Prefazione

Quello dei rapporti dei cristiani con persone di altre tradizioni religiose è stato un problema fin da quando i cristiani sono diventati una comunità religiosa identificabile, al tempo degli apostoli. Dall'inizio la questione ha presentato due aspetti: uno, in relazione all'interazione e alla vita quotidiana con il prossimo di altra fede, e l'altro in relazione al problema teologico piú complesso di come comprendere il significato della vita religiosa del prossimo alla luce delle sue convinzioni personali. Tali questioni hanno impegnato la riflessione cristiana lungo i secoli.

Questa preoccupazione delle chiese è stata istituzionalizzata all'interno del movimento ecumenico con la formazione della Sotto-unità per il dialogo con persone di fedi e ideologie diverse nel 1971. Dal suo inizio, la Sotto-unità per il dialogo ha lavorato in stretta collaborazione con il suo omologo nella Chiesa Cattolica Romana, il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Oggi un certo numero di chiese e gruppi ecumenici regionali e nazionali hanno incorporato il dialogo nella loro vita e nella loro attività.

Nel 1979 il CEC ha prodotto un documento intitolato Guidelines on Dialogue with People of Living Faiths che ha cercato di individuare e discutere i principali problemi pratici e teologici nei rapporti tra persone di fedi diverse. Mentre ha preso in considerazione alcuni degli aspetti generali, ha riconosciuto il bisogno di direttive (guidelines) o di considerazioni ecumeniche piú specifiche sui rapporti dei cristiani con ciascuna delle principali comunità di fede del mondo.

Questo opuscolo deriva dal tentativo di seguire e approfondire questo discorso nell'area dei rapporti tra cristiani e musulmani. Esso è frutto dell'esperienza ricavata dal notevole lavoro svolto nel corso degli anni. Tutti gli incontri tra cristiani e musulmani organizzati dalla Sotto-unità per il dialogo negli ultimi vent'anni sono stati documentati in una recente pubblicazione del CEC, Meeting in Faith. Questi incontri, comunque, sono solo una piccola parte di una storia molto piú ricca di rapporti e di numerosi incontri di dialogo in molti luoghi. Le seguenti Considerazioni ecumeniche sui rapporti tra cristiani e musulmani sono esse stesse basate su cinque incontri regionali tra cristiani e musulmani, organizzati in diverse parti del mondo. Questi incontri sono serviti a individuare alcuni dei problemi piú importanti su cui cristiani e musulmani devono riflettere e che devono continuare a valutare insieme nei prossimi anni. Molte persone qualificate nel campo dei rapporti tra cristiani e musulmani sono state consultate nel corso dei lavori. Infine, nel maggio 1990 un gruppo di cristiani di diverse regioni e tradizioni, insieme ad alcuni esperti musulmani, si sono incontrati per stendere queste considerazioni.

I rapporti tra cristiani e musulmani hanno una storia complessa, spesso segnata da rivalità e guerra. Oggi c'è una nuova esperienza reciproca di islam e di cristianesimo. Essa è talvolta modellata piú dalla memoria storica e dai mass-media che dalla effettiva conoscenza ed esperienza. Queste Considerazioni ecumeniche cercano di mettervi di fronte ad alcuni dei dilemmi e delle opportunità che caratterizzano questo importante rapporto. Si spera che questi orientamenti generali siano interpretati alla luce delle situazioni locali e regionali, da coloro che sono seriamente impegnati nella promozione e nell'arricchimento di questo rapporto. Infatti, quale che sia la natura dell'attuale stato dei rapporti nella nostra situazione locale, siamo obbligati dagli imperativi della nostra fede a promuovere una maggiore comprensione e comunione con coloro tra i quali viviamo. Essere in dialogo oggi è un imperativo della fede; non possiamo fare altrimenti.

 

 

I. Sul dialogo

Il dialogo è un'attività che trae origine dalla nostra esperienza globale di vita. Il dialogo non è solo conversazione (dialogo di idee), ma è anche incontro tra persone (dialogo di vita). Ha luogo tra individui e comunità in quanto vivono la loro fede e le loro convinzioni, legati da fedeltà e tradizioni comuni.

«Il dialogo ha uno spazio e una completezza ad esso propri e non è in antitesi e neppure è incompatibile con la testimonianza e l'annuncio. Il nostro impegno personale non perde la sua efficacia se ci impegniamo nel dialogo; di fatto, il dialogo tra persone di fedi diverse è fasullo quando non derivi dall'accettazione e dall'espressione dell'impegno di fede... Nel dialogo siamo invitati ad ascoltare, aperti alla possibilità che il Dio che noi conosciamo in Gesú Cristo ci possa incontrare anche nella vita del nostro prossimo di altra fede».

Il dialogo è fondato sulla fiducia reciproca e sulla reciproca comprensione. Richiede rispetto per l'identità e l'integrità dell'altro. Abbiamo il dialogo quando le parti coinvolte hanno la volontà di ascoltare e imparare e di mettere in dubbio la loro comprensione di se stessi come pure la loro comprensione dell'altro. È un tentativo di capire «l'alterità dell'altro»; cerca di capire l'altro come l'altro desidera essere capito.

Nel dialogo i cristiani tentano di seguire l'esempio di Cristo; egli ha abbracciato gli altri in un infinito amore in cui rinnega se stesso (cf. Mc 8,34). Il dialogo si basa anche sulla convinzione che lo scopo di Dio nella creazione sia condurre tutta l'umanità a un rapporto di amore e di pace.

Il dialogo riconosce che la pluralità all'interno della famiglia umana, compresa la pluralità religiosa, non dovrebbe diventare una barriera che crea conflitto e divisione. In verità, il dialogo ci dovrebbe rendere capaci di ricavare risorse da ciascuna delle nostre tradizioni religiose, per aiutarci ad affrontare le minacce di oggi alla sopravvivenza di tutto il pianeta e per lavorare per la pace nella giustizia e la salute dell'ambiente.

Il cristianesimo e l'islam sono stati in contatto per oltre quattordici secoli. Come religione nata dopo l'epoca di Cristo, e quindi dopo che era stato completato il Nuovo Testamento, l'islam ha sempre rappresentato una sfida teologica per i cristiani, specialmente riguardo alla posizione di Maometto come profeta e alla posizione del Corano come rivelazione.

La storia dell'incontro tra cristiani e musulmani è estremamente complessa. I cristiani hanno considerato l'islam sotto diversi aspetti. Per esempio, gli atteggiamenti dei cristiani del mondo occidentale, che hanno vissuto fino a poco tempo fa a distanza dai musulmani, sono stati diversi da quelli dei cristiani dell'oriente, che vivono vicino ai musulmani. Anche l'esperienza dei cristiani che vivono all'interno del mondo musulmano è stata molto diversa a seconda delle epoche e dei luoghi. Ci sono esempi di scambio armonioso e fruttifero, come pure di conflitto. Il primo caso comprende situazioni in cui i cristiani e i musulmani hanno collaborato nella lotta per comuni obiettivi politici «per esempio, nel movimento per l'indipendenza indonesiana e per la causa del primo nazionalismo arabo. Generalmente, comunque, i fattori politici, economici e teologici sono stati insieme la causa della polarizzazione fra musulmani e cristiani in due comunità in reciproco antagonismo.

Si sono sviluppate in entrambe le comunità false immagini dell'altro portando paura e incomprensione. Di conseguenza i cristiani e i musulmani hanno spesso ereditato idee, immagini e stereotipi, soprattutto negativi, che hanno influenzato il loro modo di vedere l'altro. I cristiani hanno spesso (ma non sempre) visto l'islam come una minaccia politica, economica e teologica, e hanno creato un'immagine negativa dell'islam, in contrasto con quella positiva di loro stessi. I mass-media continuano, con poche eccezioni, a perpetuare queste immagini.

Nel processo di ripensamento del loro approccio all'islam, molti cristiani riconoscono che molta di quella che veniva considerata «conoscenza obiettiva» negli anni passati era piena di pregiudizi e falsità. Piú recentemente, lungo gli ultimi venticinque anni, il dialogo tra cristiani e musulmani, avviato dal Consiglio ecumenico delle chiese e dal Vaticano, come pure da organizzazioni musulmane a livelli sia internazionali sia nazionali, ha visto l'inizio di una nuova comprensione basata su una reciproca volontà di ascoltare e di imparare.

I musulmani hanno espresso riserve sul dialogo «vedendolo come una forma nascosta di neo-imperialismo cristiano o come colonialismo intellettuale. Ci sono cristiani che ritengono che il dialogo coi musulmani sia caratterizzato da un romanticismo ingenuo, che non affronta l'evidente minaccia della rinascita islamica. Senza giudicare tali critiche, sentiamo che queste reazioni non ci devono distogliere dal continuare il processo; obbedire al comandamento di «amare il nostro prossimo» implica sempre il rischio di essere fraintesi o travisati.

 

 

II. La comprensione dell'islam e dei musulmani

Le idee cristiane sull'islamismo sono state formate, trasmesse e perpetuate dal settimo secolo in poi, talvolta tramite un incontro diretto ma anche, soprattutto per coloro che non hanno rapporti abituali coi musulmani, tramite la letteratura polemica e apologetica. L'islam è visto dai cristiani come intrinsecamente intollerante, violento e minaccioso. Questa immagine tende a non tenere in considerazione il fatto che l'islamismo è stato e rimane una tradizione dinamica che ispira e alimenta la vita di centinaia di milioni di musulmani.

I cristiani tendono anche a pensare che l'islam sia monolitico - lo stesso in Marocco e in Malaysia. In realtà, sia l'islam storico sia quello contemporaneo, attraverso le sue due correnti principali, la sunnita e la sciita, presenta differenze notevoli nelle scuole di pensiero teologiche, filosofiche e giuridiche. Inoltre, il ricco tessuto della pietà popolare - senza escludere lo sviluppo del misticismo all'interno dell'islam (sufismo) - porta come risultato a una comunità religiosa tutt'altro che omogenea. La storia, le strutture politiche, la composizione delle minoranze e delle maggioranze nelle comunità religiose, sono tutti fattori che devono avere la loro parte in ogni tentativo di capire l'islam in ogni particolare contesto.

Peraltro, mentre l'islam non è piú uniforme del cristianesimo, ci sono forti convinzioni comuni affermate da tutti i musulmani. La credenza islamica trae origine dalla convinzione fondamentale che Dio è la sorgente di tutta la vita e di tutto ciò che esiste. Tradizionalmente, i musulmani chiamano Dio con 99 Bei Nomi, che descrivono particolari qualità e attributi di Dio. Tutti sono importanti, ma quattro in particolare sono centrali nel pensiero musulmano, cioè che Dio è l'Uno, il Sovrano, il Clemente e il Misericordioso.

La fede nell'unicità di Dio porta al rifiuto da parte dell'islam di ogni concetto di pluralità in Dio e a respingere con violenza l'idea di onorare come divino qualcuno o qualcosa all'infuori di Dio. La sovranità di Dio implica l'assoluta signoria di Dio sulla creazione (visibile e invisibile - n.d.t.) «come pure l'onnipotenza e l'onniscienza di Dio». La sovranità di Dio comprende tutto. Il fatto che Dio è clemente significa che Dio desidera che l'essere umano che Dio ha stabilito come rappresentante di Dio (Khalifah) sulla terra conosca e compia la volontà di Dio. Poiché Dio è misericordioso Dio ha garantito, mandando una serie di messaggeri, che tutte le persone conoscano la volontà di Dio. Cosí l'islam insegna che fin dall'inizio della storia Dio ha rivelato la volontà di Dio all'umanità.

I profeti, molti dei quali sono le grandi figure della Bibbia - Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Davide, Giovanni Battista e Gesú figlio della vergine Maria - hanno portato essenzialmente lo stesso messaggio. Alla fine, Dio ha mandato Maometto come l'ultimo profeta di Dio, come conferma e convalida dei messaggi di tutti i profeti precedenti, e affidandogli il Corano, la rivelazione letterale, completa e perfetta del messaggio e della volontà di Dio. Di conseguenza, l'islam sostiene di essere al tempo stesso universale e particolare. Ogni bambino nato nel mondo è per natura un «musulmano», poiché l'islam viene ritenuto la religione primordiale e naturale di tutti. Nel Corano, figure come Abramo, Gesú e i suoi discepoli, che sono vissuti prima di Maometto, sono chiamati «musulmani». In questo senso, «musulmano» è colui che si abbandona completamente ad accettare e a compiere la volontà di Dio, in contrasto con l'uso normale del termine, in riferimento a un membro della comunità islamica.

Il messaggio islamico è rivolto a tutti gli esseri umani. L'islam chiama tutte le persone a riconoscere il Corano come la rivelazione finale di Dio e a riconoscere l'importanza della vita di Maometto come fonte esemplare di guida (cf. Corano 33,21). Dai primi tempi, i fedeli musulmani hanno cercato di conservare le parole e le azioni del loro profeta (Hadith).

Basandosi sull'affermazione coranica che Dio non ha mai lasciato nessun popolo senza un profeta, molti musulmani riconoscono una certa validità alle altre religioni. Normalmente, i musulmani considerano che sia piú desiderabile essere musulmani, ma confermano l'affermazione coranica che «non ci sarà nessuna costrizione nelle questioni religiose» (Corano 2,256) e che le persone di fede dovrebbero «competere l'una con l'altra nelle buone opere», confidando nel fatto che alla fine Dio misericordioso e clemente ci dirà la verità «su quello su cui siete stati discordi» (Corano 5,48). Il Corano afferma anche che i cristiani e gli ebrei adorano lo stesso Dio che adorano i musulmani (cf. Corano 29,46). Di fatto ci sono molti riferimenti espliciti nel Corano agli ebrei e ai cristiani che, con i sabei, sono chiamati «la gente del libro». Alcuni riferimenti formulano giudizi negativi, ma parecchi formano la base della tradizionale idea islamica che non occorre che «la gente del libro» abbracci l'islam.

Ci sono molti punti di convergenza tra le credenze cristiane e quelle islamiche «entrambe intendono Dio come creatore e provvidente, clemente e misericordioso, un Dio che rivela la parola di Dio e che chiamerà ognuno a rendere conto di come ha amministrato il creato». Anche la comune venerazione per Abramo può essere un fattore significativo nei rapporti tra cristiani e musulmani. Entrambe le comunità di fede sottolineano la centralità della preghiera e condividono valori e ideali comuni, per esempio il sostegno alla giustizia nella società, l'aiuto alle persone nel bisogno, la carità verso il prossimo e il vivere insieme in pace. Sia i musulmani sia i cristiani spesso non riconoscono questi punti di convergenza perché tendono a vedere se stessi in termini ideali e l'altro come è in realtà.

Comunque, ci sono anche differenze reali e sostanziali tra l'insegnamento cristiano e quello islamico «molte delle quali derivano direttamente o indirettamente dalle nostre rispettive scritture». Per esempio, i musulmani spesso identificano la fede cristiana nella Trinità col triteismo. I musulmani rifiutano il concetto che Dio possa generare e quindi condannano la fede cristiana nella divina figliolanza di Gesú. Pur rappresentando Gesú come uno dei piú grandi, perfino unico tra i messaggeri di Dio, l'interpretazione piú diffusa nel Corano è quella che nega la sua crocifissione e risurrezione. Numerosi passi mettono in guardia contro tali insegnamenti, che sono giudicati compromettenti per l'unità di Dio (tawhid). Viceversa, poiché il Vangelo ha preceduto cronologicamente il Corano, i cristiani difficilmente accettano l'islam come religione divinamente rivelata. Effettivamente, mentre nel pensiero cristiano Dio ha rivelato se stesso definitivamente in Cristo che, nel nostro pensiero, è vivo e attivo, e mette costantemente alla prova e cambia anche le nostre opinioni nell'islam la completa rivelazione di Dio è data nel Corano, che è immutabile. Per i musulmani, i principi della fede non possono essere alterati o cambiati perché non vengono considerati tentativi umani di articolare la verità divinamente rivelata, ma dati direttamente da Dio. Di conseguenza, i musulmani possono considerare gli sviluppi della teologia cristiana come compromettenti la verità rivelata. Ciò può essere problematico per la conduzione del dialogo tra cristiani e musulmani, soprattutto perché molti musulmani ritengono che i cristiani abbiano alterato le loro scritture per giustificare la dottrina trinitaria e la divina figliolanza di Gesú.

I musulmani sono anche contrari al proselitismo cristiano all'interno della loro comunità. Benché l'islam stesso sia impegnato nella da'wah (missione), i musulmani tradizionalmente non hanno cercato di persuadere «la gente del libro» ad abbracciare l'islam. I cristiani, poiché credono che l'attività missionaria sia parte integrante della sequela cristiana, non hanno escluso nessuno dall'invito a seguire Cristo. Comunque, un'analisi dei tentativi cristiani di convertire i musulmani rivela una lunga storia di discussioni, polemiche e dibattiti che hanno portato ben poco frutto. Tale discussione «per esempio sul fatto se Gesú fosse o no di natura divina» è generalmente inutile. Noi consigliamo piuttosto che i cristiani studino nuovi modi di testimoniare Cristo in parole e opere, per esempio vivendo alla maniera di Cristo e dimostrando che il cristianesimo ha a cuore, come l'islam, la vita nella sua interezza.

Nel capitolo seguente abbiamo colto, tra una serie di preoccupazioni, alcuni problemi che sono di particolare importanza e che dovrebbero venire discussi con franchezza dai cristiani e dai musulmani perché possano vivere insieme ognuno come il prossimo dell'altro.

 

 

III. Alcuni problemi nei rapporti tra cristiani e musulmani

Una delle caratteristiche distintive della società moderna è il suo carattere pluralistico. Nessuna società al mondo d'oggi è omogenea, sia essa tradizionale o tecnologicamente avanzata. Ovunque troviamo gruppi sociali composti di persone che vengono da esperienze diverse, in termini di lingua, cultura, origine etnica, classe socio-economica, razza e religione.

La sfida che sta di fronte a tutti questi gruppi oggi è come vivere insieme in modo che l'identità e i valori umani e religiosi di ciascun gruppo ricevano la libertà e il rispetto dovuti, e come essi possano apportare il loro contributo appropriato al benessere della comunità intera e della nazione nel suo insieme.

In alcuni casi, un gruppo è in maggioranza numerica e gli altri costituiscono delle minoranze numeriche. Sarebbe un errore, comunque, considerare le relazioni reciproche tra gruppi solo sulla base della loro forza numerica. Altri fattori, come l'accesso al potere politico, la forza economica o l'influenza sociale, incidono sull'interazione positiva o negativa tra i vari gruppi. In alcuni paesi, può essere che una minoranza domini il sistema politico, mentre un'altra controlla il campo economico.

Il fatto che un gruppo minoritario abbia lo status di «nuovi venuti», «stranieri», «lavoratori ospiti» o «residenti esteri» spesso ha forti ripercussioni sul loro rapporto con la società ospitante. In alcuni paesi gli abitanti originari sono stati ridotti a una minoranza di «indigeni».

In questa sede limitiamo la nostra osservazione alla interazione tra gruppi religiosi, in modo particolare ai rapporti tra cristiani e musulmani. Questo non è il luogo per trattare nei dettagli la miriade di situazioni in cui cristiani e musulmani vivono insieme. Piuttosto, stiamo offrendo delle considerazioni su alcuni dei problemi che sorgono quando i cristiani vivono in società a predominio islamico o quando i musulmani vivono in regioni tradizionalmente cristiane.

 

1. In molte società secolarizzate in cui il cristianesimo ha storicamente formato l'identità collettiva e rimane culturalmente influente i musulmani sono messi di fronte alla scelta tra integrazione e auto-affermazione. Molti affermano con decisione i loro diritti umani contro tutte le forme di razzismo e xenofobia, chiedono una maggiore partecipazione alla vita pubblica e cercano, al tempo stesso, il riconoscimento delle loro particolarità come singoli e come comunità.

Conciliare tutte queste richieste non è sempre facile. Ciò è dimostrato dall'opposizione che essi talvolta esprimono contro qualche legge civile che infrangerebbe i loro diritti di praticare le loro tradizioni e di educare i loro figli come musulmani.

 

2. In un certo numero di paesi in cui i musulmani costituiscono la maggioranza, ci sono movimenti politici e capi religiosi e intellettuali che chiedono l'applicazione della legge islamica (sharia), vista come criterio di legittimità del governo. Questa richiesta genera timore in molti cristiani, che non possono accettare di essere messi nella posizione di forestieri o cittadini di serie B nelle loro stesse nazioni. Quindi la loro preoccupazione primaria riguarda le implicazioni dell'applicazione della sharia sui loro diritti religiosi, civili e politici. I cristiani spesso lamentano che la sharia, anche quando protegge la libertà del culto e delle pratiche cristiane e garantisce loro il diritto ad avere la propria legge personale, porta inevitabilmente all'emarginazione. La preoccupazione dei cristiani è a volte contrassegnata dal fatto di dare un'importanza esagerata alle prescrizioni della legge penale.

 

3. I sostenitori dell'attuazione della sharia e i suoi oppositori, peraltro, non formano gruppi monolitici. Il dialogo tra loro è possibile. Ci sono incomprensioni, incertezze e divergenze da entrambe le parti. In questo contesto, le questioni principali sono già state discusse e richiedono un ulteriore esame. Tra questi problemi troviamo:

a) il rapporto tra principi o scopi (maqasid) della sharia e le sue applicazioni o prescrizioni;

b) il carattere storico dei sistemi legali;

c) l'interpretazione dei precetti della sharia dal punto di vista del bisogno (darura) o dell'interesse (maslaha) della comunità.

 

4. Il concetto, ancora diffuso in molti ambienti cristiani, che la comunità islamica non riesce a operare una distinzione di fatto tra potere politico e autorità religiosa non è sostenuto da un attento esame. Neppure al cristianesimo possiamo attribuire l'affermazione che la religione è un affare interamente spirituale e privato. In due diversi modi, il cristianesimo e l'islamismo portano testimonianza al fatto che le verità della rivelazione illuminano e guidano il coinvolgimento dei rispettivi seguaci nella vita sociale, economica e politica. Gli ambiti della società e dello stato non si possono tenere interamente isolati dalla fede religiosa.

Il problema dei complessi rapporti tra la religione (din), il mondo (dunya) e lo stato (dawla) richiede un maggior dialogo, soprattutto tra i cristiani e i musulmani che vivono insieme nella stessa società.

Uno degli obiettivi principali del dialogo è la ricerca comune di un modello realizzabile di società e di cooperazione nel costruire una comunità veramente umana che garantisca l'uguaglianza per tutti, salvaguardi le libertà religiose e rispetti le differenze e le particolarità.

 

5. Nel contesto del pluralismo religioso, radicato in una lunga storia o sperimentato in tempi piú recenti, i matrimoni tra persone di fedi diverse possono fornire opportunità uniche alla comprensione interreligiosa; essi possono anche sollevare molte difficoltà.

I coniugi che vengono da diverse tradizioni di fede portano i doni spirituali loro caratteristici alla loro vita insieme, e quando questi vengono condivisi in uno spirito di mutuo rispetto, arricchiscono, non solo dal punto di vista religioso, la vita della famiglia.

Ci sono tuttavia differenze tra cristiani e musulmani nella loro visione del matrimonio, delle sue implicazioni legali e del modo in cui influisce sul rapporto tra genitori e figli. Tali differenze tendono ad aggravare i problemi sociali e culturali che possono sorgere tra coniugi di fedi diverse.

I principi coranici proteggono le donne, assicurano loro la libertà e le rispettano come mogli. Eppure i cristiani, soprattutto le donne, sono inclini a criticare le pratiche tradizionali, nonché quelle che appaiono loro come prescrizioni discriminanti nella legge personale islamica, per esempio nei casi di divorzio e custodia dei bambini. Ci sono anche cristiani che trovano difficile capire le restrizioni imposte dalla legge islamica ai matrimoni tra persone di fedi diverse. Viene anche evidenziato che i diritti degli sposi cristiani a professare liberamente la loro religione, garantiti dalla legge islamica, non sempre vengono rispettati. Ai cristiani e ai musulmani in dialogo rimangono queste tre sfide:

1. riaffermare i valori personali e familiari portati avanti dalle loro rispettive religioni;

2. sviluppare una consapevolezza comune delle potenzialità e delle limitazioni dei matrimoni tra persone di fedi diverse;

3. impegnare le loro comunità, famiglie e coppie legate da matrimoni interreligiosi a collaborare gli uni con gli altri nell'affrontare sul piano pastorale le problematiche sociali e legali sperimentate nelle situazioni specifiche.

 

6. Un'altra causa frequente di tensione tra cristiani e musulmani sorge dal fatto che sia l'islam sia il cristianesimo sono religioni che tendono al da'wah o missione; entrambe credono di dovere, per vocazione divina, invitare altri a unirsi alle loro rispettive fedi. Nel loro zelo di diffondere le proprie fedi e di portare altri alla conoscenza e al culto di Dio, essi dovrebbero cercare di esercitare la loro missione o da'wah con modalità che rispettino la libertà e la dignità delle persone e mantengano l'armonia tra le comunità.

I musulmani spesso sospettano che le attività educative, mediche e filantropiche cristiane, soprattutto tra i musulmani poveri, nascondano il secondo fine del proselitismo. Ma la diaconia è una forma di testimonianza che ha la sua propria completezza. Quindi, i cristiani sono costantemente chiamati a preservare quella completezza e a mostrarsi impegnati in un servizio disinteressato e caritatevole. Il nostro ministero di testimonianza tra persone di altre fedi presuppone la nostra presenza insieme a loro, sensibilità ai loro piú profondi impegni ed esperienze di fede, volontà di essere loro servitori per amore di Cristo, affermazione di ciò che Dio ha fatto e sta facendo tra loro e amore per loro. Poiché il mistero di Dio in Cristo sorpassa la nostra intelligenza e poiché la nostra conoscenza del potere salvifico di Dio è imperfetta, noi cristiani siamo chiamati a essere testimoni per gli altri, non loro giudici. Noi affermiamo anche che è possibile essere non-aggressivi e missionari al tempo stesso: è questo, in realtà, l'unico modo di essere veramente missionari.

 

 

IV. Vivere e lavorare insieme

Cristiani e musulmani comprendono circa la metà della popolazione mondiale. La natura del rapporto tra queste due comunità è di considerevole significato per il bene dell'intera famiglia umana.

Significativamente, la pace si trova al centro sia del cristianesimo sia dell'islam. I cristiani chiamano Gesú il «Principe della pace». Nell'islam, «as-salaím» è uno dei novantanove piú bei nomi di Dio. Quando i musulmani si incontrano si salutano con «as-salaím 'alaikum» (la pace sia su di te). Di fronte alle gravi minacce che oggi sia l'umanità sia la terra stessa devono affrontare, è importante il contributo che queste due comunità di fede possono portare. Ci sono enormi possibilità di collaborazione tra queste comunità nel lavorare insieme per la giustizia sociale e razziale e per affrontare insieme la difficile situazione dei rifugiati, il problema della povertà, i problemi dello sviluppo e preoccupazioni analoghe.

Nelle comunità in cui vivono, cristiani e musulmani possono anche condividere visioni spirituali, talvolta prendersi per mano di fronte a minacce comuni o nel combattere insieme per raggiungere obiettivi sociali e politici che condividono. Ci sono luoghi del mondo oggi in cui un tale interscambio è parte dell'esperienza quotidiana di cristiani e musulmani. In questi scambi ciascuno approfondisce la propria esperienza del Dio che adora e scopre risorse vive che lo aiutano a diventare piú umano, piú sensibile ai bisogni degli altri e piú obbediente alla volontà di Dio per tutto il creato, evidenziando lo scopo per cui Dio ha creato l'umanità. Alla fine, questo scambio e questa trasformazione reciproca potrebbero portare all'arricchimento dell'intera famiglia umana.

 

Ginevra, 1991

 

 

Queste considerazioni ecumeniche sono prodotte dalla Sotto-unità per il dialogo del Consiglio ecumenico delle chiese perché vengano utilizzate e discusse nelle chiese e al loro esterno. Sono graditi commenti finalizzati alla ricezione di queste considerazioni ecumeniche da parte del Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle chiese: Dialogue Sub-unit, WCC, P.O. Box 2100, 1211 Ginevra 2, Switzerland. Fax (022) 791.03.61.

 

 

 

 

 

 

 Cfr. Enchiridion Oecumenicum - Suppl. Dialoghi ecumenici (1984-1992), 1681-1693.