IL PERSONAGGIO RAHNER

di p. Giovanni Cavalcoli O.P.

 

 

 Testo P. Cavalcoli

 

 

[Articolo inserito per gentile concessione dell’Autore]

 

 

 

 

 

Come è noto, una delle questioni piú importanti, per non dire drammatica, della Chiesa di oggi - questione che si trascina dalla fine del Concilio Vaticano II - è quella della retta interpretazione e quindi della giusta applicazione del medesimo Concilio. Gli ultimi Pontefici, sino a Benedetto XVI, sono intervenuti piú volte e in vari modi su questo argomento lamentando cattive interpretazioni ed esortando ad interpretare il Concilio in conformità a quel medesimo Magistero della Chiesa che è alla base delle sue dottrine [1].

La Congregazione per la Dottrina della Fede è stata obbligata in questi decenni a intervenire piú volte per correggere gravi errori di teologi, i quali pretendevano di avallare tali errori in nome del Concilio. Nonostante tutti questi avvertimenti ed indicazioni sia da parte del Magistero che di numerosi autorevoli teologi e pensatori veramente fedeli alla Chiesa e alla Tradizione, a partire dall’immediato postconcilio è diventato sempre piú influente un movimento cosiddetto “progressista”, o altrimenti definito, il quale ha preteso e pretende di essere il vero interprete, continuatore e all’occorrenza correttore delle dottrine conciliari.

Ma tale movimento, nonostante la sua pretesa di presentarsi come una novità suggerita dallo Spirito Santo e dalla piú avanzata critica teologica e biblica, in realtà si è rivelato sempre di piú - al di là di qualche elemento valido - una riedizione aggiornata e peggiorata di quel modernismo che a suo tempo fu smascherato e condannato da San Pio X [2].

Come pure è noto, sin dall’immediato postconcilio sorse un altro movimento, opposto al primo, al quale parve e pare di vedere in certe dottrine del Concilio un mutamento o tradimento di alcune concezioni tradizionali. Tale movimento stenta a vedere nel Concilio un esimio testimone della Tradizione, per cui lo interpreta quasi che il Concilio abbia mutato la Tradizione.

D’altra parte, anche agli occhi degli studiosi piú sereni ed obbiettivi, totalmente fedeli alla Chiesa, appare ormai chiaro che effettivamente il linguaggio del Concilio, che si è sforzato di tenere un tono modernamente pastorale, manca a volte, su punti importanti di dottrina, della desiderata chiarezza ed univocità, prestandosi ad interpretazioni che possono favorire visioni modernistiche o non autenticamente cattoliche e tradizionali. Ma è sempre stata cura del Magistero postconciliare chiarire equivoci e fornire la retta interpretazione, escludendo quella sbagliata.

Nonostante questo, i modernisti non si sono affatto arrestati, ma approfittando dell’eccessiva indulgenza di alcuni pastori, hanno perseverato ed anzi hanno esteso il loro influsso anche in certi ambienti della Gerarchia, tanto che oggi, in casi estremi, coloro che rischiano l’emarginazione non sono gli eretici, ma gli ortodossi.

Da lungo tempo la Santa Sede si trova in una situazione che potremmo definire quasi angosciante (pensiamo soprattutto alla sofferenza di Paolo VI): se essa non interviene, la confusione aumenta e le anime si perdono; se interviene, viene messa alla berlina e resta vittima di una reazione da parte delle forze congiunte dei modernisti ed in generale delle forze anticristiane ed antireligiose.

Il Pontefice attuale ha adottato uno stile morbido, sobrio e allusivo, ma che al contempo, per chi ha orecchi da intendere, prosegue nella linea dei Pontefici precedenti, pronunciando all’occasione opportuni e forti richiami. Sarà sufficiente questa condotta a indurre nei modernisti un ripensamento? Non sarebbe meglio entrare piú nel merito delle gravissime questioni dottrinali che oggi mettono a repentaglio la salvezza delle anime, creano delle false illusioni, lacerano l’unità della Chiesa, falsificano o annacquano il cristianesimo ottenendo false conversioni, rendendone inefficace la testimonianza e frenandone l’espansione, e fanno divertire i suoi nemici, per cui oggi il cattolico cosciente deve dire con dolore insieme col Salmista: “I nostri nemici ridono di noi” (Sal 80,7)?

Non c’è, ormai da qualche decennio, quasi un punto della dottrina cattolica che non sia contraddetto all’interno della Chiesa da parte di qualche personaggio famoso sedicente cattolico [3], senza che appaiano significativi interventi o da parte di teologi o dell’episcopato tesi a confutare o correggere seriamente e specificamente l’errore [4]. Bene che vada, la vita cristiana ha spesso perduto il suo carattere soprannaturale e specificamente cristiano, per ridursi a valori magari autentici, di solidarietà, di giustizia, di sensibilità politica, di virtú umane, ma che non distinguono piú il cristianesimo dalle prospettive valide di un sano laicismo, del liberalismo, dell’illuminismo o della massoneria. E anche quando si usa la terminologia o la pratica esteriore del cattolicesimo (il “soprannaturale”, la “grazia”, la “fede”, la “carità”, la “salvezza”, i “sacramenti”, la “Sacra Scrittura”, la “Messa”, la “Rivelazione”, la “Chiesa”, etc...), queste parole e queste pratiche sono svuotate del loro significato cristiano originale, e diventano simboli o metafore di un pensare e di un vivere puramente terreno e secolare.

Molti nel Popolo di Dio sono contenti di questo andazzo, che consente un cristianesimo comodo e in accordo (o, come si dice, “in dialogo”) col mondo, un cristianesimo che risparmia dallo sforzo di pensare in termini metafisici o di accettare dogmi indigesti per la ragione “moderna”, ed esime da comportamenti che sembrano impedirci di godere delle gioie della vita presente, dispensandoci dall’alimentare speranze ultraterrene dai contenuti mitologici e impensabili.

Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni.

Un pacifismo molle e un pluralismo relativista, la tranquilla associazione in un medesimo sistema di pensiero o di vita delle piú patenti contraddizioni, cosí da ottenere il consenso da parte dei poteri dominanti, appaiono piú desiderabili e convenienti che non l’esigenza limpida e lineare della verità e di fondare quindi la convivenza umana su valori certi, oggettivi e comuni. Ognuno viva come vuole: basta che non mi dia fastidio e che io possa salvare la pelle.

Come rimediare a questa situazione? Certamente ciò che ci unisce è ancora molto e molti sono i motivi di sperare. Una grande speranza per il nostro tempo doveva essere il Concilio, se non fosse stato falsificato dai modernisti. La nostra salvezza sta ancora e sempre nella sua retta interpretazione ed applicazione secondo le indicazioni della Chiesa postconciliare.

 

 

 

 Karl Rahner

Karl Rahner

 

Karl Rahner (Friburgo in Brisgovia, 5 marzo 1904 - Innsbruck, 30 marzo 1984) è stato un gesuita e teologo tedesco. Dopo aver conseguito la licenza liceale, entrò nell’ordine dei gesuiti nel 1922. Studiò in seguito filosofia e teologia a Feldkirch, Pullach, Valkenburg, Friburgo in Brisgovia e Innsbruck. Decisiva si rivelò, per la formazione di Rahner, la partecipazione ai seminari di Martin Heidegger negli anni 1934-1936. Nel 1939 Rahner ottenne la prima docenza a Vienna. Negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale svolse anche l’attività pastorale nella Bassa Baviera. Dopo il conflitto proseguí l’attività di docente quale insegnante di dogmatica alla scuola superiore dell’ordine a Pullach e successivamente presso l’Università di Innsbruck. Nel 1963 Papa Giovanni XXIII lo chiamò fra i teologi del Concilio Vaticano II, alla cui preparazione egli aveva già peraltro contribuito. Nel 1964 Rahner successe a Romano Guardini nella cattedra presso l’Università Ludwig Maximilian di Monaco. Le sue lezioni presso questa università sul tema “Introduzione al cristianesimo” fungeranno da base per la sua opera fondamentale apparsa nel 1975 con il titolo Grundkurs des Glaubens. Furono numerosi i suoi saggi ed articoli, in favore del pacifismo, del disarmo nucleare e della lotta contro lo sfruttamento dei popoli oppressi, anche a favore della teologia della liberazione. Dal 1967 al pensionamento, nel 1971, fu professore ordinario di dogmatica e storia del dogma presso la Westfälischen Wilhelms-Universität di Münster. Nel 1971 fu nominato, dalla Hochschule für Philosophie München, professore onorario per le questioni filosofiche e teologiche “di frontiera”. Nel 1981 si trasferí a Innsbruck, dove morí nel 1984.

 

 

 

 

Tuttavia la storia dei Concili e l’esperienza della fragilità umana ci insegnano che normalmente dopo ogni Concilio sorgono problemi legati a quel Concilio, benché questi non avesse intenzione di provocarli; ma l’esistenza di tali problemi giustifica la convocazione di un nuovo Concilio, il quale a sua volta porrà nuovi problemi che dovranno essere affrontati da un nuovo Concilio e cosí di seguito sino alla fine del mondo.

In genere si verifica un moto pendolare: per correggere l’errore da una parte si rischia l’errore opposto, finché poi un po’ per volta si raggiunge l’equilibrio, che però può di fatto esser messo di nuovo in discussione da interpretazioni ignoranti delle precedenti conquiste. Cosí ad esempio è avvenuto nella chiarificazione del dogma cristologico: da Nicea fino a Calcedonia assistiamo ad un gigantesco sforzo collettivo per conciliare ed equilibrare in Cristo l’umanità con la divinità nell’unità della persona, sino a giungere al dogma calcedonese, che però oggi è di nuovo messo in discussione non da teologi piú “moderni” e piú “avanzati”, ma da visioni retrograde rispetto a quelle dei Padri di Calcedonia, per cui si ripiomba negli equivoci e negli errori precalcedonesi.

Purtroppo uno di questi teologi, che è stato definito da qualcuno il “grande architetto della teologia del secolo XX”, messo quasi alla pari (se non oltre) di San Tommaso d’Aquino, teologo di fama mondiale da decenni e divenuto quasi un classico indiscusso della teologia “moderna”, è Karl Rahner.

Nessuno può mettere in dubbio i suoi grandi meriti: l’incredibile laboriosità, la molteplicità degli interessi, la genialità, il coraggio speculativo, la validità di certe sue analisi storiche, la denuncia di certi errori e limiti del passato, la bontà di certi suoi suggerimenti pastorali e di ipotesi interpretative, la giustezza di alcuni auspici e previsioni, l’ampiezza della sua cultura, la serietà della sua erudizione, un indubbio senso morale, la sensibilità spirituale, l’audacia e l’interesse di certe proposte e intuizioni, il vigore, la suggestione e la potenza dello stile, benché a volte pesante, oscuro e contorto, la quantità prodigiosa dei suoi scritti. Non per nulla, come tutti sanno, fu perito al Concilio. E tutto ciò dà indubbiamente una ragione della sua fama. Ma appunto questo fatto, sembra, è stato per lui - come del resto per altri illustri periti del Concilio - una sottile tentazione, alla quale non ha saputo resistere. La tentazione, cioè, di oltrepassare i limiti di semplice teologo consultore dei Vescovi, assumendo l’atteggiamento di consigliere dell’episcopato, salvo poi, nei suoi principi teologici, a scalzarne l’autorità e il primato di maestro della fede, e quindi per diventare egli stesso - alla maniera protestante - maestro e correttore di presunti errori del Magistero della Chiesa: soprattutto quelli, a suo dire, precedenti al Concilio. Nel contempo, si è fatto egli stesso interprete inappellabile del Concilio stesso, indipendentemente e contro l’interpretazione ufficiale del Magistero della Chiesa, mettendo quindi il Magistero preconciliare contro quello conciliare e postconciliare e spezzando la continuità di quello con questo [5].

La denuncia di questa operazione, fatta da Benedetto XVI in termini generici, colpisce certamente in Rahner uno dei suoi massimi artefici, se non proprio il massimo: il piú famoso, il piú pericoloso, il piú fascinoso, il piú influente [6].

Dico subito che l’intento di questo libro, come appare già dal titolo - che potrà turbare o scandalizzare qualcuno - non intende essere una presentazione complessiva del pensiero rahneriano, il quale, soprattutto nel primo periodo, quello preconciliare, è ricco di temi validi (che del resto gli hanno ottenuto di essere perito al Concilio). Dei meriti di Rahner, però, si è detto giustamente abbastanza. Ma si è detto però anche a sproposito. È giunto pertanto il momento di una presentazione complessiva dei suoi errori, dei quali molti nella Chiesa - in alto e in basso - ancora non si rendono conto o non vogliono rendersi conto o hanno paura di rendersi conto; anche perché non è sempre facile discernerli, tanto sono abilmente celati - ma non per questo meno pericolosi.

Illustri studiosi, peraltro, come il Lettore può vedere nella bibliografia alla fine del libro, da decenni hanno messo in luce questi errori - anche senza fare il nome del loro padre - ma finora non sono stati sufficientemente ascoltati dal Magistero, da quel Magistero del quale Rahner, fingendosi servitore, in realtà scalza le basi soprannaturali ed umane.

Diciamo dunque, in quest’ottica, che il pensiero rahneriano non si limita - col pretesto di un’interpretazione adatta alla cultura moderna - a proporre innovazioni, interpretazioni, correzioni o mutamenti su qualche punto della dottrina cattolica, ma pretende di proporre una nuova interpretazione ed esposizione generale e sistematica della dottrina della fede, che si riassume nel famoso Corso fondamentale sulla fede, che si potrebbe definire il programma dell’odierno modernismo, in chiara contrapposizione al Catechismo della Chiesa Cattolica.

Ad un attento confronto di entrambe le opere, ci si accorge che il Corso di Rahner e il Catechismo non sono due modalità semplicemente diverse di esporre la medesima dottrina cattolica, ma sono, per molti aspetti, due modalità contraddittorie, in modo tale che certe tesi rahneriane, alla luce del Catechismo, appaiono come vere e proprie eresie o errori prossimi all’eresia. Sarà compito di questo libro dimostrare questo grave assunto, proprio confrontando il Corso col Catechismo e in generale con la dottrina della Chiesa pre e postconciliare [7].

 

 

Il metodo di Rahner

La necessità di un serio confronto del pensiero cristiano con la cultura moderna ha cominciato a farsi impellente nella Chiesa sin dall’Ottocento, dopo il trauma della Rivoluzione francese, e dopo un lungo periodo di severa opposizione inaugurato col Concilio di Trento, a seguito della ferita e dell’offesa che la Chiesa ricevette dalla ribellione di Lutero.

Un grande e nobile tentativo di operare un fruttuoso confronto fu quello del Beato Antonio Rosmini. Ma tale tentativo, per quanto nobile e grandioso, ricco di valori, soprattutto nel campo della morale e della spiritualità, frutto di sincero amore per la Chiesa e per il Papa, è stato difettoso, nonostante le generose intenzioni dell’Autore, non sufficientemente formato nella tradizione scolastica (la quale era assai carente ai suoi tempi a seguito della soppressione napoleonica di molti istituti accademici ecclesiastici). Ancor piú difettosi - tanto che furono condannati dalla Chiesa - furono i successivi tentativi, fatti in Germania ad opera di Hermes, Günther e Frohschammer, di un confronto con l’hegelismo.

Mancava un punto di riferimento sicuro per operare il difficile discernimento. Esso fu proposto, come si sa, in San Tommaso d’Aquino da Papa Leone XIII, ma soltanto alla fine dell’Ottocento. In tal modo rinacque il discepolato tomista; restava sempre, però, il problema del confronto col pensiero moderno. Questo fu di nuovo tentato dai modernisti, i quali tuttavia, come era già accaduto nei tentativi precedenti, non utilizzarono un criterio di valutazione tomista, e neppure cattolico, ma si lasciarono influenzare dagli errori della modernità, tanto da cadere addirittura nell’eresia.

L’operazione fu ritentata, questa volta sulla base dei princípi di San Tommaso, e quindi con successo, da alcuni pensatori francesi degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, come il Sertillanges, il Gardeil, il Roland-Gosselin, il Maritain, il de Tonquédec, il de Lubac, il Daniélou, lo Jolivet e il Congar. Operazioni analoghe avvennero in Belgio, Spagna, Italia e Germania. In tal modo questi Autori precorsero le disposizioni del Concilio Vaticano II, il quale metteva tutto il peso dell’autorità della Chiesa nell’ordinare pressantemente - data l’indilazionabile urgenza della situazione - a filosofi e teologi cattolici di riavviare il confronto, valendosi dei princípi dell’Aquinate.

Nel frattempo era sorto un altro tentativo, quello della “théologie nouvelle” in Francia [8], esso pure però sconfessato da Pio XII, sempre a causa di un certo cedimento agli errori moderni. È in questi anni che comincia a lavorare in Germania Karl Rahner, al seguito dei gesuiti Pierre Rousselot e Joseph Maréchal, quest’ultimo dell’università cattolica di Lovanio, i quali - soprattutto il secondo - negli anni Venti avevano tentato un confronto fra Tommaso e Kant, che tuttavia cedeva all’idealismo kantiano. Rahner esordí alla fine degli anni Quaranta con un’interpretazione idealistica di Tommaso [9] che - sorprendentemente - non fu sconfessata dalla Chiesa. Ma, dopo la fine del Concilio Vaticano II, egli dichiarò apertamente qual era il suo vero maestro: Heidegger [10], del quale era stato discepolo. “Quanto al modo di pensare, quanto al coraggio di rimettere in discussione molte cose tradizionali ritenute ovvie [11], quanto allo sforzo di inserire nella teologia cristiana di oggi anche la filosofia moderna, qui ho appreso qualcosa da Heidegger e gliene sarò sempre grato” [12]. “Cosa deve dire uno scolaro di Martin Heidegger, […] di colui che egli […] venera come il suo maestro? […] Dev’egli confessare riconoscente con tutta semplicità e schiettezza di aver avuto certamente molti buoni maestri della parola orale, però di aver avuto soltanto uno che egli può venerare come il suo maestro, precisamente Martin Heidegger?” [13].

Rahner, dunque, che si atteggia come il grande interprete del Concilio e tale è considerato da molti, per il suo immenso lavoro non ha preso come maestro San Tommaso, come prescrive il Concilio, ma Heidegger. Non c’è da meravigliarsi se anche questo colossale confronto con la modernità, che impressiona tanti suscitando in loro una specie di timore reverenziale come davanti a un gigante del pensiero, è sostanzialmente fallito, senza per questo negare molti buoni risultati parziali. Ma viene voglia di dire col famoso ciclista Gino Bartali, anche se dobbiamo dare un certo taglio: “Tutto da rifare”.

Infatti, dopo quarant’anni di rahnerismo, senza contare tutti gli altri numerosi e potenti esponenti del neomodernismo, non dovrebbe esser difficile fare un bilancio della teologia e del costume cattolici o su quanto resta di cattolicesimo da quell’inizio ad oggi. Non c’è dubbio che un progresso c’è stato. Ma questo è dovuto alla vera applicazione del Concilio, non a quella proposta da Rahner: questa ha prodotto disaffezione per la verità, saccenteria, superbia, sete di potere ed empietà, ribellione al Magistero e al Papa, cedimento agli errori della modernità, assenza di confutazione degli errori, profanazione della liturgia, “cattolici” che in realtà sono protestanti, diminuzione della pratica religiosa e sacramentale, delle conversioni al cattolicesimo, delle vocazioni religiose e sacerdotali, defezioni, rilassamento dei costumi, politicizzazione della Chiesa, affarismo ecclesiastico, secolarismo, relativismo dottrinale, permissivismo morale, indifferenza o sincretismo religiosi, disintegrazione della famiglia e della società, egoismo economico, conversione ad altre religioni, apostasia totale dalla fede e corruzione morale.

Il rahnerismo, col pretesto dell’apertura al mondo moderno, del dialogo, del pluralismo, della democrazia, della libertà religiosa e di ricerca, dell’ecumenismo, della maturità dei laici, dell’ispirazione dello Spirito Santo, ha eliminato nel Corpo di Cristo le difese immunitarie, rendendo insipida o discutibile la Parola di Dio, e ha tolto il muro di cinta della Vigna del Signore; sicché oggi c’è motivo di rivolgere ai pastori rahneriani il rimprovero fatto dal Profeta: “Non avete reso forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse; non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese [14] e nessuno va in cerca di loro e se ne cura” (Ez 34, 4-6).

Come vedremo, la modernità con la quale Rahner vorrebbe modernizzare il cristianesimo non è una sana modernità, ma è quella filosofia postcartesiana, la quale, nel corso degli ultimi secoli, è degenerata in quella che oggi si chiama “postmodernità”, come constata il teologo spagnolo Joaquín Ferrer Arellano, appunto a proposito di Rahner: “La modernidad ilustrada en la que se inspira, está en trance agónico de extinción - en acelerada fase de derribo - desde el advenimiento del relativismo postmoderno nihilista, (que brota - dicho sea de paso - de la misma línea de pensamiento que ha tomado consciencia de sus contradicciones). Sus características son bien conocidas: irracionalismo, fin de la metafísica y de la historia, el axfixiante relativismo del “pensiero debole” de tan irritante superficialidad, la disolución de lo humano en el cosmos” [15].

Sotto una patina di liberalità, di bontà e di indulgenza, la pastorale che si fonda sull’etica rahneriana, come vedremo, non forma né buoni pastori né buoni teologi, ma gente autoreferenziale. Una cura primaria che il pastore e il teologo devono avere per il prossimo sta nel difenderlo dall’errore, nel momento in cui mostrano il sentiero della verità. Essi devono sentirsi (ed essere) premurosi e competenti medici delle anime, con la differenza che mentre il medico ha il compito di liberare il corpo dal male fisico, il pastore e il teologo devono liberare le anime dal peccato e dall’eresia.

Ma purtroppo il buonismo rahneriano dei “cristiani anonimi” non assicura a chi di dovere il discernimento e il coraggio sufficienti per difendere il gregge dai lupi e guidarlo a “pascoli ubertosi”. Si diventa, come si suol dire, “deboli con i forti e forti con i deboli”. Sarà mio compito dimostrare tutto ciò nel corso di questo libro, nel quale l’abbondanza dei passi di Rahner citati consentirà di verificare personalmente la verità di quanto dico, salvo, naturalmente, la possibilità che io da qualche parte mi sbagli nell’interpretare. E invero vorrei sbagliarmi, ma il dato di fatto è quello che è. Cosí pure, un medico vorrebbe poter non diagnosticare un tumore, ma se il tumore c’è, c’è poco da fare; semmai dovrà provare a curarlo.

Sarò allora grato a chi eventualmente mi mostrerà l’interpretazione giusta. Infatti, benché io frequenti il pensiero rahneriano da quasi quarant’anni ed abbia fatto numerose pubblicazioni sull’argomento, e dopo esservi giunto dopo altri vent’anni di studi teologici e con vari titoli accademici, so bene di non essere al riparo da errori di interpretazione e posso anche ammettere che i miei stessi criteri di valutazione non siano sempre giusti. Per questo sarò grato a chi mi vorrà correggere. Meglio conoscere la verità esplicitamente che sbagliare in buona fede.

Il tono del mio linguaggio è severo e può sembrare a volte beffardo. Indubbiamente faccio anche dell’ironia e desidero a volte un po’ scherzare per allentare la tensione. Tutto il mio libro può dare l’impressione di essere una raffica di fuoco che non dà respiro né all’avversario né al lettore. Ma l’ho detto sin dall’inizio: è un elenco degli errori di Rahner, e del resto i passi che cito sono quelli che sono.

Lo so che spesso c’è un problema interpretativo; ma, collegando i passi tra loro - un singolo passo, preso in sé, dato che Rahner mantiene il linguaggio tradizionale, può sembrare ortodosso e può anche esser preso come tale -, il senso viene fuori generalmente chiaro, anche perché Rahner ha una sua coerenza e una sua logica nel restar fedele ai medesimi errori fondamentali in tutte le sue opere, quale che sia l’argomento che tratta.

Soprattutto, come noterà il Lettore, c’è la presenza ossessiva del suo “trascendentale”, che è di sua invenzione [16] sebbene sia desunto da vari autori (soprattutto Kant e Heidegger). Ma assicuro il Lettore che tutto è contro l’errore e non contro la persona, verso la quale non ho alcuna animosità, ma che anzi amo col cuore di Cristo come fratello nella fede, persona della quale ho il massimo rispetto e alla quale auguro il paradiso.

Rahner ha dato certamente un contributo importante alle dottrine del Concilio; ma nel contempo la sua interpretazione modernistica, che si è largamente affermata, ha provocato i gravi inconvenienti che ho qui brevemente segnalato e che illustrerò ulteriormente nel corso di questo libro. Certamente tali inconvenienti non dipendono solo da Rahner e dalla sua scuola, ma anche da molti altri personaggi di minor calibro. Sembrerebbe allora imporsi sempre piú la necessità, non sappiamo a quale scadenza, di un nuovo Concilio, nel caso non si riesca a rimediare a quegli inconvenienti in altro modo.

Questo, come ho detto, è normale nella storia della Chiesa. La speranza, per adesso, è quella di una correzione o almeno di un’attenuazione del movimento modernistico. Ma se ciò non avvenisse, non vedrei altra soluzione che la convocazione di un nuovo Concilio, che facesse virare la navicella della Chiesa nuovamente verso quei valori tradizionali che la scomposta euforia postconciliare - da addebitarsi non al Concilio, ma ai modernisti - ha provocato nella Chiesa. Comunque il compito per l’oggi sembra essere quello di una chiarificazione definitiva degli errori di Rahner senza per questo misconoscere i suoi meriti. Le conquiste vanno conservate, ma occorre anche recuperare i valori dimenticati.

 

Giovanni Cavalcoli

 

 

 

 

Note

_____________________

 

[1] Questa questione dell’interpretazione del Concilio è stata toccata ormai da molti. Un intervento autorevole già negli anni ‘60 fu quello del Card. Pietro Parente, già Segretario del Sant’Uffizio, con l’aureo libretto La crisi della verità e il Concilio Vaticano II (Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1983). In questo opuscolo l’Autore evidenzia la crisi dottrinale che è seguita al Concilio, causata non certo da esso, ma da un ritorno di modernismo. E a questo proposito, uno dei teologi criticati è appunto Rahner. Altro autore da notare a questo proposito è il teologo Peter M. Fehlner, il quale, in un recente congresso teologico internazionale dedicato a Rahner ed organizzato dai Francescani dell’Immacolata, si esprime con queste parole: “The present Holy Father touched on this in his address to the Roman Curia, 22 December 2005, concerning authentic and inauthentic hermeneutics of Vatican II and the renewal based on these: can a theology be absolutely new and also authentic Catholic renewal? Especially if “newness” entails a hermeneutics decisively breaking with the patristic scholastic approach? Renewal based on continuity with tradition - including the patristic-scholastic approach to theology - can produce genuine reform; novel reform in discontinuity with that tradition can only bring tragic rupture or schism in its wake. Theology to be new must first be old: like the Beauty that is the Lord, ever ancient ever new”. Da Karl Rahner, un’analisi critica. La figura, l’opera e la recezione teologica di Karl Rahner (1904-1984), a cura del Padre Serafino M. Lanzetta, Editrice Cantagalli, Siena 2009, p. 73.

[2] Questo è emerso da due congressi internazionali svoltisi nel novembre 2007: un convegno per ricordare il centenario dell’enciclica Pascendi di San Pio X, tenutosi all’Angelicum a Roma ed organizzato dalla Società Internazionale Tommaso d’Aquino (SITA), i cui atti saranno pubblicati, a quanto si prevede, entro l’anno e un altro tenutosi e Firenze, organizzato dai Francescani dell’Immacolata e dedicato ad un esame critico del pensiero rahneriano, i cui atti sono stati pubblicati nel 2009 dall’Editrice Cantagalli di Siena, sotto il titolo Karl Rahner, un’analisi critica. La figura, l’opera e la recezione teologica di Karl Rahner (1904-1984), a cura del Padre Serafino M. Lanzetta.

[3] Il caso piú clamoroso, recentissimo, è quello di Vito Mancuso, il quale, però, grazie a Dio, è stato confutato da Mons. Forte e dalla “Civiltà Cattolica”. Ma egli non sembra essersi impressionato piú di tanto. E sta ottenendo un largo successo.

[4] Alcune poche coraggiose voci di Vescovi, come per esempio quella del recentemente scomparso Mons. Maggiolini, vengono slealmente bollate da una certa stampa come quella di un “Vescovo leghista”.

[5] Un riferimento autorevole alla concezione rahneriana della Redenzione si trova nel documento della Commissione Teologica Internazionale, Alcune questioni sulla teologia della redenzione, del 29 novembre 1994, nn. 1926-1929. La Commissione si limita, come è suo compito istituzionale, a rilevare alcuni punti della teoria rahneriana considerati di particolare interesse. Ciò non comporta alcune valutazione critica, perché tale valutazione spetta solamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Per cui un eventuale riferimento a questo documento da parte dei rahneriani, quasi fosse a loro favore, è destituito di ogni fondamento.

[6] Una trattazione autorevole sulla questione dell’interpretazione del Concilio è data dal libro del Card. Leo Scheffczyk, La Chiesa. Aspetti della crisi postconciliare e corretta interpretazione del Concilio Vaticano II, Presentazione all’edizione italiana del Card. Joseph Ratzinger, Jaca Book, Milano 1998, pp. 168-169. Scheffczyk critica il “sogno” di Chiesa del futuro auspicata da Karl Rahner.

[7] Data questa situazione, da varie parti si auspica un intervento chiarificatore da parte della Chiesa. Una voce autorevole in questo senso è quella del teologo tedesco David Berger, il quale, in un recente suo articolo pubblicato sulla rivista teologica Fides Catholica, n. 2 del 2006, riprendendo uno studio compiuto da Heinz-Jürgen Vogels, si esprime in questi termini: “Dopo l’appassionante e addirittura emozionante lettura di Vogels, emerge veemente il quesito, se non sia giunto il tempo che quell’istituzione, a cui nella Chiesa cattolica è affidata la conservazione della purezza della fede, ancora una volta accetti un confronto piú approfondito con la dottrina di Rahner. In questo non si tratta di un giudizio sulla persona di Rahner e, a tale riguardo, non è rilevante se avesse buone intenzioni, si tratta solo dei suoi scritti. Noi oggi possiamo, meglio di allora, riesaminare con l’aiuto dei piú recenti studi, nei quali egli piú o meno acriticamente viene stilizzato altamente come nuovo dottore della Chiesa.” (pp. 102-103).

[8] Sembra che Pio XII si sia riferito anche a de Lubac, sebbene egli non fosse nominato. Comunque il de Lubac fece un notevole sforzo per correggere le proprie posizioni e in tarda età, come del resto anche il Congar, fu premiato col cardinalato.

[9] Contenuta nelle opere Uditori della parola e Spirito nel mondo.

[10] Forse non è male ricordare che Heidegger fu iscritto al Partito Nazionalsocialista fino al 1945. Durante il regime rivestí incarichi accademici e seppure a suo modo condivise l’ideologia nazista. Questi dati sono reperibili in uno studio approfondito di Juan Arías.

[11] Cioè, da come appare evidente leggendo i suoi scritti, l’insegnamento della Chiesa preconciliare.

[12] Karl Rahner, La fatica di credere, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1986, p. 49.

[13] Richard Wisser, Verlag Karl Alber, (a cura di), Martin Heidegger im Gespräch, Friburgo-Monaco, 1970, p. 48 ss.

[14] Molte sono contente cosí e credono di essere libere.

[15] Karl Rahner, un’analisi critica, op. cit., p. 222.

[16] Ciò ha portato gli studiosi di Rahner a qualificare il suo pensiero come “trascendentalismo”. Alcuni parlano di “tomismo trascendentale”. Ma il pensiero rahneriano, dopo un primo periodo di falsificazione del pensiero tomistico, nel suo ultimo periodo non è affatto tomista. Infatti il qualificare di “trascendentale” nel senso kantiano il tomismo è una contradictio in terminis perché il trascendentale tomista è realista mentre quello kantiano è idealista.

 

 

 

 

 

Cfr. CAVALCOLI G., Il personaggio Rahner, in IDEM, Karl Rahner. Il Concilio tradito, Fede e Cultura, Verona 2009, 7-13.

 

I testi originali sono reperibili anche nel sito Web dedicato allo studio del pensiero filosofico e teologico del Servo di Dio Padre Tomas Maria Tyn, O.P.

 

N. B. Le immagini presenti in questa pagina e l'inserto biografico su Karl Rahner non fanno parte del testo originale.