...)" (art. 6, I Protocollo).

"Le Alte Parti contraenti s'impegnano a rispettare e far rispettare la presente Convenzione in ogni circostanza" (art. 1 comune, Convenzioni di Ginevra).

"Le Alte Parti contraenti, la cui legislazione non fosse già sufficiente, prenderanno le misure necessarie per impedire e reprimere in qualunque tempo ogni impiego abusivo dei segni distintivi previsti dall'art. 43" (art. 45, II Convenzione di Ginevra).

"Le Alte Parti contraenti in ogni tempo, e le Parti in conflitto in periodo di conflitto armato, cureranno che dei consiglieri giuridici siano disponibili, quando occorra, per consigliare i comandanti militari di livello appropriato circa l'applicazione delle Convenzioni e del presente Protocollo, e circa l'insegnamento appropriato da impartire in materia alle forze armate" (art. 82, I Protocollo).

"Le Alte Parti contraenti si comunicheranno, per il tramite del Consiglio federale svizzero e, durante le ostilità, per il tramite delle Potenze protettrici, le traduzioni ufficiali della presente Convenzione, nonché le leggi e i regolamenti che potranno essere adottati per assicurarne l'applicazione" (art. 48/I, 49/II, 128/III e 145/IV delle Convenzioni di Ginevra).

"Le Alte Parti contraenti s'impegnano a prendere ogni misura legislativa necessaria per stabilire sanzioni penali adeguate da applicarsi alle persone che abbiano commesso, o dato ordine di commettere, una delle infrazioni gravi alla presente Convenzione (...)".

"Ogni Parte contraente avrà l'obbligo di ricercare le persone imputate di aver commesso, o dato l'ordine di commettere, una di dette infrazioni gravi e dovrà, qualunque sia la loro nazionalità, deferirle ai propri tribunali" (art. 49/I, 50/II, 129/III e 149/IV comuni alle CG).

"La presente Convenzione sarà applicata con il concorso e sotto il controllo delle Potenze protettrici incaricate di tutelare gli interessi delle Parti in conflitto. A tale scopo le Potenze protettrici potranno designare, oltre al loro personale diplomatico o consolare, dei delegati scelti fra i propri cittadini o fra quelli di altre Potenze neutrali (...)" (art. 8/I, II, III e 9/IV).

"Gli stati contraenti potranno, in ogni tempo, accordarsi per affidare a un ente che offra tutte le garanzie di imparzialità e di efficacia i compiti che la presente Convenzione assegna alle Potenze protettrici. (...) Se la protezione non può in tal modo essere assicurata, la Potenza detentrice dovrà chiedere a un ente umanitario, come il Comitato Internazionale della Croce Rossa, di assumere i compiti umanitari che la presente Convenzione assegna alle Potenze protettrici (...)" (art. 10/I, II, III e 11/IV).

"Il depositario del presente Protocollo convocherà, su richiesta di una o piú delle Alte Parti contraenti e con l'approvazione della maggioranza di esse, una riunione delle Alte Parti contraenti per esaminare i problemi generali relativi all'applicazione delle Convenzioni e del Protocollo" (art. 7 del I Protocollo).

"Le disposizioni della presente Convenzione non sono d'ostacolo alle attività umanitarie che il Comitato Internazionale della Croce Rossa, o qualsiasi altro ente umanitario imparziale, svolgerà per la protezione dei feriti, dei malati, nonché dei membri del personale sanitario e religioso e, per prestare loro soccorso, con il consenso delle Parti in conflitto interessate" (art. 9/I, II, III e 10/IV).

"Nei casi di violazioni gravi delle Convenzioni o del presente Protocollo, le Alte Parti contraenti si impegnano ad agire, sia congiuntamente che separatamente, in cooperazione con l'Organizzazione delle Nazioni Unite e conformemente alla Carta delle Nazioni Unite" (art. 89 del I Protocollo).

"Le Alte Parti contraenti si presteranno la maggiore assistenza giudiziaria possibile in qualsiasi procedura relativa alle infrazioni gravi alle Convenzioni o al presente Protocollo. (...) quando le circostanze lo permettono, le Alte Parti contraenti coopereranno in materia di estradizione (...)" (art. 88 del I Protocollo).

"Sarà costituita una Commissione internazionale di accertamento dei fatti (...) composta di quindici membri di elevata moralità e di riconosciuta imparzialità (...). La Commissione sarà competente per: i) indagare su qualsiasi fatto che si pretende costituire infrazione grave ai sensi delle Convenzioni e del presente Protocollo o su qualsiasi altra violazione grave delle Convenzioni o del presente Protocollo" (art. 90 del I Protocollo).

 

 

IL CICR E LA PROMOZIONE DEL DIRITTO UMANITARIO

Promotore e custode del diritto internazionale umanitario, il CICR ha il mandato di favorirne il rispetto adempiendo il mandato in vari modi.

Con la sua azione, piú esattamente, mediante le sue attività di protezione e assistenza a favore delle vittime dei conflitti: visite delle persone private della libertà, tra cui i prigionieri di guerra; ristabilimento dei legami familiari; attività di soccorso e sanitarie; promozione del diritto internazionale umanitario.

Con la prevenzione, poiché l'ignoranza del diritto è nemica della sua applicazione, il CICR ricorda agli Stati l'impegno assunto di diffonderne il contenuto e si incarica anche in prima persona di diffonderlo. Ricorda, inoltre, agli Stati che devono adottare tutte le misure necessarie per assicurare la sua applicazione effettiva e pertanto il suo rispetto. Il CICR fa tutto questo mediante i suoi Servizi consultivi il cui scopo è di fornire un'assistenza tecnica alle autorità in vista dell'adozione delle leggi e dei regolamenti nazionali d'applicazione di questo diritto nell'ordinamento statale interno.

Con azioni specifiche nelle ipotesi di violazioni del diritto umanitario, ossia con:

a) Azioni intraprese di sua propria iniziativa. Di fronte a violazioni del diritto umanitario, il CICR interviene generalmente in via confidenziale presso le autorità responsabili. Se queste violazioni sono importanti, ripetute e verificate con certezza, si riserva la possibilità di prendere pubblicamente posizione. Lo farà nella misura in cui giudichi che una tale pubblicità sia nell'interesse delle persone colpite o minacciate. Si tratta pertanto di una misura eccezionale.

b) Azione di incoraggiamento degli Stati. Il CICR incoraggia gli Stati ad adottare una legislazione nazionale che permetta loro di perseguire gli autori di gravi violazioni.

c) Trasmissione delle proteste. In quanto intermediario neutro, il CICR può essere incaricato da una delle parti in conflitto di comunicare alla parte avversa una denuncia relativa a presunte violazioni del diritto umanitario; può prestare i suoi buoni uffici per assicurare la trasmissione della risposta della parte chiamata in causa.

d) Richieste di constatazioni di violazioni. Il CICR non è né un giudice, né un procuratore, né un tribunale. Perciò dà seguito a richieste di constatazioni di violazioni solo se la presenza dei suoi delegati sul luogo facilita lo svolgimento dei compiti umanitari e se ha ricevuto la garanzia che una tale presenza non sarà sfruttata da un punto di vista politico. Si deve sottolineare che negli ultimi decenni le azioni indicate sotto c) e d) sono state rare.

Il diritto umanitario permette al CICR di controllare l'applicazione delle regole umanitarie.

"I rappresentanti o i delegati delle Potenze protettrici saranno autorizzati a recarsi in tutti i luoghi ove si trovano prigionieri di guerra, specialmente nei luoghi di internamento, di detenzione e di lavoro (...)". Ugualmente "I delegati del Comitato Internazionale della Croce Rossa beneficeranno delle stesse prerogative (...)" (art. 126, III Convenzione di Ginevra).

 

N. B.: relativamente alle persone civili protette, analoghe disposizioni figurano nell'articolo 143 della IV Convenzione di Ginevra del 1949.

Lo Statuto del Movimento precisa che è compito del CICR, tra l'altro:

"(...) di assumere i compiti che gli sono riconosciuti dalle Convenzioni di Ginevra, lavorare per la fedele applicazione del diritto internazionale umanitario applicabile nei conflitti armati e ricevere tutte le denunce relative alle presunte violazioni di queste norme" (art. 5, par. 2c).

 

 

IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO E I CRIMINI DI GUERRA

Nel divenire Parti delle Convenzioni di Ginevra, gli Stati si sono impegnati a prendere le misure legislative necessarie per punire le persone colpevoli di gravi infrazioni a queste Convenzioni.

Gli Stati sono anche tenuti a perseguire le persone sospettate di aver commesso infrazioni gravi, o a estradarle per il giudizio verso altri Stati. In altri termini, gli autori di gravi infrazioni - i criminali di guerra - dovranno essere perseguiti in ogni tempo e in ogni luogo e tale responsabilità incombe agli Stati. Generalmente, la giurisdizione penale di uno Stato si applica per i crimini commessi sul suo territorio o dai propri cittadini.

Il diritto internazionale umanitario va oltre, in quanto esige dagli Stati che essi ricerchino e puniscano tutte le persone che abbiano commesso gravi infrazioni, indipendentemente dalla loro nazionalità o dal luogo in cui è stato commesso il fatto. Questo principio detto della giurisdizione universale è essenziale per garantire una repressione efficace delle infrazioni gravi. La repressione può essere assicurata sia tramite i tribunali nazionali dei diversi Stati, sia attraverso una istanza internazionale.

I due Tribunali internazionali ad hoc per la ex Iugoslavia e per il Ruanda sono stati creati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, rispettivamente nel 1993 e 1994, con lo scopo di giudicare i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità ed il genocidio, commessi nel corso dei conflitti svoltisi in quei Paesi.

Per crimine di guerra si intende, in via generale, qualsiasi violazione grave del diritto internazionale umanitario o, per utilizzare la terminologia tradizionale, una grave infrazione alle leggi o agli usi della guerra, quale che sia la natura del conflitto. Una lista universalmente accettata, sebbene non completa, di crimini di guerra è contenuta nell'art. 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale. Sono considerati crimini di guerra gli atti commessi ai danni di tutte le persone che non partecipano o che non partecipano piú alle ostilità (combattenti feriti, malati, prigionieri di guerra, civili, etc...). Per esempio:

- l'omicidio intenzionale;

- la tortura ed i trattamenti inumani;

- il causare intenzionalmente gravi sofferenze;

- l'apportare gravi danni all'integrità fisica e alla salute;

- il sottoporre la popolazione civile a un attacco;

- la deportazione e il trasferimento forzoso della popolazione;

- l'utilizzazione di armi e di metodi di combattimento vietati (armi chimiche, batteriologiche o incendiarie);

- l'utilizzazione con perfidia dei segni distintivi della croce rossa, della mezzaluna rossa, dell'emblema comune (Protocol additional to the Geneva Conventions of 12 August 1949, and relating to the Adoption of an Additional Distinctive Emblem (Protocol III), 8 December 2005) o di altri segni protettivi;

- il saccheggio di beni pubblici e privati.

Da rilevare che il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia ha riconosciuto che la nozione di crimine di guerra copre anche le violazioni gravi commesse nei conflitti interni, laddove il diritto convenzionale ammette tale nozione solo nei conflitti armati internazionali. Anche lo Statuto della Corte Penale Internazionale contiene un elenco, sebbene incompleto, di crimini di guerra che possono realizzarsi nei conflitti interni.

 

 

RAPPORTI FRA IL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO ED I DIRITTI UMANI

Il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti dell'uomo (qui di seguito: diritti umani) sono complementari. Entrambi mirano a proteggere la persona umana. Ma la proteggono in circostanze e con modalità differenti. Il diritto umanitario si applica nelle situazioni di conflitto armato, mentre i diritti umani, o almeno alcuni tra di essi, proteggono la persona umana in ogni tempo, tanto in guerra che in pace.

Se il diritto umanitario ha per fine quello di proteggere le vittime cercando di limitare le sofferenze causate dalla guerra, i diritti umani mirano a proteggere la persona umana e a favorirne lo sviluppo. Il diritto umanitario si occupa anzitutto del trattamento delle persone cadute in potere della parte avversa, oltre che della condotta delle ostilità. I diritti umani mirano essenzialmente a prevenire gli arbitri, limitando il potere dello Stato sugli individui; essi non hanno come scopo la regolamentazione della condotta delle ostilità.

Per assicurare il rispetto delle proprie norme, il diritto umanitario contempla meccanismi che realizzano una forma di controllo continuo della sua applicazione e mette l'accento sulla cooperazione tra le parti in conflitto ed un intermediario neutro, al fine di prevenire eventuali violazioni. È per questo motivo che il CICR, che ha il compito di far rispettare il diritto umanitario, privilegia la persuasione come modalità d'azione. Relativamente ai diritti umani, i meccanismi di controllo sono molto diversificati. In molti casi, le istituzioni preposte sono chiamate a stabilire se uno Stato ha rispettato o meno il diritto.

Cosí la Corte europea dei diritti dell'uomo può, al termine di una procedura instaurata su iniziativa di un individuo, dichiarare che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo è stata violata da un'autorità nazionale. Questa sarà allora obbligata a prendere le misure necessarie per uniformare la situazione sul piano interno alle disposizioni della Convenzione. I meccanismi di attuazione dei diritti umani sono sostanzialmente orientati verso la riparazione dei pregiudizi subiti.

 

 

LE VIOLAZIONI ALLE NORME DEL DIRITTO UMANITARIO

A dispetto degli accordi internazionali sottoscritti dai vari Stati ancora oggi si verificano frequenti violazioni alle norme del diritto umanitario. Secondo alcuni ciò è dovuto alla scarsa conoscenza di tali regole; per altri è la natura stessa della guerra che porta a questo risultato, o ancora perché il diritto internazionale, e quindi anche il diritto umanitario, non è accompagnato da un sistema centralizzato ed efficace di garanzie e di sanzioni a causa, in particolare, dell'attuale struttura della comunità internazionale.

Cosí stando le cose, sia che ci si trovi in situazione di conflitto o di pace, sia che la giurisdizione sia nazionale o internazionale, le norme vengono spesso violate e i crimini commessi. Accettare tale situazione e cessare ogni azione tesa al rispetto e al miglioramento del diritto umanitario sarebbe cosa ben piú grave. È importante dunque, in attesa di un piú efficace sistema sanzionatorio, perseguire senza tregua tutte le violazioni e adottare tutte le misure necessarie per prevenirle e reprimerle. In questo contesto, la repressione penale dei crimini deve essere considerata come un mezzo che contribuisce all'attuazione del diritto umanitario, tanto a livello nazionale che internazionale.

Infine, bisogna sottolineare gli sforzi della comunità internazionale per creare una Corte Penale Internazionale permanente, il cui Statuto è stato adottato a Roma il 17 luglio 1998. Essa è competente a giudicare, secondo un principio di complementarietà rispetto alle giurisdizioni nazionali, i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità e il genocidio. Essa potrà cosí contribuire a mettere fine ad una situazione di impunità che allo stato attuale è ancora molto diffusa.

 

 

LE FONTI DEI DIRITTI UMANI

Tra le numerose fonti esistenti vanno ricordati:

- La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948;

- la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950;

- la Convenzione americana relativa ai diritti umani del 1969;

- la Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli del 1981;

- i Patti internazionali relativi ai diritti dell'uomo del 1966;

- la Convenzione delle Nazioni Unite relativa ai diritti del fanciullo del 1989.

Gli strumenti giuridici internazionali dei diritti umani contengono clausole che autorizzano gli Stati, in occasione di grave pericolo pubblico, a sospendere i diritti in essi previsti, fatta eccezione per alcuni determinati diritti fondamentali, previsti da ciascun trattato, che devono essere rispettati in ogni circostanza.

Infatti, non è in nessun caso possibile derogare a questi, quale che sia il trattato. In particolare si tratta del diritto alla vita, del divieto della tortura, delle pene e dei trattamenti inumani, della schiavitú e dell'assoggettamento a servitú, oltre che del principio di legalità e di non retroattività della legge. Questi diritti fondamentali che gli Stati sono tenuti a rispettare in ogni caso - anche in caso di conflitto o di disordini interni - vengono considerati come il "nocciolo duro" dei diritti dell'uomo.

 

 

PUNTI DI CONTATTO TRA DIRITTI UMANI E DIRITTO UMANITARIO

Dal momento che il diritto umanitario trova applicazione specificamente in situazioni eccezionali come i conflitti armati, il contenuto dei diritti umani che gli Stati devono rispettare in ogni circostanza (il cosiddetto "nocciolo duro") tende a convergere verso le garanzie fondamentali e giudiziarie previste dal diritto umanitario. Per esempio il divieto della tortura e delle esecuzioni sommarie.

 

 

APPLICAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO NELLE OPERAZIONI PER IL MANTENIMENTO

O L'IMPOSIZIONE DELLA PACE CONDOTTE DALLE NAZIONI UNITE O POSTE SOTTO LA LORO EGIDA

Il diritto umanitario è applicabile allorché contingenti di forze armate che intervengono sotto l'autorità delle Nazioni Unite, o con la loro autorizzazione, utilizzino la forza - o possa accadere che la utilizzino - contro forze armate organizzate. L'accordo relativo alle operazioni di mantenimento della pace che le Nazioni Unite concludono con ciascun Stato membro chiamato a fornire contingenti militari, dispone che "i principi e lo spirito" delle Convenzioni internazionali di diritto internazionale umanitario, devono essere osservati.

Gli Stati che forniscono le truppe per tali operazioni devono assicurarsi che i militari appartenenti ai loro contingenti conoscano tali Convenzioni. La legislazione nazionale e le disposizioni di attuazione di tali trattati sono ugualmente applicabili. Recentemente il Segretario Generale delle N.U. ha provveduto a formulare in una apposita Circolare, entrata in vigore il 12 agosto 1999, i principi fondamentali e le regole di diritto internazionale umanitario applicabili alle Forze delle Nazioni Unite quando queste, in situazioni di conflitto armato, sono attivamente coinvolte come forza combattente sia in azione coercitiva ("peace-enforcement"), sia in azione di mantenimento della pace ("peace-keeping"), quando l'uso della forza è permesso per l'autodifesa.

 

 

PEACE-KEEPING E PEACE-ENFORCEMENT: DISTINZIONE E DEFINIZIONE

Le operazioni di mantenimento della pace ("peace-keeping"), che si fondano sul capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite, hanno come scopo il rispetto di accordi di cessate il fuoco, il rispetto di linee di demarcazione e la conclusione e attuazione di accordi relativi al ritiro delle truppe. In questi ultimi anni, si sono aggiunti nuovi compiti, quali la sorveglianza elettorale, la consegna di aiuti umanitari e l'assistenza nel processo di riconciliazione nazionale. Queste operazioni si svolgono con il consenso delle parti coinvolte e l'uso della forza è autorizzato solo in caso di legittima difesa.

Le operazioni di imposizione della pace ("peace-enforcement"), che si fondano sul capitolo VII della Carta, sono condotte dalle forze delle Nazioni Unite o da alcuni Stati, gruppi di Stati o da organizzazioni regionali su richiesta dello Stato interessato o su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. A queste forze viene affidata una missione di combattimento e sono, pertanto, autorizzate a utilizzare misure coercitive per l'adempimento del mandato. Non è, quindi, necessariamente richiesto il consenso delle parti.

In questi ultimi anni la distinzione tra questi due tipi di operazioni in non pochi casi è divenuta meno netta.

 

 

IL DIRITTO UMANITARIO E I RAPPORTI FRA CICR E ONU

Conformemente al suo mandato di "lavorare per la comprensione e la diffusione del diritto internazionale umanitario applicabile nei conflitti armati e di prepararne gli eventuali sviluppi", il CICR si è soffermato sulla questione dell'applicabilità del diritto internazionale umanitario alle forze di mantenimento o d'imposizione della pace. Apportare dei chiarimenti a tale questione appariva in effetti indispensabile tenuto conto della sempre maggiore utilizzazione di tali contingenti in scenari di violenza estrema nell'ambito dei quali essi possono trovarsi nella condizione di ricorrere all'uso della forza armata.

A tale scopo, il CICR ha organizzato una riunione di esperti, con l'intento di determinare l'applicabilità del diritto internazionale umanitario alle forze dell'ONU poste sotto il comando e il controllo delle Nazioni Unite stesse allorché, nell'ambito di conflitti armati, queste vengono attivamente impegnate come forze combattenti. L'ONU, dal canto suo, ha sostenuto nel passato che solo i "principi e lo spirito" del DIU sono applicabili a tali contingenti.

Quanto agli esperti, essi hanno formulato un progetto di linee di condotta, nel quale è precisato il contenuto dei "principi" e dello "spirito" che l'ONU si è impegnata a rispettare, nell'ambito delle operazioni di mantenimento della pace e di imposizione della stessa, quando il ricorso alla forza è autorizzato per legittima difesa, o in applicazione di uno specifico mandato del Consiglio di Sicurezza.

Finalmente, nel 1999, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha dato una soluzione al problema con la Circolare (entrata in vigore il 12 agosto 1999) sull'osservanza del DIU da parte delle Forze delle Nazioni Unite. Conviene sottolineare che i caschi blu sono tenuti, in base alle rispettive legislazioni nazionali, a rispettare le convenzioni di diritto umanitario che impegnano il loro Stato di origine. Ne consegue che, in caso di violazione grave del diritto internazionale umanitario, essi sono soggetti a responsabilità penale di fronte alle loro corti nazionali.

 

 

 

 

 

 

BREVE BIBLIOGRAFIA ITALIANA

 

Si richiama l'attenzione sulla Revue internationale de la Croix-Rouge/International Review of the Red Cross che pubblica articoli e documentazione in lingua francese e inglese.

 

 

 

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Il presente testo si ispira ampiamente all'opuscolo della Commissione Nazionale per la Diffusione del DIU della Croce Rossa Italiana, CICR - Diritto Internazionale Umanitario, a cura di Chiara Galli, Marinella La Rosa, Anna Rita Roccaldo, Gerardo Di Ruocco, [2001].

 

 

 

 

 

 

 

 

Diritti e doveri dei Cappellani militari in tempo di guerra