«Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 9,13)

 

 

 

Facciamo un piccolo passo indietro, per capire meglio. Dovrebbe essere già abbastanza chiaro il perché l’apostolo Giovanni ha parlato di amore e non - per esempio - di giustizia. Eppure la giustizia è un valore! Ognuno di noi ha la sua scala di valori, anzi, a dire il vero ne abbiamo piú di una. Ne abbiamo almeno due: una teorica e una pratica. Quella teorica di solito è abbastanza condivisibile, quella pratica... spesso è piena di incredibili contraddizioni. Quella teorica può prevedere Dio al primo posto, quella pratica invece può mettere al primo posto qualsiasi altra cosa: questa è la triste di realtà di noi peccatori.

Mettiamo da parte per ora queste curiose contraddizioni, tipiche della nostra povertà umana. Prendiamo in considerazione la scala di valori teorica. Molti magari, in cima a questa scala, mettono un valore come la giustizia. Perché la giustizia e non l’amore? Perché siamo fatti cosí? Quanti scontri, anche accesi, fra Gesú è i farisei per questo contrasto: giustizia o amore? In Dio non c’è alcun contrasto fra la giustizia e l’amore, nell’uomo invece si! Dio giudica amando, l’uomo giudica mettendo da parte l’amore, troppe volte confuso o ridotto a puro sentimentalismo.

«Mentre Gesú sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesú li udí e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»» (Mt 9,10-13).

È proprio vero, abbiamo bisogno di imparare, anche noi. La misericordia implica l’amore. Senza amore non si dà misericordia. È per questo che Gesú ha detto:

«...se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).

Se il nostro amore non sarà piú grande... non entreremo nel regno dei cieli. La realtà è che è piú facile capire le esigenze della giustizia (soprattutto quando è favorevole ai nostri interessi) che non quelle dell’amore. Le vedremo le esigenze dell’amore, per ora cerchiamo di capire che cosa comporta il mettere la giustizia al primo posto, in cima alla nostra scala di valori.

Anche gli antichi pagani romani ci metterebbero in guardia: summum ius summa iniuria! L’eccesso di giustizia - il giustizialismo - porta al colmo dell’ingiustizia. Ma non è tutto qui. Noi abbiamo una dimensione psichica molto complessa da gestire. Ogni volta che facciamo una scelta importante dobbiamo anche chiederci quali saranno le conseguenze prossime e remote per noi e per gli altri.

Porre la giustizia in cima alla scala dei valori significa - a lungo andare - farci un’immagine di Dio che è corrispondente. Dio diviene ai nostri occhi, per il nostro cuore, la “somma giustizia”, Dio diventa per noi “Giudice”.

Questa visione di Dio porta con sé altre conseguenze, anche pericolose, nella vita spirituale. Che rapporto può esserci fra un Dio che è somma giustizia e noi peccatori? Non certo un rapporto di amicizia. Quale intesa può esserci fra la giustizia e il peccato? Nessuna. Dio diventa ai nostri poveri occhi una minaccia, un pericolo: colui che ci giudica e inevitabilmente ci condanna. Oppure abbiamo la presunzione inconfessata di sentirci giusti davanti a Dio? Irreprensibili o non meritevoli di alcuna condanna? Ma cosí sprofondiamo nell’abisso della superbia che la Scrittura condanna come il “grande peccato” (Sal 19,14). E allora? Dio è forse colui che giudica la nostra vita, che ricorda i nostri peccati aspettandoci al varco per comminarci la giusta pena? Dov’è la misericordia allora? Dov’è l’amore? E con tale premessa quale sarà mai il nostro rapporto con il prossimo?

Quanto è importante trovare la giusta chiave di lettura per cominciare a conoscere il vero volto di Dio. Possiamo sbagliare a tal punto da confondere Dio con il diavolo e il diavolo con Dio! Non è un’esagerazione. Noi con la nostra concezione di giustizia facciamo di Dio un accusatore, ma chi è veramente, nella Scrittura, l’Accusatore? Nel libro dell’Apocalisse si parla di questo Accusatore quando si narra la lotta finale fra gli angeli e i demòni. Ma alla fine gli angeli esultano dicendo:

«Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire» (Ap 12,10-11).

L’accusatore - ci insegna la Bibbia - non è Dio ma il diavolo! La Scrittura ci avverte: è lui che ci istiga al peccato per poi accusarci di fronte a Dio. No, Dio non è l’accusatore, è un Padre che cerca di salvare in tutti i modi i suoi figli ostinati e ribelli. Siamo noi che nella nostra cattiveria vediamo Dio in modo deforme perché deforme è il nostro occhio. Siamo noi a confondere Dio con il demonio e a fare di Dio un giudice opprimente e del demonio un "profeta" di libertà. Ecco fin dove arriva la nostra infermità, la cecità dei nostri occhi infermi!

La somma giustizia - il summum ius - può portarci solo sulla strada della condanna e della disperazione, verso un "falso dio a misura d'uomo" che non è il vero Dio. Cosí lo vide spesso il popolo ebraico quando, dimenticando la parola vivificante dei profeti, si rivolgeva agli “dei falsi” e piú accomodanti degli altri popoli; così lo vide Lutero nella sua giovanile esperienza; cosí lo vedono molti di noi, sedicenti cristiani, ma lontani dallo spirito del Vangelo quanto il cielo è alto sulla terra. Non è un caso dunque che l’apostolo Giovanni (Gv 13,25) ci abbia parlato cosí di Dio: «Dio è amore» (1Gv 4,8). Questo è l’unico modo in cui si può parlare di Dio. Tutte le altre strade, per quanto possano sembrare belle e invitanti, ci portano lontano, talvolta molto lontano, pericolosamente lontano da lui.