A ben riflettere non esiste l’alternativa tra evoluzione e creazione. I due concetti e ciò a cui essi si riferiscono non sono in contrasto fra loro, perché di natura diversa, uno rientra nella scienza e l’altro nella filosofia e nella teologia. Essi appartengono, come osservava Stephen Gould, a due magisteri indipendenti, non sovrapponibili (5).

Ma nel mondo culturale e scientifico, e anche in ambiente cattolico, le posizioni non sono cosí chiare, se tante volte si rifiuta l’evoluzione in nome della creazione o si esclude la creazione in nome della scienza. Il contrasto può nascere dal modo di intendere l’evoluzione, traendo dalla scienza quello che la scienza non può dire, come l’esclusione di Dio creatore o di un finalismo generale o dell’anima razionale nell’uomo, posizioni sostenute da alcuni evoluzionisti, ma che non si possono ricavare necessariamente dal darwinismo e neppure dalla teoria evolutiva in generale (6). Oppure il contrasto può venire dal modo di intendere la creazione, vista come intervento diretto di Dio nel fare le cose secondo il racconto biblico, o nel realizzare la loro complessità. Sono posizioni dettate dal falso timore che l’evoluzione possa comunque scalfire il rapporto della realtà con Dio Creatore.

Nel concetto di creazione Dio non va visto come un ordinatore o programmatore che ha realizzato le cose per poi allontanarsene. C’è un’autonomia che Dio, causa prima, lascia alla creazione, all’azione delle cause seconde. Ma questa autonomia non comporta che egli le abbandoni al loro destino come fa l’artigiano con la sua opera, La causalità divina, identificabile in Dio come causa prima, non va vista come una causa efficiente allo stesso modo dei fattori della natura, né va pensata come azione continua o intermittente volta a supplire i fattori della natura. Il rapporto causale non è di ordine fisico, ma metafisico.

 

 

La razionalità della natura e i processi evolutivi

L’intreccio tra le varie cause di ordine fisico operanti nella natura mette in evidenza una razionalità su cui Benedetto XVI nel Discorso all’Università di Regensburg e in altre occasioni ha richiamato l’attenzione sulla scorta di grandi scienziati, da Galilei a Keplero, a Newton. Questa razionalità che si esprime nelle proprietà della materia e nelle leggi fisiche e può essere riconosciuta dalla ragione umana nel campo delle scienze della natura, è una razionalità di ordine scientifico, e sollecita la ragione ad ammettere una razionalità superiore, una mente ordinatrice, anche se le scienze empiriche non sono in grado di dimostrarla o di indicarne le modalità di azione.

La razionalità della natura appare dinamica, si manifesta attraverso i processi della natura, anche quelli innovativi che realizzano i cambiamenti, cioè le novità che si formano nel corso del tempo e che la scienza scopre o cerca di spiegare e interpretare. Una caratteristica di questi processi è costituita dalla relazione, dalla interazione fra i vari elementi che, in certe condizioni ambientali, può portare a una complessità maggiore. È quello che si ammette a livello atomico e molecolare e anche per i viventi. Dal Big Bang alla formazione degli elementi chimici piú semplici e poi a quelli pesanti fino alla formazione della vita nelle sue forme elementari unicellulari e a quelle pluricellulari via via piú complesse, c’è stata una crescita di complessità attraverso nuove relazioni che si sono formate ai vari livelli. Dunque una natura che cambia nel tempo, si sviluppa e rivela una sua dinamicità intrinseca, una natura che esprime delle potenzialità. È un concetto che ritroviamo nel pensiero del Cardinale Newman. Le cause di questi cambiamenti sono in gran parte da chiarire. C’è chi parla di autoorganizzazione, di processi di complessificazione che sarebbero avvenuti per le proprietà stesse dei vari elementi. Ma questo non sarebbe bastato se non vi fossero state adeguate condizioni ambientali (temperatura, composizione dell’atmosfera, ecc.) per cui si sono sommati fattori interni alle cose e fattori esterni in un una coincidenza temporale, secondo modalità che in gran parte ancora non conosciamo, ma cerchiamo di ricostruire.

Il rapporto della natura con il Creatore, che come causa prima la sostiene nel suo esistere ed operare, diventa fecondo e creativo e si esprime attraverso i cambiamenti che avvengono nel tempo e realizzano una evoluzione della materia e della vita. Per quanto riguarda l’evoluzione delle specie il darwinismo la spiega con la selezione naturale che opera sulle variazioni spontanee della specie. La sua versione moderna riferisce l’evoluzione a quattro grandi fattori: le mutazioni, la selezione naturale, l’isolamento, il flusso genico. Questa spiegazione viene ritenuta valida per tutta l’evoluzione. In realtà è verificata soltanto per la microevoluzione. Se ci si riferisce a tutto il processo evolutivo molti studiosi ritengono che siano intervenuti anche altri fattori, specialmente per quanto riguarda la entrata in funzione dei geni regolatori (o geni Hox), come pure per le convergenze evolutive, che non vengono spiegate in modo adeguato con la pura selezione naturale. Potrebbe esserci stato il concorso di regole genetiche di ordine e fattori epigenetici, oltre che ambientali. Secondo molti autori il neodarwinismo va integrato con altre vedute.

Ciò non costituisce una buona ragione per ricorrere a interventi diretti di una causa esterna nel corso dell’evoluzione per realizzare certe complessità, come vorrebbe la teoria dell’Intelligent Design. Una soluzione che è fuori dalla visione scientifica e mal si accorda con l’economia divina che utilizza le cause seconde. Di fatto l’evoluzione prolunga l’opera del Creatore attraverso i vari fattori o cause di ordine naturale, incluse quelle di carattere casuale, che realizzano nel tempo l’armonia dell’insieme della natura (7).

L’evoluzione può essere vista come il modo con cui Dio continua a creare, una creatio continua, secondo le vedute di molti teologi. Noi la vediamo a posteriori, ma rientra in un progetto del Creatore (8).

 

 

La specificità dell’uomo

Alcuni autori (Teilhard de Chardin, Piveteau, ecc.) (9) identificano nella evoluzione della vita una particolare direzione di crescita della complessità nel processo di cerebralizzazione che si intensifica nell’ordine dei Primati e raggiunge la sua espressione maggiore negli ominidi non umani e poi nell’uomo. Ma assumere il criterio dello sviluppo encefalico per riconoscere la presenza dell’uomo (il c.d. Rubicone cerebrale) è fonte di incertezza, come notava lo stesso Piveteau. Pare piú opportuno fare riferimento ai segni del comportamento umano che è caratterizzato dalla capacità di progetto e dalla simbolizzazione, cioè dalla cultura. Nelle espressioni della cultura si può riconoscere intelligenza astrattiva, capacità di pensiero, autocoscienza e autodeterminazione e quindi uno psichismo riflesso caratteristico dell’uomo. Essa si manifesta anche nei prodotti della tecnologia (industrie litiche, organizzazione del territorio), segnati dalla innovazione, che possiamo incontrare in epoche molto antiche del genere Homo. Siamo in presenza di una discontinuità sul piano fenomenologico rispetto al mondo animale e all’ominide non umano, in particolare. Tale discontinuità è espressa nella cultura (10). Gli studiosi non sono tutti d’accordo nella identificazione di questo momento nel processo evolutivo della ominizzazione che comprende vari protagonisti, con evidenti relazioni genetiche fra loro, alcuni riferiti a forme sicuramente non umane, come gli Australopiteci, altri a forme del genere Homo.

Vi sono autori che riconoscono l’uomo soltanto in presenza delle espressioni piú elevate della cultura, quali l’arte o la sepoltura. Ma è un approccio limitante. Vi sono comportamenti tecnologici che si rivelano umani anche in fasi molto piú antiche di Homo sapiens, già con Homo ergaster/erectus, se non con Homo habilis. Ma non mi sembra questo il vero problema. Il vero problema è la natura della discontinuità rappresentata dalla cultura che può essere vista come un trascendimento rispetto alla sfera biologica, come riconosciuto da Dobzhansky (11).

Qui interviene la riflessione filosofica. Se l’ominide si rivela attraverso il suo comportamento come un essere pensante e libero, quale che sia il livello morfologico raggiunto, e quindi rivela attività che non appartengono alla sfera biologica, ma a quella spirituale, c’è ragione di ritenere che con l’essere umano sia stato superato un divario di ordine ontologico, come osservava Giovanni Paolo II nel messaggio del 22 ottobre 1996 alla Pontificia Accademia delle Scienze, che cioè l’uomo sia stato arricchito dello spirito. Ma “lo spirito - si osserva nello stesso messaggio - non può essere considerato emergente dalla materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia”. Con il pensiero e la coscienza l’ominide si pone a un livello diverso dalla realtà puramente fisica e ciò non è rappresentabile con i nostri sensi. Ciò deve essere avvenuto in un concorso tra Dio creatore e i fattori biologici della natura e segna il momento piú alto della ominizzazione (12).

La identificazione del livello evolutivo è meno importante del fatto che sia avvenuta l’elevazione dell’ominide mediante lo spirito. Non riusciamo a immaginare come ciò sia avvenuto, ma è da ammettersi per ragioni di ordine filosofico, non per supplire deficienze di ordine biologico. Si può riconoscere qualche analogia con quanto avviene nella generazione di ogni essere umano. L’animazione, cioè l’arricchimento dello spirito nell’unità della persona, non è un prodotto della fusione dei gameti dei genitori. Il magistero della Chiesa parla di creazione immediata dell’anima, per la quale non sono pensabili passaggi intermedi. Non avrebbe senso parlare di gradualità per l’anima spirituale, anche se le sue manifestazioni hanno uno sviluppo diacronico sia nella ominizzazione che nella ontogenesi dell’uomo. Maritain osservava che non si può pensare a esseri per metà animali e per metà uomini, anche se possono esserci stati animali sovrasviluppati rispetto ai primati non umani che conosciamo (13).

Secondo Karl Rahner si può parlare di autosuperamento o autotrascendimento attivo sia per la ominizzazione che per la generazione, nel senso che la realtà creata supera, in virtú della causalità divina, i limiti fissati alla sua essenza (14).

L’emergenza dell’essere umano, in forza dello spirito, trascende il piano biologico e non può paragonarsi alla emergenza di strutture fisiche o biologiche nell’ordine della natura. Sul piano teologico l’emergenza dell’uomo coincide con la sua chiamata a un rapporto di comunione con Dio (15).

Joseph Ratzinger ha osservato che il momento della comparsa dell’uomo sfugge alle analisi della scienza (16). Analogamente Giovanni Paolo II nel messaggio citato rilevava: “Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita... Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di una osservazione di questo tipo, che comunque può rilevare a livello sperimentale una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano”. Dobbiamo riconoscere che ci sono aspetti che ci rimangono oscuri, si direbbe inconoscibili, perché vanno oltre i metodi delle scienze empiriche, ma è la stessa ragione a suggerirli. C’è chi parla di mistero, sia pure nell’ordine di una realtà naturale.

 

 

Conclusione

In conclusione, se la esclusione della sfera trascendente, sia in ordine alla creazione che alla specificità dell’uomo, rappresenta una operazione riduttiva, inquadrabile nel naturalismo filosofico, ma non sostenibile con i dati della scienza, l’allargamento alla dimensione trascendente e spirituale rende ragione delle domande che vengono dalle osservazioni della natura ed è confermato dal visione teologica che si ricava dalla Sacra Scrittura. La teologia della creazione non richiede di contrastare la teoria scientifica dell’evoluzione e neppure aspetta chissà quali prove a favore della evoluzione per ammettere la sua conciliabilità con la scienza. Essa consente di riconoscere non solo una conciliabilità, ma anche un’armonia tra le vedute della scienza e la dottrina teologica circa la dipendenza di tutta la realtà dal Creatore e il carattere storico della vicenda umana, legata alla storia della vita sulla terra. Lo stupore che nasce dallo studio della natura, anche nei suoi processi evolutivi, non allontana da Dio, ma esalta la creazione, che si esprime in modi sempre nuovi nel tempo proprio attraverso l’evoluzione. L’emergenza dell’uomo nella evoluzione, di un essere capace di pensiero e di libertà, fa assumere un significato a tutta la creazione, di cui egli si fa coscienza, e gli consente di prendere in mano la gestione dell’ambiente, un caso unico fra le specie viventi sulla terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

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(5) S. J. GOULD, Impeachment a Self-Appointed Judge, in «Scientific American», July 1992, 267, pp. 92-95; ID., I pilastri del tempo. Sulla presunta inconciliabilità di fede e scienza, Saggiatore, Milano 2000.

(6) Cfr. J. F. AYALA, Il dono di Darwin alla scienza e alla religione, Jaca Book - San Paolo, Milano, 2008 (tr. it. di Darwin’s gift to Science and Religion, Joseph Henry Press, Washington 2007).

(7) Sulle tematiche relative ad evoluzione e creazione si rimanda a F. FACCHINI, Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede, Jaca Book, Milano 2008; ID., L’evoluzione tra scienza e fede in «Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione», 14, n. 27, 2010, 69-96.

(8) Molto illuminante una riflessione di Giovanni Paolo II: «Una fede rettamente intesa nella creazione e un insegnamento rettamente inteso della evoluzione non creano ostacoli. L’evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo - come una creatio continua - in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come creatore del cielo e della terra», Discorso al Simposio internazionale Fede cristiana e teoria dell’evoluzione, in «L’Osservatore Romano», 25 aprile 1985.

(9) La visione del passato, Il Saggiatore, Milano 1973 (tr. it. di TEILHARD DE CHARDIN, La vision du passé, Seuil, Paris 1956). J. PIVETEAU, Origine et destiné de l’homme, Masson, Paris 1983. La comparsa dell’uomo, a cura di A. De Lorenzi, Jaca Book, Milano 1993, tr. it. di J. PIVETEAU, L’apparition de l’homme, Oeil, Paris 1986.

(10) La discontinuità che si rivela nel comportamento dell’uomo e si manifesta nella cultura assume un significato adattativo realizzando strategie sempre nuove nel rapporto con l’ambiente. Essa però non si esaurisce nell’adattamento intenzionale e interessa la sfera dei valori, le manifestazioni dello psichismo non legate a strategie adattative (es. senso religioso, arte) collocandosi su un piano extrabiologico. La natura di tale discontinuità chiama in causa riflessioni che non possono non andare oltre il piano biologico e investono la sfera filosofica.

(11) Le domande supreme della biologia, a cura di R. Petrillo, De Donato, Bari 1968, traduzione italiana di TH. DOBZHANSKY, The biology of ultimate concern, New American Library, New York 1967.

(12) Cfr. J. DE FINANCE, Cittadino di due mondi. Il posto dell’uomo nella creazione, LEV, Città del Vaticano 1993.

(13) J. MARITAIN, Approches sans entraves. Scritti di filosofia cristiana, Città Nuova, Roma 1977, tr. it. di Approches sans entraves, Fayard, Paris 1973.

(14) Cfr. M. G. DONCEL, Teologia de la evolucion (I): La autotrascendencia activa. Karl Rahner, 1961, in «Pensamiento», 63, 2007, 38, 605-636.

(15) Cfr. L. F. LADARIA, Antropologia teologica, Piemme Teologica, Milano 1995; Pontificia Università Gregoriana, Roma 2007.

(16) J. RATZINGER, Wer ist das eigentlich-Gott? hrsg, H. J. Schulz, Munchen 1969, 240 citato da C. SCHÖNBORN nella Prefazione di Creazione ed evoluzione. Un Convegno con Papa Benedetto XVI a Castelgandolfo, a cura di S. O. Horn e S. Wiedenhofer, EDB, Bologna, 2007, p. 12.

 

 

Estratto da: FACCHINI F., Creazione ed evoluzione, in Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto, a cura del Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana, Cantagalli, Siena, 2010, s. p.

 

 

 

 

(*) Mons. Fiorenzo Facchini, sacerdote dell’Arcidiocesi di Bologna, è stato professore ordinario di Antropologia, dal 1976 al 2005, nell’Università di Bologna, e docente di Paleontologia Umana nella Scuola di specializzazione in Archeologia, dal 1985 al 2006. Attualmente è professore emerito della medesima Università. È membro di varie Società scientifiche italiane e internazionali, tra cui L’Istituto Italiano di Antropologia, l’Accademia delle Scienze di Bologna, l’Accademia di Scienze Naturali del Kazakhstan, la New York Academy of Sciences. È stato insignito del Premio internazionale Fabio Frassetto (2002) dell’Accademia dei Lincei per l’Antropologia.

Nelle sue ricerche si è occupato di accrescimento umano, di polimorfismi genetici, di adattamento umano alle alte quote, di paleoantropologia, di culture preistoriche, di studi su popolazioni del Neolitico e della protostoria. In Asia centrale ha organizzato ricerche sull’adattamento ad alte quote nel Kazakhstan e nel Kirghizistan e sugli effetti della modernizzazione nel Kazakhstan.

L’attività scientifica è documentata in circa 400 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali e in vari volumi, tra cui Il cammino dell’evoluzione umana, Jaca Book, Milano, 1985, 1995; Antropologia, Utet, Torino, 1988, 1995; Evoluzione umana e cultura, Ed. La Scuola, Brescia, 1999; E l’uomo venne sulla terra, Ed. San Paolo, 2005; L’avventura dell’uomo. Caso o progetto?, Ed. San Paolo, 2006; Le origini dell’uomo e l’evoluzione culturale, Jaca Book-Città Nuova, 2006; Le sfide dell’evoluzione. In armonia tra scienza e fede, Jaca Book, 2008; Popoli della Yurta. Kazakhstan tra le origini e la modernità (a cura di), Jaca Book, 2008; La lunga storia di Neanderthal (a cura di Giovanna Belcastro e Fiorenzo Facchini), Jaca Book, 2009; Complessità, evoluzione, uomo (a cura di), Jaca Book, 2011; Evoluzione. Cinque questioni nell’attuale dibattito, Jaca Book, 2012.