Parenti di Dio un po' persi di vista

Il corpo come luogo dell'appartenenza coperto nella vergogna del distacco

 

di p. Giuseppe De Carlo, OFMCap.


Docente di Sacra Scrittura presso l'Antonianum di Bologna

 

 

 

 

 

L'antropologia biblica dà ampio spazio al valore della corporeità, perché ha di mira l'uomo nella concretezza del vivere quotidiano. Anche quando parla della dimensione spirituale dell'uomo, la Bibbia usa immagini desunte dall'esperienza della fisicità corporea umana. È con il suo corpo che l'uomo ha la possibilità di vivere le relazioni con Dio e con gli altri. I primi tre capitoli della Genesi, che narrano la creazione, anche se si trovano all'inizio della Bibbia, non sono i primi scritti biblici. Sono stati composti quando la fede del popolo di Israele nel Dio dell'alleanza era già in uno stadio avanzato. Pertanto, questi testi sono paradigmatici, esprimono la concezione di fondo della fede di Israele circa Dio, l'uomo, il mondo e le loro reciproche relazioni. Una lettura attenta rivela che i tre capitoli contengono due racconti che fanno affermazioni simili sull'attività creatrice di Dio da prospettive differenti.

 

 

Il luogo di un appuntamento

Per quanto riguarda la creazione dell'uomo, il primo racconto (Gen 1,1-2,4a) dice: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gen 1,27). La tradizione interpretativa ha elaborato varie spiegazioni circa il significato dell'affermazione che l'uomo è stato creato a "immagine" di Dio, spiegazioni che spesso hanno accentuato la dimensione spirituale dell'uomo. Non è in discussione la validità di simili interpretazioni, che hanno a loro sostegno l'autorevolezza di una lunga tradizione, tuttavia l'immediato riferimento del testo biblico alla sessualità sembra suggerire che è la corporeità, nella concretezza della distinzione-complementarietà maschio-femmina, a portare l'"impronta" di Dio. La "parentela" tra Dio e l'uomo è dunque da ricercarsi anche nel corpo. Tanto più che il corpo non è solo una dimensione dell'uomo, ma anche una dimensione di Dio. Quando Dio ha voluto incontrare l'uomo, ha preso un corpo di carne. Il corpo è diventato il luogo dell'incontro tra Dio e l'uomo.

Una tradizione teologica, recepita anche da Francesco d'Assisi, ha indicato nel corpo assunto dal Figlio di Dio nell'incarnazione il modello cui Dio si è ispirato nel creare il corpo umano. Dice Francesco: "Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto Dio che ti creò e ti fece a immagine del suo diletto Figlio secondo il corpo" (Ammonizione V,1). Quindi, non prima il corpo dell'uomo e poi il corpo del Figlio di Dio, ma viceversa.

 

 Non sapete che siete tempio di Dio?

Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (1Cor 3,16)

 

 

Il corpo, che è "immagine" di Dio, è sessuato, il corpo maschio-femmina, quello di cui Dio si compiace vedendolo "molto bello/buono" (Gen 1,31). Il corpo è allora il luogo di una relazione triangolare: Dio-uomo-donna. Su questa triplice relazione si sofferma il secondo racconto della creazione (Gen 2,4b-3,24). La prima parte del brano, il capitolo secondo, mostra l'uomo in rapporto armonioso con Dio, con la donna e con la natura. In particolare, è la relazione con la donna a fare da specchio per le altre. Quando la donna viene presentata all'uomo, egli innalza il suo inno di lode al corpo maschile-femminile: "essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" (Gen 2,23), che esprime insieme lo stupore dell'uguaglianza e la consapevolezza di una alterità ricevuta in dono: sono, nella Bibbia, le prime parole in assoluto dell'umanità, e sono parole dedicate all'esperienza dell'incontro corporeo con l'altra. La positività della relazione è suggellata dalla constatazione della nudità vissuta con libertà: "Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e la sua donna, ma non ne provavano vergogna" (Gen 2,25). L'autore biblico sottolinea il fatto perché quando scrive egli sa che non è più così. È avvenuto qualcosa che ha mutato radicalmente quella relazione armoniosa.

 

 

Uno strumento di fatica

Il racconto procede con la narrazione della "caduta" della donna e dell'uomo e puntualmente l'autore annota: "Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture" (Gen 3,7). La formulazione letteraria ("si aprirono gli occhi di tutti e due") inganna, perché può sembrare che la realtà vera sia questa, della nudità che va coperta; l'altra, quella vissuta con libertà, sembra relegata al sogno. Invece, gli occhi che si aprono servono solo per scoprire una grande disillusione. Si erano fidati del serpente, che aveva promesso loro grandi cose: "diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male"; si ritrovano a nascondersi di fronte a Dio, perché lo sentono nemico, lui che li aveva donati l'una all'altro perché fossero di gioia reciproca!

Non solo è finita l'armonia con Dio, ma anche fra l'uomo e la donna nasce il conflitto. Inizia il primo scaricabarile della storia: "La donna che tu mi hai posta accanto ..." (Gen 3,12), dice l'uomo, lui che aveva tanto gioito e ringraziato Dio per avergli donato la donna! La donna non potrà più sperimentare l'attrazione verso il suo uomo come possibilità di vivere la comunione, perché: "Verso il tuo uomo sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà" (Gen 3,16).

Pure la natura diviene ostile: "Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gen 3,17-19).

Il risultato della "caduta" è dunque il degrado delle relazioni - prima armoniose, poi conflittuali - con Dio, con l'altro, con la natura. I due momenti sono segnati dal diverso modo di vivere la nudità: prima come libertà, poi come condizione disonorevole, da nascondere. È dunque la diversa esperienza del proprio corpo a indicare le differenti possibilità di relazione.

Nell'economia del racconto biblico la nudità è il segno della creaturalità dell'uomo e della donna di fronte a Dio creatore. La nudità era vissuta con armonia, quando essi accettavano la loro condizione di creature; dopo che hanno tentato di rifiutarla, la nudità rammenta loro in modo tragico l'impossibilità dell'indipendenza radicale. Le foglie di fico intrecciate sono solo un goffo tentativo di ridarsi una dignità, recuperata in parte quando Dio "fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì" (Gen 3,21). Questo gesto così delicato di Dio fa dire a D. Bonhoeffer: "Dio prende gli uomini per quello che sono, ormai decaduti. Egli accetta gli uomini nella loro caduta. Non li espone l'uno agli sguardi dell'altro nella loro nudità, ma è lui stesso a coprirli. L'agire di Dio entra in consonanza con l'uomo" (Creazione e caduta, Brescia 1992, 116).

L'armonia con il proprio corpo, vissuta come libertà che non prova vergogna, appartiene ad un'occasione mancata per l'umanità, al paradiso perduto per responsabilità propria. Ma il racconto biblico fa intuire anche che il progetto originario di Dio circa l'uomo non è cambiato, l'uomo può ancora riconquistare l'innocenza perduta, a condizione che accolga la propria condizione di creatura. Francesco d'Assisi che muore nudo sulla nuda terra rappresenta l'umanità che riconquista la libertà originaria.

 

 

 

 

Cfr. Giuseppe De Carlo, Parenti di Dio un po' persi di vista. Il corpo come luogo dell'appartenenza coperto nella vergogna del distacco, in Messaggero Cappuccino 4 (2000), 5-7.

 

N. B. Le immagini presenti in questa pagina non fanno parte del testo originale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La dignità del corpo nel magistero di Paolo VI