Ciò potrà sembrare barbaro e incomprensibile a uomini di superiori civiltà ma non deve fare meraviglia. In Russia tutto fa brodo purché serva al partito e al comunismo e anche quelle lettere - scritte con l'inchiostro dell'angoscia e della speranza - erano usate come mezzo di ricatto.

Durante gli interrogatori, capitava sovente, quando tutti gli espedienti per estorcere dichiarazioni o altro si erano rivelati vani, di vedere l'inquisitore cavare dal cassetto della scrivania una cartolina e sventolarla sotto gli occhi dell'accusato.

Dicevano allora, melliflui: «Questa è per te. Viene da casa. Ci sono notizie della tua famiglia. Cosa scrivono? Potrai saperlo se sarai piú condiscendente. Una firma qui sotto e avrai la cartolina. Non vuoi? Peggio per te. Saremo proprio costretti a togliere il tuo nome dall'elenco dei prigionieri ancora vivi, e sono elenchi che andranno in onda domani. A casa tua, magari, saranno in ascolto, ma nessuno udrà il tuo nome. Peccato. Pensaci".

Da alcuni prigionieri ebbi notizia sull'esistenza di una decina di civili italiani, viventi a Tashkent e a Karakanda, ma sembra si tratti di persone che si recarono volontariamente nell'Unione Sovietica, e la cui posizione è del tutto diversa da quella dei militari italiani.

È folle pensare che militari italiani dell'A.R.M.I.R. si siano silenziosamente sistemati tra la popolazione russa. Una cosa del genere è avvenuta spesso in tutte le nazioni europee, durante tutte le guerre, ma è assolutamente da escludere che possa essere avvenuta o avvenga nell'Unione Sovietica.

Chi continua a sostenere una simile tesi ignora profondamente come è organizzata la vita della popolazione sovietica, ignora che l'inesorabile controllo poliziesco gravita su ogni casa, dai quartieri alti dei gerarchi rossi alla piú misera isba della Siberia e nessun italiano in tal caso sarebbe sfuggito all'arresto e alla condanna.

È un insulto al soldato italiano e all'intelligenza comune affermare che gruppi di nostri connazionali vivano in Ucraina e altrove, dopo aver messo su famiglia. Tra l'altro, cose del genere sono rigorosamente vietate dalle leggi sovietiche e gli sporadici casi, ripeto, riguardano soltanto uomini politicamente legati al governo di Mosca.

Durante l'estate del 1954 sono tornati in Italia due ex militari italiani, già dati «dispersi» e che risultarono invece sposati nella Germania Orientale. Questa duplice circostanza conferma ancora una volta quanto andiamo dicendo: si tratta di due militari non dell'A.R.M.I.R., ma catturati dai sovietici in campi di concentramento tedeschi, dove erano stati rinchiusi dopo l'8 settembre. Le loro vicende, quindi, fanno capitolo a sé, sono del tutto diverse da quelle dei «dispersi» dell'A.R.M.I.R.