Queste riflessioni prendono lo spunto da una critica di un noto giornalista, Rino Cammilleri, circa il sacramento della confessione (www.rinocammilleri.com - 29 agosto 2010). Si tratta di un rilievo molto schietto e concreto che tuttavia può avere un valore ben maggiore di un dotto discorso teorico, soprattutto per chi, questo sacramento, lo amministra. È di importanza vitale che il clero ascolti i fedeli, anche se talora questo comporta delle critiche vivaci, purché sincere e costruttive. Ecco la testimonianza che in realtà potrebbe appartenere a qualsiasi fedele, laico o chierico che sia:

«Vorrei confessarmi, vado in chiesa. I due confessionali sono vuoti, il prete sta confessando un’attempata signora seduto con lei su uno dei banchi. La signora parla concitata, il prete ascolta. Si sente praticamente tutto. I fedeli fanno finta di nulla. Sto a debita distanza. Dopo un quarto d’ora, a gesti faccio capire che vorrei confessarmi anch’io. Il prete annuisce. Dopo mezz’ora la confessione non è ancora finita, cosí prendo e me ne vado. Alcuni giorni dopo, entro in una chiesa milanese dove, da tal ora a tal altra, confessano. Lucetta rossa accesa, mi siedo e aspetto il mio turno. Il confessionale è una moderna cabina con la porta di vetro smerigliato. Intravedo una signora che parla. Attendo, anche qui, mezz’ora abbondante. Finalmente tocca a me, entro e mi trovo faccia a faccia col prete. Scarico l’elenco e in tre minuti sono fuori. Ora, io sono una persona conosciuta nell’ambiente ecclesiale e non mi va di raccontare le mie miserie a un prete col quale potrei trovarmi, in seguito, a dover polemizzare per motivi professionali. Dunque, avrei necessità della grata interposta tra il mio viso e quello del confessore. Si chiama privacy, l’aveva inventata la Chiesa ma vi ha rinunciato e oggi la usa solo Rodotà. L’Anno Sacerdotale è trascorso, tuttavia il Papa, nelle sue esortazioni alla pratica della confessione sacramentale, non ha tenuto conto del moderno arredo. Né dell’imbecillità di certo clero. È quest’ultimo, infatti, a scoraggiare il ricorso alla confessione in quei pochi che, in tempi di scristianizzazione, vorrebbero ritornarvi».

Quali brevi considerazioni giuridiche e pastorali possiamo trarre da questo testo?

Il Codice di Diritto Canonico del 1917 trattava questa materia nei cann. 908 - 910. Il testo latino recita:

 

Can. 908. Sacramentalis confessionis proprius locus est ecclesia vel oratorium publicum aut semipublicum.

Can. 909. §1. Sedes confessionalis ad audiendas mulierum confessiones semper collocetur in loco patenti et conspicuo, et generatim in ecclesia vel oratorio publico aut semi-publico mulieribus destinato.

§2. Sedes confessionalis crate fixa ac tenuiter perforata inter poenitentem et confessarium sit instructa.

Can. 910. §1. Feminarum confessiones extra sedem confessionalem ne audiantur, nisi ex causa infirmitatis aliave verae necessitatis et adhibitis cautelis quas Ordinarius loci opportunas iudicaverit.

§2. Confessiones virorum etiam in aedibus privatis excipere licet.

 

La normativa piano-benedettina stabiliva che il luogo proprio della confessione sacramentale fosse la chiesa o l’oratorio pubblico o semi-pubblico (can. 908). Il Codice trattava in maniera differente la confessione degli uomini da quella delle donne. Queste ultime dovevano confessarsi in un luogo patenti et conspicuo, ossia in un luogo ben visibile (e di rilievo) all’interno di una chiesa o di un oratorio destinato al pubblico (can. 909 §1). Lo stesso canone, nel §2, stabiliva la presenza nella sede confessionale di una grata fissa e tenuiter perforata, ossia finemente traforata, fra il penitente e il confessore. Pare dunque che l’uso della grata fosse previsto obbligatoriamente solo per le confessioni delle donne. Anche il can. 910, nel §1, riguardava le donne e stabiliva che le loro confessioni non potessero essere ascoltate al di fuori del confessionale, eccetto che in caso di malattia o di vera necessità, ma con le opportune cautele stabilite dall’Ordinario del luogo.

Le confessioni degli uomini venivano trattate solo nel §2 dello stesso canone: esse potevano essere ascoltate anche nelle private abitazioni. Pare evidente nel legislatore la volontà di evitare ogni possibile fonte di scandalo nell’amministrazione del sacramento della penitenza. Data l’obbligatorietà della grata, per le confessioni delle donne, non potevano esserci confessionali sprovvisti della stessa, a meno che non fossero riservati ai soli uomini.

Dunque la preoccupazione di evitare ogni possibile scandalo pare prevalente rispetto al problema della riservatezza o - come diremmo oggi - della privacy. Questo non significa affatto che il problema non fosse sentito, molto semplicemente i fedeli di sesso maschile potevano accedere piú facilmente al sacramento della confessione, non essendoci rischio alcuno di scandalo. Ciò è confermato anche dal fatto che in passato i confessionali (in senso stretto) privi della grata erano pressoché inesistenti.

Venendo ai giorni nostri, il Codice di Diritto Canonico del 1983 tratta questa materia nel solo canone 964 e, pur mitigando le differenze di trattamento fra i due sessi, riafferma sostanzialmente la normativa codiciale del 1917. Di seguito il testo latino e, per comodità del lettore, il testo italiano:

 

Can. 964 §1. Ad sacramentales confessiones excipiendas locus proprius est ecclesia aut oratorium.

§2. Ad sedem confessionalem quod attinet, normae ab Episcoporum conferentia statuantur, cauto tamen ut semper habeantur in loco patenti sedes confessionales crate fixa inter paenitentem et confessarium instructae, quibus libere uti possint fideles, qui id desiderent.

§3. Confessiones extra sedem confessionalem ne excipiantur, nisi iusta de causa.

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Can. 964 - § 1. Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa o l’oratorio.

§ 2. Per quanto riguarda la sede per le confessioni, la Conferenza Episcopale stabilisca delle norme opportune, garantendo tuttavia che vi siano sempre, in un luogo ben visibile dei confessionali muniti di grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano servirsene liberamente.

§ 3. Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa.

 

Nel Codice del 1983 si riafferma il principio che le confessioni devono essere ascoltate in un luogo opportuno (locus proprius), identificato nella chiesa o nell’oratorio (cfr. Communicationes (1978), 68-69 (can. 157)). Il canone conferma, anzi rafforza ed estende, senza distinguere fra uomini e donne, l’esigenza di una sede confessionale munita di grata fissa (crate fixa). Non si parla più di abitazioni private. Da notare l’elemento costante della grata fissa, dunque assolutamente "non amovibile", difforme invece in numerosi confessionali odierni. Il canone 964 prevede che le conferenze dei vescovi possano emanare norme opportune, anche tenendo conto degli usi e dei costumi dei vari luoghi; nessuna normativa locale però può abolire il confessionale provvisto di grata fissa. Nel caso della Conferenza Episcopale italiana, con la deliberazione del 18 aprile 1985, in vigore dal maggio 1985, viene sostanzialmente confermato il disposto del can. 964; viene inoltre confermata esplicitamente la disposizione inerente la grata fissa. La Conferenza Episcopale consente anche l’uso di altre sedi, purché siano situate in luogo proprio (chiesa, oratorio o relative pertinenze), siano decorose e consentano la retta celebrazione del sacramento (cfr. ECEI, III, 1318-1319, n. 2285). Ancora una volta dunque non si parla in alcun modo di grate amovibili, cosí frequenti in molti degli odierni pessimi confessionali, spesso inutili ed inutilizzabili.

Pessimi, perché non di rado non sono rispondenti alle norme canoniche. Inutili, perché spesso la grata viene collocata o costruita in modo tale da non occultare affatto il volto del penitente. Inutilizzabili nel senso che, anche quando la grata è ben collocata e strutturata, essendo amovibile, viene lasciata aperta, sicché il penitente, entrando nel confessionale si trova subito faccia a faccia con il confessore, con buona pace del suo diritto alla riservatezza. Ma accade anche di peggio. Talvolta, anche quando la grata è chiusa, è proprio il confessore ad aprirla. Stando così le cose occorre chiedere: dov’è il rispetto del penitente e della sua riservatezza? È chiaro che si tratta di comportamenti del tutto censurabili, anche perché è proprio vero che molti fedeli, com’è comprensibile, hanno difficoltà a confessarsi vis a vis, soprattutto se si tratta di persone note o comunque in vista nella comunità locale.

Quello che viene esercitato nei confronti dei penitenti, non solo laici ma anche chierici (poiché questi ultimi sono oggetto del medesimo trattamento, anche piú dei fedeli laici) costituisce un autentico abuso, non giustificabile da alcuna pretesa consuetudine (Nec vim legis obtinere potest consuetudo contra aut praeter ius canonicum (Can. 24 §2 CIC 1983)). Spesso solo nelle grandi città è possibile trovare delle sedi confessionali ben predisposte dove viene doverosamente garantita anche la privacy dei penitenti, ossia un loro diritto sacrosanto, riconosciuto e tutelato dalla Chiesa, oggi più che mai, proprio dalla disciplina canonica.

Il §3 del canone 964 conferma, se ce ne fosse bisogno, questo principio: non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa. Non è in facoltà del confessore escludere l’uso del confessionale, a meno che non vi sia appunto una giusta causa che esima da questo obbligo. Quali possono essere queste cause? Alcune sono ovvie, basti pensare alle confessioni di malati o di anziani o invalidi che non possono recarsi agevolmente in chiesa. Un cappellano militare a bordo di una unità da guerra o in zona operativa ben difficilmente potrà avere un “confessionale con grata fissa”, ciò non toglie che l’ingegno possa trovare delle soluzioni pratiche anche nelle situazioni piú difficili. È chiaro che il personale militare o civile che opera in situazioni estreme è chiamato anche a rinunce che nella vita civile non sarebbero facilmente accettabili. Altre cause poi sono meno ovvie, come per esempio le confessioni di persone che, per esigenze di direzione spirituale, necessitano di un tempo tale da rendere eccessiva l’attesa agli altri penitenti: meglio seguire queste persone in luoghi e/o tempi a parte, piuttosto che costringere inutilmente i fedeli ad esercizi di pazienza che a volte rasentano l’eroismo.

Paradossalmente, un’altra esimente dall’uso del confessionale potrebbe essere data proprio dalla privacy, specie in ambienti e situazioni del tutto particolari. Con le moderne tecnologie piazzare delle microspie all’interno di un confessionale, specie in una chiesa aperta al pubblico, è diventato un gioco da ragazzi (si può prendere l’espressione anche alla lettera - Vedasi il documento relativo alle pene previste per chi divulga le confessioni). Questo è il motivo per cui, anche in presenza di un minimo sospetto, un parroco o un rettore farebbero bene a chiedere l’intervento di personale specializzato per una periodica bonifica dei luoghi piú sensibili, ossia di tutti i luoghi dove si ricevono i fedeli per le confessioni e i colloqui. Inutile dire che il personale specializzato che deve eseguire la bonifica va scelto e seguito con particolare attenzione, in caso contrario il rimedio potrebbe essere peggiore del male! Nel caso particolare in cui non sia possibile eseguire una bonifica periodica o non ci sia il tempo per farla, sarà prudente ascoltare le confessioni o i colloqui da tutt'altra parte, proprio nell’interesse del penitente e della sua riservatezza, soprattutto se, a causa della sua posizione personale e/o professionale, egli è particolarmente esposto a questo genere di rischi.

 

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Al termine di questa breve disamina vien da chiedersi quale sia la radice di questi abusi. Le risposte purtroppo non possono essere che: ignoranza, presunzione e approssimazione.

Ignoranza, perché non sempre nei seminari, negli istituti religiosi e nelle facoltà teologiche la disciplina canonica e liturgica viene correttamente e integralmente insegnata. Oggi, soprattutto il diritto canonico, viene considerato da molti alla stregua di una disciplina inutile, perfino contraria al Vangelo o desueta; in realtà si tratta di un’opinione che trova la sua origine nella visione ideologica, decisamente "non cattolica", che contrappone artificiosamente carisma e istituzione, ortodossia e ortoprassi, in una sorta di dualismo tanto falso quanto deleterio.

Ignoranza e presunzione, anche perché non mancano pastori che ritengono che la grata sia solo una forma di protezione del confessore alle prime armi e non ciò che è veramente, una forma sacrosanta di tutela della riservatezza del penitente. È dire che il Codice di Diritto Canonico in questa materia, come abbiamo visto, è molto chiaro.

Approssimazione, perché non di rado si amministra il sacramento della penitenza senza un’adeguata, seria preparazione, prossima e remota, che richiede:

1) la preghiera costante,

2) lo studio/ripasso continuo delle discipline teologiche, morali e canoniche, non esclusa un minimo di casistica e di psicologia pratica,

3) il rispetto delle prescrizioni liturgiche, a volte fin troppo trascurate.

Il ministero della riconciliazione è una "res" terribilmente seria e non può essere oggetto di improvvisazione.

Senza queste premesse, nessun confessore potrà mai essere all’altezza, neppure minimamente, di amministrare un sacramento cosí grande da superare qualsiasi capacità umana; senza di esse si rischia di trasformare l’incontro con la misericordia di Dio in una pratica gravosa e perfino odiosa ostacolando l’opera della Grazia.

La strada per riportare questo meraviglioso e inestimabile dono, che è il sacramento della penitenza, nella prassi e nel cuore dei fedeli passa - e occorre ribadirlo con forza - anche dal rispetto assoluto della riservatezza del penitente. In caso contrario il clero dovrà accettare sempre piú le giuste rimostranze di quei fedeli che hanno il coraggio di dire apertamente:

«...si chiama privacy, l’aveva inventata la Chiesa ma vi ha rinunciato e oggi la usa solo Rodotà. L’Anno Sacerdotale è trascorso, tuttavia il Papa, nelle sue esortazioni alla pratica della confessione sacramentale, non ha tenuto conto del moderno arredo. Né dell’imbecillità di certo clero. È quest’ultimo, infatti, a scoraggiare il ricorso alla confessione in quei pochi che, in tempi di scristianizzazione, vorrebbero ritornarvi».

 

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